CAPITOLO SECONDO
MISSIONE DELLA CHIESA E DOTTRINA SOCIALE
I. EVANGELIZZAZIONE E DOTTRINA SOCIALE
a) La Chiesa, dimora di Dio con gli uomini
60 La Chiesa, partecipe delle gioie e delle speranze, delle angosce e delle tristezze degli uomini, è solidale con ogni uomo ed ogni donna, d'ogni luogo e d'ogni tempo, e porta loro la lieta notizia del Regno di Dio, che con Gesù Cristo è venuto e viene in mezzo a loro.73 Essa è, nell'umanità e nel mondo, il sacramento dell'amore di Dio e perciò della speranza più grande, che attiva e sostiene ogni autentico progetto e impegno di liberazione e promozione umana. La Chiesa è tra gli uomini la tenda della compagnia di Dio — « la dimora di Dio con gli uomini » (Ap 21,3) — cosicché l'uomo non è solo, smarrito o sgomento nel suo impegno di umanizzare il mondo, ma trova sostegno nell'amore redentore di Cristo. Essa è ministra di salvezza non astrattamente o in senso meramente spirituale, ma nel contesto della storia e del mondo in cui l'uomo vive,74 dove è raggiunto dall'amore di Dio e dalla vocazione a corrispondere al progetto divino.
61 Unico ed irripetibile nella sua individualità, ogni uomo è un essere aperto alla relazione con gli altri nella società. Il convivere nella rete di rapporti che lega fra loro individui, famiglie, gruppi intermedi, in relazioni di incontro, di comunicazione e di scambio, assicura al vivere una qualità migliore. Il bene comune che gli uomini ricercano e conseguono formando la comunità sociale è garanzia del bene personale, familiare e associativo.75 Per queste ragioni si origina e prende forma la società, con i suoi assetti strutturali, vale a dire politici, economici, giuridici, culturali. All'uomo, « in quanto inserito nella complessa rete di relazioni delle società moderne »,76 la Chiesa si rivolge con la sua dottrina sociale. « Esperta in umanità »,77 essa è in grado di comprenderlo nella sua vocazione e nelle sue aspirazioni, nei suoi limiti e nei suoi disagi, nei suoi diritti e nei suoi compiti, e di avere per lui una parola di vita da far risuonare nelle vicende storiche e sociali dell'esistenza umana.
b) Fecondare e fermentare la società con il Vangelo
62 Con il suo insegnamento sociale, la Chiesa intende annunciare ed attualizzare il Vangelo nella complessa rete delle relazioni sociali. Non si tratta semplicemente di raggiungere l'uomo nella società, l'uomo quale destinatario dell'annuncio evangelico, ma di fecondare e fermentare la società stessa con il Vangelo.78 Prendersi cura dell'uomo, pertanto, significa, per la Chiesa, coinvolgere anche la società nella sua sollecitudine missionaria e salvifica. La convivenza sociale spesso determina la qualità della vita e perciò le condizioni in cui ogni uomo e ogni donna comprendono se stessi e decidono di sé e della loro vocazione. Per questa ragione, la Chiesa non è indifferente a tutto ciò che nella società si sceglie, si produce e si vive, alla qualità morale, cioè autenticamente umana e umanizzante, della vita sociale. La società e con essa la politica, l'economia, il lavoro, il diritto, la cultura non costituiscono un ambito meramente secolare e mondano e perciò marginale ed estraneo al messaggio e all'economia della salvezza. La società, infatti, con tutto ciò che in essa si compie, riguarda l'uomo. Essa è la società degli uomini, che sono « la prima fondamentale via della Chiesa ».79
63 Con la sua dottrina sociale la Chiesa si fa carico del compito di annuncio che il Signore le ha affidato. Essa attualizza nelle vicende storiche il messaggio di liberazione e di redenzione di Cristo, il Vangelo del Regno. La Chiesa, annunziando il Vangelo, « attesta all'uomo, in nome di Cristo, la sua dignità e la sua vocazione alla comunione delle persone; gli insegna le esigenze della giustizia e della pace, conformi alla sapienza divina ».80
Vangelo che riecheggia mediante la Chiesa nell'oggi dell'uomo,81 la dottrina sociale è parola che libera. Questo significa che ha l'efficacia di verità e di grazia dello Spirito di Dio, che penetra i cuori, disponendoli a coltivare pensieri e progetti di amore, di giustizia, di libertà e di pace. Evangelizzare il sociale è allora infondere nel cuore degli uomini la carica di senso e di liberazione del Vangelo, così da promuovere una società a misura dell'uomo perché a misura di Cristo: è costruire una città dell'uomo più umana, perché più conforme al Regno di Dio.
64 La Chiesa, con la sua dottrina sociale, non solo non si discosta dalla propria missione, ma è strettamente fedele ad essa. La redenzione compiuta da Cristo e affidata alla missione salvifica della Chiesa è certamente di ordine soprannaturale. Questa dimensione non è espressione limitativa, bensì integrale della salvezza.82 Il soprannaturale non è da concepire come un'entità o uno spazio che comincia dove finisce il naturale, ma come l'elevazione di questo, così che niente dell'ordine della creazione e dell'umano è estraneo ed escluso dall'ordine soprannaturale e teologale della fede e della grazia, ma piuttosto vi è riconosciuto, assunto ed elevato: « In Gesù Cristo il mondo visibile, creato da Dio per l'uomo (cfr. Gen 1,26-30) — quel mondo che, essendovi entrato il peccato, “è stato sottomesso alla caducità” (Rm 8,20; cfr. ibid., 8,19-22) — riacquista nuovamente il vincolo originario con la stessa sorgente divina della Sapienza e dell'Amore. Infatti, “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). Come nell'uomo-Adamo questo vincolo è stato infranto, così nell'uomo-Cristo esso è stato di nuovo riallacciato (cfr. Rm 5,12-21) ».83
65 La Redenzione comincia con l'Incarnazione, mediante cui il Figlio di Dio assume, eccetto il peccato, tutto dell'uomo, secondo le solidarietà istituite dalla Sapienza creatrice divina, e tutto coinvolge nel Suo dono d'Amore redentore. Da questo Amore l'uomo è raggiunto nell'interezza del suo essere: essere corporeo e spirituale, in relazione solidale con gli altri. Tutto l'uomo — non un'anima separata o un essere chiuso nella sua individualità, ma la persona e la società delle persone — è implicato nell'economia salvifica del Vangelo. Portatrice del messaggio d'Incarnazione e di Redenzione del Vangelo, la Chiesa non può percorrere altra via: con la sua dottrina sociale e con l'azione efficace che essa attiva, non solo non stempera il suo volto e la sua missione, ma è fedele a Cristo e si rivela agli uomini come « sacramento universale di salvezza ».84 Ciò è particolarmente vero in un'epoca come la nostra, caratterizzata da una crescente interdipendenza e da una mondializzazione delle questioni sociali.
c) Dottrina sociale, evangelizzazione e promozione umana
66 La dottrina sociale è parte integrante del ministero di evangelizzazione della Chiesa. Tutto ciò che riguarda la comunità degli uomini — situazioni e problemi relativi alla giustizia, alla liberazione, allo sviluppo, alle relazioni tra i popoli, alla pace — non è estraneo all'evangelizzazione e questa non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale dell'uomo.85 Tra evangelizzazione e promozione umana ci sono legami profondi: « Legami di ordine antropologico, perché l'uomo da evangelizzare non è un essere astratto, ma è condizionato dalle questioni sociali ed economiche. Legami di ordine teologico, poiché non si può dissociare il piano della creazione da quello della Redenzione che arriva fino alle situazioni molto concrete dell'ingiustizia da combattere, e della giustizia da restaurare. Legami dell'ordine eminentemente evangelico, quale è quello della carità: come infatti proclamare il comandamento nuovo senza promuovere nella giustizia e nella pace la vera, l'autentica crescita dell'uomo? ».86
67 La dottrina sociale « ha di per sé il valore di uno strumento di evangelizzazione » 87 e si sviluppa nell'incontro sempre rinnovato tra il messaggio evangelico e la storia umana. Così compresa, tale dottrina è via peculiare per l'esercizio del ministero della Parola e della funzione profetica della Chiesa: 88 « per la Chiesa insegnare e diffondere la dottrina sociale appartiene alla sua missione evangelizzatrice e fa parte essenziale del messaggio cristiano, perché tale dottrina ne propone le dirette conseguenze nella vita della società ed inquadra il lavoro quotidiano e le lotte per la giustizia nella testimonianza a Cristo Salvatore ».89 Non siamo in presenza di un interesse o di un'azione marginale, che si aggiunge alla missione della Chiesa, ma al cuore stesso della sua ministerialità: con la dottrina sociale la Chiesa « annuncia Dio e il mistero di salvezza in Cristo ad ogni uomo e, per la medesima ragione, rivela l'uomo a se stesso ».90 È, questo, un ministero che procede non solo dall'annuncio, ma anche dalla testimonianza.
68 La Chiesa non si fa carico della vita in società sotto ogni aspetto, ma con la competenza sua propria, che è quella dell'annuncio di Cristo Redentore: 91 « La missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è d'ordine politico, economico o sociale: il fine che le ha prefisso è di ordine religioso. Eppure proprio da questa missione religiosa derivano un compito, una luce e delle forze che possono servire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la Legge divina ».92 Questo vuol dire che la Chiesa, con la sua dottrina sociale, non entra in questioni tecniche e non istituisce né propone sistemi o modelli di organizzazione sociale: 93 ciò non attiene alla missione che Cristo le ha affidato. La Chiesa ha la competenza attinta al Vangelo: al messaggio di liberazione dell'uomo annunciato e testimoniato dal Figlio di Dio fatto uomo.
d) Diritto e dovere della Chiesa
69 Con la sua dottrina sociale la Chiesa « si propone di assistere l'uomo sul cammino della salvezza »: 94 si tratta del suo fine precipuo ed unico. Non ci sono altri scopi tesi a surrogare o ad invadere compiti altrui, trascurando i propri, o a perseguire obiettivi estranei alla sua missione. Tale missione configura il diritto e insieme il dovere della Chiesa di elaborare una propria dottrina sociale e di incidere con essa sulla società e sulle sue strutture, mediante le responsabilità e i compiti che questa dottrina suscita.
70 La Chiesa ha il diritto di essere per l'uomo maestra di verità della fede: della verità non solo del dogma, ma anche della morale che scaturisce dalla stessa natura umana e dal Vangelo.95 La parola del Vangelo, infatti, non va solo ascoltata, ma anche messa in pratica (cfr. Mt 7,24; Lc 6,46-47; Gv 14,21.23-24; Gc 1,22): la coerenza nei comportamenti manifesta l'adesione del credente e non è circoscritta all'ambito strettamente ecclesiale e spirituale, ma coinvolge l'uomo in tutto il suo vissuto e secondo tutte le sue responsabilità. Per quanto secolari, queste hanno come soggetto l'uomo, vale a dire colui che Dio chiama, mediante la Chiesa, a partecipare al Suo dono salvifico.
Al dono della salvezza l'uomo deve corrispondere non con un'adesione parziale, astratta o verbale, ma con tutta la propria vita, secondo tutte le relazioni che la connotano, così da non abbandonare nulla ad un ambito profano e mondano, irrilevante o estraneo alla salvezza. Per questo la dottrina sociale non è per la Chiesa un privilegio, una digressione, una convenienza o un'ingerenza: è un suo diritto evangelizzare il sociale, ossia far risuonare la parola liberante del Vangelo nel complesso mondo della produzione, del lavoro, dell'imprenditoria, della finanza, del commercio, della politica, della giurisprudenza, della cultura, delle comunicazioni sociali, in cui vive l'uomo.
71 Questo diritto è nel contempo un dovere, perché la Chiesa non vi può rinunciare senza smentire se stessa e la sua fedeltà a Cristo: « Guai a me se non predicassi il vangelo! » (1 Cor 9,16). L'ammonimento che san Paolo rivolge a se stesso risuona nella coscienza della Chiesa come un richiamo a percorrere tutte le vie dell'evangelizzazione; non solo quelle che portano alle coscienze individuali, ma anche quelle che conducono alle istituzioni pubbliche: da un lato non si deve « costringere erroneamente il fatto religioso alla sfera puramente privata »,96 da un altro lato non si può orientare il messaggio cristiano verso una salvezza puramente ultraterrena, incapace di illuminare la presenza sulla terra.97
Per la rilevanza pubblica del Vangelo e della fede e per gli effetti perversi dell'ingiustizia, cioè del peccato, la Chiesa non può restare indifferente alle vicende sociali: 98 « è compito della Chiesa annunciare sempre e dovunque i principi morali anche circa l'ordine sociale, e così pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana, in quanto lo esigono i diritti fondamentali della persona umana o la salvezza delle anime ».99
II. LA NATURA DELLA DOTTRINA SOCIALE
a) Un conoscere illuminato dalla fede
72 La dottrina sociale non è stata pensata da principio come un sistema organico, ma si è formata nel corso del tempo, attraverso i numerosi interventi del Magistero sui temi sociali. Tale genesi rende comprensibile il fatto che siano potute intervenire alcune oscillazioni circa la natura, il metodo e la struttura epistemologica della dottrina sociale della Chiesa. Preceduto da un significativo accenno nella « Laborem exercens »,100 un chiarimento decisivo in tal senso è contenuto nell'enciclica « Sollicitudo rei socialis »: la dottrina sociale della Chiesa « appartiene... non al campo dell'ideologia, ma della teologia e specialmente della teologia morale ».101 Essa non è definibile secondo parametri socio-economici. Non è un sistema ideologico o prammatico, teso a definire e comporre i rapporti economici, politici e sociali, ma una categoria a sé: essa è « l'accurata formulazione dei risultati di un'attenta riflessione sulle complesse realtà dell'esistenza dell'uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o difformità con le linee dell'insegnamento del Vangelo sull'uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il comportamento cristiano ».102
73 La dottrina sociale, pertanto, è di natura teologica, e specificamente teologico-morale, « trattandosi di una dottrina indirizzata a guidare la condotta delle persone »: 103 « Essa si situa all'incrocio della vita e della coscienza cristiana con le situazioni del mondo e si manifesta negli sforzi che singoli, famiglie, operatori culturali e sociali, politici e uomini di Stato mettono in atto per darle forma e applicazione nella storia ».104 La dottrina sociale riflette, di fatto, i tre livelli dell'insegnamento teologico-morale: quello fondativo delle motivazioni; quello direttivo delle norme del vivere sociale; quello deliberativo delle coscienze, chiamate a mediare le norme oggettive e generali nelle concrete e particolari situazioni sociali. Questi tre livelli definiscono implicitamente anche il metodo proprio e la specifica struttura epistemologica della dottrina sociale della Chiesa.
74 La dottrina sociale trova il suo fondamento essenziale nella Rivelazione biblica e nella Tradizione della Chiesa. A questa sorgente, che viene dall'alto, essa attinge l'ispirazione e la luce per comprendere, giudicare e orientare l'esperienza umana e la storia. Prima e al di sopra di tutto sta il progetto di Dio sul creato e, in particolare, sulla vita e sul destino dell'uomo chiamato alla comunione trinitaria.
La fede, che accoglie la parola divina e la mette in pratica, interagisce efficacemente con la ragione. L'intelligenza della fede, in particolare della fede orientata alla prassi, è strutturata dalla ragione e si avvale di tutti i contributi che questa le offre. Anche la dottrina sociale, in quanto sapere applicato alla contingenza e alla storicità della prassi, coniuga insieme « fides et ratio » 105 ed è espressione eloquente del loro fecondo rapporto.
75 La fede e la ragione costituiscono le due vie conoscitive della dottrina sociale, essendo due le fonti alle quali essa attinge: la Rivelazione e la natura umana. Il conoscere della fede comprende e dirige il vissuto dell'uomo nella luce del mistero storico-salvifico, del rivelarsi e donarsi di Dio in Cristo per noi uomini. Questa intelligenza della fede include la ragione, mediante la quale essa, per quanto possibile, spiega e comprende la verità rivelata e la integra con la verità della natura umana, attinta al progetto divino espresso dalla creazione,106 ossia la verità integrale della persona in quanto essere spirituale e corporeo, in relazione con Dio, con gli altri esseri umani e con le altre creature.107
La centratura sul mistero di Cristo, pertanto, non indebolisce o esclude il ruolo della ragione e perciò non priva la dottrina sociale di plausibilità razionale e, quindi, della sua destinazione universale. Poiché il mistero di Cristo illumina il mistero dell'uomo, la ragione dà pienezza di senso alla comprensione della dignità umana e delle esigenze morali che la tutelano. La dottrina sociale è un conoscere illuminato dalla fede, che — proprio perché tale — esprime una maggiore capacità di conoscenza. Essa dà ragione a tutti delle verità che afferma e dei doveri che comporta: può trovare accoglienza e condivisione da parte di tutti.
b) In dialogo cordiale con ogni sapere
76 La dottrina sociale della Chiesa si giova di tutti i contributi conoscitivi, da qualunque sapere provengano, e possiede un'importante dimensione interdisciplinare: « Per incarnare meglio in contesti sociali, economici e politici diversi e continuamente cangianti l'unica verità sull'uomo, tale dottrina entra in dialogo con le varie discipline che si occupano dell'uomo, ne integra in sé gli apporti ».108 La dottrina sociale si avvale dei contributi di significato della filosofia e altrettanto dei contributi descrittivi delle scienze umane.
77 Essenziale è, anzitutto, l'apporto della filosofia, già emerso dal richiamo alla natura umana quale fonte e alla ragione quale via conoscitiva della stessa fede. Mediante la ragione, la dottrina sociale assume la filosofia nella sua stessa logica interna, ossia nell'argomentare che le è proprio.
Affermare che la dottrina sociale è da ascrivere alla teologia piuttosto che alla filosofia non significa disconoscere o sottovalutare il ruolo e l'apporto filosofico. La filosofia, infatti, è strumento idoneo e indispensabile ad una corretta comprensione di concetti basilari della dottrina sociale — quali la persona, la società, la libertà, la coscienza, l'etica, il diritto, la giustizia, il bene comune, la solidarietà, la sussidiarietà, lo Stato —, comprensione tale da ispirare un'armonica convivenza sociale. È ancora la filosofia a far risaltare la plausibilità razionale della luce che il Vangelo proietta sulla società e a sollecitare l'apertura e l'assenso alla verità di ogni intelligenza e coscienza.
78 Un significativo contributo alla dottrina sociale della Chiesa proviene anche dalle scienze umane e sociali:109 nessun sapere è escluso, per la parte di verità di cui è portatore. La Chiesa riconosce e accoglie tutto ciò che contribuisce alla comprensione dell'uomo nella sempre più estesa, mutevole e complessa rete delle relazioni sociali. Essa è consapevole del fatto che ad una profonda conoscenza dell'uomo non si perviene con la sola teologia, senza i contributi di molti saperi, ai quali la teologia stessa fa riferimento.
L'apertura attenta e costante alle scienze fa acquisire alla dottrina sociale competenze, concretezza e attualità. Grazie ad esse, la Chiesa può comprendere in modo più preciso l'uomo nella società, parlare agli uomini del proprio tempo in modo più convincente e adempiere più efficacemente il suo compito di incarnare, nella coscienza e nella sensibilità sociale del nostro tempo, la Parola di Dio e la fede, dalla quale la dottrina sociale « prende avvio ».110
Tale dialogo interdisciplinare sollecita anche le scienze a cogliere le prospettive di significato, di valore e di impegno che la dottrina sociale dischiude e ad « aprirsi verso un orizzonte più ampio al servizio della singola persona, conosciuta e amata nella pienezza della sua vocazione ».111
c) Espressione del ministero d'insegnamento della Chiesa
79 La dottrina sociale è della Chiesa perché la Chiesa è il soggetto che la elabora, la diffonde e la insegna. Essa non è prerogativa di una componente del corpo ecclesiale, ma della comunità intera: è espressione del modo in cui la Chiesa comprende la società e si pone nei confronti delle sue strutture e dei suoi mutamenti. Tutta la comunità ecclesiale — sacerdoti, religiosi e laici — concorre a costituire la dottrina sociale, secondo la diversità di compiti, carismi e ministeri al suo interno.
I contributi molteplici e multiformi — espressioni anch'essi del « soprannaturale senso della fede di tutto il Popolo »112 — sono assunti, interpretati e unificati dal Magistero, che promulga l'insegnamento sociale come dottrina della Chiesa. Il Magistero compete, nella Chiesa, a coloro che sono investiti del « munus docendi », ossia del ministero di insegnare nel campo della fede e della morale con l'autorità ricevuta da Cristo. La dottrina sociale non è solo il frutto del pensiero e dell'opera di persone qualificate, ma è il pensiero della Chiesa, in quanto è opera del Magistero, il quale insegna con l'autorità che Cristo ha conferito agli Apostoli e ai loro successori: il Papa e i Vescovi in comunione con lui.113
80 Nella dottrina sociale della Chiesa è in atto il Magistero in tutte le sue componenti ed espressioni. Primario è il Magistero universale del Papa e del Concilio: è questo Magistero a determinare l'indirizzo e a segnare lo sviluppo della dottrina sociale. Esso, a sua volta, è integrato da quello episcopale, che ne specifica, traduce e attualizza l'insegnamento nella concretezza e peculiarità delle molteplici e diverse situazioni locali.114 L'insegnamento sociale dei Vescovi offre validi contributi e stimoli al magistero del Romano Pontefice. Si attua in questo modo una circolarità, che esprime di fatto la collegialità dei Pastori uniti al Papa nell'insegnamento sociale della Chiesa. Il complesso dottrinale che ne risulta comprende ed integra l'insegnamento universale dei Papi e quello particolare dei Vescovi.
In quanto parte dell'insegnamento morale della Chiesa, la dottrina sociale riveste la medesima dignità ed ha la stessa autorevolezza di tale insegnamento. Essa è Magistero autentico, che esige l'accettazione e l'adesione dei fedeli.115 Il peso dottrinale dei diversi insegnamenti e l'assenso che richiedono vanno valutati in funzione della loro natura, del loro grado di indipendenza da elementi contingenti e variabili e della frequenza con cui sono richiamati.116
d) Per una società riconciliata nella giustizia e nell'amore
81 L'oggetto della dottrina sociale è essenzialmente lo stesso che ne costituisce la ragion d'essere: l'uomo chiamato alla salvezza e come tale affidato da Cristo alla cura e alla responsabilità della Chiesa.117 Con la sua dottrina sociale, la Chiesa si preoccupa della vita umana nella società, nella consapevolezza che dalla qualità del vissuto sociale, ossia delle relazioni di giustizia e di amore che lo intessono, dipende in modo decisivo la tutela e la promozione delle persone, per le quali ogni comunità è costituita. Nella società, infatti, sono in gioco la dignità e i diritti della persona e la pace nelle relazioni tra persone e tra comunità di persone. Beni, questi, che la comunità sociale deve perseguire e garantire.
In tale prospettiva, la dottrina sociale assolve un compito di annuncio e anche di denuncia.
Anzitutto l'annuncio di ciò che la Chiesa possiede di proprio: « una visione globale dell'uomo e dell'umanità »,118 ad un livello non solo teorico, ma pratico. La dottrina sociale, infatti, non offre soltanto significati, valori e criteri di giudizio, ma anche le norme e le direttive d'azione che ne derivano.119 Con tale dottrina, la Chiesa non persegue fini di strutturazione e organizzazione della società, ma di sollecitazione, indirizzo e formazione delle coscienze.
La dottrina sociale comporta pure un compito di denuncia, in presenza del peccato: è il peccato d'ingiustizia e di violenza che in vario modo attraversa la società e in essa prende corpo.120 Tale denuncia si fa giudizio e difesa dei diritti disconosciuti e violati, specialmente dei diritti dei poveri, dei piccoli, dei deboli,121 e tanto più si intensifica quanto più le ingiustizie e le violenze si estendono, coinvolgendo intere categorie di persone e ampie aree geografiche del mondo, e danno luogo a questioni sociali ossia a soprusi e squilibri che sconvolgono le società. Gran parte dell'insegnamento sociale della Chiesa è sollecitato e determinato dalle grandi questioni sociali, di cui vuole essere risposta di giustizia sociale.
