Ha una logica il fenomeno di quei cattolici, anche attivamente impegnati nell'associazionismo laicale, che esprimono nettamente il loro "dissenso" dalle gerarchie della Chiesa?
Un dissenso a volte sotterraneo, che si realizza ignorando di fatto le indicazioni dei pastori. E a volte aperto, frontale, che arriva a 'bacchettare' i vescovi e il Papa.
L'esempio più recente - e clamoroso - è quello dell'attuale ministro per le Politiche familiari, Rosy Bindi, già vicepresidente nazionale dell'Azione cattolica.
In relazione alla pronuncia dei vescovi italiani sulla necessità di difendere la famiglia da ambigue equiparazioni con altri tipi di legami, il ministro ha proclamato: "Io amo pensare alla Chiesa che si occupa delle cose di Dio".
E già qui vien da domandarsi quali siano le "cose di Dio" che dovrebbero costituire oggetto esclusivo dell'attenzione della Chiesa. Non rientra tra queste la famiglia, non vi rientra l'uomo nella sua totalità? Che Dio triste e lontano, indifferente ai problemi concreti dell'umanità, sarebbe quello immaginato dalla Bindi… non certo quello che si è incarnato nel Figlio.
Ma il bello è venuto l'8 marzo, allorché - in un'intervista al quotidiano Europa - la Bindi ha attaccato frontalmente il magistero di Benedetto XVI.
Il Papa ha più volte invitato i cattolici a difendere con fermezza alcuni valori "non negoziabili" che sono patrimonio di tutta la comunità umana: vita, famiglia, educazione. Ebbene, per la Bindi "la categoria dei valori non negoziabili è rischiosa: senza rinunciare ai valori né comprometterli, occorre investirli e assumere con la mediazione il rischio della loro incarnazione storica. Ricordiamoci la parabola dei talenti. L'unico servo punito è quello che non ritenendo "negoziabile" il suo talento lo sotterra. E il Padre al suo ritorno lo rimprovera: sapevi che mieto dove non ho seminato… Non si possono congelare i valori: vanno investiti e fatti fermentare perché siano fecondi, anche se in maniera non completa. I cristiani sono chiamati a essere come il lievito e il sale. Non si può dire Non possumus, salvo la mia coscienza e mi tiro fuori da ogni assunzione di responsabilità...".
Non vorremmo qui dilungarci nell'analizzare le acrobatiche argomentazioni del ministro, la sua singolare capacità di capovolgere a proprio uso e consumo il significato di una parabola evangelica.
Tutti abbiamo sempre creduto che investire i propri talenti significasse mettere a rischio se stessi, le proprie capacità, per difendere i valori; e non, al contrario, mettere a rischio i valori per difendere se stessi e la propria reputazione negli ambienti radical chic (o la propria poltrona) …
Non vorremmo poi annoiare il lettore meno addentrato nei dibattiti intraecclesiali, ricordando che il criterio della "mediazione" (contrapposto a quello della "presenza") fu già sconfessato da Giovanni Paolo II al Convegno di Loreto del 1995.
Per ricordare i termini di un corretto rapporto tra fede, valori umani di ispirazione religiosa, comunità sociale e politica, ci permettiamo di rimandare al nostro articolo che illustra il significato del concetto di laicità; o possiamo semplicemente rimandare alla Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede circa l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica.
Quello che vorremmo qui evidenziare è il senso di aperta sfida al Papa che emerge dalle parole della Bindi, la quale paragona Benedetto XVI - e il suo insegnamento - al servo che seppellì i suoi talenti. Quel servo che il Padrone, nella parabola, rimproverò come "servo malvagio e infingardo", per poi ordinare che fosse gettato nelle tenebre, là dove è "pianto e stridore di denti".
Insomma: la papessa Bindi scomunica il Papa e lo condanna alla dannazione eterna!
Questo episodio clamoroso si somma ad altri più noti (la rivendicazione da parte di Prodi del suo essere cattolico "adulto", in occasione dei referndum sulla fecondazione artificiale; l'appello sottoscritto da alcuni intellettuali che hanno chiesto ai vescovi di non emettere la nota impegnativa sulla famiglia) o meno noti.
Si tratta, si badi bene, di episodi largamente minoritari nel mondo cattolico, che ha da tempo manifestato con chiarezza la propria concordia con le gerarchie e la sostanziale compattezza (sia pure secondo le diverse sensibilità) anche nell'azione culturale e civile. Compattezza rinsaldata oggi, allorché tutti i principali movimenti del laicato cattolico hanno promosso il Family Day del 12 maggio e sottoscritto il relativo manifesto.
Sono però episodi largamente enfatizzati dalla stampa laicista (anticlericale), che offre una sponda a queste posizioni perché ha interesse a mostrare nel mondo cattolico divisioni più virtuali che reali. Una tale enfasi, indubbiamente, può creare confusione nei fedeli meno attenti a dare il giusto peso alle voci contrastanti da cui vengono raggiunti.
