Vent'anni fa è ritornata alla fede, «perché è la cosa più razionale», dopo venti in cui aveva battuto tutt'altri lidi. Da allora, dice, «sono diventata più razionale, e ho visto come le cose in cui credevo prima erano in realtà dei condizionamenti». Così Alessandra Nucci, un tempo femminista ribelle, oggi nonna fiera di esserlo, ha intrapreso quella che definisce «una rivisitazione senza perdere lo spirito libertario» delle posizioni di un tempo.
Dunque è ancora femminista?
Lo sono se femminismo vuol dire difesa della donna, se guarda alla verità e non all'ideologia. Ma il femminismo è pesantemente ideologico: si presenta come un orizzonte indiscutibile, ci rifila un sacco di imposizioni surrettizie, e soprattuto ha fatto sparire ogni alternativa. Le ragazze oggi non riescono neppure a immaginare che possa esistere un modello di donna diverso da quello imposto dalla mentalità dominante.
Non è un po' esagerato?
No. E non si tratta neppure della spontanea diffusione di una mentalità, ma di un progetto preciso, che ha al proprio servizio le agenzie internazionali.
Addirittura.
Lei ha mai sentito parlare del Comitato di monitoraggio per l'applicazione del trattato Cedav?
No. Onestamente, neppure del trattato.
Appunto. È un trattato delle Nazioni Unite sulle pari opportunità. E il Comitato di monitoraggio svolge un'opera attivissima e pressoché ignota. Ma efficacissima: chi si oppone a un'agenzia Onu che accusi uno Stato di discriminare le donne? E così si sviluppa uno Stato-balia planetario, che dolcemente ci abbraccia per dirci come dobbiamo pensare.
E come dobbiamo pensare?
Secondo una linea che lega il femminismo non alla difesa delle donne, ma al controllo delle nascite. Tutta la cosiddetta liberazione della donna si traduce alla fine in questo: nella "liberazione" dalla maternità, ossia nel suo rifiuto, prima culturale (l'idea tenacemente promossa che la maternità sia una sorta di handicap) e poi pratico.
Per quale motivo?
Qui andiamo lontano. Le origini del rifiuto della maternità sono da ricercare in un certo ambientalismo che considera l'uomo non lo scopo della creazione, ma il suo nemico. Che rifiuta l'idea dell'uomo come immagine e somiglianza di Dio, dotato di ragione e libertà, per farne un semplice prodotto dell'evoluzione: è quest'ultima il vero signore della terra, al quale gli uomini si devono sottomettere. (La lotta alla maternità è anche residuo di uno schema d'analisi marxista-engheliano, come spiega l'articolo di Marina Corradi sull'ideologia del "gender", ndr)
Ma non è l'idea di tutte le femministe.
Certo che no. La stragrande maggioranza delle militanti è in buona fede. Solo i capi hanno chiara la strategia. Ma sono capaci di proporla in maniera così subdola da ottenere una quantità di adesioni, perché diventa mentalità dominante senza che ci si accorga che si tratta di una opzione. Come quando, da insegnante di letteratura inglese, proponevo la mia materia secondo canoni marxisti senza rendermene conto, semplicemente perché così veniva presentata ovunque. Solo quando sono tornata alla fede ho cominciato a capire.
Cosa c'entra qui la fede?
C'entra, perché la fede nasce da un uso sistematico della ragione. Gesù non chiedeva un'obbedienza cieca, ma un'adesione razionale. Questa è la questione decisiva, la differenza tra la tradizione cristiana e le altre; che permette, come ha spiegato papa Ratzinger, di parlare con chiunque. Purché lo si voglia: in America ci sono dei debate club in cui persone di posizioni anche diversissime si incontrano per dibattere, razionalmente, su temi scottanti; da noi no, con la scusa del rispetto delle opinioni altrui o del timore della polemica si parla solo con la propria parte. Mentre la fede fondata sulla ragione permette un dialogo ragionevole con tutti.
Articolo pubblicato su Tempi n.45 del 23/11/2006.
Le evidenziazioni in grassetto sono nostre.
L'intervistata è autrice di un recente, interessante volume su questi temi:
Alessandra NUCCI, La donna a una dimensione,
Marietti 2006, pp. 254, euro 18.