82 L'intento della dottrina sociale è di ordine religioso e morale.122 Religioso perché la missione evangelizzatrice e salvifica della Chiesa abbraccia l'uomo « nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale ».123 Morale perché la Chiesa mira ad un « umanesimo plenario »,124 vale a dire alla « liberazione da tutto ciò che opprime l'uomo » 125 e allo « sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini ».126 La dottrina sociale traccia le vie da percorrere verso una società riconciliata ed armonizzata nella giustizia e nell'amore, anticipatrice nella storia, in modo incoativo e prefigurativo, di « nuovi cieli e... terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia » (2 Pt 3,13).
e) Un messaggio per i figli della Chiesa e per l'umanità
83 Prima destinataria della dottrina sociale è la comunità ecclesiale in tutti i suoi membri, perché tutti hanno responsabilità sociali da assumere. La coscienza è interpellata dall'insegnamento sociale per riconoscere e adempiere i doveri di giustizia e di carità nella vita sociale. Tale insegnamento è luce di verità morale, che suscita appropriate risposte secondo la vocazione e il ministero di ciascun cristiano. Nei compiti di evangelizzazione, vale a dire di insegnamento, di catechesi e di formazione, che la dottrina sociale della Chiesa suscita, essa è destinata ad ogni cristiano, secondo le competenze, i carismi, gli uffici e la missione di annuncio propri di ciascuno.127
La dottrina sociale implica altresì responsabilità relative alla costruzione, all'organizzazione e al funzionamento della società: obblighi politici, economici, amministrativi, vale a dire di natura secolare, che appartengono ai fedeli laici, non ai sacerdoti e ai religiosi.128 Tali responsabilità competono ai laici in modo peculiare, in ragione della condizione secolare del loro stato di vita e dell'indole secolare della loro vocazione: 129 mediante tali responsabilità, i laici mettono in opera l'insegnamento sociale e adempiono la missione secolare della Chiesa.130
84 Oltre la destinazione, primaria e specifica, ai figli della Chiesa, la dottrina sociale ha una destinazione universale. La luce del Vangelo, che la dottrina sociale riverbera sulla società, illumina tutti gli uomini, ed ogni coscienza e intelligenza sono in grado di cogliere la profondità umana dei significati e dei valori da essa espressi e la carica di umanità e di umanizzazione delle sue norme d'azione. Sicché tutti, in nome dell'uomo, della sua dignità una e unica e della sua tutela e promozione nella società, tutti, in nome dell'unico Dio, Creatore e fine ultimo dell'uomo, sono destinatari della dottrina sociale della Chiesa.131 La dottrina sociale è un insegnamento espressamente rivolto a tutti gli uomini di buona volontà 132 e, infatti, è ascoltato dai membri delle altre Chiese e Comunità Ecclesiali, dai seguaci di altre tradizioni religiose e da persone che non fanno parte di alcun gruppo religioso.
f) Nel segno della continuità e del rinnovamento
85 Orientata dalla luce perenne del Vangelo e costantemente attenta all'evoluzione della società, la dottrina sociale è caratterizzata da continuità e da rinnovamento.133
Essa manifesta anzitutto la continuità di un insegnamento che si richiama ai valori universali che derivano dalla Rivelazione e dalla natura umana. Per tale motivo la dottrina sociale non dipende dalle diverse culture, dalle differenti ideologie, dalle varie opinioni: essa è un insegnamento costante, che « si mantiene identico nella sua ispirazione di fondo, nei suoi “principi di riflessione”, nei suoi “criteri di giudizio”, nelle sue basilari “direttrici di azione” e, soprattutto, nel suo vitale collegamento col Vangelo del Signore ».134 In questo suo nucleo portante e permanente la dottrina sociale della Chiesa attraversa la storia senza subirne i condizionamenti e non corre il rischio del dissolvimento.
D'altra parte, nel suo costante volgersi alla storia lasciandosi interpellare dagli eventi che in essa si producono, la dottrina sociale della Chiesa manifesta una capacità di continuo rinnovamento. La fermezza nei principi non ne fa un sistema d'insegnamenti rigido, ma un Magistero in grado di aprirsi alle cose nuove, senza snaturarsi in esse: 135 un insegnamento « soggetto ai necessari e opportuni adattamenti suggeriti dal variare delle situazioni storiche e dall'incessante fluire degli avvenimenti, in cui si muove la vita degli uomini e delle società ».136
86 La dottrina sociale si presenta come un « cantiere » sempre aperto, in cui la verità perenne penetra e permea la novità contingente, tracciando vie di giustizia e di pace. La fede non presume d'imprigionare in uno schema chiuso la mutevole realtà socio-politica.137 È vero piuttosto il contrario: la fede è fermento di novità e creatività. L'insegnamento che da essa prende continuamente avvio « si sviluppa attraverso una riflessione a contatto delle situazioni mutevoli di questo mondo, sotto l'impulso del Vangelo come fonte di rinnovamento ».138
Madre e Maestra, la Chiesa non si chiude e non si ritrae in se stessa, ma è sempre esposta, protesa e rivolta verso l'uomo, il cui destino di salvezza è la propria ragion d'essere. Essa è tra gli uomini l'icona vivente del Buon Pastore, che va a cercare e a trovare l'uomo là dov'egli è, nella condizione esistenziale e storica del suo vissuto. Qui la Chiesa gli si fa incontro con il Vangelo, messaggio di liberazione e di riconciliazione, di giustizia e di pace.
III. LA DOTTRINA SOCIALE NEL NOSTRO TEMPO:
CENNI STORICI
a) L'avvio di un nuovo cammino
87 La locuzione dottrina sociale risale a Pio XI 139 e designa il « corpus » dottrinale riguardante temi di rilevanza sociale che, a partire dall'enciclica « Rerum novarum » 140 di Leone XIII, si è sviluppato nella Chiesa attraverso il Magistero dei Romani Pontefici e dei Vescovi in comunione con essi.141 La sollecitudine sociale non ha avuto certamente inizio con tale documento, perché la Chiesa non si è mai disinteressata della società; nondimeno, l'enciclica « Rerum novarum » dà l'avvio ad un nuovo cammino: innestandosi su una tradizione plurisecolare, essa segna un nuovo inizio e un sostanziale sviluppo dell'insegnamento in campo sociale.142
Nella sua continua attenzione per l'uomo nella società, la Chiesa ha accumulato così un ricco patrimonio dottrinale. Esso ha le sue radici nella Sacra Scrittura, specialmente nel Vangelo e negli scritti apostolici, ed ha preso forma e corpo a partire dai Padri della Chiesa e dai grandi Dottori del Medio Evo, costituendo una dottrina in cui, pur senza espliciti e diretti interventi a livello magisteriale, la Chiesa si è via via riconosciuta.
88 Gli eventi di natura economica che si produssero nel XIX secolo ebbero conseguenze sociali, politiche e culturali dirompenti. Gli avvenimenti collegati alla rivoluzione industriale sovvertirono secolari assetti sociali, sollevando gravi problemi di giustizia e ponendo la prima grande questione sociale, la questione operaia, suscitata dal conflitto tra capitale e lavoro. In tale quadro la Chiesa avvertì la necessità di dover intervenire in modo nuovo: le « res novae », costituite da quegli eventi, rappresentavano una sfida al suo insegnamento e motivavano una speciale sollecitudine pastorale verso larghe masse di uomini e di donne. Occorreva un rinnovato discernimento della situazione, in grado di delineare soluzioni appropriate a problemi inconsueti e inesplorati.
b) Dalla « Rerum novarum » ai nostri giorni
89 In risposta alla prima grande questione sociale, Leone XIII promulga la prima enciclica sociale, la « Rerum novarum ».143 Essa prende in esame la condizione dei lavoratori salariati, particolarmente penosa per gli operai delle industrie, afflitti da un'indegna miseria. La questione operaia viene trattata secondo la sua reale ampiezza: essa è esplorata in tutte le sue articolazioni sociali e politiche, per essere adeguatamente valutata alla luce dei principi dottrinali fondati sulla Rivelazione, sulla legge e sulla morale naturale.
La « Rerum novarum » elenca gli errori che provocano il male sociale, esclude il socialismo come rimedio ed espone, precisandola e attualizzandola, « la dottrina cattolica sul lavoro, sul diritto di proprietà, sul principio di collaborazione contrapposto alla lotta di classe come mezzo fondamentale per il cambiamento sociale, sul diritto dei deboli, sulla dignità dei poveri e sugli obblighi dei ricchi, sul perfezionamento della giustizia mediante la carità, sul diritto ad avere associazioni professionali ».144
La « Rerum novarum » è diventata il documento ispirativo e di riferimento dell'attività cristiana in campo sociale.145 Il tema centrale dell'Enciclica è quello dell'instaurazione di un ordine sociale giusto, in vista del quale è doveroso individuare dei criteri di giudizio che aiutino a valutare gli ordinamenti socio-politici esistenti e a prospettare linee d'azione per una loro opportuna trasformazione.
90 La « Rerum novarum » ha affrontato la questione operaia con un metodo che diventerà « un paradigma permanente » 146 per gli sviluppi successivi della dottrina sociale. I principi affermati da Leone XIII saranno ripresi e approfonditi dalle encicliche sociali successive. Tutta la dottrina sociale potrebbe essere intesa come un'attualizzazione, un approfondimento ed un'espansione del nucleo originario di principi esposti nella « Rerum novarum ». Con questo testo, coraggioso e lungimirante, Leone XIII « conferì alla Chiesa quasi uno “statuto di cittadinanza” nelle mutevoli realtà della vita pubblica » 147 e « scrisse una parola decisiva »,148 che divenne « un elemento permanente della dottrina sociale della Chiesa »,149 affermando che i gravi problemi sociali « potevano essere risolti soltanto mediante la collaborazione tra tutte le forze » 150 e aggiungendo anche: « Quanto alla Chiesa, essa non lascerà mai mancare in nessun modo l'opera sua ».151
91 All'inizio degli anni Trenta, a ridosso della grave crisi economica del 1929, Pio XI pubblica l'enciclica « Quadragesimo anno »,152 commemorativa dei quarant'anni della « Rerum novarum ». Il Papa rilegge il passato alla luce di una situazione economico-sociale in cui all'industrializzazione si era aggiunta l'espansione del potere dei gruppi finanziari, in ambito nazionale ed internazionale. Era il periodo post-bellico, in cui si andavano affermando in Europa i regimi totalitari, mentre si inaspriva la lotta di classe. L'Enciclica ammonisce sul mancato rispetto della libertà di associazione e ribadisce i principi di solidarietà e di collaborazione per superare le antinomie sociali. I rapporti tra capitale e lavoro devono essere all'insegna della cooperazione.153
La « Quadragesimo anno » ribadisce il principio che il salario deve essere proporzionato non solo alle necessità del lavoratore, ma anche a quelle della sua famiglia. Lo Stato, nei rapporti col settore privato, deve applicare il principio di sussidiarietà, principio che diverrà un elemento permanente della dottrina sociale. L'Enciclica rifiuta il liberalismo inteso come illimitata concorrenza delle forze economiche, ma riconferma il valore della proprietà privata, richiamandone la funzione sociale. In una società da ricostruire fin dalle basi economiche, che diventa essa stessa e tutta intera « la questione » da affrontare, « Pio XI sentì il dovere e la responsabilità di promuovere una maggiore conoscenza, una più esatta interpretazione e una urgente applicazione della legge morale regolativa dei rapporti umani..., allo scopo di superare il conflitto delle classi e di arrivare a un nuovo ordine sociale basato sulla giustizia e sulla carità ».154
92 Pio XI non mancò di far sentire la sua voce contro i regimi totalitari che durante il suo pontificato si affermarono in Europa. Già il 29 giugno 1931 aveva protestato contro le sopraffazioni del regime fascista in Italia con l'enciclica « Non abbiamo bisogno ».155 Nel 1937 pubblicò l'enciclica « Mit brennender Sorge »,156 sulla situazione della Chiesa Cattolica nel Reich germanico. Il testo della « Mit brennender Sorge » fu letto dal pulpito di tutte le chiese cattoliche in Germania, dopo essere stato diffuso nella massima segretezza. L'Enciclica giungeva dopo anni di soprusi e di violenze ed era stata espressamente richiesta a Pio XI dai Vescovi tedeschi, in seguito alle misure sempre più coercitive e repressive adottate dal Reich nel 1936, in particolare nei confronti dei giovani, obbligati ad iscriversi alla « Gioventù hitleriana ». Il Papa si rivolge ai sacerdoti e ai religiosi, ai fedeli laici, per incoraggiarli e chiamarli alla resistenza, fino a quando una vera pace tra la Chiesa e lo Stato non sia ristabilita. Nel 1938, davanti al diffondersi dell'antisemitismo, Pio XI affermò: « Siamo spiritualmente semiti ».157
Con l'enciclica « Divini Redemptoris »,158 sul comunismo ateo e sulla dottrina sociale cristiana, Pio XI criticò in modo sistematico il comunismo, definito « intrinsecamente perverso »,159 e indicò come mezzi principali per porre rimedio ai mali da esso prodotti, il rinnovamento della vita cristiana, l'esercizio della carità evangelica, l'adempimento dei doveri di giustizia a livello interpersonale e sociale in ordine al bene comune, l'istituzionalizzazione di corpi professionali e inter-professionali.
93 I Radiomessaggi natalizi di Pio XII,160 insieme ad altri importanti interventi in materia sociale, approfondiscono la riflessione magisteriale su un nuovo ordine sociale, governato dalla morale e dal diritto e centrato sulla giustizia e sulla pace. Durante il suo pontificato, Pio XII attraversò gli anni terribili della Seconda Guerra Mondiale e quelli difficili della ricostruzione. Egli non pubblicò encicliche sociali, tuttavia manifestò costantemente, in numerosissimi contesti, la sua preoccupazione per l'ordine internazionale sconvolto: « Negli anni della guerra e del dopoguerra, il Magistero sociale di Pio XII rappresentò per molti popoli di tutti i continenti e per milioni di credenti e di non credenti la voce della coscienza universale, interpretata e proclamata in intima connessione con la Parola di Dio. Con la sua autorità morale e il suo prestigio, Pio XII portò la luce della sapienza cristiana a innumerevoli uomini di ogni categoria e livello sociale ».161
Una delle caratteristiche degli interventi di Pio XII sta nel rilievo dato al rapporto tra morale e diritto. Il Papa insiste sulla nozione di diritto naturale, come anima dell'ordinamento che va instaurato sul piano sia nazionale sia internazionale. Un altro aspetto importante dell'insegnamento di Pio XII sta nella sua attenzione per le categorie professionali e imprenditoriali, chiamate a concorrere in special modo al raggiungimento del bene comune: « Per la sua sensibilità e intelligenza nel cogliere i “segni dei tempi”, Pio XII può considerarsi il precursore immediato del Concilio Vaticano II e dell'insegnamento sociale dei Papi che gli sono succeduti ».162
94 Gli anni Sessanta aprono orizzonti promettenti: la ripresa dopo le devastazioni della guerra, l'inizio della decolonizzazione, i primi timidi segnali di un disgelo nei rapporti tra i due blocchi, americano e sovietico. In questo clima, il beato Giovanni XXIII legge in profondità i « segni dei tempi ».163 La questione sociale si sta universalizzando e coinvolge tutti i Paesi: accanto alla questione operaia e alla rivoluzione industriale, si delineano i problemi dell'agricoltura, delle aree in via di sviluppo, dell'incremento demografico e quelli relativi alla necessità di una cooperazione economica mondiale. Le disuguaglianze, in precedenza avvertite all'interno delle Nazioni, appaiono a livello internazionale e fanno emergere con sempre maggiore chiarezza la situazione drammatica in cui si trova il Terzo Mondo.
Giovanni XXIII, nell'enciclica « Mater et magistra »,164 « mira ad aggiornare i documenti già conosciuti e a fare un ulteriore passo in avanti nel processo di coinvolgimento di tutta la comunità cristiana ».165 Le parole-chiave dell'Enciclica sono comunità e socializzazione:166 la Chiesa è chiamata, nella verità, nella giustizia e nell'amore, a collaborare con tutti gli uomini per costruire un'autentica comunione. Per tale via la crescita economica non si limiterà a soddisfare i bisogni degli uomini, ma potrà promuovere anche la loro dignità.
95 Con l'enciclica « Pacem in terris »,167 Giovanni XXIII mette in evidenza il tema della pace, in un'epoca segnata dalla proliferazione nucleare. La « Pacem in terris » contiene, inoltre, una prima approfondita riflessione della Chiesa sui diritti; è l'Enciclica della pace e della dignità umana. Essa prosegue e completa il discorso della « Mater et magistra » e, nella direzione indicata da Leone XIII, sottolinea l'importanza della collaborazione tra tutti: è la prima volta che un documento della Chiesa viene indirizzato anche « a tutti gli uomini di buona volontà »,168 che vengono chiamati a un « compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell'amore, nella libertà ».169 La « Pacem in terris » si sofferma sui pubblici poteri della comunità mondiale, chiamati ad « affrontare e risolvere i problemi a contenuto economico, sociale, politico, culturale che pone il bene comune universale ».170 Nel decimo anniversario della « Pacem in terris », il Cardinale Maurice Roy, Presidente della Pontificia Commissione Giustizia e Pace, inviò a Paolo VI una Lettera unitamente a un Documento con una serie di riflessioni sulla capacità dell'insegnamento dell'Enciclica giovannea di illuminare i problemi nuovi connessi con la promozione della pace.171
96 La Costituzione pastorale « Gaudium et spes »,172 del Concilio Vaticano II, costituisce una significativa risposta della Chiesa alle attese del mondo contemporaneo. In tale Costituzione, « in sintonia con il rinnovamento ecclesiologico, si riflette una nuova concezione di essere comunità dei credenti e popolo di Dio. Essa ha suscitato quindi nuovo interesse per la dottrina contenuta nei documenti precedenti circa la testimonianza e la vita dei cristiani, come vie autentiche per rendere visibile la presenza di Dio nel mondo ».173 La « Gaudium et spes » traccia il volto di una Chiesa « intimamente solidale con il genere umano e la sua storia »,174 che cammina con tutta l'umanità ed è soggetta insieme al mondo alla medesima sorte terrena, ma che al tempo stesso è « come fermento e quasi anima della società umana, per rinnovarla in Cristo e trasformarla in famiglia di Dio ».175
La « Gaudium et spes » affronta organicamente i temi della cultura, della vita economico-sociale, del matrimonio e della famiglia, della comunità politica, della pace e della comunità dei popoli, alla luce della visione antropologica cristiana e della missione della Chiesa. Tutto è considerato a partire dalla persona e in direzione della persona: « la sola creatura sulla terra che Dio abbia voluto per se stessa ».176 La società, le sue strutture e il suo sviluppo devono essere finalizzati al « perfezionamento della persona umana ».177 Per la prima volta il Magistero della Chiesa, al suo più alto livello, si esprime in modo così ampio sui diversi aspetti temporali della vita cristiana: « Si deve riconoscere che l'attenzione data dalla Costituzione ai cambiamenti sociali, psicologici, politici, economici, morali e religiosi ha stimolato sempre più... la preoccupazione pastorale della Chiesa per i problemi degli uomini e il dialogo con il mondo ».178
97 Un altro documento del Concilio Vaticano II molto importante nel « corpus » della dottrina sociale della Chiesa è la dichiarazione « Dignitatis humanae »,179 in cui si proclama il diritto alla libertà religiosa. Il documento tratta il tema in due capitoli. Nel primo, di carattere generale, si afferma che il diritto alla libertà religiosa si fonda sulla dignità della persona umana e che deve essere sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società. Il secondo capitolo affronta il tema alla luce della Rivelazione e ne chiarisce le implicazioni pastorali, ricordando che si tratta di un diritto riguardante non solo le singole persone, ma anche le diverse comunità.
98 « Lo sviluppo è il nuovo nome della pace »,180 afferma Paolo VI nell'enciclica « Populorum progressio »,181 che può essere considerata come un ampliamento del capitolo sulla vita economico-sociale della « Gaudium et spes », nonostante introduca alcune significative novità. In particolare, il documento traccia le coordinate di uno sviluppo integrale dell'uomo e di uno sviluppo solidale dell'umanità: « due tematiche queste che sono da considerarsi come gli assi intorno ai quali si struttura il tessuto dell'Enciclica. Volendo convincere i destinatari dell'urgenza di un'azione solidale, il Papa presenta lo sviluppo come “il passaggio da condizioni di vita meno umane a condizioni più umane” e ne specifica le caratteristiche ».182 Tale passaggio non è circoscritto alle dimensioni meramente economiche e tecniche, ma implica per ogni persona l'acquisizione della cultura, il rispetto della dignità degli altri, il riconoscimento « dei valori supremi, e di Dio che ne è la sorgente e il termine ».183 Lo sviluppo a vantaggio di tutti risponde all'esigenza di una giustizia su scala mondiale che garantisca una pace planetaria e renda possibile la realizzazione di « un umanesimo plenario »,184 governato dai valori spirituali.
99 In tale prospettiva, Paolo VI istituisce, nel 1967, la Pontificia Commissione « Iustitia et Pax », realizzando un voto dei Padri Conciliari, per i quali è « assai opportuna la creazione di qualche organismo della Chiesa universale che abbia lo scopo di sensibilizzare la comunità dei cattolici a promuovere il progresso delle regioni bisognose e la giustizia sociale tra le nazioni ».185 Per iniziativa di Paolo VI, a cominciare dal 1968, la Chiesa celebra il primo giorno dell'anno la Giornata Mondiale della Pace. Lo stesso Pontefice dà avvio alla tradizione dei Messaggi che affrontano il tema scelto per ogni Giornata Mondiale della Pace, accrescendo così il « corpus » della dottrina sociale.
100 All'inizio degli anni Settanta, in un clima turbolento di contestazione fortemente ideologica, Paolo VI riprende l'insegnamento sociale di Leone XIII e lo aggiorna, in occasione dell'ottantesimo anniversario della « Rerum novarum », con la Lettera apostolica « Octogesima adveniens ».186 Il Papa riflette sulla società post-industriale con tutti i suoi complessi problemi, rilevando l'insufficienza delle ideologie a rispondere a tali sfide: l'urbanizzazione, la condizione giovanile, la situazione della donna, la disoccupazione, le discriminazioni, l'emigrazione, l'incremento demografico, l'influsso dei mezzi di comunicazione sociale, l'ambiente naturale.
101 Novant'anni dopo la « Rerum novarum », Giovanni Paolo II dedica l'enciclica « Laborem exercens » 187 al lavoro, bene fondamentale per la persona, fattore primario dell'attività economica e chiave di tutta la questione sociale. La « Laborem exercens » delinea una spiritualità e un'etica del lavoro, nel contesto di una profonda riflessione teologica e filosofica. Il lavoro non dev'essere inteso soltanto in senso oggettivo e materiale, ma bisogna tenere in debita considerazione anche la sua dimensione soggettiva, in quanto attività che esprime sempre la persona. Oltre ad essere paradigma decisivo della vita sociale, il lavoro ha tutta la dignità di un ambito in cui deve trovare realizzazione la vocazione naturale e soprannaturale della persona.