La domanda che ci eravamo posti inizialmente, però, era la seguente: ha una logica la manifestazione di un dissenso così netto, quasi oltraggioso? La nostra prima reazione, infatti, non è tanto quella di condividere o meno tali posizioni. La nostra reazione è anzitutto di sorpresa.
Ci sembra ragionevole, infatti, rammentare che il "cattolico" non è un semplice "cristiano", cioè un fedele che riconosce in Cristo il Figlio di Dio fatto uomo. Il cattolico ha una connotazione più precisa: è (dovrebbe essere) quel cristiano che si riconosce nella Chiesa cattolica apostolica romana, guidata dal Papa Vescovo di Roma e successore di Pietro; quel cristiano che riconosce in essa la Chiesa voluta da Cristo stesso per essere presente tra gli uomini, per sostenerli con l'annuncio della Parola e con la Grazia dei sacramenti; quel cristiano che riconosce nel magistero e nell'azione della gerarchia ecclesiastica l'ispirazione dello Spirito Santo.
Ricordiamo anche che la Chiesa non è - costituzionalmente - una società democratica, in cui il 'potere' promana dal basso. La Chiesa è una realtà "pneumatica" (animata dallo Spirito Santo), in cui lo Spirito procede gerarchicamente, per espressa volontà di Colui che l'ha fondata: "non voi avete scelto Me, ma Io ho scelto voi" (Gv 15,16). La "potestas" al suo interno è un ministero, un servizio, che non è espressione della libera - e arbitraria - volontà di chi lo esercita, bensì del dovere di fedeltà al deposito della Fede.
Il cattolico "adulto e responsabile" è (dovrebbe essere) colui che, scegliendo liberamente di appartenere a questa comunità, ne abbraccia i principî. Magari esprimendo i proprî dubbi, sollecitando un dibattito su alcuni temi; ma di certo non cercando la contrapposizione frontale. E invece si vuol far passare per 'maturità' l'atteggiamento di colui che partecipa ad una comunità - non obbligatoria - contestandola radicalmente… Sarebbe come se Dracula si iscrivesse all'AVIS per cambiarne lo statuto: anziché donazione, furto di sangue. O come se Totti si candidasse a presidente della Lazio, per fare adottare il giallo e il rosso come colori sociali (oddio, se pensiamo che Veltroni ha dichiarato di essersi iscritto al Partito Comunista perché era anticomunista, forse questi scenarî non sono così assurdi…).
Battute a parte, c'è la realtà di alcuni cattolici che - pur non contestando apertamente la gerarchia - non sono in piena comunione con la Chiesa: per timore, per debolezza umana, forse anche per superficialità, perché non hanno ancora ben compreso la profondità del messaggio evangelico, o perché si fanno irretire da qualche sirena maliziosa. A questa categoria di cattolici, che hanno bisogno di percorrere un cammino di consapevolezza, apparteniamo probabilmente in molti.
Ma ci sono anche altri cattolici che scelgono di vivere nella Chiesa per … cambiarla dall'interno. Sono quelli che - attualizzando un'antica definizione - potremmo definire "nicodemisti", uomini che proclamano una cosa ma ne sentono vera in cuor proprio un'altra, e cercano pazientemente di imporla. Cattolici che si definiscono "progressisti", intendendo per "progresso" il radicale mutamento di natura della Chiesa (quasi che questa sia restata orfana dell'assistenza dello Spirito per duemila anni), magari contestando il ruolo del papato (che è l'essenza stessa del cattolicesimo!). Cattolici di scuola per lo più dossettiana, che, volendo contestare la rispettosa attuazione del Concilio Vaticano II, lamentano il tradimento di un presunto "spirito del Concilio". Cattolici che amano definirsi "di base" (cercando di accreditare una "base" in dissenso dalle gerarchie), anche se esprimono un'élite intellettuale.
Tralasciamo ogni commento sulle ipocrisie presenti in questo atteggiamento. A noi - ingenui? poco comprensivi? - sembra semplicemente un atteggiamento illogico, che nuoce alla Chiesa, alla trasparenza del dibattito culturale e sociale del nostro Paese, e forse anche alla serenità interiore di queste persone.
P.S. Per un aggiornamento sui "cattolici adulti" che alzano il tiro, riunendosi presso la comunità di Bose per bacchettare tutto l'episcopato italiano, clicca qui.
Una certa freddezza rispetto al Papa può venire anche da alcuni vescovi troppo attenti agli applausi del mondo, come ha sottolineato Benedetto XVI in una sua lettera aperta che ha destato molto scalpore.
Lo stesso Papa ci ricorda che cosa significhi fede "adulta".