recensione di riferimento: Apocalypto
Ho molto apprezzato la vostra recensione del film Apocalypto: avete saputo cogliere, a mio avviso, il fatto che Mel Gibson non ha voluto confezionare un prodotto che facesse “rumore”, bensì un’opera al tempo stesso avvincente e densa di significati, la quale si presta a molteplici chiavi di lettura.
Vorrei proporre anch’io alcune di queste chiavi di lettura, ma prima mi sembra opportuno sgombrare il campo da due equivoci di fondo che ho visto nei commenti sul film rilanciati da molti media.
1) La violenza. Sono state molto enfatizzate le scene di violenza contenute nel film, e questo potrebbe indurre in inganno chi non ha ancora avuto l’occasione di vederlo. Bisogna chiarire, allora, che le scene di violenza davvero “forti” sono due-tre, e in ogni caso non oltrepassano mai la soglia del “tollerabile”. Si vede di molto peggio – purtroppo - anche in televisione…
Soprattutto, le scene di violenza non sono mai gratuite, ma sempre funzionali a descrivere il degrado morale di una società in disfacimento. Stupisce (?) che abbiano criticato questo aspetto del film gli stessi critici che hanno esaltato altre pellicole in cui la violenza è riprodotta con ambiguità e indulgenza, come Arancia meccanica o Pulp Fiction. Senz’altro Apocalypto non è un film adatto a bambini ed adolescenti; ma per il semplice fatto che non hanno ancora l’età giusta per saper filtrare con equilibrio le immagini a cui assisterebbero.
2) La fedeltà storica. Si è detto che quello di Gibson è un film d’azione privo di consistenza storica, e lo testimonierebbe il fatto che sovrappone l’inizio della decadenza del popolo Maya (che sarebbe avvenuta nello Yucatan del X secolo) con l’arrivo dei conquistadores spagnoli nel XVI secolo (i quali, invece, avrebbero incontrato solo gli Aztechi, vissuti nella regione più settentrionale dell’attuale Messico).
Ebbene, chi ha espresso questi giudizi non si è dato la pena di andare oltre la lettura di un sussidiario delle scuole medie… Infatti, tra IV e X secolo può essere datata la cosiddetta “età classica” o dell' "Antico Impero" dei Maya. Alla quale è però seguita la civiltà maya-tolteca ("epoca postclassica" o del "Nuovo Impero"), che ha avuto proprio i connotati (dialetto, costumi, divinità, rituali, cittadine con piramidi per i sacrifici, ecc.) che ritroviamo nel film e che hanno incontrato gli Spagnoli. Gibson è stato molto attento alla ricostruzione storica (con qualche piccola licenza mirata a sottolineare alcuni aspetti simbolici), proprio perché uno dei motivi ispiratori del film è la contrapposizione tra una civiltà che tramonta ed una nuova che sorge.
Chiariti questi aspetti, volevo proporre alcune chiavi di lettura che il film mi ha suggerito.
Il titolo stesso – Apocalypto – non è casuale. Il termine “apocalisse”, di cui il titolo è parafrasi, è utilizzato nel significato comune che gli viene attribuito: sconvolgimento, fine del (di un) mondo. Ma anche nel significato etimologico con cui è stato utilizzato dall’autore dell’ultimo libro del Nuovo Testamento: “rivelazione”, scoperta di un nuovo mondo. Un nuovo mondo – l’America – per gli esploratori; e un nuovo mondo – la civiltà dell’Occidente cristiano – per le popolazioni indigene.
La citazione che apre il film ("Una grande civiltà non è conquistata dall’esterno, finchè non ha distrutto se stessa dall’interno”) suggerisce che la crisi della civiltà maya può essere letta anche come emblema della crisi di ogni civiltà. In particolare, causa di ogni crisi è la corruzione morale, che porta al sacrificio umano (esplicito e diretto nella civiltà maya, implicito o nascosto - aborto, strumentalizzazione del corpo, ecc. - nella civiltà moderna).
La corsa è il tratto dominante della seconda parte del film. Ma la corsa di Zampa di Giaguaro non è solo una fuga da qualcosa, fine a sé stessa, per aver salva la propria vita. E’ una corsa per qualcosa, verso una speranza, per salvare altre vite: quelle – compresa una vita nascente – della propria famiglia. E’ una corsa che trova nell’amore energie insospettate, e che ha infine un approdo (non lo rivelo per non rovinare il finale a chi non lo ha visto). Qualcuno ha paragonato questo cammino velocissimo, immerso nel mistero della crudeltà umana, e per certi versi metafora della vita, ad un altro cammino, molto più lento e doloroso, descritto da Gibson nel suo precedente film: la Via Crucis di Cristo.
Alla corsa di Zampa di Giaguaro si contrappone l’inseguimento inutile, privo di vero significato, dei guerrieri maya. Una corsa che continua per inerzia – emblema di stupidità – negli ultimi due guerrieri, nei quali vengono persino a mancare i moventi della vendetta o della paura del capo.
Un altro parallelismo è quello tra le due figure di padre che il film propone.
Il capo dei guerrieri maya è temuto più che rispettato. Ed ha lo stesso rapporto col figlio. Questi sa che può avere la considerazione paterna solo se è all'altezza delle aspettative di coraggio e di valore in combattimento che il padre ripone in lui. E’ un figlio essenzialmente triste. Il testimone che il padre gli lascia è un pugnale: lo stesso pugnale che ne causerà la morte.
Anche Zampa di Giaguaro ammira suo padre, ma perché ne è protetto e rassicurato. E' felice e ha l'ilarità tipica di un ragazzo, pur essendo già padre a sua volta. Il padre lo ammonisce quando vede nei suoi occhi la paura: ma non perché non lo vuole debole, bensì perché non lo vuole schiavo. Gli mostra come affrontare la morte con dignità, consentendo che il figlio diventi pienamente uomo. Se il seme non muore, non porta frutto. Il “gioco” dei significati nascosti (alcuni già individuati nella recensione e nelle lettere di commento che mi hanno preceduto) potrebbe continuare a lungo, per scoprire i “messaggi” inseriti intenzionalmente dal regista. Ma vorrei limitarmi ad un’ultima considerazione.
La ricchezza di piani di lettura non è ottenuta con un fastidioso didascalismo, con dialoghi verbosi e forzati rispetto alla trama. Tutt’altro: ci troviamo di fronte ad un piccolo capolavoro di azione, di adrenalina pura, che con poche parole (per di più in dialetto maya sottotitolato…) riesce a coinvolgere, scuotere le emozioni, stimolare la riflessione.
Possiamo condividere o meno l'affresco morale che Gibson ci offre. Ma con esso, con i fatti reali che ci ripropone (e non con deformazioni sciatte), dobbiamo fare i conti.
Ivan Rossetti