102 Con l'enciclica « Sollicitudo rei socialis »,188 Giovanni Paolo II commemora il ventesimo anniversario della « Populorum progressio » e affronta nuovamente il tema dello sviluppo, lungo due direttrici: « da una parte, la situazione drammatica del mondo contemporaneo, sotto il profilo dello sviluppo mancato del Terzo Mondo, e dall'altra, il senso, le condizioni e le esigenze di uno sviluppo degno dell'uomo ».189 L'Enciclica introduce la differenza tra progresso e sviluppo e afferma che « il vero sviluppo non può limitarsi alla moltiplicazione dei beni e dei servizi, cioè a ciò che si possiede, ma deve contribuire alla pienezza dell'“essere” dell'uomo. In questo modo, s'intende delineare con chiarezza la natura morale del vero sviluppo ».190 Giovanni Paolo II, evocando il motto del pontificato di Pio XII, « Opus iustitiae pax », la pace come frutto della giustizia, commenta: « Oggi si potrebbe dire, con la stessa esattezza e la stessa forza di ispirazione biblica (cfr. Is 32,17; Gc 3,18): Opus solidaritatis pax, la pace come frutto della solidarietà ».191
103 Nel centesimo anniversario della « Rerum novarum », Giovanni Paolo II promulga la sua terza enciclica sociale, la « Centesimus annus »,192 da cui emerge la continuità dottrinale di cent'anni di Magistero sociale della Chiesa. Riprendendo uno dei principi basilari della concezione cristiana dell'organizzazione sociale e politica, che era stato il tema centrale dell'Enciclica precedente, il Papa scrive: « il principio, che oggi chiamiamo di solidarietà... è più volte enunciato da Leone XIII col nome di “amicizia”...; da Pio XI è designato col nome non meno significativo di “carità sociale”, mentre Paolo VI, ampliando il concetto secondo le moderne e molteplici dimensioni della questione sociale, parlava di “civiltà dell'amore” ».193 Giovanni Paolo II mette in evidenza come l'insegnamento sociale della Chiesa corra lungo l'asse della reciprocità tra Dio e l'uomo: riconoscere Dio in ogni uomo e ogni uomo in Dio è la condizione di un autentico sviluppo umano. L'articolata ed approfondita analisi delle « res novae », e specialmente della grande svolta del 1989 con il crollo del sistema sovietico, contiene un apprezzamento per la democrazia e per l'economia libera, nel quadro di un'indispensabile solidarietà.
c) Nella luce e sotto l'impulso del Vangelo
104 I documenti qui richiamati costituiscono le pietre miliari del cammino della dottrina sociale dai tempi di Leone XIII ai nostri giorni. Questa sintetica rassegna si allungherebbe di molto se si tenesse conto di tutti gli interventi motivati, oltre che da un tema specifico, « dalla preoccupazione pastorale di proporre alla comunità cristiana e a tutti gli uomini di buona volontà i principi fondamentali, i criteri universali e gli orientamenti idonei a suggerire le scelte di fondo e la prassi coerente per ogni situazione concreta ».194
All'elaborazione e all'insegnamento della dottrina sociale, la Chiesa è stata ed è animata da intenti non teoretici, ma pastorali, quando si trova di fronte alle ripercussioni dei mutamenti sociali sui singoli esseri umani, su moltitudini di uomini e di donne, sulla loro stessa dignità, in contesti in cui « si cerca instancabilmente un ordine temporale più perfetto, senza che di pari passo avanzi il progresso spirituale ».195 Per queste ragioni si è costituita e sviluppata la dottrina sociale, « un aggiornato “corpus” dottrinale, che si articola man mano che la Chiesa, nella pienezza della Parola rivelata da Cristo Gesù e con l'assistenza dello Spirito Santo (cfr. Gv 14,16.26; 16,13-15), va leggendo gli avvenimenti mentre si svolgono nel corso della storia ».196
CAPITOLO TERZO
LA PERSONA UMANA E I SUOI DIRITTI
I. DOTTRINA SOCIALE E PRINCIPIO PERSONALISTA
105 La Chiesa vede nell'uomo, in ogni uomo, l'immagine vivente di Dio stesso; immagine che trova ed è chiamata a ritrovare sempre più profondamente piena spiegazione di sé nel mistero di Cristo, Immagine perfetta di Dio, Rivelatore di Dio all'uomo e dell'uomo a se stesso. A quest'uomo, che da Dio stesso ha ricevuto una incomparabile ed inalienabile dignità, la Chiesa si rivolge e gli rende il servizio più alto e singolare, richiamandolo costantemente alla sua altissima vocazione, perché ne sia sempre più consapevole e degno. Cristo, Figlio di Dio, « con la sua incarnazione si è unito in un certo senso ad ogni uomo »; 197 per questo la Chiesa riconosce come suo compito fondamentale il far sì che una tale unione possa continuamente attuarsi e rinnovarsi. In Cristo Signore, la Chiesa indica e intende per prima percorrere la via dell'uomo,198 e invita a riconoscere in chiunque, prossimo o lontano, conosciuto o sconosciuto, e soprattutto nel povero e nel sofferente, un fratello « per il quale Cristo è morto » (1 Cor 8,11; Rm 14,15).199
106 Tutta la vita sociale è espressione della sua inconfondibile protagonista: la persona umana. Di questa consapevolezza la Chiesa ha saputo più volte e in molti modi farsi interprete autorevole, riconoscendo e affermando la centralità della persona umana in ogni ambito e manifestazione della socialità: « La società umana è oggetto dell'insegnamento sociale della Chiesa, dal momento che essa non si trova né al di fuori né al di sopra degli uomini socialmente uniti, ma esiste esclusivamente in essi e, quindi, per essi ».200 Questo importante riconoscimento trova espressione nell'affermazione che « lungi dall'essere l'oggetto e un elemento passivo della vita sociale », l'uomo « ne è invece, e deve esserne e rimanerne, il soggetto, il fondamento e il fine ».201 Da lui pertanto ha origine la vita sociale, la quale non può rinunciare a riconoscerlo suo soggetto attivo e responsabile e a lui ogni modalità espressiva della società deve essere finalizzata.
107 L'uomo, colto nella sua concretezza storica, rappresenta il cuore e l'anima dell'insegnamento sociale cattolico.202 Tutta la dottrina sociale si svolge, infatti, a partire dal principio che afferma l'intangibile dignità della persona umana.203 Mediante le molteplici espressioni di questa consapevolezza, la Chiesa ha inteso anzitutto tutelare la dignità umana di fronte ad ogni tentativo di riproporne immagini riduttive e distorte; essa ne ha, inoltre, più volte denunciato le molte violazioni. La storia attesta che dalla trama delle relazioni sociali emergono alcune tra le più ampie possibilità di elevazione dell'uomo, ma vi si annidano anche i più esecrabili misconoscimenti della sua dignità.
II. LA PERSONA UMANA « IMAGO DEI »
a) Creatura ad immagine di Dio
108 Il messaggio fondamentale della Sacra Scrittura annuncia che la persona umana è creatura di Dio (cfr. Sal 139,14-18) e individua l'elemento che la caratterizza e contraddistingue nel suo essere ad immagine di Dio: « Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò » (Gen 1,27). Dio pone la creatura umana al centro e al vertice del creato: all'uomo (in ebraico « adam »), plasmato con la terra (« adamah »), Dio soffia nelle narici l'alito della vita (cfr. Gen 2,7). Pertanto, « essendo ad immagine di Dio, l'individuo umano ha la dignità di persona; non è soltanto qualche cosa, ma qualcuno. È capace di conoscersi, di possedersi, di liberamente donarsi e di entrare in comunione con altre persone; è chiamato, per grazia, ad un'alleanza con il suo Creatore, a dargli una risposta di fede e di amore che nessun altro può dare in sua sostituzione ».204
109 La somiglianza con Dio mette in luce che l'essenza e l'esistenza dell'uomo sono costitutivamente relazionate a Dio nel modo più profondo.205 È una relazione che esiste per se stessa, non arriva, quindi, in un secondo tempo e non si aggiunge dall'esterno. Tutta la vita dell'uomo è una domanda e una ricerca di Dio. Questa relazione con Dio può essere ignorata oppure dimenticata o rimossa, ma non può mai essere eliminata. Fra tutte le creature del mondo visibile, infatti, soltanto l'uomo è « “capace” di Dio » (« homo est Dei capax »).206 La persona umana è un essere personale creato da Dio per la relazione con Lui, che soltanto nella relazione può vivere ed esprimersi e che tende naturalmente a Lui.207
110 La relazione tra Dio e l'uomo si riflette nella dimensione relazionale e sociale della natura umana. L'uomo, infatti, non è un essere solitario, bensì « per sua intima natura è un essere sociale, e non può vivere né esplicare le sue doti senza relazioni con gli altri ».208 A questo riguardo risulta significativo il fatto che Dio ha creato l'essere umano come uomo e donna 209 (cfr. Gen 1,27): « Quanto mai eloquente è l'insoddisfazione di cui è preda la vita dell'uomo nell'Eden fin quando il suo unico riferimento rimane il mondo vegetale e animale (cfr. Gen 2,20). Solo l'apparizione della donna, di un essere cioè che è carne dalla sua carne e osso dalle sue ossa (cfr. Gen 2,23), e in cui ugualmente vive lo spirito di Dio Creatore, può soddisfare l'esigenza di dialogo inter-personale che è così vitale per l'esistenza umana. Nell'altro, uomo o donna, si riflette Dio stesso, approdo definitivo e appagante di ogni persona ».210
111 L'uomo e la donna hanno la stessa dignità e sono di eguale valore,211 non solo perché ambedue, nella loro diversità, sono immagine di Dio, ma ancor più profondamente perché è immagine di Dio il dinamismo di reciprocità che anima il noi della coppia umana.212 Nel rapporto di comunione reciproca, uomo e donna realizzano profondamente se stessi, ritrovandosi come persone attraverso il dono sincero di sé.213 Il loro patto di unione è presentato nella Sacra Scrittura come un'immagine del Patto di Dio con gli uomini (cfr. Os 1-3; Is 54; Ef 5,21-33) e, al tempo stesso, come un servizio alla vita.214 La coppia umana può partecipare, infatti, alla creatività di Dio: « Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra” » (Gen 1,28).
112 L'uomo e la donna sono in relazione con gli altri innanzi tutto come affidatari della loro vita: 215 « Domanderò conto della vita dell'uomo all'uomo, a ognuno di suo fratello » (Gen 9,5), ribadisce Dio a Noè dopo il diluvio. In questa prospettiva, la relazione con Dio esige che si consideri la vita dell'uomo sacra e inviolabile.216 Il quinto comandamento: « Non uccidere! » (Es 20,13; Dt 5,17) ha valore perché Dio solo è Signore della vita e della morte.217 Il rispetto dovuto all'inviolabilità e all'integrità della vita fisica ha il suo vertice nel comandamento positivo: « Amerai il tuo prossimo come te stesso » (Lv 19,18), con cui Gesù Cristo obbliga a farsi carico del prossimo (cfr. Mt 22,37-40; Mc 12,29-31; Lc 10,27-28).
113 Con questa particolare vocazione alla vita, l'uomo e la donna si trovano di fronte anche a tutte le altre creature. Essi possono e devono sottoporle al loro servizio e goderne, ma la loro signoria sul mondo richiede l'esercizio della responsabilità, non è una libertà di sfruttamento arbitrario ed egoistico. Tutta la creazione, infatti, ha il valore di « cosa buona » (cfr. Gen 1, 4.10.12.18.21.25) davanti allo sguardo di Dio, che ne è l'autore. L'uomo deve scoprirne e rispettarne il valore: è questa una sfida meravigliosa alla sua intelligenza, la quale lo deve innalzare come un'ala 218 verso la contemplazione della verità di tutte le creature, ossia di ciò che Dio vede di buono in esse. Il Libro della Genesi insegna, infatti, che il dominio dell'uomo sul mondo consiste nel dare un nome alle cose (cfr. Gen 2,19-20): con la denominazione l'uomo deve riconoscere le cose per quello che sono e stabilire verso ciascuna di esse un rapporto di responsabilità.219
114 L'uomo è in relazione anche con se stesso e può riflettere su se stesso. La Sacra Scrittura parla a questo riguardo del cuore dell'uomo. Il cuore designa appunto l'interiorità spirituale dell'uomo, ossia quanto lo distingue da ogni altra creatura: Dio « ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ma egli ha messo la nozione dell'eternità nel loro cuore, senza però che gli uomini possano capire l'opera compiuta da Dio dal principio alla fine » (Qo 3,11). Il cuore indica, in definitiva, le facoltà spirituali proprie dell'uomo, sue prerogative in quanto creato ad immagine del suo Creatore: la ragione, il discernimento del bene e del male, la volontà libera.220 Quando ascolta l'aspirazione profonda del suo cuore, ogni uomo non può non fare propria la parola di verità espressa da sant'Agostino: « Tu ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto sino a quando non riposa in Te ».221
b) Il dramma del peccato
115 La mirabile visione della creazione dell'uomo da parte di Dio è inscindibile dal quadro drammatico del peccato delle origini. Con un'affermazione lapidaria l'apostolo Paolo sintetizza il racconto della caduta dell'uomo contenuto nelle prime pagine della Bibbia: « a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte » (Rm 5,12). L'uomo, contro il divieto di Dio, si lascia sedurre dal serpente e allunga le mani sull'albero della vita, cadendo in balia della morte. Con questo gesto l'uomo tenta di forzare il suo limite di creatura, sfidando Dio, unico suo Signore e sorgente della vita. È un peccato di disobbedienza (cfr. Rm 5,19) che divide l'uomo da Dio.222
Dalla Rivelazione sappiamo che Adamo, il primo uomo, trasgredendo il comandamento di Dio, perde la santità e la giustizia in cui era costituito, ricevute non soltanto per sé, ma per tutta l'umanità: « cedendo al tentatore, Adamo ed Eva commettono un peccato personale, ma questo peccato intacca la natura umana, che essi trasmettono in una condizione decaduta. Si tratta di un peccato che sarà trasmesso per propagazione a tutta l'umanità, cioè con la trasmissione di una natura umana privata della santità e della giustizia originali ».223
116 Alla radice delle lacerazioni personali e sociali, che offendono in varia misura il valore e la dignità della persona umana, si trova una ferita nell'intimo dell'uomo: « Alla luce della fede noi la chiamiamo il peccato: cominciando dal peccato originale, che ciascuno porta dalla nascita come un'eredità ricevuta dai progenitori, fino al peccato che ciascuno commette, abusando della propria libertà ».224 La conseguenza del peccato, in quanto atto di separazione da Dio, è appunto l'alienazione, cioè la divisione dell'uomo non solo da Dio, ma anche da se stesso, dagli altri uomini e dal mondo circostante: « la rottura con Dio sfocia drammaticamente nella divisione tra i fratelli. Nella descrizione del “primo peccato”, la rottura con Jahve spezza al tempo stesso il filo dell'amicizia che univa la famiglia umana, cosicché le pagine successive della Genesi ci mostrano l'uomo e la donna, che puntano quasi il dito accusatore l'uno contro l'altra (cfr. Gen 3,12); poi il fratello che, ostile al fratello, finisce col togliergli la vita (cfr. Gen 4,2-16). Secondo la narrazione dei fatti di Babele, la conseguenza del peccato è la frantumazione della famiglia umana, già cominciata col primo peccato e ora giunta all'estremo nella sua forma sociale ».225 Riflettendo sul mistero del peccato non si può non considerare questa tragica concatenazione di causa e di effetto.
117 Il mistero del peccato si compone di una doppia ferita, che il peccatore apre nel proprio fianco e nel rapporto col prossimo. Perciò si può parlare di peccato personale e sociale: ogni peccato è personale sotto un aspetto; sotto un altro aspetto, ogni peccato è sociale, in quanto e perché ha anche conseguenze sociali. Il peccato, in senso vero e proprio, è sempre un atto della persona, perché è un atto di libertà di un singolo uomo, e non propriamente di un gruppo o di una comunità, ma a ciascun peccato si può attribuire indiscutibilmente il carattere di peccato sociale, tenendo conto del fatto che « in virtù di una solidarietà umana tanto misteriosa e impercettibile quanto reale e concreta, il peccato di ciascuno si ripercuote in qualche modo sugli altri ».226 Non è tuttavia legittima e accettabile un'accezione del peccato sociale che, più o meno consapevolmente, conduca a diluirne e quasi a cancellarne la componente personale, per ammettere solo colpe e responsabilità sociali. Al fondo di ogni situazione di peccato si trova sempre la persona che pecca.
118 Alcuni peccati, inoltre, costituiscono, per il loro oggetto stesso, un'aggressione diretta al prossimo. Tali peccati, in particolare, si qualificano come peccati sociali. È sociale ogni peccato commesso contro la giustizia nei rapporti tra persona e persona, tra la persona e la comunità, ancora tra la comunità e la persona. È sociale ogni peccato contro i diritti della persona umana, a cominciare dal diritto alla vita, incluso quello del nascituro, o contro l'integrità fisica di qualcuno; ogni peccato contro la libertà altrui, specialmente contro la libertà di credere in Dio e di adorarlo; ogni peccato contro la dignità e l'onore del prossimo. Sociale è ogni peccato contro il bene comune e contro le sue esigenze, in tutta l'ampia sfera dei diritti e dei doveri dei cittadini. Infine, è sociale quel peccato che « riguarda i rapporti tra le varie comunità umane. Questi rapporti non sempre sono in sintonia col disegno di Dio, che vuole nel mondo giustizia, libertà e pace tra gli individui, i gruppi, i popoli ».227
119 Le conseguenze del peccato alimentano le strutture di peccato. Esse si radicano nel peccato personale e, quindi, sono sempre collegate ad atti concreti delle persone, che le originano, le consolidano e le rendono difficili da rimuovere. E così esse si rafforzano, si diffondono, diventano sorgente di altri peccati e condizionano la condotta degli uomini.228 Si tratta di condizionamenti e ostacoli, che durano molto di più delle azioni compiute nel breve arco della vita di un individuo e che interferiscono anche nel processo dello sviluppo dei popoli, il cui ritardo o la cui lentezza vanno giudicati anche sotto questo aspetto.229 Le azioni e gli atteggiamenti opposti alla volontà di Dio e al bene del prossimo e le strutture che essi inducono sembrano oggi soprattutto due: « da una parte, la brama esclusiva del profitto e, dall'altra, la sete del potere col proposito di imporre agli altri la propria volontà. A ciascuno di questi atteggiamenti si può aggiungere, per caratterizzarli meglio, l'espressione: “a qualsiasi prezzo” ».230
c) Universalità del peccato e universalità della salvezza
120 La dottrina del peccato originale, che insegna l'universalità del peccato, ha una fondamentale importanza: « Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi » (1 Gv 1,8). Questa dottrina induce l'uomo a non restare nella colpa e a non prenderla alla leggera, cercando di continuo capri espiatori negli altri uomini e giustificazioni nell'ambiente, nell'ereditarietà, nelle istituzioni, nelle strutture e nelle relazioni. Si tratta di un insegnamento che smaschera tali inganni.
La dottrina dell'universalità del peccato, tuttavia, non deve essere slegata dalla consapevolezza dell'universalità della salvezza in Gesù Cristo. Se ne viene isolata, essa ingenera una falsa angoscia del peccato e una considerazione pessimistica del mondo e della vita, che induce a disprezzare le realizzazioni culturali e civili dell'uomo.
121 Il realismo cristiano vede gli abissi del peccato, ma nella luce della speranza, più grande di ogni male, donata dall'atto redentivo di Gesù Cristo, che ha distrutto il peccato e la morte (cfr. Rm 5,18-21; 1 Cor 15,56-57): « In Lui Dio ha riconciliato l'uomo con Sé ».231 Cristo, l'Immagine di Dio (cfr. 2 Cor 4,4; Col 1,15), è Colui che illumina pienamente e porta a compimento l'immagine e somiglianza di Dio nell'uomo. La Parola che si fece uomo in Gesù Cristo è da sempre la vita e la luce dell'uomo, luce che illumina ogni uomo (cfr. Gv 1,4.9). Dio vuole nell'unico mediatore Gesù Cristo, Suo Figlio, la salvezza di tutti gli uomini (cfr. 1 Tm 2,4-5). Gesù è al tempo stesso il Figlio di Dio e il nuovo Adamo, ossia il nuovo uomo (cfr. 1 Cor 15,47-49; Rm 5,14): « Con la rivelazione del mistero del Padre e del suo amore Cristo, nuovo Adamo, manifesta pienamente l'uomo all'uomo e gli svela la sua altissima vocazione ».232 In Lui noi siamo da Dio « predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli » (Rm 8,29).
122 La realtà nuova che Gesù Cristo dona non s'innesta nella natura umana, non le si aggiunge dall'esterno: è invece quella realtà di comunione con il Dio trinitario verso la quale gli uomini sono da sempre orientati nel profondo del loro essere, grazie alla loro creaturale similitudine con Dio; ma si tratta anche di una realtà che essi non possono raggiungere con le loro sole forze. Mediante lo Spirito di Gesù Cristo, Figlio incarnato di Dio, nel quale tale realtà di comunione è già realizzata in modo singolare, gli uomini vengono accolti come figli di Dio (cfr. Rm 8,14-17; Gal 4,4-7). Per mezzo di Cristo, partecipiamo alla natura di Dio, che ci dona infinitamente di più « di quanto possiamo domandare o pensare » (Ef 3,20). Ciò che gli uomini hanno già ricevuto non è che un pegno o una « caparra » (2 Cor 1,22; Ef 1,14) di ciò che otterranno completamente soltanto davanti a Dio, visto « a faccia a faccia » (1 Cor 13,12), ossia una caparra della vita eterna: « Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo » (Gv 17,3).
123 L'universalità della speranza cristiana include, oltre agli uomini e alle donne di tutti i popoli, anche il cielo e la terra: « Stillate, cieli, dall'alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia. Io, il Signore, ho creato tutto questo » (Is 45,8). Secondo il Nuovo Testamento anche la creazione intera, infatti, insieme con tutta l'umanità, è in attesa del Redentore: sottoposta alla caducità, si protende piena di speranza, tra i gemiti e i dolori del parto, attendendo di essere liberata dalla corruzione (cfr. Rm 8,18-22).
III. LA PERSONA UMANA
E I SUOI MOLTI PROFILI
124 Facendo tesoro del mirabile messaggio biblico, la dottrina sociale della Chiesa si sofferma anzitutto sulle principali ed inscindibili dimensioni della persona umana, così da cogliere le più rilevanti sfaccettature del suo mistero e della sua dignità. Non sono infatti mancate in passato, e si affacciano ancora drammaticamente sullo scenario della storia attuale, molteplici concezioni riduttive, di carattere ideologico o dovute semplicemente a forme diffuse del costume e del pensiero, riguardanti la considerazione dell'uomo, della sua vita e dei suoi destini, accomunate dal tentativo di offuscarne l'immagine mediante la sottolineatura di una sola delle sue caratteristiche, a scapito di tutte le altre.233
125 La persona non può mai essere pensata unicamente come assoluta individualità, edificata da se stessa e su se stessa, quasi che le sue caratteristiche proprie non dipendessero da altri che da sé. Né può essere pensata come pura cellula di un organismo disposto a riconoscerle, tutt'al più, un ruolo funzionale all'interno di un sistema. Le concezioni riduttive della piena verità dell'uomo sono state già più volte oggetto della sollecitudine sociale della Chiesa, che non ha mancato di levare la sua voce nei confronti di queste come di altre prospettive, drasticamente riduttive, preoccupandosi di annunciare invece « che gli individui non ci appaiono slegati tra loro quali granelli di sabbia; ma bensì uniti in organiche, armoniche e mutue relazioni » 234 e che l'uomo non può essere inteso come « un semplice elemento e una molecola dell'organismo sociale »,235 curando quindi che all'affermazione del primato della persona non corrispondesse una visione individualistica o massificata.
126 La fede cristiana, mentre invita a ricercare ovunque ciò che è buono e degno dell'uomo (cfr. 1 Tess 5,21), « si pone al di sopra e talvolta all'opposto delle ideologie in quanto riconosce Dio, trascendente e Creatore, che interpella, a tutti i livelli della creazione, l'uomo quale essere responsabilmente libero ».236
La dottrina sociale si fa carico delle differenti dimensioni del mistero dell'uomo, che richiede di essere accostato « nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale »,237 con un'attenzione specifica, così da consentirne la valutazione più puntuale.
A) L'UNITÀ DELLA PERSONA
127 L'uomo è stato creato da Dio come unità di anima e corpo: 238 « L'anima spirituale e immortale è il principio di unità dell'essere umano, è ciò per cui esso esiste come un tutto — “corpore et anima unus” — in quanto persona. Queste definizioni non indicano solo che anche il corpo, al quale è promessa la risurrezione, sarà partecipe della gloria; esse ricordano altresì il legame della ragione e della libera volontà con tutte le facoltà corporee e sensibili. La persona, incluso il corpo, è affidata interamente a se stessa, ed è nell'unità dell'anima e del corpo che essa è il soggetto dei propri atti morali ».239
128 Mediante la sua corporeità l'uomo unifica in sé gli elementi del mondo materiale, che « in lui toccano il loro vertice ed alzano la voce per la libera lode del Creatore ».240 Questa dimensione permette all'uomo di inserirsi nel mondo materiale, luogo della sua realizzazione e della sua libertà, non come in una prigione o in un esilio. Non è lecito disprezzare la vita corporale; l'uomo, anzi, « è tenuto a considerare buono e degno d'onore il proprio corpo, perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell'ultimo giorno ».241 La dimensione corporale, tuttavia, in seguito alla ferita del peccato, fa sperimentare all'uomo le ribellioni del corpo e le perverse inclinazioni del cuore, su cui egli deve sempre vigilare per non rimanerne schiavo e per non restare vittima d'una visione puramente terrena della sua vita.
Con la sua spiritualità l'uomo supera la totalità delle cose e penetra nella struttura più profonda della realtà. Quando si volge al cuore, quando, cioè, riflette sul proprio destino, l'uomo si scopre superiore al mondo materiale, per la sua dignità unica di interlocutore di Dio, sotto il cui sguardo decide della sua vita. Egli, nella sua vita interiore, riconosce di avere « in se stesso un'anima spirituale e immortale » e sa di non essere soltanto « una particella della natura o un elemento anonimo della città umana ».242
129 L'uomo, quindi, ha due caratteristiche diverse: è un essere materiale, legato a questo mondo mediante il suo corpo, e un essere spirituale, aperto alla trascendenza e alla scoperta di « una verità più profonda », a motivo della sua intelligenza, con cui partecipa « della luce della mente divina ».243 La Chiesa afferma: « L'unità dell'anima e del corpo è così profonda che si deve considerare l'anima come la “forma” del corpo; ciò significa che grazie all'anima spirituale il corpo, composto di materia, è un corpo umano e vivente; lo spirito e la materia, nell'uomo, non sono due nature congiunte, ma la loro unione forma un'unica natura ».244 Né lo spiritualismo, che disprezza la realtà del corpo, né il materialismo, che considera lo spirito mera manifestazione della materia, rendono ragione della complessità, della totalità e dell'unità dell'essere umano.
