Conoscete già Ségolène Royal?
Certamente ne sentirete molto parlare nei prossimi mesi, quando si accenderanno i riflettori sulla campagna elettorale per l'Eliseo (il palazzo del Presidente della Repubblica francese).
La Royal è la candidata socialista. Una donna indubbiamente bella ed elegante. Tanto affascinante da far ritenere a molti che queste qualità servano a mascherare lo scarso spessore politico della candidatura. Una candidata priva di idee forti, di proposte concrete; l'espressione forse inevitabile di una sinistra - quella francese - che è probabilmente la più antiquata e velleitaria d'Europa.
In Italia c'è una spaccatura tra sinistra riformista (anche se è un po' il riformismo del "vorrei ma non posso") e sinistra radicale. In Spagna e in Gran Bretagna c'è una sinistra che insegue i cambiamenti - sociali ed economici - con una veemenza a tratti avventurista. In Germania una sinistra timida ma pragmatica, che ha avuto il coraggio di rifiutare l'alleanza con gli ex comunisti.
E in Francia? Lì c'è una gauche indecisa a tutto, incapace di fare scelte coraggiose, ancorata a miti della preistoria ideologica come la "laicité" o le 35 ore lavorative. Una sinistra che parla una babele di lingue diverse e però insegue l'unità a tutti i costi, mascherando le proprie divisioni con capriole linguistiche come quella di definirsi "sinistra plurale". Una sinistra che è stata capace, nelle ultime presidenziali del 2002, di lasciare che al ballottaggio contro Chirac andasse Le Pen...
Oggi quella sinistra pensa di doversi dare un'immagine 'moderna'. Il dubbio di dover ridiscutere la propria identità e le proprie strategie politiche non la sfiora. E così sceglie l'effigie rassicurante di Ségolène, la quale si è guardata bene - sinora - dal formulare proposte concrete, privilegiando i consigli dei curatori del suo look: tailleurini vezzosi, sorrisi dolci, sguardo assorto.
Non vogliamo cadere nel pregiudizio di ritenere una bella donna incapace di fare una buona politica. Ma ci sembra che la cura dell'immagine (che a tanti, in Italia, sembra un peccato mortale se la si trova in Berlusconi), in questo caso, serva davvero a coprire una povertà di contenuti.
Una prova clamorosa?
Lo scorso 9 gennaio, durante una conferenza stampa a Pechino, la Royal se ne esce così: "Ho incontrato un avvocato che mi ha spiegato che i tribunali cinesi sono più rapidi che in Francia. Vedete: prima di dare lezioni ad altri paesi, dobbiamo sempre guardare agli elementi di comparazione" (!!!)
Forse alla Royal sfugge che in Cina i processi sono rapidi perché spesso sommari e privi di garanzie per la difesa. Quando ci sono. Quando non si viene schiaffati in galera e basta, solo perché si ha l'ardire di professare una religione non ammessa, di navigare in siti internet non autorizzati, di criticare la corruzione dilagante, di non accettare di essere deportati in pochi giorni dal proprio quartiere solo perché bisogna "ripulire" le città in vista delle Olimpiadi.
Se il processo c'è, può capitare che si concluda con una condanna a morte: 10.000 esecuzioni l'anno per reati come il gioco d'azzardo, la frode fiscale, la falsa fatturazione, la "diffusione della superstizione", la "minaccia alla sicurezza nazionale"...
Dichiarazioni tanto assurde sono dovute al ridicolo tentativo di compiacere il Paese che la ospitava e con il quale bisogna fare buoni affari? (Anche se - va detto - la Royal non è sola, in Occidente, nell'indifferenza rispetto alle violazioni dei diritti umani che si verificano in un importante partner economico come la Cina).
Oppure si è trattato di un riflesso condizionato, un richiamo nostalgico all'epoca in cui la Cina del Grande Timoniere veniva considerata dalla sinistra europea il modello del socialismo?
O davvero la dolce Ségolène vuole importare in Francia, la patria delle codificazioni, il modello giudiziario della dittatura cinese?!
Nicolas Sarkozy, il candidato gollista nella corsa all'Eliseo, forse ha davvero la strada spianata.