B) APERTURA ALLA TRASCENDENZA E UNICITÀ DELLA PERSONA
a) Aperta alla trascendenza
130 Alla persona umana appartiene l'apertura alla trascendenza: l'uomo è aperto verso l'infinito e verso tutti gli esseri creati. È aperto anzitutto verso l'infinito, cioè Dio, perché con la sua intelligenza e la sua volontà si eleva al di sopra di tutto il creato e di se stesso, si rende indipendente dalle creature, è libero di fronte a tutte le cose create e si protende verso la verità ed il bene assoluti. È aperto anche verso l'altro, gli altri uomini e il mondo, perché solo in quanto si comprende in riferimento a un tu può dire io. Esce da sé, dalla conservazione egoistica della propria vita, per entrare in una relazione di dialogo e di comunione con l'altro.
La persona è aperta alla totalità dell'essere, all'orizzonte illimitato dell'essere. Essa ha in sé la capacità di trascendere i singoli oggetti particolari che conosce, in effetti, grazie a questa sua apertura all'essere senza confini. L'anima umana è in un certo senso, per la sua dimensione conoscitiva, tutte le cose: « tutte le cose immateriali godono di una certa infinità, in quanto abbracciano tutto, o perché si tratta dell'essenza di una realtà spirituale che funge da modello e somiglianza di tutto, come è nel caso di Dio, oppure perché possiede la somiglianza d'ogni cosa o in atto come negli Angeli oppure in potenza come nelle anime ».245
b) Unica e irripetibile
131 L'uomo esiste come essere unico e irripetibile, esiste come un « io », capace di autocomprendersi, di autopossedersi, di autodeterminarsi. La persona umana è un essere intelligente e cosciente, capace di riflettere su se stesso e quindi di aver coscienza di sé e dei propri atti. Non sono, tuttavia, l'intelligenza, la coscienza e la libertà a definire la persona, ma è la persona che sta alla base degli atti di intelligenza, di coscienza, di libertà. Tali atti possono anche mancare, senza che per questo l'uomo cessi di essere persona.
La persona umana va sempre compresa nella sua irripetibile ed ineliminabile singolarità. L'uomo esiste, infatti, anzitutto come soggettività, come centro di coscienza e di libertà, la cui vicenda unica e non paragonabile ad alcun'altra esprime la sua irriducibilità a qualunque tentativo di costringerlo entro schemi di pensiero o sistemi di potere, ideologici o meno. Questo impone anzitutto l'esigenza non soltanto del semplice rispetto da parte di chiunque, e specialmente delle istituzioni politiche e sociali e dei loro responsabili nei riguardi di ciascun uomo di questa terra, ma ben più, ciò comporta che il primo impegno di ciascuno verso l'altro e soprattutto di queste stesse istituzioni, vada posto precisamente nella promozione dello sviluppo integrale della persona.
c) Il rispetto della dignità umana
132 Una società giusta può essere realizzata soltanto nel rispetto della dignità trascendente della persona umana. Essa rappresenta il fine ultimo della società, la quale è ad essa ordinata: « Pertanto l'ordine sociale e il suo progresso devono sempre far prevalere il bene delle persone, perché l'ordine delle cose dev'essere adeguato all'ordine delle persone e non viceversa ».246 Il rispetto della dignità umana non può assolutamente prescindere dal rispetto di questo principio: bisogna « considerare il prossimo, nessuno eccettuato, come un altro se stesso, tenendo conto prima di tutto della sua vita e dei mezzi necessari per viverla degnamente ».247 Occorre che tutti i programmi sociali, scientifici e culturali, siano presieduti dalla consapevolezza del primato di ogni essere umano.248
133 In nessun caso la persona umana può essere strumentalizzata per fini estranei al suo stesso sviluppo, che può trovare compimento pieno e definitivo soltanto in Dio e nel Suo progetto salvifico: l'uomo, infatti, nella sua interiorità, trascende l'universo ed è l'unica creatura ad essere stata voluta da Dio per se stessa.249 Per questa ragione né la sua vita, né lo sviluppo del suo pensiero, né i suoi beni, né quanti condividono la sua vicenda personale e familiare, possono essere sottoposti a ingiuste restrizioni nell'esercizio dei propri diritti e della propria libertà.
La persona non può essere finalizzata a progetti di carattere economico, sociale e politico imposti da qualsivoglia autorità, sia pure in nome di presunti progressi della comunità civile nel suo insieme o di altre persone, nel presente o nel futuro. È necessario pertanto che le autorità pubbliche vigilino con attenzione, affinché ogni restrizione della libertà o comunque ogni onere imposto all'agire personale non sia mai lesivo della dignità personale e affinché venga garantita l'effettiva praticabilità dei diritti umani. Tutto questo, ancora una volta, si fonda sulla visione dell'uomo come persona, vale a dire come soggetto attivo e responsabile del proprio processo di crescita, insieme alla comunità di cui è parte.
134 Gli autentici mutamenti sociali sono effettivi e duraturi soltanto se fondati su decisi cambiamenti della condotta personale. Non sarà mai possibile un'autentica moralizzazione della vita sociale, se non a partire dalle persone e facendo riferimento ad esse: infatti, « l'esercizio della vita morale attesta la dignità della persona ».250 Alle persone compete evidentemente lo sviluppo di quegli atteggiamenti morali, fondamentali in ogni convivenza che voglia dirsi veramente umana (giustizia, onestà, veracità, ecc.), che in nessun modo potrà essere semplicemente attesa da altri o delegata alle istituzioni. A tutti, e in modo particolare a coloro che in varia forma detengono responsabilità politiche, giuridiche o professionali nei riguardi di altri, spetta di essere coscienza vigile della società e per primi testimoni di una convivenza civile e degna dell'uomo.
C) LA LIBERTÀ DELLA PERSONA
a) Valore e limiti della libertà
135 L'uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà, che Dio gli ha dato come segno altissimo della Sua immagine: 251 « Dio ha voluto lasciare l'uomo in balia del suo proprio volere (cfr. Sir 15,14), perché cercasse spontaneamente il suo Creatore ed aderendo a lui pervenisse liberamente alla piena e beata perfezione. Perciò la dignità dell'uomo richiede che egli agisca secondo una scelta consapevole e libera, cioè mosso e indotto personalmente dal di dentro, e non per un cieco impulso interno o per mera coazione esterna ».252
L'uomo giustamente apprezza la libertà e con passione la cerca: giustamente vuole, e deve, formare e guidare, di sua libera iniziativa, la sua vita personale e sociale, assumendosene personalmente la responsabilità.253 La libertà, infatti, non solo permette all'uomo di mutare convenientemente lo stato di cose a lui esterno, ma determina la crescita del suo essere persona, mediante scelte conformi al vero bene: 254 in tal modo, l'uomo genera se stesso, è padre del proprio essere,255 costruisce l'ordine sociale.256
136 La libertà non è in opposizione alla dipendenza creaturale dell'uomo da Dio.257 La Rivelazione insegna che il potere di determinare il bene e il male non appartiene all'uomo, ma a Dio solo (cfr. Gen 2,16-17): « L'uomo è certamente libero, dal momento che può comprendere ed accogliere i comandi di Dio. Ed è in possesso di una libertà quanto mai ampia, perché può mangiare “di tutti gli alberi del giardino”. Ma questa libertà non è illimitata: deve arrestarsi di fronte all'“albero della conoscenza del bene e del male”, essendo chiamata ad accettare la legge morale che Dio dà all'uomo. In realtà, proprio in questa accettazione la libertà dell'uomo trova la sua vera e piena realizzazione ».258
137 Il retto esercizio della libertà personale esige precise condizioni di ordine economico, sociale, giuridico, politico e culturale che « troppo spesso sono misconosciute e violate. ...situazioni di accecamento e di ingiustizia gravano sulla vita morale ed inducono tanto i forti quanto i deboli nella tentazione di peccare contro la carità. Allontanandosi dalla legge morale, l'uomo attenta alla propria libertà, si fa schiavo di se stesso, spezza la fraternità coi suoi simili e si ribella contro la volontà divina ».259 La liberazione dalle ingiustizie promuove la libertà e la dignità umana: tuttavia « occorre, anzitutto, fare appello alle capacità spirituali e morali della persona e all'esigenza permanente della conversione interiore, se si vogliono ottenere cambiamenti economici e sociali che siano veramente a servizio dell'uomo ».260
b) Il vincolo della libertà con la verità e la legge naturale
138 Nell' esercizio della libertà, l'uomo compie atti moralmente buoni, costruttivi della sua persona e della società, quando obbedisce alla verità, ossia quando non pretende di essere creatore e padrone assoluto di quest'ultima e delle norme etiche.261 La libertà, infatti, « non ha il suo punto di partenza assoluto e incondizionato in se stessa, ma nell'esistenza dentro cui si trova e che rappresenta per essa, nello stesso tempo, un limite e una possibilità. È la libertà di una creatura, ossia una libertà donata, da accogliere come un germe e da far maturare con responsabilità ».262
In caso contrario, muore come libertà, distrugge l'uomo e la società.263
139 La verità circa il bene e il male è riconosciuta praticamente e concretamente dal giudizio della coscienza, il quale porta ad assumere la responsabilità del bene compiuto e del male commesso: « Così nel giudizio pratico della coscienza, che impone alla persona l'obbligo di compiere un determinato atto, si rivela il vincolo della libertà con la verità. Proprio per questo la coscienza si esprime con atti di “giudizio” che riflettono la verità sul bene, e non come “decisioni” arbitrarie. E la maturità e la responsabilità di questi giudizi — e, in definitiva, dell'uomo, che ne è il soggetto — si misurano non con la liberazione della coscienza dalla verità oggettiva, in favore di una presunta autonomia delle proprie decisioni, ma, al contrario, con una pressante ricerca della verità e con il farsi guidare da essa nell'agire ».264
140 L'esercizio della libertà implica il riferimento ad una legge morale naturale, di carattere universale, che precede e accomuna tutti i diritti e i doveri.265 La legge naturale « altro non è che la luce dell'intelligenza infusa in noi da Dio. Grazie ad essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare. Questa luce o questa legge Dio l'ha donata alla creazione » 266 e consiste nella partecipazione alla Sua legge eterna, la quale s'identifica con Dio stesso.267 Questa legge è chiamata naturale perché la ragione che la promulga è propria della natura umana. Essa è universale, si estende a tutti gli uomini in quanto stabilita dalla ragione. Nei suoi precetti principali, la legge divina e naturale è esposta nel Decalogo ed indica le norme prime ed essenziali che regolano la vita morale.268 Essa ha come perno l'aspirazione e la sottomissione a Dio, fonte e giudice di ogni bene, e altresì il senso dell'altro come uguale a noi stessi. La legge naturale esprime la dignità della persona e pone la base dei suoi diritti e dei suoi doveri fondamentali.269
141 Nella diversità delle culture, la legge naturale lega gli uomini tra loro, imponendo dei principi comuni. Per quanto la sua applicazione richieda adattamenti alla molteplicità delle condizioni di vita, secondo i luoghi, le epoche e le circostanze,270 essa è immutabile, « rimane sotto l'evolversi delle idee e dei costumi e ne sostiene il progresso... Anche se si arriva a negare i suoi principi, non la si può però distruggere, né strappare dal cuore dell'uomo. Sempre risorge nella vita degli individui e delle società ».271
I suoi precetti, tuttavia, non sono percepiti da tutti con chiarezza ed immediatezza. Le verità religiose e morali possono essere conosciute « da tutti e senza difficoltà, con ferma certezza e senza alcuna mescolanza di errore »,272 solo con l'aiuto della Grazia e della Rivelazione. La legge naturale offre un fondamento preparato da Dio alla legge rivelata e alla Grazia, in piena armonia con l'opera dello Spirito.273
142 La legge naturale, che è legge di Dio, non può essere cancellata dalla malvagità umana.274 Essa pone il fondamento morale indispensabile per edificare la comunità degli uomini e per elaborare la legge civile, che trae le conseguenze di natura concreta e contingente dai principi della legge naturale.275 Se si oscura la percezione dell'universalità della legge morale naturale, non si può edificare una reale e duratura comunione con l'altro, perché, quando manca una convergenza verso la verità e il bene, « in maniera imputabile o no, i nostri atti feriscono la comunione delle persone, con pregiudizio di ciascuno ».276 Solo una libertà radicata nella comune natura, infatti, può rendere tutti gli uomini responsabili ed è in grado di giustificare la morale pubblica. Chi si autoproclama misura unica delle cose e della verità non può convivere pacificamente e collaborare con i propri simili.277
143 La libertà è misteriosamente inclinata a tradire l'apertura alla verità e al bene umano e troppo spesso preferisce il male e la chiusura egoistica, elevandosi a divinità creatrice del bene e del male: « Costituito da Dio nella giustizia, l'uomo, tentato dal Maligno, fin dall'inizio della storia abusò della sua libertà, erigendosi contro Dio e mirando a raggiungere il suo fine al di fuori di Dio. ... Rifiutando spesso di riconoscere Dio come suo principio, l'uomo ha anche sconvolto il giusto ordine riguardante il suo ultimo fine, e al tempo stesso tutto il suo orientamento sia verso se stesso, sia verso gli altri uomini e tutte le cose create ».278 La libertà dell'uomo ha bisogno, pertanto, di essere liberata. Cristo, con la forza del Suo mistero pasquale, libera l'uomo dall'amore disordinato di se stesso,279 che è fonte del disprezzo del prossimo e dei rapporti improntati al dominio sull'altro; Egli rivela che la libertà si realizza nel dono di sé.280 Con il Suo sacrificio sulla croce, Gesù reintroduce ogni uomo nella comunione con Dio e con i propri simili.
D) L'UGUAGLIANZA IN DIGNITÀ DI TUTTE LE PERSONE
144 « Dio non fa preferenze di persone » (At 10,34; cfr. Rm 2,11; Gal 2,6; Ef 6,9), poiché tutti gli uomini hanno la stessa dignità di creature a Sua immagine e somiglianza.281 L'Incarnazione del Figlio di Dio manifesta l'uguaglianza di tutte le persone quanto a dignità: « Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù » (Gal 3,28; cfr. Rm 10,12; 1 Cor 12,13; Col 3,11).
Poiché sul volto di ogni uomo risplende qualcosa della gloria di Dio, la dignità di ogni uomo davanti a Dio sta a fondamento della dignità dell'uomo davanti agli altri uomini.282 Questo è, inoltre, il fondamento ultimo della radicale uguaglianza e fraternità fra gli uomini, indipendentemente dalla loro razza, Nazione, sesso, origine, cultura, classe.
145 Solo il riconoscimento della dignità umana può rendere possibile la crescita comune e personale di tutti (cfr. Gc 2,1-9). Per favorire una simile crescita è necessario, in particolare, sostenere gli ultimi, assicurare effettivamente condizioni di pari opportunità tra uomo e donna, garantire un'obiettiva eguaglianza tra le diverse classi sociali davanti alla legge.283
Anche nei rapporti tra popoli e Stati, condizioni di equità e di parità sono il presupposto per un autentico progresso della comunità internazionale.284 Malgrado gli avanzamenti verso tale direzione, non bisogna dimenticare che esistono ancora molte disuguaglianze e forme di dipendenza.285
A un'uguaglianza nel riconoscimento della dignità di ciascun uomo e di ciascun popolo, deve corrispondere la consapevolezza che la dignità umana potrà essere custodita e promossa soltanto in forma comunitaria, da parte dell'umanità intera. Soltanto con l'azione concorde di uomini e di popoli sinceramente interessati al bene di tutti gli altri, si può raggiungere un'autentica fratellanza universale; 286 viceversa, il permanere di condizioni di gravissima disparità e disuguaglianza impoverisce tutti.
146 Il « maschile » e il « femminile » differenziano due individui di uguale dignità, che non riflettono però un'uguaglianza statica, perché lo specifico femminile è diverso dallo specifico maschile e questa diversità nell'uguaglianza è arricchente e indispensabile per un'armoniosa convivenza umana: « La condizione per assicurare la giusta presenza della donna nella Chiesa e nella società è una considerazione più penetrante e accurata dei fondamenti antropologici della condizione maschile e femminile, destinata a precisare l'identità personale propria della donna nel suo rapporto di diversità e di reciproca complementarità con l'uomo, non solo per quanto riguarda i ruoli da tenere e le funzioni da svolgere, ma anche e più profondamente per quanto riguarda la sua struttura e il suo significato personale ».287
147 La donna è il complemento dell'uomo, come l'uomo è il complemento della donna: donna e uomo si completano a vicenda, non solo dal punto di vista fisico e psichico, ma anche ontologico. È soltanto grazie alla dualità del « maschile » e del « femminile » che l'« umano » si realizza appieno. È « l'unità dei due »,288 ossia una « unidualità » relazionale, che consente a ciascuno di sentire il rapporto interpersonale e reciproco come un dono che è al tempo stesso una missione: « A questa “unità dei due” è affidata da Dio non soltanto l'opera della procreazione e la vita della famiglia, ma la costruzione stessa della storia ».289 « La donna è “aiuto” per l'uomo, come l'uomo è “aiuto” per la donna! »: 290 nel loro incontro si realizza una concezione unitaria della persona umana, basata non sulla logica dell'egocentrismo e dell'autoaffermazione, ma su quella dell'amore e della solidarietà.
148 Le persone handicappate sono soggetti pienamente umani, titolari di diritti e doveri: « pur con le limitazioni e le sofferenze inscritte nel loro corpo e nelle loro facoltà, pongono in maggior rilievo la dignità e la grandezza dell'uomo ».291 Poiché la persona portatrice di handicap è un soggetto con tutti i suoi diritti, essa deve essere aiutata a partecipare alla vita familiare e sociale in tutte le dimensioni e a tutti i livelli accessibili alle sue possibilità.
Bisogna promuovere con misure efficaci ed appropriate i diritti della persona handicappata: « Sarebbe radicalmente indegno dell'uomo, e negazione della comune umanità, ammettere alla vita della società, e dunque al lavoro, solo i membri pienamente funzionali perché, così facendo, si ricadrebbe in una grave forma di discriminazione, quella dei forti e dei sani contro i deboli ed i malati ».292 Una grande attenzione dovrà essere rivolta non solo alle condizioni di lavoro fisiche e psicologiche, alla giusta rimunerazione, alla possibilità di promozioni ed all'eliminazione dei diversi ostacoli, ma anche alle dimensioni affettive e sessuali della persona handicappata: « Anch'essa ha bisogno di amare e di essere amata, ha bisogno di tenerezza, di vicinanza, di intimità »,293 secondo le proprie possibilità e nel rispetto dell'ordine morale, che è lo stesso per i sani e per coloro che portano un handicap.
E) LA SOCIALITÀ UMANA
149 La persona è costitutivamente un essere sociale,294 perché così l'ha voluta Dio che l'ha creata.295 La natura dell'uomo si manifesta, infatti, come natura di un essere che risponde ai propri bisogni sulla base di una soggettività relazionale, ossia alla maniera di un essere libero e responsabile, il quale riconosce la necessità di integrarsi e di collaborare con i propri simili ed è capace di comunione con loro nell'ordine della conoscenza e dell'amore: « Una società è un insieme di persone legate in modo organico da un principio di unità che supera ognuna di loro. Assemblea insieme visibile e spirituale, una società dura nel tempo: è erede del passato e prepara l'avvenire ».296
Occorre pertanto sottolineare che la vita comunitaria è una caratteristica naturale che distingue l'uomo dal resto delle creature terrene. L'agire sociale porta su di sé un particolare segno dell'uomo e dell'umanità, quello di una persona operante in una comunità di persone: questo segno determina la sua qualifica interiore e costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura.297 Tale caratteristica relazionale acquista, alla luce della fede, un senso più profondo e stabile. Fatta a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gen 1,26), e costituita nell'universo visibile per vivere in società (cfr. Gen 2,20.23) e dominare la terra (cfr. Gen 1,26.28-30), la persona umana è perciò sin dall'inizio chiamata alla vita sociale: « Dio non ha creato l'uomo come un “essere solitario”, ma lo ha voluto come un “essere sociale”. La vita sociale non è, dunque, estrinseca all'uomo: egli non può crescere né realizzare la sua vocazione se non in relazione con gli altri ».298
150 La socialità umana non sfocia automaticamente verso la comunione delle persone, verso il dono di sé. A causa della superbia e dell'egoismo, l'uomo scopre in se stesso germi di asocialità, di chiusura individualistica e di sopraffazione dell'altro.299 Ogni società, degna di tal nome, può ritenersi nella verità quando ogni suo membro, grazie alla propria capacità di conoscere il bene, lo persegue per sé e per gli altri. È per amore del proprio e dell'altrui bene che ci si unisce in gruppi stabili, aventi come fine il raggiungimento di un bene comune. Anche le varie società devono entrare in relazioni di solidarietà, di comunicazione e di collaborazione, a servizio dell'uomo e del bene comune.300
151 La socialità umana non è uniforme, ma assume molteplici espressioni. Il bene comune dipende, infatti, da un sano pluralismo sociale. Le molteplici società sono chiamate a costituire un tessuto unitario ed armonico, al cui interno sia possibile ad ognuna conservare e sviluppare la propria fisionomia e autonomia. Alcune società, come la famiglia, la comunità civile e la comunità religiosa sono più immediatamente rispondenti all'intima natura dell'uomo, altre procedono piuttosto dalla libera volontà: « Al fine di favorire la partecipazione del maggior numero possibile di persone alla vita sociale, si deve incoraggiare la creazione di associazioni e di istituzioni “a scopi economici, culturali, sociali, sportivi, ricreativi, professionali, politici, tanto all'interno delle comunità politiche, quanto sul piano mondiale”. Tale “socializzazione” esprime parimenti la tendenza naturale che spinge gli esseri umani ad associarsi, al fine di conseguire obiettivi che superano le capacità individuali. Essa sviluppa le doti della persona, in particolare, il suo spirito di iniziativa e il suo senso di responsabilità. Concorre a tutelare i suoi diritti ».301
IV. I DIRITTI UMANI
a) Il valore dei diritti umani
152 Il movimento verso l'identificazione e la proclamazione dei diritti dell'uomo è uno dei più rilevanti sforzi per rispondere efficacemente alle esigenze imprescindibili della dignità umana.302 La Chiesa coglie in tali diritti la straordinaria occasione che il nostro tempo offre affinché, mediante il loro affermarsi, la dignità umana sia più efficacemente riconosciuta e promossa universalmente quale caratteristica impressa da Dio Creatore sulla Sua creatura.303 Il Magistero della Chiesa non ha mancato di valutare positivamente la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, proclamata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, che Giovanni Paolo II ha definito « una vera pietra miliare sulla via del progresso morale dell'umanità ».304
153 La radice dei diritti dell'uomo, infatti, è da ricercare nella dignità che appartiene ad ogni essere umano.305 Tale dignità, connaturale alla vita umana e uguale in ogni persona, si coglie e si comprende anzitutto con la ragione. Il fondamento naturale dei diritti appare ancora più solido se, alla luce soprannaturale, si considera che la dignità umana, dopo essere stata donata da Dio ed essere stata profondamente ferita dal peccato, fu assunta e redenta da Gesù Cristo mediante la Sua incarnazione, morte e risurrezione.306
La fonte ultima dei diritti umani non si situa nella mera volontà degli esseri umani,307 nella realtà dello Stato, nei poteri pubblici, ma nell'uomo stesso e in Dio suo Creatore. Tali diritti sono « universali, inviolabili, inalienabili ».308 Universali, perché sono presenti in tutti gli esseri umani, senza eccezione alcuna di tempo, di luogo e di soggetti. Inviolabili, in quanto « inerenti alla persona umana e alla sua dignità » 309 e perché « sarebbe vano proclamare i diritti, se al tempo stesso non si compisse ogni sforzo affinché sia doverosamente assicurato il loro rispetto da parte di tutti, ovunque e nei confronti di chiunque ».310 Inalienabili, in quanto « nessuno può legittimamente privare di questi diritti un suo simile, chiunque egli sia, perché ciò significherebbe fare violenza alla sua natura ».311
154 I diritti dell'uomo vanno tutelati non solo singolarmente, ma nel loro insieme: una loro protezione parziale si tradurrebbe in una sorta di mancato riconoscimento. Essi corrispondono alle esigenze della dignità umana e implicano, in primo luogo, la soddisfazione dei bisogni essenziali della persona, in campo materiale e spirituale: « tali diritti riguardano tutte le fasi della vita e ogni contesto politico, sociale, economico o culturale. Essi formano un insieme unitario, orientato decisamente alla promozione di ogni aspetto del bene della persona e della società... La promozione integrale di tutte le categorie dei diritti umani è la vera garanzia del pieno rispetto di ogni singolo diritto ».312 Universalità e indivisibilità sono i tratti distintivi dei diritti umani: « sono due principi guida che postulano comunque l'esigenza di radicare i diritti umani nelle diverse culture, nonché di approfondire il loro profilo giuridico per assicurarne il pieno rispetto ».313
b) La specificazione dei diritti
155 Gli insegnamenti di Giovanni XXIII,314 del Concilio Vaticano II,315 di Paolo VI 316 hanno offerto ampie indicazioni della concezione dei diritti umani delineata dal Magistero. Giovanni Paolo II ne ha tracciato un elenco nell'enciclica « Centesimus annus »: « il diritto alla vita, di cui è parte integrante il diritto a crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati; il diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità; il diritto a maturare la propria intelligenza e la propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità; il diritto a partecipare al lavoro per valorizzare i beni della terra ed a ricavare da esso il sostentamento proprio e dei propri cari; il diritto a fondare liberamente una famiglia e ad accogliere ed educare i figli, esercitando responsabilmente la propria sessualità. Fonte e sintesi di questi diritti è, in un certo senso, la libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla trascendente dignità della propria persona ».317
Il primo diritto ad essere enunciato in questo elenco è il diritto alla vita, dal concepimento fino al suo esito naturale,318 che condiziona l'esercizio di ogni altro diritto e comporta, in particolare, l'illiceità di ogni forma di aborto procurato e di eutanasia.319 È sottolineato l'altissimo valore del diritto alla libertà religiosa: « tutti gli uomini devono restare immuni da costrizione da parte sia dei singoli, sia dei gruppi sociali e di qualsiasi autorità umana, così che in materia religiosa, entro certi limiti, nessuno sia forzato ad agire contro la propria coscienza, né sia impedito ad agire secondo la sua coscienza, in privato e in pubblico, da solo o associato ad altri ».320 Il rispetto di tale diritto è un segno emblematico « dell'autentico progresso dell'uomo in ogni regime, in ogni società, sistema o ambiente ».321
c) Diritti e doveri
156 Connesso inscindibilmente al tema dei diritti è quello relativo ai doveri dell'uomo, che trova negli interventi del Magistero un'adeguata accentuazione. Più volte viene richiamata la reciproca complementarità tra diritti e doveri, indissolubilmente congiunti, in primo luogo nella persona umana che ne è il soggetto titolare.322 Tale legame presenta anche una dimensione sociale: « Nella convivenza umana ogni diritto naturale in una persona comporta un rispettivo dovere in tutte le altre persone: il dovere di riconoscere e rispettare quel diritto ».323 Il Magistero sottolinea la contraddizione insita in un'affermazione dei diritti che non preveda una correlativa responsabilità: « Coloro pertanto che, mentre rivendicano i propri diritti, dimenticano o non mettono nel debito rilievo i rispettivi doveri, corrono il pericolo di costruire con una mano e distruggere con l'altra ».324
d) Diritti dei popoli e delle Nazioni
157 Il campo dei diritti dell'uomo si è allargato ai diritti dei popoli e delle Nazioni: 325 infatti, « quanto è vero per l'uomo è vero anche per i popoli ».326 Il Magistero ricorda che il diritto internazionale « poggia sul principio dell'eguale rispetto degli Stati, del diritto all'autodeterminazione di ciascun popolo e della libera cooperazione in vista del superiore bene comune dell'umanità ».327 La pace si fonda non solo sul rispetto dei diritti dell'uomo, ma anche su quello dei diritti dei popoli, in particolare il diritto all'indipendenza.328
I diritti delle Nazioni non sono altro che « i “diritti umani” colti a questo specifico livello della vita comunitaria ».329 La Nazione ha « un fondamentale diritto all'esistenza »; alla « propria lingua e cultura, mediante le quali un popolo esprime e promuove la sua “sovranità” spirituale »; a « modellare la propria vita secondo le proprie tradizioni, escludendo, naturalmente, ogni violazione dei diritti umani fondamentali e, in particolare, l'oppressione delle minoranze »; a « costruire il proprio futuro provvedendo alle generazioni più giovani un'appropriata educazione ».330 L'assetto internazionale richiede un equilibrio tra particolarità ed universalità, alla cui realizzazione sono chiamate tutte le Nazioni, per le quali il primo dovere è quello di vivere in atteggiamento di pace, di rispetto e di solidarietà con le altre Nazioni.
e) Colmare la distanza tra lettera e spirito
158 La solenne proclamazione dei diritti dell'uomo è contraddetta da una dolorosa realtà di violazioni, guerre e violenze di ogni tipo, in primo luogo i genocidi e le deportazioni di massa, il diffondersi pressoché ovunque di forme sempre nuove di schiavitù quali il traffico di esseri umani, i bambini soldato, lo sfruttamento dei lavoratori, il traffico illegale delle droghe, la prostituzione: « Anche nei Paesi dove vigono forme di governo democratico non sempre questi diritti sono del tutto rispettati ».331
Esiste purtroppo una distanza tra « lettera » e « spirito » dei diritti dell'uomo,332 ai quali è tributato spesso un rispetto puramente formale. La dottrina sociale, in considerazione del privilegio accordato dal Vangelo ai poveri, ribadisce a più riprese che « i più favoriti devono rinunziare a certi loro diritti per mettere con più liberalità i propri beni a servizio degli altri » e che un'affermazione eccessiva di uguaglianza « può dar luogo a un individualismo dove ciascuno rivendica i propri diritti, sottraendosi alla responsabilità del bene comune ».333
159 La Chiesa, consapevole che la sua missione essenzialmente religiosa include la difesa e la promozione dei diritti fondamentali dell'uomo,334 « apprezza assai il dinamismo dei tempi moderni, con il quale tali diritti vengono ovunque promossi ».335 La Chiesa avverte profondamente l'esigenza di rispettare al suo stesso interno la giustizia 336 e i diritti dell'uomo.337
L'impegno pastorale si sviluppa in una duplice direzione, di annuncio del fondamento cristiano dei diritti dell'uomo e di denuncia delle violazioni di tali diritti:338 in ogni caso, « l'annuncio è sempre più importante della denuncia, e questa non può prescindere da quello, che offre la vera solidità e la forza della motivazione più alta ».339 Per essere più efficace, un simile impegno è aperto alla collaborazione ecumenica, al dialogo con le altre religioni, a tutti gli opportuni contatti con gli organismi, governativi e non governativi, a livello nazionale e internazionale. La Chiesa confida soprattutto nell'aiuto del Signore e del Suo Spirito che, riversato nei cuori, è la garanzia più sicura per rispettare la giustizia e i diritti umani, e per contribuire quindi alla pace: « Promuovere la giustizia e la pace, penetrare con la luce e il fermento evangelico tutti i campi dell'esistenza sociale, è sempre stato un costante impegno della Chiesa in nome del mandato che essa ha ricevuto dal Signore ».340
CAPITOLO QUARTO
I PRINCIPI DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
I. SIGNIFICATO E UNITÀ
160 I principi permanenti della dottrina sociale della Chiesa 341 costituiscono i veri e propri cardini dell'insegnamento sociale cattolico: si tratta del principio della dignità della persona umana — già trattato nel capitolo precedente — nel quale ogni altro principio e contenuto della dottrina sociale trova fondamento,342 del bene comune, della sussidiarietà e della solidarietà. Tali principi, espressione dell'intera verità sull'uomo conosciuta tramite la ragione e la fede, scaturiscono « dall'incontro del messaggio evangelico e delle sue esigenze, che si riassumono nel comandamento supremo dell'amore di Dio e del prossimo e nella giustizia, con i problemi derivanti dalla vita della società ».343 La Chiesa, nel corso della storia e alla luce dello Spirito, riflettendo sapientemente all'interno della propria tradizione di fede, ha potuto dare a tali principi fondazione e configurazione sempre più accurate, enucleandoli progressivamente, nello sforzo di rispondere con coerenza alle esigenze dei tempi e ai continui sviluppi della vita sociale.
161 Questi principi hanno un carattere generale e fondamentale, poiché riguardano la realtà sociale nel suo complesso: dalle relazioni interpersonali caratterizzate da prossimità ed immediatezza a quelle mediate dalla politica, dall'economia e dal diritto; dalle relazioni tra comunità o gruppi ai rapporti tra i popoli e le Nazioni. Per la loro permanenza nel tempo ed universalità di significato, la Chiesa li indica come il primo e fondamentale parametro di riferimento per l'interpretazione e la valutazione dei fenomeni sociali, necessario perché vi si possono attingere i criteri di discernimento e di guida dell'agire sociale, in ogni ambito.
162 I principi della dottrina sociale devono essere apprezzati nella loro unitarietà, connessione e articolazione. Tale esigenza si radica nel significato attribuito dalla Chiesa stessa alla propria dottrina sociale, di « corpus » dottrinale unitario che interpreta le realtà sociali in modo organico.344 L'attenzione verso ogni singolo principio nella sua specificità non deve condurre ad un suo utilizzo parziale ed errato, che avviene qualora lo si invochi come fosse disarticolato e sconnesso rispetto a tutti gli altri. L'approfondimento teorico e la stessa applicazione di anche uno solo dei principi sociali fanno emergere con chiarezza la reciprocità, la complementarità, i nessi che li strutturano. Questi cardini fondamentali della dottrina della Chiesa rappresentano, inoltre, ben più di un patrimonio permanente di riflessione, che pure è parte essenziale del messaggio cristiano, poiché indicano a tutti le vie possibili per edificare una vita sociale buona, autenticamente rinnovata.345
163 I principi della dottrina sociale, nel loro insieme, costituiscono quella prima articolazione della verità della società, dalla quale ogni coscienza è interpellata e invitata ad interagire con ogni altra, nella libertà, in piena corresponsabilità con tutti e nei confronti di tutti. Alla questione della verità e del senso del vivere sociale, infatti, l'uomo non può sottrarsi, in quanto la società non è una realtà estranea al suo stesso esistere.
Tali principi hanno un significato profondamente morale perché rinviano ai fondamenti ultimi e ordinatori della vita sociale. Per una loro piena comprensione, occorre agire nella loro direzione, sulla via dello sviluppo da essi indicato per una vita degna dell'uomo. L'esigenza morale insita nei grandi principi sociali riguarda sia l'agire personale dei singoli, in quanto primi ed insostituibili soggetti responsabili della vita sociale ad ogni livello, sia, al tempo stesso, le istituzioni, rappresentate da leggi, norme di costume e strutture civili, a causa della loro capacità di influenzare e condizionare le scelte di molti e per molto tempo. I principi ricordano, infatti, che la società storicamente esistente scaturisce dall'intrecciarsi delle libertà di tutte le persone che in essa interagiscono, contribuendo, mediante le loro scelte, ad edificarla o ad impoverirla.
II. IL PRINCIPIO DEL BENE COMUNE
a) Significato e principali implicazioni
164 Dalla dignità, unità e uguaglianza di tutte le persone deriva innanzi tutto il principio del bene comune, al quale ogni aspetto della vita sociale deve riferirsi per trovare pienezza di senso. Secondo una prima e vasta accezione, per bene comune s'intende « l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente ».346
Il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro. Come l'agire morale del singolo si realizza nel compiere il bene, così l'agire sociale giunge a pienezza realizzando il bene comune. Il bene comune, infatti, può essere inteso come la dimensione sociale e comunitaria del bene morale.
165 Una società che, a tutti i livelli, vuole intenzionalmente rimanere al servizio dell'essere umano è quella che si propone come meta prioritaria il bene comune, in quanto bene di tutti gli uomini e di tutto l'uomo.347 La persona non può trovare compimento solo in se stessa, a prescindere cioè dal suo essere « con » e « per » gli altri. Tale verità le impone non una semplice convivenza ai vari livelli della vita sociale e relazionale, ma la ricerca senza posa, in forma pratica e non soltanto ideale, del bene ovvero del senso e della verità rintracciabili nelle forme di vita sociale esistenti. Nessuna forma espressiva della socialità — dalla famiglia, al gruppo sociale intermedio, all'associazione, all'impresa di carattere economico, alla città, alla regione, allo Stato, fino alla comunità dei popoli e delle Nazioni — può eludere l'interrogativo circa il proprio bene comune, che è costitutivo del suo significato e autentica ragion d'essere della sua stessa sussistenza.348
b) La responsabilità di tutti per il bene comune
166 Le esigenze del bene comune derivano dalle condizioni sociali di ogni epoca e sono strettamente connesse al rispetto e alla promozione integrale della persona e dei suoi diritti fondamentali.349 Tali esigenze riguardano anzitutto l'impegno per la pace, l'organizzazione dei poteri dello Stato, un solido ordinamento giuridico, la salvaguardia dell'ambiente, la prestazione di quei servizi essenziali delle persone, alcuni dei quali sono al tempo stesso diritti dell'uomo: alimentazione, abitazione, lavoro, educazione e accesso alla cultura, trasporti, salute, libera circolazione delle informazioni e tutela della libertà religiosa.350 Non va dimenticato l'apporto che ogni Nazione è in dovere di dare per una vera cooperazione internazionale, in vista del bene comune dell'intera umanità, anche per le generazioni future.351
167 Il bene comune impegna tutti i membri della società: nessuno è esentato dal collaborare, a seconda delle proprie capacità, al suo raggiungimento e al suo sviluppo.352 Il bene comune esige di essere servito pienamente, non secondo visioni riduttive subordinate ai vantaggi di parte che se ne possono ricavare, ma in base a una logica che tende alla più larga assunzione di responsabilità. Il bene comune è conseguente alle più elevate inclinazioni dell'uomo,353 ma è un bene arduo da raggiungere, perché richiede la capacità e la ricerca costante del bene altrui come se fosse proprio.
Tutti hanno anche il diritto di fruire delle condizioni di vita sociale che risultano dalla ricerca del bene comune. Suona ancora attuale l'insegnamento di Pio XI: « Bisogna procurare che la distribuzione dei beni creati, la quale ognuno vede quanto ora sia causa di disagio, per il grande squilibrio fra i pochi straricchi e gli innumerevoli indigenti, venga ricondotta alla conformità con le norme del bene comune e della giustizia sociale ».354
c) I compiti della comunità politica
168 La responsabilità di conseguire il bene comune compete, oltre che alle singole persone, anche allo Stato, poiché il bene comune è la ragion d'essere dell'autorità politica.355 Lo Stato, infatti, deve garantire coesione, unitarietà e organizzazione alla società civile di cui è espressione,356 in modo che il bene comune possa essere conseguito con il contributo di tutti i cittadini. L'uomo singolo, la famiglia, i corpi intermedi non sono in grado di pervenire da se stessi al loro pieno sviluppo; da ciò deriva la necessità di istituzioni politiche, la cui finalità è quella di rendere accessibili alle persone i beni necessari — materiali, culturali, morali, spirituali — per condurre una vita veramente umana. Il fine della vita sociale è il bene comune storicamente realizzabile.357
169 Per assicurare il bene comune, il governo di ogni Paese ha il compito specifico di armonizzare con giustizia i diversi interessi settoriali.358 La corretta conciliazione dei beni particolari di gruppi e di individui è una delle funzioni più delicate del potere pubblico. Non va dimenticato, inoltre, che nello Stato democratico, in cui le decisioni sono solitamente assunte a maggioranza dai rappresentanti della volontà popolare, coloro ai quali compete la responsabilità di governo sono tenuti ad interpretare il bene comune del loro Paese non soltanto secondo gli orientamenti della maggioranza, ma nella prospettiva del bene effettivo di tutti i membri della comunità civile, compresi quelli in posizione di minoranza.
170 Il bene comune della società non è un fine a sé stante; esso ha valore solo in riferimento al raggiungimento dei fini ultimi della persona e al bene comune universale dell'intera creazione. Dio è il fine ultimo delle sue creature e per nessun motivo si può privare il bene comune della sua dimensione trascendente, che eccede ma anche dà compimento a quella storica.359 Questa prospettiva raggiunge la sua pienezza in forza della fede nella Pasqua di Gesù, che offre piena luce circa la realizzazione del vero bene comune dell'umanità. La nostra storia — lo sforzo personale e collettivo di elevare la condizione umana — comincia e culmina in Gesù: grazie a Lui, per mezzo di Lui e in vista di Lui, ogni realtà, compresa la società umana, può essere condotta al suo Bene sommo, al suo compimento. Una visione puramente storica e materialistica finirebbe per trasformare il bene comune in semplice benessere socio-economico, privo di ogni finalizzazione trascendente ovvero della sua più profonda ragion d'essere.
III. LA DESTINAZIONE UNIVERSALE DEI BENI
a) Origine e significato
171 Tra le molteplici implicazioni del bene comune, immediato rilievo assume il principio della destinazione universale dei beni: « Dio ha destinato la terra con tutto quello che in essa è contenuto all'uso di tutti gli uomini e popoli, sicché i beni creati devono pervenire a tutti con equo criterio, avendo per guida la giustizia e per compagna la carità ».360 Tale principio si basa sul fatto che « la prima origine di tutto ciò che è bene è l'atto stesso di Dio che ha creato la terra e l'uomo, ed all'uomo ha dato la terra perché la domini col suo lavoro e ne goda i frutti (cfr. Gen 1,28-29). Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno. È qui la radice dell'universale destinazione dei beni della terra. Questa, in ragione della sua stessa fecondità e capacità di soddisfare i bisogni dell'uomo, è il primo dono di Dio per il sostentamento della vita umana ».361 La persona, infatti, non può fare a meno dei beni materiali che rispondono ai suoi bisogni primari e costituiscono le condizioni basilari per la sua esistenza; questi beni le sono assolutamente indispensabili per alimentarsi e crescere, per comunicare, per associarsi e per poter conseguire le più alte finalità cui è chiamata.362
172 Il principio della destinazione universale dei beni della terra è alla base del diritto universale all'uso dei beni. Ogni uomo deve avere la possibilità di usufruire del benessere necessario al suo pieno sviluppo: il principio dell'uso comune dei beni è il « primo principio di tutto l'ordinamento etico-sociale » 363 e « principio tipico della dottrina sociale cristiana ».364 Per questa ragione la Chiesa ha ritenuto doveroso precisarne la natura e le caratteristiche. Si tratta innanzi tutto di un diritto naturale, inscritto nella natura dell'uomo, e non di un diritto solo positivo, legato alla contingenza storica; inoltre, tale diritto è « originario ».365 Esso inerisce alla singola persona, ad ogni persona, ed è prioritario rispetto a qualunque intervento umano sui beni, a qualunque ordinamento giuridico degli stessi, a qualunque sistema e metodo economico-sociale: « Tutti gli altri diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà e del libero commercio, sono subordinati ad essa [destinazione universale dei beni]: non devono quindi intralciarne, bensì al contrario facilitarne la realizzazione, ed è un dovere sociale grave e urgente restituirli alla loro finalità originaria ».366
173 L'attuazione concreta del principio della destinazione universale dei beni, secondo i differenti contesti culturali e sociali, implica una precisa definizione dei modi, dei limiti, degli oggetti. Destinazione ed uso universale non significano che tutto sia a disposizione di ognuno o di tutti, e neppure che la stessa cosa serva o appartenga ad ognuno o a tutti. Se è vero che tutti nascono con il diritto all'uso dei beni, è altrettanto vero che, per assicurarne un esercizio equo e ordinato, sono necessari interventi regolamentati, frutto di accordi nazionali e internazionali, ed un ordinamento giuridico che determini e specifichi tale esercizio.
174 Il principio della destinazione universale dei beni invita a coltivare una visione dell'economia ispirata a valori morali che permettano di non perdere mai di vista né l'origine, né la finalità di tali beni, in modo da realizzare un mondo equo e solidale, in cui la formazione della ricchezza possa assumere una funzione positiva. La ricchezza, in effetti, presenta questa valenza nella molteplicità delle forme che possono esprimerla come il risultato di un processo produttivo di elaborazione tecnico-economica delle risorse disponibili, naturali e derivate, guidato dall'inventiva, dalla capacità progettuale, dal lavoro degli uomini, e impiegato come mezzo utile per promuovere il benessere degli uomini e dei popoli e per contrastare la loro esclusione e il loro sfruttamento.
175 La destinazione universale dei beni comporta uno sforzo comune teso ad ottenere per ogni persona e per tutti i popoli le condizioni necessarie allo sviluppo integrale, così che tutti possano contribuire alla promozione di un mondo più umano, « in cui ciascuno possa dare e ricevere, ed in cui il progresso degli uni non sarà un ostacolo allo sviluppo degli altri, né un pretesto per il loro assoggettamento ».367 Questo principio corrisponde all'appello incessantemente rivolto dal Vangelo alle persone e alle società di ogni tempo, sempre esposte alle tentazioni della brama del possesso, a cui lo stesso Signore Gesù ha voluto sottoporsi (cfr. Mc 1,12-13; Mt 4,1-11; Lc 4,1-13) per insegnarci la via per superarle con la Sua grazia.
b) Destinazione universale dei beni e proprietà privata
176 Mediante il lavoro, l'uomo, usando la sua intelligenza, riesce a dominare la terra e a farne la sua degna dimora: « In tal modo egli fa propria una parte della terra, che appunto si è acquistata col lavoro. È qui l'origine della proprietà individuale ».368 La proprietà privata e le altre forme di possesso privato dei beni « assicurano ad ognuno lo spazio effettivamente necessario per l'autonomia personale e familiare, e devono essere considerati come un prolungamento della libertà umana. Costituiscono in definitiva una delle condizioni delle libertà civili, in quanto producono stimoli ad osservare il dovere e la responsabilità ».369 La proprietà privata è elemento essenziale di una politica economica autenticamente sociale e democratica ed è garanzia di un retto ordine sociale. La dottrina sociale richiede che la proprietà dei beni sia equamente accessibile a tutti,370 così che tutti diventino, almeno in qualche misura, proprietari, ed esclude il ricorso a forme di « comune e promiscuo dominio » .371
177 La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto il diritto alla proprietà privata come assoluto ed intoccabile: « Al contrario, essa l'ha sempre inteso nel più vasto contesto del comune diritto di tutti ad usare i beni dell'intera creazione: il diritto della proprietà privata come subordinato al diritto dell'uso comune, alla destinazione universale dei beni ».372 Il principio della destinazione universale dei beni afferma sia la piena e perenne signoria di Dio su ogni realtà, sia l'esigenza che i beni del creato rimangano finalizzati e destinati allo sviluppo di tutto l'uomo e dell'intera umanità.373 Tale principio non si oppone al diritto di proprietà,374 ma indica la necessità di regolamentarlo. La proprietà privata, infatti, quali che siano le forme concrete dei regimi e delle norme giuridiche ad essa relative, è, nella sua essenza, solo uno strumento per il rispetto del principio della destinazione universale dei beni, e quindi, in ultima analisi, non un fine ma un mezzo.375
178 L'insegnamento sociale della Chiesa esorta a riconoscere la funzione sociale di qualsiasi forma di possesso privato,376 con il chiaro riferimento alle esigenze imprescindibili del bene comune.377 L'uomo « deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non unicamente come sue proprie, ma anche come comuni, nel senso che possono essere utili non solo a lui ma anche agli altri ».378 La destinazione universale dei beni comporta dei vincoli sul loro uso da parte dei legittimi proprietari. La singola persona non può operare a prescindere dagli effetti dell'uso delle proprie risorse, ma deve agire in modo da perseguire, oltre che il vantaggio personale e familiare, anche il bene comune. Ne consegue il dovere da parte dei proprietari di non tenere inoperosi i beni posseduti e di destinarli all'attività produttiva, anche affidandoli a chi ha desiderio e capacità di avviarli a produzione.
179 L'attuale fase storica, mettendo a disposizione della società beni nuovi, del tutto sconosciuti fino ai tempi recenti, impone una rilettura del principio della destinazione universale dei beni della terra, rendendone necessaria un'estensione che comprenda anche i frutti del recente progresso economico e tecnologico. La proprietà dei nuovi beni, che provengono dalla conoscenza, dalla tecnica e dal sapere, diventa sempre più decisiva, perché su di essa « si fonda la ricchezza delle Nazioni industrializzate molto più che su quella delle risorse naturali ».379
Le nuove conoscenze tecniche e scientifiche devono essere poste a servizio dei bisogni primari dell'uomo, affinché possa gradualmente accrescersi il patrimonio comune dell'umanità. La piena attuazione del principio della destinazione universale dei beni richiede, pertanto, azioni a livello internazionale e iniziative programmate da parte di tutti i Paesi: « Occorre rompere le barriere e i monopoli che lasciano tanti popoli ai margini dello sviluppo, assicurare a tutti — individui e Nazioni — le condizioni di base, che consentano di partecipare allo sviluppo ».380
180 Se nel processo di sviluppo economico e sociale acquistano notevole rilievo forme di proprietà sconosciute in passato, non si possono dimenticare, tuttavia, quelle tradizionali. La proprietà individuale non è la sola forma legittima di possesso. Riveste particolare importanza anche l'antica forma di proprietà comunitaria che, pur presente anche nei Paesi economicamente avanzati, caratterizza, in modo peculiare, la struttura sociale di numerosi popoli indigeni. È una forma di proprietà che incide tanto profondamente nella vita economica, culturale e politica di quei popoli da costituire un elemento fondamentale della loro sopravvivenza e del loro benessere. La difesa e la valorizzazione della proprietà comunitaria non devono escludere, tuttavia, la consapevolezza del fatto che anche questo tipo di proprietà è destinato ad evolversi. Se si agisse in modo da garantire solo la sua conservazione, si correrebbe il rischio di legarla al passato e, in questo modo, di comprometterla.381
Resta sempre cruciale, specie nei Paesi in via di sviluppo o che sono usciti da sistemi collettivistici o di colonizzazione, l'equa distribuzione della terra. Nelle zone rurali, la possibilità di accedere alla terra tramite le opportunità offerte anche dai mercati del lavoro e del credito è condizione necessaria per l'accesso agli altri beni e servizi; oltre a costituire una via efficace per la salvaguardia dell'ambiente, tale possibilità rappresenta un sistema di sicurezza sociale realizzabile anche nei Paesi che hanno una struttura amministrativa debole.382
181 Dalla proprietà deriva al soggetto possessore, sia esso il singolo oppure una comunità, una serie di obiettivi vantaggi: condizioni di vita migliori, sicurezza per il futuro, più ampie opportunità di scelta. Dalla proprietà, d'altro canto, può provenire anche una serie di promesse illusorie e tentatrici. L'uomo o la società che giungono al punto di assolutizzarne il ruolo finiscono per fare l'esperienza della più radicale schiavitù. Nessun possesso, infatti, può essere considerato indifferente per l'influsso che ha tanto sui singoli, quanto sulle istituzioni: il possessore che incautamente idolatra i suoi beni (cfr. Mt 6,24; 19,21-26; Lc 16,13) ne viene più che mai posseduto e asservito.383 Solo riconoscendone la dipendenza da Dio Creatore e finalizzandoli conseguentemente al bene comune, è possibile conferire ai beni materiali la funzione di strumenti utili alla crescita degli uomini e dei popoli.
c) Destinazione universale dei beni e opzione preferenziale per i poveri
182 Il principio della destinazione universale dei beni richiede che si guardi con particolare sollecitudine ai poveri, a coloro che si trovano in situazioni di marginalità e, in ogni caso, alle persone a cui le condizioni di vita impediscono una crescita adeguata. A tale proposito va ribadita, in tutta la sua forza, l'opzione preferenziale per i poveri: 384 « È, questa, una opzione, o una forma speciale di primato nell'esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa. Essa si riferisce alla vita di ciascun cristiano, in quanto imitatore della vita di Cristo, ma si applica egualmente alle nostre responsabilità sociali e, perciò, al nostro vivere, alle decisioni da prendere coerentemente circa la proprietà e l'uso dei beni. Oggi poi, attesa la dimensione mondiale che la questione sociale ha assunto, questo amore preferenziale, con le decisioni che esso ci ispira, non può non abbracciare le immense moltitudini di affamati, di mendicanti, di senzatetto, senza assistenza medica e, soprattutto, senza speranza di un futuro migliore ».385
183 La miseria umana è il segno evidente della condizione di debolezza dell'uomo e del suo bisogno di salvezza.386 Di essa ha avuto compassione Cristo Salvatore, che si è identificato con i Suoi « fratelli più piccoli » (Mt 25,40.45): « Gesù Cristo riconoscerà i suoi eletti proprio da quanto avranno fatto per i poveri. Allorché “ai poveri è predicata la buona novella” (Mt 11,5), è segno che Cristo è presente ».387
Gesù dice: « I poveri infatti li avete sempre con voi, me, invece, non sempre mi avete » (Mt 26,11; cfr. Mc 14,7; Gv 12,8) non per contrapporre al servizio dei poveri l'attenzione a Lui rivolta. Il realismo cristiano, mentre da una parte apprezza i lodevoli sforzi che si fanno per sconfiggere la povertà, dall'altra mette in guardia da posizioni ideologiche e da messianismi che alimentano l'illusione che si possa sopprimere da questo mondo in maniera totale il problema della povertà. Ciò avverrà soltanto al Suo ritorno, quando Lui sarà di nuovo con noi per sempre. Nel frattempo, i poveri restano a noi affidati e su questa responsabilità saremo giudicati alla fine (cfr. Mt 25,31-46): « Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli ».388
184 L'amore della Chiesa per i poveri si ispira al Vangelo delle beatitudini, alla povertà di Gesù e alla Sua attenzione per i poveri. Tale amore riguarda la povertà materiale e anche le numerose forme di povertà culturale e religiosa.389 La Chiesa, « fin dalle origini, malgrado l'infedeltà di molti dei suoi membri, non ha cessato di impegnarsi a sollevarli, a difenderli e a liberarli. Ciò ha fatto con innumerevoli opere di beneficenza, che rimangono sempre e dappertutto indispensabili ».390 Ispirata al precetto evangelico: « Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date » (Mt 10,8), la Chiesa insegna a soccorrere il prossimo nelle sue varie necessità e profonde nella comunità umana innumerevoli opere di misericordia corporali e spirituali: « Tra queste opere, fare l'elemosina ai poveri è una delle principali testimonianze della carità fraterna: è pure una pratica di giustizia che piace a Dio »,391 anche se la pratica della carità non si riduce all'elemosina, ma implica l'attenzione alla dimensione sociale e politica del problema della povertà. Sul rapporto tra carità e giustizia ritorna costantemente l'insegnamento della Chiesa: « Quando doniamo ai poveri le cose indispensabili, non facciamo loro delle elargizioni personali, ma rendiamo loro ciò che è loro. Più che compiere un atto di carità, adempiamo un dovere di giustizia ».392 I Padri Conciliari raccomandano fortemente che si compia tale dovere « perché non si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia ».393 L'amore per i poveri è certamente « inconciliabile con lo smodato amore per le ricchezze o con il loro uso egoistico » 394 (cfr. Gc 5,1-6).
IV. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ
a) Origine e significato
185 La sussidiarietà è tra le più costanti e caratteristiche direttive della dottrina sociale della Chiesa, presente fin dalla prima grande enciclica sociale.395 È impossibile promuovere la dignità della persona se non prendendosi cura della famiglia, dei gruppi, delle associazioni, delle realtà territoriali locali, in breve, di quelle espressioni aggregative di tipo economico, sociale, culturale, sportivo, ricreativo, professionale, politico, alle quali le persone danno spontaneamente vita e che rendono loro possibile una effettiva crescita sociale.396 È questo l'ambito della società civile, intesa come l'insieme dei rapporti tra individui e tra società intermedie, che si realizzano in forma originaria e grazie alla « soggettività creativa del cittadino ».397 La rete di questi rapporti innerva il tessuto sociale e costituisce la base di una vera comunità di persone, rendendo possibile il riconoscimento di forme più elevate di socialità.398
186 L'esigenza di tutelare e di promuovere le espressioni originarie della socialità è sottolineata dalla Chiesa nell'enciclica « Quadragesimo anno », nella quale il principio di sussidiarietà è indicato come principio importantissimo della « filosofia sociale »: « Siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle ».399
In base a tale principio, tutte le società di ordine superiore devono porsi in atteggiamento di aiuto (« subsidium ») — quindi di sostegno, promozione, sviluppo — rispetto alle minori. In tal modo, i corpi sociali intermedi possono adeguatamente svolgere le funzioni che loro competono, senza doverle cedere ingiustamente ad altre aggregazioni sociali di livello superiore, dalle quali finirebbero per essere assorbiti e sostituiti e per vedersi negata, alla fine, dignità propria e spazio vitale.
Alla sussidiarietà intesa in senso positivo, come aiuto economico, istituzionale, legislativo offerto alle entità sociali più piccole, corrisponde una serie di implicazioni in negativo, che impongono allo Stato di astenersi da quanto restringerebbe, di fatto, lo spazio vitale delle cellule minori ed essenziali della società. La loro iniziativa, libertà e responsabilità non devono essere soppiantate.
b) Indicazioni concrete
187 Il principio di sussidiarietà protegge le persone dagli abusi delle istanze sociali superiori e sollecita queste ultime ad aiutare i singoli individui e i corpi intermedi a sviluppare i loro compiti. Questo principio si impone perché ogni persona, famiglia e corpo intermedio ha qualcosa di originale da offrire alla comunità. L'esperienza attesta che la negazione della sussidiarietà, o la sua limitazione in nome di una pretesa democratizzazione o uguaglianza di tutti nella società, limita e talvolta anche annulla lo spirito di libertà e di iniziativa.
Con il principio della sussidiarietà contrastano forme di accentramento, di burocratizzazione, di assistenzialismo, di presenza ingiustificata ed eccessiva dello Stato e dell'apparato pubblico: « Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l'aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese ».400 Il mancato o inadeguato riconoscimento dell'iniziativa privata, anche economica, e della sua funzione pubblica, nonché i monopoli, concorrono a mortificare il principio della sussidiarietà.
All'attuazione del principio di sussidiarietà corrispondono: il rispetto e la promozione effettiva del primato della persona e della famiglia; la valorizzazione delle associazioni e delle organizzazioni intermedie, nelle proprie scelte fondamentali e in tutte quelle che non possono essere delegate o assunte da altri; l'incoraggiamento offerto all'iniziativa privata, in modo tale che ogni organismo sociale rimanga a servizio, con le proprie peculiarità, del bene comune; l'articolazione pluralistica della società e la rappresentanza delle sue forze vitali; la salvaguardia dei diritti umani e delle minoranze; il decentramento burocratico e amministrativo; l'equilibrio tra la sfera pubblica e quella privata, con il conseguente riconoscimento della funzione sociale del privato; un'adeguata responsabilizzazione del cittadino nel suo « essere parte » attiva della realtà politica e sociale del Paese.
188 Diverse circostanze possono consigliare che lo Stato eserciti una funzione di supplenza.401 Si pensi, ad esempio, alle situazioni in cui è necessario che lo Stato stesso promuova l'economia, a causa dell'impossibilità per la società civile di assumere autonomamente l'iniziativa; si pensi anche alle realtà di grave squilibrio e ingiustizia sociale, in cui solo l'intervento pubblico può creare condizioni di maggiore eguaglianza, di giustizia e di pace. Alla luce del principio di sussidiarietà, tuttavia, questa supplenza istituzionale non deve prolungarsi ed estendersi oltre lo stretto necessario, dal momento che trova giustificazione soltanto nell'eccezionalità della situazione. In ogni caso, il bene comune correttamente inteso, le cui esigenze non dovranno in alcun modo essere in contrasto con la tutela e la promozione del primato della persona e delle sue principali espressioni sociali, dovrà rimanere il criterio di discernimento circa l'applicazione del principio di sussidiarietà.
V. LA PARTECIPAZIONE
a) Significato e valore
189 Caratteristica conseguenza della sussidiarietà è la partecipazione,402 che si esprime, essenzialmente, in una serie di attività mediante le quali il cittadino, come singolo o in associazione con altri, direttamente o a mezzo di propri rappresentanti, contribuisce alla vita culturale, economica, sociale e politica della comunità civile cui appartiene.403 La partecipazione è un dovere da esercitare consapevolmente da parte di tutti, in modo responsabile e in vista del bene comune.404
Essa non può essere delimitata o ristretta a qualche contenuto particolare della vita sociale, data la sua importanza per la crescita, innanzi tutto umana, in ambiti quali il mondo del lavoro e le attività economiche nelle loro dinamiche interne,405 l'informazione e la cultura e, in massimo grado, la vita sociale e politica fino ai livelli più alti, quali sono quelli da cui dipende la collaborazione di tutti i popoli per l'edificazione di una comunità internazionale solidale.406 In tale prospettiva, diventa imprescindibile l'esigenza di favorire la partecipazione soprattutto dei più svantaggiati e l'alternanza dei dirigenti politici, al fine di evitare che si instaurino privilegi occulti; è necessaria inoltre una forte tensione morale, affinché la gestione della vita pubblica sia il frutto della corresponsabilità di ognuno nei confronti del bene comune.
b) Partecipazione e democrazia
190 La partecipazione alla vita comunitaria non è soltanto una delle maggiori aspirazioni del cittadino, chiamato ad esercitare liberamente e responsabilmente il proprio ruolo civico con e per gli altri, ma anche uno dei pilastri di tutti gli ordinamenti democratici,407 oltre che una delle maggiori garanzie di permanenza della democrazia. Il governo democratico, infatti, è definito a partire dall'attribuzione, da parte del popolo, di poteri e funzioni, che vengono esercitati a suo nome, per suo conto e a suo favore; è evidente, dunque, che ogni democrazia deve essere partecipativa.408 Ciò comporta che i vari soggetti della comunità civile, ad ogni suo livello, siano informati, ascoltati e coinvolti nell'esercizio delle funzioni che essa svolge.
191 La partecipazione si può ottenere in tutte le possibili relazioni tra il cittadino e le istituzioni: a questo fine, particolare attenzione deve essere rivolta ai contesti storici e sociali nei quali essa dovrebbe veramente attuarsi. Il superamento degli ostacoli culturali, giuridici e sociali, che spesso si frappongono come vere barriere alla partecipazione solidale dei cittadini alle sorti della propria comunità, richiede un'opera informativa ed educativa.409 Meritano una preoccupata considerazione, in questo senso, tutti gli atteggiamenti che inducono il cittadino a forme partecipative insufficienti o scorrette e alla diffusa disaffezione per tutto quanto concerne la sfera della vita sociale e politica: si pensi, ad esempio, ai tentativi dei cittadini di « contrattare » le condizioni più vantaggiose per sé con le istituzioni, quasi che queste fossero al servizio dei bisogni egoistici, e alla prassi di limitarsi all'espressione della scelta elettorale, giungendo anche, in molti casi, ad astenersene.410
Sul fronte della partecipazione, un'ulteriore fonte di preoccupazione è data dai Paesi a regime totalitario o dittatoriale, in cui il fondamentale diritto a partecipare alla vita pubblica è negato alla radice, perché considerato una minaccia per lo Stato stesso; 411 dai Paesi in cui tale diritto è enunciato soltanto formalmente, ma concretamente non si può esercitare; da altri ancora in cui l'elefantiasi dell'apparato burocratico nega di fatto al cittadino la possibilità di proporsi come un vero attore della vita sociale e politica.412
VI. IL PRINCIPIO DI SOLIDARIETÀ
a) Significato e valore
192 La solidarietà conferisce particolare risalto all' intrinseca socialità della persona umana, all'uguaglianza di tutti in dignità e diritti, al comune cammino degli uomini e dei popoli verso una sempre più convinta unità. Mai come oggi c'è stata una consapevolezza tanto diffusa del legame di interdipendenza tra gli uomini e i popoli, che si manifesta a qualsiasi livello.413
Il rapidissimo moltiplicarsi delle vie e dei mezzi di comunicazione « in tempo reale », quali sono quelli telematici, gli straordinari progressi dell'informatica, l'accresciuto volume degli scambi commerciali e delle informazioni, stanno a testimoniare che, per la prima volta dall'inizio della storia dell'umanità, è ormai possibile, almeno tecnicamente, stabilire relazioni anche tra persone lontanissime o sconosciute.
A fronte del fenomeno dell'interdipendenza e del suo costante dilatarsi, persistono, d'altra parte, in tutto il mondo, fortissime disuguaglianze tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo, alimentate anche da diverse forme di sfruttamento, di oppressione e di corruzione che influiscono negativamente sulla vita interna e internazionale di molti Stati. Il processo di accelerazione dell'interdipendenza tra le persone e i popoli deve essere accompagnato da un impegno sul piano etico-sociale altrettanto intensificato, per evitare le nefaste conseguenze di una situazione di ingiustizia di dimensioni planetarie, destinata a ripercuotersi assai negativamente anche negli stessi Paesi attualmente più favoriti.414
b) La solidarietà come principio sociale e come virtù morale
193 Le nuove relazioni di interdipendenza tra uomini e popoli, che sono, di fatto, forme di solidarietà, devono trasformarsi in relazioni tese ad una vera e propria solidarietà etico-sociale, che è l'esigenza morale insita in tutte le relazioni umane. La solidarietà si presenta, dunque, sotto due aspetti complementari: quello di principio sociale 415 e quello di virtù morale.416
La solidarietà deve essere colta, innanzi tutto, nel suo valore di principio sociale ordinatore delle istituzioni, in base al quale le « strutture di peccato »,417 che dominano i rapporti tra le persone e i popoli, devono essere superate e trasformate in strutture di solidarietà, mediante la creazione o l'opportuna modifica di leggi, regole del mercato, ordinamenti.
La solidarietà è anche una vera e propria virtù morale, non un « sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti ».418 La solidarietà assurge al rango di virtù sociale fondamentale poiché si colloca nella dimensione della giustizia, virtù orientata per eccellenza al bene comune, e nell'« impegno per il bene del prossimo con la disponibilità, in senso evangelico, a “perdersi” a favore dell'altro invece di sfruttarlo, e a “servirlo” invece di opprimerlo per il proprio tornaconto (cf. Mt 10,40-42; 20,25; Mc 10,42-45; Lc 22,25-27) ».419
c) Solidarietà e crescita comune degli uomini
194 Il messaggio della dottrina sociale circa la solidarietà mette in evidenza il fatto che esistono stretti vincoli tra solidarietà e bene comune, solidarietà e destinazione universale dei beni, solidarietà e uguaglianza tra gli uomini e i popoli, solidarietà e pace nel mondo.420 Il termine « solidarietà », ampiamente impiegato dal Magistero,421 esprime in sintesi l'esigenza di riconoscere nell'insieme dei legami che uniscono gli uomini e i gruppi sociali tra loro, lo spazio offerto alla libertà umana per provvedere alla crescita comune, condivisa da tutti. L'impegno in questa direzione si traduce nell'apporto positivo da non far mancare alla causa comune e nella ricerca dei punti di possibile intesa anche là dove prevale una logica di spartizione e frammentazione, nella disponibilità a spendersi per il bene dell'altro al di là di ogni individualismo e particolarismo.422
195 Il principio della solidarietà comporta che gli uomini del nostro tempo coltivino maggiormente la consapevolezza del debito che hanno nei confronti della società entro la quale sono inseriti: sono debitori di quelle condizioni che rendono vivibile l'umana esistenza, come pure di quel patrimonio, indivisibile e indispensabile, costituito dalla cultura, dalla conoscenza scientifica e tecnologica, dai beni materiali e immateriali, da tutto ciò che la vicenda umana ha prodotto. Un simile debito va onorato nelle varie manifestazioni dell'agire sociale, così che il cammino degli uomini non si interrompa, ma resti aperto alle generazioni presenti e a quelle future, chiamate insieme, le une e le altre, a condividere, nella solidarietà, lo stesso dono.
d) La solidarietà nella vita e nel messaggio di Gesù Cristo
196 Il vertice insuperabile della prospettiva indicata è la vita di Gesù di Nazaret, l'Uomo nuovo, solidale con l'umanità fino alla « morte di croce » (Fil 2,8): in Lui è sempre possibile riconoscere il Segno vivente di quell'amore incommensurabile e trascendente del Dio-con-noi, che si fa carico delle infermità del Suo popolo, cammina con esso, lo salva e lo costituisce in unità.423 In Lui, e grazie a Lui, anche la vita sociale può essere riscoperta, pur con tutte le sue contraddizioni e ambiguità, come luogo di vita e di speranza, in quanto segno di una Grazia che di continuo è a tutti offerta e che invita alle forme più alte e coinvolgenti di condivisione.
Gesù di Nazaret fa risplendere dinanzi agli occhi di tutti gli uomini il nesso tra solidarietà e carità, illuminandone l'intero significato: 424 « Alla luce della fede, la solidarietà tende a superare se stessa, a rivestire le dimensioni specificamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione. Allora il prossimo non è soltanto un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale eguaglianza davanti a tutti, ma diviene la viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto l'azione permanente dello Spirito Santo. Egli, pertanto, deve essere amato, anche se nemico, con lo stesso amore con cui lo ama il Signore, e per lui bisogna essere disposti al sacrificio, anche supremo: “Dare la vita per i propri fratelli” (cfr. 1 Gv 3,16) ».425
VII. I VALORI FONDAMENTALI DELLA VITA SOCIALE
a) Rapporto tra principi e valori
197 La dottrina sociale della Chiesa, oltre ai principi che devono presiedere all'edificazione di una società degna dell'uomo, indica anche dei valori fondamentali. Il rapporto tra principi e valori è indubbiamente di reciprocità, in quanto i valori sociali esprimono l'apprezzamento da attribuire a quei determinati aspetti del bene morale che i principi intendono conseguire, offrendosi come punti di riferimento per l'opportuna strutturazione e la conduzione ordinata della vita sociale. I valori richiedono, pertanto, sia la pratica dei principi fondamentali della vita sociale, sia l'esercizio personale delle virtù, e quindi degli atteggiamenti morali corrispondenti ai valori stessi.426
Tutti i valori sociali sono inerenti alla dignità della persona umana, della quale favoriscono l'autentico sviluppo, e sono, essenzialmente: la verità, la libertà, la giustizia, l'amore.427 La loro pratica è via sicura e necessaria per raggiungere il perfezionamento personale e una convivenza sociale più umana; essi costituiscono l'imprescindibile riferimento per i responsabili della cosa pubblica, chiamati ad attuare « le riforme sostanziali delle strutture economiche, politiche, culturali e tecnologiche e i necessari cambiamenti nelle istituzioni ».428 Il rispetto della legittima autonomia delle realtà terrene induce la Chiesa a non riservarsi competenze specifiche di ordine tecnico e temporale,429 ma non le impedisce di intervenire per mostrare come, nelle differenti scelte dell'uomo, tali valori siano affermati o, viceversa, negati.430
b) La verità
198 Gli uomini sono tenuti in modo particolare a tendere di continuo alla verità, a rispettarla e ad attestarla responsabilmente.431 Vivere nella verità ha un significato speciale nei rapporti sociali: la convivenza fra gli esseri umani all'interno di una comunità, infatti, è ordinata, feconda e rispondente alla loro dignità di persone, quando si fonda sulla verità.432 Quanto più le persone e i gruppi sociali si sforzano di risolvere i problemi sociali secondo verità, tanto più si allontanano dall'arbitrio e si conformano alle esigenze obiettive della moralità.
Il nostro tempo richiede un'intensa attività educativa 433 e un corrispondente impegno da parte di tutti, affinché la ricerca della verità, non riconducibile all'insieme o a qualcuna delle diverse opinioni, sia promossa in ogni ambito, e prevalga su ogni tentativo di relativizzarne le esigenze o di recarle offesa.434 È una questione che investe in modo particolare il mondo della comunicazione pubblica e quello dell'economia. In essi, l'uso spregiudicato del denaro fa emergere degli interrogativi sempre più pressanti, che rimandano necessariamente a un bisogno di trasparenza e di onestà nell'agire, personale e sociale.
c) La libertà
199 La libertà è nell'uomo segno altissimo dell'immagine divina e, di conseguenza, segno della sublime dignità di ogni persona umana: 435 « La libertà si esercita nei rapporti tra gli esseri umani. Ogni persona umana, creata ad immagine di Dio, ha il diritto naturale di essere riconosciuta come un essere libero e responsabile. Tutti hanno verso ciascuno il dovere di questo rispetto. Il diritto all'esercizio della libertà è un'esigenza inseparabile dalla dignità della persona umana ».436 Non si deve restringere il significato della libertà, considerandola in una prospettiva puramente individualistica e riducendola a esercizio arbitrario e incontrollato della propria personale autonomia: « Lungi dal compiersi in una totale autarchia dell'io e nell'assenza di relazioni, la libertà non esiste veramente se non là dove legami reciproci, regolati dalla verità e dalla giustizia, uniscono le persone ».437 La comprensione della libertà diventa profonda e ampia quando essa viene tutelata, anche a livello sociale, nella totalità delle sue dimensioni.
200 Il valore della libertà, in quanto espressione della singolarità di ogni persona umana, viene rispettato quando a ciascun membro della società è consentito di realizzare la propria personale vocazione; cercare la verità e professare le proprie idee religiose, culturali e politiche; esprimere le proprie opinioni; decidere il proprio stato di vita e, per quanto possibile, il proprio lavoro; assumere iniziative di carattere economico, sociale e politico. Ciò deve avvenire entro un « solido contesto giuridico »,438 nei limiti del bene comune e dell'ordine pubblico e, in ogni caso, all'insegna della responsabilità.
La libertà deve esplicarsi, d'altra parte, anche come capacità di rifiuto di ciò che è moralmente negativo, sotto qualunque forma si presenti,439 come capacità di effettivo distacco da tutto ciò che può ostacolare la crescita personale, familiare e sociale. La pienezza della libertà consiste nella capacità di disporre di sé in vista dell'autentico bene, entro l'orizzonte del bene comune universale.440
d) La giustizia
201 La giustizia è un valore, che si accompagna all'esercizio della corrispondente virtù morale cardinale.441 Secondo la sua più classica formulazione, « essa consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto ».442 Dal punto di vista soggettivo la giustizia si traduce nell'atteggiamento determinato dalla volontà di riconoscere l'altro come persona, mentre, dal punto di vista oggettivo, essa costituisce il criterio determinante della moralità nell'ambito inter-soggettivo e sociale.443
Il Magistero sociale richiama al rispetto delle forme classiche della giustizia: quella commutativa, quella distributiva, quella legale.444 Un rilievo sempre maggiore ha in esso acquisito la giustizia sociale,445 che rappresenta un vero e proprio sviluppo della giustizia generale, regolatrice dei rapporti sociali in base al criterio dell'osservanza della legge. La giustizia sociale, esigenza connessa alla questione sociale, che oggi si manifesta in una dimensione mondiale, concerne gli aspetti sociali, politici ed economici e, soprattutto, la dimensione strutturale dei problemi e delle correlative soluzioni.446
202 La giustizia risulta particolarmente importante nel contesto attuale, in cui il valore della persona, della sua dignità e dei suoi diritti, al di là delle proclamazioni d'intenti, è seriamente minacciato dalla diffusa tendenza a ricorrere esclusivamente ai criteri dell'utilità e dell'avere. Anche la giustizia, sulla base di tali criteri, viene considerata in modo riduttivo, mentre acquista un più pieno e autentico significato nell'antropologia cristiana. La giustizia, infatti, non è una semplice convenzione umana, perché quello che è « giusto » non è originariamente determinato dalla legge, ma dall'identità profonda dell'essere umano.447
203 La piena verità sull'uomo permette di superare la visione contrattualistica della giustizia, che è visione limitata, e di aprire anche per la giustizia l'orizzonte della solidarietà e dell'amore: « Da sola, la giustizia non basta. Può anzi arrivare a negare se stessa, se non si apre a quella forza più profonda che è l'amore ».448 Al valore della giustizia, infatti, la dottrina sociale accosta quello della solidarietà, in quanto via privilegiata della pace. Se la pace è frutto della giustizia, « oggi si potrebbe dire, con la stessa esattezza e la stessa forza di ispirazione biblica (cf. Is 32,17; Gc 3,18): Opus solidaritatis pax, la pace come frutto della solidarietà ».449 Il traguardo della pace, infatti, « sarà certamente raggiunto con l'attuazione della giustizia sociale e internazionale, ma anche con la pratica delle virtù che favoriscono la convivenza e ci insegnano a vivere uniti, per costruire uniti, dando e ricevendo, una società nuova e un mondo migliore ».450
VIII. LA VIA DELLA CARITÀ
204 Tra le virtù nel loro complesso, e in particolare tra virtù, valori sociali e carità, sussiste un profondo legame, che deve essere sempre più accuratamente riconosciuto. La carità, ristretta spesso all'ambito delle relazioni di prossimità, o limitata agli aspetti soltanto soggettivi dell'agire per l'altro, deve essere riconsiderata nella sua autentica valenza di criterio supremo e universale dell'intera etica sociale. Tra tutte le vie, anche quelle ricercate e percorse per affrontare le forme sempre nuove dell'attuale questione sociale, la « migliore di tutte » (1 Cor 12,31) è la via tracciata dalla carità.
205 I valori della verità, della giustizia, della libertà nascono e si sviluppano dalla sorgente interiore della carità: la convivenza umana è ordinata, feconda di bene e rispondente alla dignità dell'uomo, quando si fonda sulla verità; si attua secondo giustizia, ossia nell'effettivo rispetto dei diritti e nel leale adempimento dei rispettivi doveri; è attuata nella libertà che si addice alla dignità degli uomini, spinti dalla loro stessa natura razionale ad assumersi la responsabilità del proprio operare; è vivificata dall'amore, che fa sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui e rende sempre più intense la comunione dei valori spirituali e la sollecitudine per le necessità materiali.451 Questi valori costituiscono dei pilastri dai quali riceve solidità e consistenza l'edificio del vivere e dell'operare: sono valori che determinano la qualità di ogni azione e istituzione sociale.
206 La carità presuppone e trascende la giustizia: quest'ultima « deve trovare il suo completamento nella carità ».452 Se la giustizia è « di per sé idonea ad “arbitrare” tra gli uomini nella reciproca ripartizione dei beni oggettivi secondo l'equa misura, l'amore invece, e soltanto l'amore (anche quell'amore benigno, che chiamiamo “misericordia”), è capace di restituire l'uomo a se stesso ».453 Non si possono regolare i rapporti umani unicamente con la misura della giustizia: « L'esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all'annientamento di se stessa... È stata appunto l'esperienza storica che, fra l'altro, ha portato a formulare l'asserzione: summum ius, summa iniuria ».454 La giustizia, infatti, « in ogni sfera dei rapporti interumani, deve subire, per così dire, una notevole “correzione” da parte di quell'amore, il quale – come proclama San Paolo – “è paziente” e “benigno” o, in altre parole, porta in sé i caratteri dell'amore misericordioso, tanto essenziali per il Vangelo e per il cristianesimo ».455
207 Nessuna legislazione, nessun sistema di regole o di pattuizioni riusciranno a persuadere uomini e popoli a vivere nell'unità, nella fraternità e nella pace, nessuna argomentazione potrà superare l'appello della carità. Soltanto la carità, nella sua qualità di « forma virtutum »,456 può animare e plasmare l'agire sociale in direzione della pace nel contesto di un mondo sempre più complesso. Affinché tutto ciò avvenga, occorre però che si provveda a mostrare la carità non solo come ispiratrice dell'azione individuale, ma anche come forza capace di suscitare nuove vie per affrontare i problemi del mondo d'oggi e per rinnovare profondamente dall'interno strutture, organizzazioni sociali, ordinamenti giuridici. In questa prospettiva la carità diventa carità sociale e politica: la carità sociale ci fa amare il bene comune 457 e fa cercare effettivamente il bene di tutte le persone, considerate non solo individualmente, ma anche nella dimensione sociale che le unisce.
208 La carità sociale e politica non si esaurisce nei rapporti tra le persone, ma si dispiega nella rete in cui tali rapporti si inseriscono, che è appunto la comunità sociale e politica, e su questa interviene, mirando al bene possibile per la comunità nel suo insieme. Per tanti aspetti, il prossimo da amare si presenta « in società », così che amarlo realmente, sovvenire al suo bisogno o alla sua indigenza può voler dire qualcosa di diverso dal bene che gli si può volere sul piano puramente inter-individuale: amarlo sul piano sociale significa, a seconda delle situazioni, avvalersi delle mediazioni sociali per migliorare la sua vita oppure rimuovere i fattori sociali che causano la sua indigenza. È indubbiamente un atto di carità l'opera di misericordia con cui si risponde qui e ora ad un bisogno reale ed impellente del prossimo, ma è un atto di carità altrettanto indispensabile l'impegno finalizzato ad organizzare e strutturare la società in modo che il prossimo non abbia a trovarsi nella miseria, soprattutto quando questa diventa la situazione in cui si dibatte uno sterminato numero di persone e perfino interi popoli, situazione che assume, oggi, le proporzioni di una vera e propria questione sociale mondiale.
PARTE SECONDA
« ... la dottrina sociale ha di per sé il valore
di uno strumento di evangelizzazione: in quanto tale, annuncia Dio
ed il mistero di salvezza in Cristo ad ogni uomo e,
per la medesima ragione, rivela l'uomo a se stesso.
In questa luce, e solo in questa luce, si occupa del resto:
dei diritti umani di ciascuno e, in particolare, del “proletariato”,
della famiglia e dell'educazione, dei doveri dello Stato,
dell'ordinamento della società nazionale e internazionale,
della vita economica, della cultura, della guerra e della pace,
del rispetto alla vita dal momento del concepimento
fino alla morte ».
(Centesimus annus, 54)
CAPITOLO QUINTO
LA FAMIGLIA
CELLULA VITALE DELLA SOCIETÀ
I. LA FAMIGLIA PRIMA SOCIETÀ NATURALE
209 L'importanza e la centralità della famiglia, in ordine alla persona e alla società, è ripetutamente sottolineata nella Sacra Scrittura: « Non è bene che l'uomo sia solo » (Gen 2,18). Fin dai testi che narrano la creazione dell'uomo (cfr. Gen 1,26-28; 2,7-24) emerge come — nel disegno di Dio — la coppia costituisca « la prima forma di comunione di persone ».458 Eva è creata simile ad Adamo, come colei che, nella sua alterità, lo completa (cfr. Gen 2,18) per formare con lui « una sola carne » (Gen 2,24; cfr. Mt 19,5-6).459 Al tempo stesso, entrambi sono impegnati nel compito procreativo, che li rende collaboratori del Creatore: « Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra » (Gen 1,28). La famiglia si delinea, nel disegno del Creatore, come « il luogo primario della “umanizzazione” della persona e della società » e « culla della vita e dell'amore ».460
210 Nella famiglia si impara a conoscere l'amore e la fedeltà del Signore e la necessità di corrispondervi (cfr. Es 12,25-27; 13,8.14-15; Dt 6,20-25; 13,7-11; 1 Sam 3,13); i figli apprendono le prime e più decisive lezioni della sapienza pratica a cui sono collegate le virtù (cfr. Pr 1,8-9; 4,1-4; 6,20-21; Sir 3,1-16; 7,27-28). Per tutto questo, il Signore si fa garante dell'amore e della fedeltà coniugale (cfr. Ml 2,14-15).
Gesù nacque e visse in una famiglia concreta accogliendone tutte le caratteristiche proprie 461 e conferì eccelsa dignità all'istituto matrimoniale, costituendolo come sacramento della nuova alleanza (cfr. Mt 19,3-9). In tale prospettiva, la coppia trova tutta la sua dignità e la famiglia la saldezza sua propria.
211 Illuminata dalla luce del messaggio biblico, la Chiesa considera la famiglia come la prima società naturale, titolare di diritti propri e originari, e la pone al centro della vita sociale: relegare la famiglia « ad un ruolo subalterno e secondario, escludendola dalla posizione che le spetta nella società, significa recare un grave danno all'autentica crescita dell'intero corpo sociale ».462 Infatti, la famiglia, che nasce dall'intima comunione di vita e d'amore coniugale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna,463 possiede una sua specifica e originaria dimensione sociale, in quanto luogo primario di relazioni interpersonali, prima e vitale cellula della società: 464 essa è un'istituzione divina che sta a fondamento della vita delle persone, come prototipo di ogni ordinamento sociale.
a) L'importanza della famiglia per la persona
212 La famiglia è importante e centrale in riferimento alla persona. In questa culla della vita e dell'amore, l'uomo nasce e cresce: quando nasce un bambino, alla società viene fatto il dono di una nuova persona, che è « chiamata dall'intimo di sé alla comunione con gli altri e alla donazione agli altri ».465 Nella famiglia, pertanto, il dono reciproco di sé da parte dell'uomo e della donna uniti in matrimonio crea un ambiente di vita nel quale il bambino può « sviluppare le sue potenzialità, diventare consapevole della sua dignità e prepararsi ad affrontare il suo unico ed irripetibile destino ».466
Nel clima di naturale affetto che lega i membri di una comunità familiare, le persone sono riconosciute e responsabilizzate nella loro integralità: « La prima e fondamentale struttura a favore dell' “ecologia umana” è la famiglia, in seno alla quale l'uomo riceve le prime e determinanti nozioni intorno alla verità ed al bene, apprende che cosa vuol dire amare ed essere amati e, quindi, che cosa vuol dire in concreto essere una persona ».467 Gli obblighi dei suoi membri, infatti, non sono limitati dai termini di un contratto, ma derivano dall'essenza stessa della famiglia, fondata su un patto coniugale irrevocabile e strutturata dai rapporti che ne derivano in seguito alla generazione o all'adozione dei figli.
b) L'importanza della famiglia per la società
213 La famiglia, comunità naturale in cui si esperimenta la socialità umana, contribuisce in modo unico e insostituibile al bene della società. La comunità familiare, infatti, nasce dalla comunione delle persone: « La “comunione” riguarda la relazione personale tra l'“io” e il “tu”. La “comunità” invece supera questo schema nella direzione di una “società”, di un “noi”. La famiglia, comunità di persone, è pertanto la prima “società” umana ».468
Una società a misura di famiglia è la migliore garanzia contro ogni deriva di tipo individualista o collettivista, perché in essa la persona è sempre al centro dell'attenzione in quanto fine e mai come mezzo. È del tutto evidente che il bene delle persone e il buon funzionamento della società sono strettamente connessi « con una felice collocazione della comunità coniugale e familiare ».469 Senza famiglie forti nella comunione e stabili nell'impegno, i popoli si indeboliscono. Nella famiglia vengono inculcati fin dai primi anni di vita i valori morali, si trasmette il patrimonio spirituale della comunità religiosa e quello culturale della Nazione. In essa si fa l'apprendistato delle responsabilità sociali e della solidarietà.470
214 Va affermata la priorità della famiglia rispetto alla società e allo Stato. La famiglia, infatti, almeno nella sua funzione procreativa, è la condizione stessa della loro esistenza. Nelle altre funzioni a vantaggio di ciascuno dei suoi membri essa precede, per importanza e valore, le funzioni che la società e lo Stato devono svolgere.471 La famiglia, soggetto titolare di diritti inviolabili, trova la sua legittimazione nella natura umana e non nel riconoscimento dello Stato. Essa non è, quindi, per la società e per lo Stato, bensì la società e lo Stato sono per la famiglia.
Ogni modello sociale che intenda servire il bene dell'uomo non può prescindere dalla centralità e dalla responsabilità sociale della famiglia. La società e lo Stato, nelle loro relazioni con la famiglia, hanno invece l'obbligo di attenersi al principio di sussidiarietà. In forza di tale principio, le autorità pubbliche non devono sottrarre alla famiglia quei compiti che essa può svolgere bene da sola o liberamente associata con altre famiglie; d'altra parte, le stesse autorità hanno il dovere di sostenere la famiglia assicurandole tutti gli aiuti di cui essa ha bisogno per assumere in modo adeguato tutte le sue responsabilità.472
II. IL MATRIMONIO FONDAMENTO DELLA FAMIGLIA
a) Il valore del matrimonio
215 La famiglia ha il suo fondamento nella libera volontà dei coniugi di unirsi in matrimonio, nel rispetto dei significati e dei valori propri di questo istituto, che non dipende dall'uomo, ma da Dio stesso: « questo vincolo sacro in vista del bene sia dei coniugi e della prole che della società non dipende dall'arbitrio umano. Infatti è Dio stesso l'autore del matrimonio, dotato di molteplici valori e fini ».473 L'istituto del matrimonio — « intima comunione coniugale di vita e d'amore, fondata dal Creatore e dotata di leggi proprie » 474 — non è dunque una creazione dovuta a convenzioni umane e ad imposizioni legislative, ma deve la sua stabilità all'ordinamento divino.475 È un istituto che nasce, anche per la società, « dall'atto umano col quale i coniugi vicendevolmente si danno e si ricevono » 476 e si fonda sulla stessa natura dell'amore coniugale che, in quanto dono totale ed esclusivo, da persona a persona, comporta un impegno definitivo espresso con il consenso reciproco, irrevocabile e pubblico.477 Tale impegno comporta che i rapporti tra i membri della famiglia siano improntati anche al senso della giustizia e, quindi, al rispetto dei reciproci diritti e doveri.
216 Nessun potere può abolire il diritto naturale al matrimonio né modificarne i caratteri e la finalità. Il matrimonio, infatti, è dotato di caratteristiche proprie, originarie e permanenti. Nonostante i numerosi mutamenti verificatisi nel corso dei secoli nelle varie culture, strutture sociali e attitudini spirituali, in tutte le culture esiste un certo senso della dignità dell'unione matrimoniale, sebbene non traspaia ovunque con la stessa chiarezza.478 Tale dignità va rispettata nelle sue caratteristiche specifiche, che esigono di essere salvaguardate di fronte ad ogni tentativo di stravolgimento. La società non può disporre del legame matrimoniale, con il quale i due sposi si promettono fedeltà, assistenza e accoglienza dei figli, ma è abilitata a disciplinarne gli effetti civili.
217 Il matrimonio ha come suoi tratti caratteristici: la totalità, per cui i coniugi si donano reciprocamente in tutte le componenti della persona, fisiche e spirituali; l'unità che li rende « una sola carne » (Gen 2,24); l'indissolubilità e la fedeltà che la donazione reciproca e definitiva comporta; la fecondità a cui essa naturalmente si apre.479 Il sapiente disegno di Dio sul matrimonio — disegno accessibile alla ragione umana, nonostante le difficoltà dovute alla durezza del cuore (cfr. Mt 19,8; Mc 10,5) — non può essere valutato esclusivamente alla luce dei comportamenti di fatto e delle situazioni concrete che se ne discostano. È una negazione radicale del disegno originale di Dio la poligamia, « perché è contraria alla pari dignità personale dell'uomo e della donna, che nel matrimonio si donano con un amore totale e perciò stesso unico ed esclusivo ».480
218 Il matrimonio, nella sua verità « oggettiva », è ordinato alla procreazione e all'educazione dei figli.481 L'unione matrimoniale, infatti, fa vivere in pienezza quel dono sincero di sé, il cui frutto sono i figli, a loro volta dono per i genitori, per l'intera famiglia e per tutta la società.482 Il matrimonio, tuttavia, non è stato istituito unicamente in vista della procreazione: 483 il suo carattere indissolubile e il suo valore di comunione permangono anche quando i figli, pur vivamente desiderati, non giungono a completare la vita coniugale. Gli sposi, in questo caso, « possono mostrare la loro generosità adottando bambini abbandonati oppure compiendo servizi significativi a favore del prossimo ».484
b) Il sacramento del matrimonio
219 La realtà umana e originaria del matrimonio è vissuta dai battezzati, per istituzione di Cristo, nella forma soprannaturale del sacramento, segno e strumento di Grazia. La storia della salvezza è percorsa dal tema dell'alleanza sponsale, significativa espressione della comunione d'amore tra Dio e gli uomini e chiave simbolica per comprendere le tappe della grande alleanza tra Dio e il Suo popolo.485 Il centro della rivelazione del progetto d'amore divino è il dono che Dio fa all'umanità del Figlio Suo Gesù Cristo, « lo Sposo che ama e si dona come Salvatore all'umanità, unendola a Sé come suo corpo. Egli rivela la verità originaria del matrimonio, la verità del “principio” (cfr. Gen 2,24; Mt 19,5) e, liberando l'uomo dalla durezza del cuore, lo rende capace di realizzarla interamente ».486 Dall'amore sponsale di Cristo per la Chiesa, che mostra la sua pienezza nell'offerta consumata sulla Croce, discende la sacramentalità del matrimonio, la cui Grazia conforma l'amore degli sposi all'Amore di Cristo per la Chiesa. Il matrimonio, in quanto sacramento, è un'alleanza di un uomo e una donna nell'amore.487
220 Il sacramento del matrimonio assume la realtà umana dell'amore coniugale in tutte le implicazioni e « abilita e impegna i coniugi e i genitori cristiani a vivere la loro vocazione di laici, e pertanto a “cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio” ».488 Intimamente unita alla Chiesa in forza del vincolo sacramentale che la rende Chiesa domestica o piccola Chiesa, la famiglia cristiana è chiamata « ad essere segno di unità per il mondo e ad esercitare in tal modo il suo ruolo profetico testimoniando il Regno e la pace di Cristo, verso cui il mondo intero è in cammino ».489
La carità coniugale, che sgorga dalla carità stessa di Cristo, offerta attraverso il Sacramento, rende i coniugi cristiani testimoni di una socialità nuova, ispirata al Vangelo e al Mistero pasquale. La dimensione naturale del loro amore viene costantemente purificata, consolidata ed elevata dalla grazia sacramentale. In questo modo, i coniugi cristiani, oltre ad aiutarsi reciprocamente nel cammino di santificazione, diventano segno e strumento della carità di Cristo nel mondo. Con la loro stessa vita essi sono chiamati ad essere testimoni e annunciatori del significato religioso del matrimonio, che la società attuale fa sempre più fatica a riconoscere, specialmente quando accoglie visioni relativistiche anche dello stesso fondamento naturale dell'istituto matrimoniale.
III. LA SOGGETTIVITÀ SOCIALE DELLA FAMIGLIA
a) L'amore e la formazione di una comunità di persone
221 La famiglia si propone come spazio di quella comunione, tanto necessaria in una società sempre più individualistica, nel quale far crescere un'autentica comunità di persone 490 grazie all'incessante dinamismo dell'amore, che è la dimensione fondamentale dell'esperienza umana e che trova proprio nella famiglia un luogo privilegiato per manifestarsi: « L'amore fa sì che l'uomo si realizzi attraverso il dono sincero di sé: amare significa dare e ricevere quanto non si può né comperare né vendere, ma solo liberamente e reciprocamente elargire ».491
Grazie all'amore, realtà essenziale per definire il matrimonio e la famiglia, ogni persona, uomo e donna, è riconosciuta, accolta e rispettata nella sua dignità. Dall'amore nascono rapporti vissuti all'insegna della gratuità, la quale « rispettando e favorendo in tutti e in ciascuno la dignità personale come unico titolo di valore, diventa accoglienza cordiale, incontro e dialogo, disponibilità disinteressata, servizio generoso, solidarietà profonda ».492 L'esistenza di famiglie che vivono in tale spirito mette a nudo le carenze e le contraddizioni di una società orientata prevalentemente, se non esclusivamente, da criteri di efficienza e funzionalità. La famiglia, che vive costruendo ogni giorno una rete di rapporti interpersonali, interni ed esterni, si pone invece come « prima e insostituibile scuola di socialità, esempio e stimolo per i più ampi rapporti comunitari all'insegna del rispetto, della giustizia, del dialogo, dell'amore ».493
222 L'amore si esprime anche mediante una premurosa attenzione verso gli anziani che vivono nella famiglia: la loro presenza può assumere un grande valore. Essi sono un esempio di collegamento tra le generazioni, una risorsa per il benessere della famiglia e dell'intera società: « Non solo possono rendere testimonianza del fatto che vi sono aspetti della vita, come i valori umani e culturali, morali e sociali, che non si misurano in termini economici o di funzionalità, ma offrire anche un contributo efficace nell'ambito lavorativo e in quello della responsabilità. Si tratta, infine, non solo di fare qualcosa per gli anziani, ma anche di accettare queste persone come collaboratori responsabili, con modalità che rendano ciò veramente possibile, come agenti di progetti condivisi, in fase sia di programmazione, sia di dialogo o di attuazione ».494 Come dice la Sacra Scrittura, le persone « nella vecchiaia daranno ancora frutti » (Sal 92,15). Gli anziani costituiscono un'importante scuola di vita, capace di trasmettere valori e tradizioni e di favorire la crescita dei più giovani, i quali imparano così a ricercare non soltanto il proprio bene, ma anche quello altrui. Se gli anziani si trovano in una situazione di sofferenza e dipendenza, non solo hanno bisogno di cure sanitarie e di un'assistenza appropriata, ma, soprattutto, di essere trattati con amore.
223 L'essere umano è fatto per amare e senza amore non può vivere. Quando si manifesta nel dono totale di due persone nella loro complementarità, l'amore non può essere ridotto alle emozioni e ai sentimenti, né, tanto meno, alla sua sola espressione sessuale. Una società che tende sempre più a relativizzare e a banalizzare l'esperienza dell'amore e della sessualità esalta gli aspetti effimeri della vita e ne oscura i valori fondamentali: diventa quanto mai urgente annunciare e testimoniare che la verità dell'amore e della sessualità coniugale esiste là dove si realizza un dono pieno e totale delle persone con le caratteristiche dell'unità e della fedeltà.495 Tale verità, fonte di gioia, di speranza e di vita, rimane impenetrabile e irraggiungibile fintanto che si rimane chiusi nel relativismo e nello scetticismo.
224 Di fronte alle teorie che considerano l'identità di genere soltanto come prodotto culturale e sociale derivante dall'interazione tra la comunità e l'individuo, prescindendo dall'identità sessuale personale e senza alcun riferimento al vero significato della sessualità, la Chiesa non si stancherà di ribadire il proprio insegnamento: « Spetta a ciascuno, uomo o donna, riconoscere ed accettare la propria identità sessuale. La differenza e la complementarità fisiche, morali e spirituali sono orientate al bene del matrimonio e allo sviluppo della vita familiare. L'armonia della coppia e della società dipende in parte dal modo in cui si vivono tra i sessi la complementarità, il bisogno vicendevole e il reciproco aiuto ».496 È questa una prospettiva che fa considerare doverosa la conformazione del diritto positivo alla legge naturale, secondo la quale l'identità sessuale è indisponibile, perché è la condizione oggettiva per formare una coppia nel matrimonio.
225 La natura dell'amore coniugale esige la stabilità del rapporto matrimoniale e la sua indissolubilità. La mancanza di questi requisiti pregiudica il rapporto di amore esclusivo e totale proprio del vincolo matrimoniale, con gravi sofferenze per i figli e con risvolti dannosi anche nel tessuto sociale.
La stabilità e l'indissolubilità dell'unione matrimoniale non devono essere affidate esclusivamente all'intenzione e all'impegno delle singole persone coinvolte: la responsabilità della tutela e della promozione della famiglia come fondamentale istituzione naturale, proprio in considerazione dei suoi vitali e irrinunciabili aspetti, compete piuttosto all'intera società. La necessità di conferire un carattere istituzionale al matrimonio, fondandolo su un atto pubblico, socialmente e giuridicamente riconosciuto, deriva da basilari esigenze di natura sociale.
L'introduzione del divorzio nelle legislazioni civili ha alimentato una visione relativistica del legame coniugale e si è ampiamente manifestata come una « vera piaga sociale ».497 Le coppie che conservano e sviluppano i beni della stabilità e dell'indissolubilità « assolvono ... in modo umile e coraggioso, il compito loro affidato di essere nel mondo un “segno” — un piccolo e prezioso segno, talvolta sottoposto anche a tentazione, ma sempre rinnovato — dell'instancabile fedeltà con cui Dio e Gesù Cristo amano tutti gli uomini e ogni uomo ».498
226 La Chiesa non abbandona a se stessi coloro che, dopo un divorzio, si sono risposati. La Chiesa prega per loro, li incoraggia nelle difficoltà di ordine spirituale che incontrano e li sostiene nella fede e nella speranza. Da parte loro queste persone, in quanto battezzate, possono e anzi devono partecipare alla vita ecclesiale: sono esortate ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia e della pace, a educare i figli nella fede, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio.
La riconciliazione nel sacramento della penitenza — che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico — può essere accordata solo a coloro che, pentiti, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio.499
Agendo in tal modo, la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla Sua verità; nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi figli, specialmente verso coloro che, senza loro colpa, sono stati abbandonati dal loro coniuge legittimo. Con ferma fiducia essa crede che anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore, ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità.500
227 Le unioni di fatto, il cui numero è progressivamente aumentato, si basano su una falsa concezione della libertà di scelta degli individui 501 e su un'impostazione del tutto privatistica del matrimonio e della famiglia. Il matrimonio non è un semplice patto di convivenza, bensì un rapporto con una dimensione sociale unica rispetto a tutte le altre, in quanto la famiglia, provvedendo alla cura e all'educazione dei figli, si configura come strumento primario per la crescita integrale di ogni persona e per il suo positivo inserimento nella vita sociale.
L'eventuale equiparazione legislativa tra la famiglia e le « unioni di fatto » si tradurrebbe in un discredito del modello di famiglia, che non si può realizzare in una precaria relazione tra persone,502 ma solo in un'unione permanente originata da un matrimonio, ovvero dal patto tra un uomo e una donna, fondato su una reciproca e libera scelta che implica la piena comunione coniugale orientata verso la procreazione.
228 Un problema particolare collegato alle unioni di fatto è quello riguardante la richiesta di riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali, sempre più oggetto di pubblico dibattito. Soltanto un'antropologia rispondente alla piena verità dell'uomo può dare una risposta appropriata al problema, che presenta diversi aspetti sia sul piano sociale che ecclesiale.503 Alla luce di tale antropologia si rivela « quanto sia incongrua la pretesa di attribuire una realtà “coniugale” all'unione fra persone dello stesso sesso. Vi si oppone, innanzi tutto, l'oggettiva impossibilità di far fruttificare il connubio mediante la trasmissione della vita, secondo il progetto inscritto da Dio nella stessa struttura dell'essere umano. È di ostacolo, inoltre, l'assenza dei presupposti per quella complementarità interpersonale che il Creatore ha voluto, tanto sul piano fisico-biologico quanto su quello eminentemente psicologico, tra il maschio e la femmina. È soltanto nell'unione fra due persone sessualmente diverse che può attuarsi il perfezionamento del singolo, in una sintesi di unità e di mutuo completamento psico-fisico ».504
La persona omosessuale deve essere pienamente rispettata nella sua dignità 505 e incoraggiata a seguire il piano di Dio con un impegno particolare nell'esercizio della castità.506 Il doveroso rispetto non significa legittimazione di comportamenti non conformi alla legge morale né, tanto meno, il riconoscimento di un diritto al matrimonio tra persone dello stesso sesso, con la conseguente equiparazione della loro unione alla famiglia: 507 « Se dal punto di vista legale il matrimonio tra due persone di sesso diverso fosse solo considerato come uno dei matrimoni possibili, il concetto di matrimonio subirebbe un cambiamento radicale, con grave detrimento del bene comune. Mettendo l'unione omosessuale su un piano giuridico analogo a quello del matrimonio o della famiglia, lo Stato agisce arbitrariamente ed entra in contraddizione con i propri doveri ».508
229 La solidità del nucleo familiare è una risorsa determinante per la qualità della convivenza sociale, perciò la comunità civile non può restare indifferente di fronte alle tendenze disgregatrici che minano alla base i suoi stessi pilastri portanti. Se una legislazione può talvolta tollerare comportamenti moralmente inaccettabili,509 non deve mai indebolire il riconoscimento del matrimonio monogamico indissolubile quale unica forma autentica della famiglia. È pertanto necessario che le pubbliche autorità, « resistendo a queste tendenze disgregatrici della stessa società e dannose per la dignità, sicurezza e benessere dei singoli cittadini, si adoperino perché l'opinione pubblica non sia indotta a sottovalutare l'importanza istituzionale del matrimonio e della famiglia ».510
È compito della comunità cristiana e di tutti coloro che hanno a cuore il bene della società riaffermare che « la famiglia costituisce, più ancora di un mero nucleo giuridico, sociale ed economico, una comunità di amore e di solidarietà che è in modo unico adatta ad insegnare e a trasmettere valori culturali, etici, sociali, spirituali e religiosi, essenziali per lo sviluppo e il benessere dei propri membri e della società ».511
b) La famiglia è il santuario della vita
230 L'amore coniugale è per sua natura aperto all'accoglienza della vita.512 Nel compito procreativo si rivela in modo eminente la dignità dell'essere umano, chiamato a farsi interprete della bontà e della fecondità che discendono da Dio: « La paternità e la maternità umane, pur essendo biologicamente simili a quelle di altri esseri in natura, hanno in sé in modo essenziale ed esclusivo una “somiglianza” con Dio, sulla quale si fonda la famiglia, intesa come comunità di vita umana, come comunità di persone unite nell'amore (communio personarum) ».513
La procreazione esprime la soggettività sociale della famiglia ed avvia un dinamismo di amore e di solidarietà tra le generazioni che sta alla base della società. Occorre riscoprire il valore sociale di particella del bene comune insito in ogni nuovo essere umano: ogni bambino « fa di sé un dono ai fratelli, alle sorelle, ai genitori, all'intera famiglia. La sua vita diventa dono per gli stessi donatori della vita, i quali non potranno non sentire la presenza del figlio, la sua partecipazione alla loro esistenza, il suo apporto al bene comune loro e della comunità familiare ».514
231 La famiglia fondata sul matrimonio è davvero il santuario della vita, « il luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere adeguatamente accolta e protetta contro i molteplici attacchi a cui è esposta, e può svilupparsi secondo le esigenze di un'autentica crescita umana ».515 Determinante e insostituibile è il ruolo della famiglia per la promozione e la costruzione della cultura della vita 516 contro il diffondersi di una « “anti-civiltà” distruttiva, com'è confermato oggi da tante tendenze e situazioni di fatto ».517
Le famiglie cristiane, in forza del sacramento ricevuto, hanno la peculiare missione di essere testimoni e annunciatrici del Vangelo della vita. È un impegno che assume nella società il valore di vera e coraggiosa profezia. È per questo motivo che « servire il Vangelo della vita comporta che le famiglie, specie partecipando ad apposite associazioni, si adoperino affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non ledano in nessun modo il diritto alla vita, dal concepimento alla morte naturale, ma lo difendano e lo promuovano ».518
232 La famiglia contribuisce in modo eminente al bene sociale mediante la paternità e la maternità responsabili, forme peculiari della speciale partecipazione dei coniugi all'opera creatrice di Dio.519 L'onere di una simile responsabilità non può essere invocato per giustificare chiusure egoistiche, ma deve guidare le scelte dei coniugi verso una generosa accoglienza della vita: « In rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile si esercita, sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a tempo indeterminato una nuova nascita ».520 Le motivazioni che devono guidare gli sposi nell'esercizio responsabile della paternità e della maternità derivano dal pieno riconoscimento dei propri doveri verso Dio, verso se stessi, verso la famiglia e verso la società, in una giusta gerarchia di valori.
233 Circa i « mezzi » per attuare la procreazione responsabile, vanno anzitutto rifiutati come moralmente illeciti sia la sterilizzazione sia l'aborto.521 Quest'ultimo, in particolare, è un abominevole delitto e costituisce sempre un disordine morale particolarmente grave; 522 lungi dall'essere un diritto, è piuttosto un triste fenomeno che contribuisce gravemente alla diffusione di una mentalità contro la vita, minacciando pericolosamente una giusta e democratica convivenza sociale.523
Va pure rifiutato il ricorso ai mezzi contraccettivi nelle loro diverse forme: 524 tale rifiuto si fonda su una corretta e integrale concezione della persona e della sessualità umana 525 ed ha il valore di un'istanza morale a difesa del vero sviluppo dei popoli.526 Le stesse ragioni di ordine antropologico giustificano, invece, come lecito il ricorso all'astinenza periodica nei periodi di fertilità femminile.527 Rifiutare la contraccezione e ricorrere ai metodi naturali di regolazione della natalità significa scegliere di impostare i rapporti interpersonali tra coniugi sul reciproco rispetto e sulla totale accoglienza, con positivi riflessi anche per la realizzazione di un ordine sociale più umano.
234 Il giudizio circa l'intervallo tra le nascite e il numero dei figli da procreare spetta soltanto agli sposi. È questo un loro diritto inalienabile, da esercitare davanti a Dio, considerando i doveri verso se stessi, verso i figli già nati, la famiglia e la società.528 L'intervento dei pubblici poteri, nell'ambito delle loro competenze, per la diffusione di un'appropriata informazione e l'adozione di opportune misure in campo demografico, deve essere compiuto nel rispetto delle persone e della libertà delle coppie: non può mai sostituirsi alle loro scelte; 529 tanto meno lo possono fare le varie organizzazioni operanti in questo settore.
Sono moralmente condannabili come attentati alla dignità della persona e della famiglia tutti i programmi di aiuto economico destinati a finanziare campagne di sterilizzazione e di contraccezione o subordinati all'accettazione di tali campagne. La soluzione delle questioni connesse alla crescita demografica deve essere piuttosto perseguita nel simultaneo rispetto sia della morale sessuale sia di quella sociale, promuovendo una maggiore giustizia e autentica solidarietà per dare ovunque dignità alla vita a cominciare dalle condizioni economiche, sociali e culturali.
235 Il desiderio di maternità e paternità non giustifica alcun « diritto al figlio », mentre invece sono evidenti i diritti del nascituro, al quale devono essere garantite condizioni ottimali di esistenza, mediante la stabilità della famiglia fondata sul matrimonio e la complementarità delle due figure, paterna e materna.530 Il rapido sviluppo della ricerca e delle sue applicazioni tecniche nella sfera della riproduzione pone nuove e delicate questioni che chiamano in causa la società e le norme che regolano la convivenza umana.
Occorre ribadire che non sono moralmente accettabili tutte le tecniche riproduttive — quali la donazione di sperma o di ovocita; la maternità sostitutiva; la fecondazione artificiale eterologa — che prevedono il ricorso all'utero o a gameti di persone estranee alla coppia coniugale, ledendo il diritto del figlio a nascere da un padre e da una madre che siano tali dal punto di vista sia biologico sia giuridico, oppure separano l'atto unitivo da quello procreativo ricorrendo a tecniche di laboratorio, quali l'inseminazione e la fecondazione artificiale omologa, così che il figlio appare come il risultato di un atto tecnico più che come il naturale frutto dell'atto umano di piena e totale donazione dei coniugi.531 Evitare il ricorso alle diverse forme di cosiddetta procreazione assistita, sostitutiva dell'atto coniugale, significa rispettare — sia nei genitori sia nei figli che essi intendono generare — l'integrale dignità della persona umana.532 Sono leciti, invece, i mezzi che si configurano come aiuto all'atto coniugale o al raggiungimento dei suoi effetti.533
236 Una questione di particolare rilevanza sociale e culturale, per le molteplici e gravi implicazioni morali che presenta, è quella riferita alla clonazione umana, termine che di per sé, in senso generico, significa riproduzione di una entità biologica geneticamente identica a quella di origine. Essa ha assunto, nel pensiero e nella prassi sperimentale, diversi significati, che suppongono, a loro volta, procedimenti diversi dal punto di vista delle modalità tecniche di realizzazione, nonché finalità differenti. Può significare la semplice replicazione in laboratorio di cellule o di porzioni di DNA. Ma specificamente oggi si intende la riproduzione di individui, allo stadio embrionale con modalità diverse dalla fecondazione naturale e in modo che siano geneticamente identici con l'individuo da cui traggono origine. Questo tipo di clonazione può avere la finalità riproduttiva di embrioni umani o quella cosiddetta terapeutica, tendente ad utilizzare tali embrioni per fini di ricerca scientifica o più specificamente per la produzione di cellule staminali.
Dal punto di vista etico la semplice replicazione di cellule normali o di porzioni di DNA non presenta problemi etici particolari. Ben diverso è il giudizio del Magistero sulla clonazione propriamente detta. È contraria alla dignità della procreazione umana perché si realizza in assenza totale dell'atto di amore personale tra gli sposi, essendo una riproduzione agamica e asessuale.534 In secondo luogo, questo tipo di riproduzione rappresenta una forma di dominio totale sull'individuo riprodotto da parte di chi lo riproduce.535 Il fatto che venga attuata la clonazione per riprodurre embrioni da cui prelevare cellule che possono essere usate per la terapia non attenua la gravità morale, anche perché per prelevare tali cellule l'embrione deve essere prima prodotto e poi soppresso.536
237 I genitori, quali ministri della vita, non devono mai dimenticare che la dimensione spirituale della procreazione merita una considerazione superiore a quella riservata a qualsiasi altro aspetto: « La paternità e la maternità rappresentano un compito di natura non semplicemente fisica, ma spirituale; attraverso di esse, infatti, passa la genealogia della persona, che ha il suo eterno inizio in Dio e che a Lui deve condurre ».537 Accogliendo la vita umana nella unitarietà delle sue dimensioni, fisiche e spirituali, le famiglie contribuiscono alla « comunione delle generazioni » e danno in questo modo un essenziale e insostituibile contributo allo sviluppo della società. Per questa ragione, « la famiglia ha diritto all'assistenza da parte della società per quanto concerne i suoi compiti circa la procreazione e l'educazione dei figli. Le coppie sposate, aventi una famiglia numerosa, hanno diritto a un adeguato aiuto e non devono essere sottoposte a discriminazione ».538
c) Il compito educativo
238 Con l'opera educativa, la famiglia forma l'uomo alla pienezza della sua dignità secondo tutte le sue dimensioni, compresa quella sociale. La famiglia, infatti, costituisce « una comunità di amore e di solidarietà che è in modo unico adatta ad insegnare e a trasmettere valori culturali, etici, sociali, spirituali e religiosi, essenziali per lo sviluppo e il benessere dei propri membri e della società ».539 Esercitando la sua missione educativa, la famiglia contribuisce al bene comune e costituisce la prima scuola di virtù sociali, di cui tutte le società hanno bisogno.540 Le persone sono aiutate in famiglia a crescere nella libertà e nella responsabilità, premesse indispensabili per l'assunzione di qualsiasi compito nella società. Con l'educazione, inoltre, vengono comunicati, per essere assimilati e fatti propri da ciascuno, alcuni valori fondamentali, necessari per essere cittadini liberi, onesti e responsabili.541
239 La famiglia ha un ruolo del tutto originale e insostituibile nell'educazione dei figli.542 L'amore dei genitori, mettendosi al servizio dei figli per aiutarli a trarre da loro (« e-ducere ») il meglio di sé, trova la sua piena realizzazione proprio nel compito educativo: « l'amore dei genitori da sorgente diventa anima e pertanto norma, che ispira e guida tutta l'azione educativa concreta, arricchendola di quei valori di dolcezza, costanza, bontà, servizio, disinteresse, spirito di sacrificio, che sono il più prezioso frutto dell'amore ».543
Il diritto-dovere dei genitori di educare la prole si qualifica « come essenziale, connesso com'è con la trasmissione della vita umana; come originale e primario, rispetto al compito educativo di altri, per l'unicità del rapporto d'amore che sussiste tra genitori e figli; come insostituibile ed inalienabile, e ... pertanto non può essere totalmente delegato ad altri, né da altri usurpato ».544 I genitori hanno il diritto-dovere di impartire un'educazione religiosa e una formazione morale ai loro figli: 545 diritto che non può essere cancellato dallo Stato, ma rispettato e promosso; dovere primario, che la famiglia non può trascurare o delegare.
240 I genitori sono i primi, ma non gli unici, educatori dei lori figli. Spetta a loro, dunque, esercitare con senso di responsabilità l'opera educativa in stretta e vigile collaborazione con gli organismi civili ed ecclesiali: « la stessa dimensione comunitaria, civile ed ecclesiale, dell'uomo esige e conduce ad un'opera più ampia ed articolata, che sia il frutto della collaborazione ordinata delle diverse forze educative. Queste forze sono tutte necessarie, anche se ciascuna può e deve intervenire con una sua competenza e con un suo contributo propri ».546 I genitori hanno il diritto di scegliere gli strumenti formativi rispondenti alle proprie convinzioni e di cercare i mezzi che possano aiutarli nel loro compito di educatori, anche nell'ambito spirituale e religioso. Le autorità pubbliche hanno il dovere di garantire tale diritto e di assicurare le condizioni concrete che ne consentono l'esercizio.547 In tale contesto si pone anzitutto il tema della collaborazione tra famiglia e istituzione scolastica.
241 I genitori hanno il diritto di fondare e sostenere istituzioni educative. Le autorità pubbliche devono far sì che « i pubblici sussidi siano stanziati in maniera che i genitori siano veramente liberi nell'esercitare questo diritto, senza andare incontro ad oneri ingiusti. Non si devono costringere i genitori a sostenere, direttamente o indirettamente, spese supplementari, che impediscano o limitino ingiustamente l'esercizio di questa libertà ».548 È da considerarsi un'ingiustizia il rifiuto di sostegno economico pubblico alle scuole non statali che ne abbiano necessità e rendano un servizio alla società civile: « Quando lo Stato rivendica a sé il monopolio scolastico, oltrepassa i suoi diritti e offende la giustizia... Lo Stato non può, senza commettere un'ingiustizia, accontentarsi di tollerare le scuole cosiddette private. Queste rendono un servizio pubblico e, di conseguenza, hanno il diritto di essere aiutate economicamente ».549
242 La famiglia ha la responsabilità di offrire un'educazione integrale. Ogni vera educazione, infatti, deve promuovere « la formazione della persona umana in vista del suo fine ultimo, e contemporaneamente per il bene della società di cui l'uomo è membro e alle cui responsabilità, divenuto adulto, avrà parte ».550 L'integralità è assicurata quando i figli — con la testimonianza di vita e con la parola — vengono educati al dialogo, all'incontro, alla socialità, alla legalità, alla solidarietà e alla pace, mediante la coltivazione delle virtù fondamentali della giustizia e della carità.551
Nell'educazione dei figli, il ruolo materno e quello paterno sono ugualmente necessari.552 I genitori devono, quindi, operare congiuntamente. L'autorità sarà da loro esercitata con rispetto e delicatezza, ma anche con fermezza e vigore: essa deve essere credibile, coerente, saggia e sempre orientata verso il bene integrale dei figli.
243 I genitori hanno poi una particolare responsabilità nella sfera dell'educazione sessuale. È di fondamentale importanza, per una crescita equilibrata, che i figli apprendano in modo ordinato e progressivo il significato della sessualità e imparino ad apprezzare i valori umani e morali ad essa correlati: « Per gli stretti legami che intercorrono tra la dimensione sessuale della persona e i suoi valori etici, il compito educativo deve condurre i figli a conoscere e a stimare le norme morali come necessaria e preziosa garanzia per una responsabile crescita personale nella sessualità umana ».553 I genitori sono tenuti a verificare le modalità con cui viene attuata l'educazione sessuale nelle istituzioni educative, al fine di controllare che un tema così importante e delicato sia affrontato in modo appropriato.
d) Dignità e diritti dei bambini
244 La dottrina sociale della Chiesa indica costantemente l'esigenza di rispettare la dignità dei bambini: « Nella famiglia, comunità di persone, deve essere riservata una specialissima attenzione al bambino, sviluppando una profonda stima per la sua dignità personale, come pure un grande rispetto e un generoso servizio per i suoi diritti. Ciò vale di ogni bambino, ma acquista una singolare urgenza quanto più il bambino è piccolo e bisognoso di tutto, malato, sofferente o handicappato ».554
I diritti dei bambini devono essere protetti dagli ordinamenti giuridici. È necessario, innanzi tutto, il riconoscimento pubblico in tutti i Paesi del valore sociale dell'infanzia: « Nessun paese del mondo, nessun sistema politico può pensare al proprio avvenire se non attraverso l'immagine di queste nuove generazioni che dai loro genitori assumeranno il molteplice patrimonio dei valori, dei doveri e delle aspirazioni della nazione alla quale appartengono e di tutta la famiglia umana ».555 Il primo diritto del bambino è quello « a nascere in una vera famiglia »,556 un diritto il cui rispetto è sempre stato problematico e che oggi conosce nuove forme di violazione dovute allo sviluppo delle tecniche genetiche.
245 La situazione di una larga parte dei bambini nel mondo è lungi dall'essere soddisfacente, per la mancanza di condizioni che favoriscano il loro sviluppo integrale, malgrado l'esistenza di uno specifico strumento giuridico internazionale a tutela dei diritti del fanciullo,557 che impegna quasi tutti i membri della comunità internazionale. Si tratta di condizioni connesse alla mancanza di servizi sanitari, di un'alimentazione adeguata, di possibilità a ricevere un minimo di formazione scolastica e di una casa. Permangono insoluti, inoltre, alcuni gravissimi problemi: il traffico dei bambini, il lavoro minorile, il fenomeno dei « bambini di strada », l'impiego di bambini in conflitti armati, il matrimonio delle bambine, l'utilizzo dei bambini per il commercio di materiale pornografico, anche tramite i più moderni e sofisticati strumenti di comunicazione sociale. È indispensabile combattere, a livello nazionale ed internazionale, le violazioni della dignità dei bambini e delle bambine causate dallo sfruttamento sessuale, dalle persone dedite alla pedofilia e dalle violenze di ogni genere subite da queste persone umane più indifese.558 Si tratta di atti delittuosi che devono essere efficacemente combattuti, con adeguate misure preventive e penali, da una decisa azione delle diverse autorità.
IV. LA FAMIGLIA PROTAGONISTA DELLA VITA SOCIALE
a) Solidarietà familiare
246 La soggettività sociale delle famiglie, sia singole che associate, si esprime anche con manifestazioni di solidarietà e di condivisione, non solo tra le famiglie stesse, ma pure mediante varie forme di partecipazione alla vita sociale e politica. Si tratta della conseguenza della realtà familiare fondata sull'amore: nascendo dall'amore e crescendo nell'amore, la solidarietà appartiene alla famiglia come dato costitutivo e strutturale.
È una solidarietà che può assumere il volto del servizio e dell'attenzione a quanti vivono nella povertà e nell'indigenza, agli orfani, agli handicappati, ai malati, agli anziani, a chi è nel lutto, a quanti sono nel dubbio, nella solitudine o nell'abbandono; una solidarietà che si apre all'accoglienza, all'affidamento o all'adozione; che sa farsi voce di ogni situazione di disagio presso le istituzioni, affinché intervengano secondo le loro specifiche finalità.
247 Le famiglie, lungi dall'essere solo oggetto dell'azione politica, possono e devono diventare soggetto di tale attività, adoperandosi « affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non offendano, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della famiglia. In tal senso le famiglie devono crescere nella coscienza di essere “protagoniste” della cosiddetta “politica familiare” e assumersi la responsabilità di trasformare la società ».559 A tale scopo va rafforzato l'associazionismo familiare: « Le famiglie hanno il diritto di formare associazioni con altre famiglie e istituzioni per svolgere il ruolo della famiglia in modo conveniente ed effettivo, come pure per proteggere i diritti, promuovere il bene e rappresentare gli interessi della famiglia. Sul piano economico, sociale, giuridico e culturale, deve essere riconosciuto il legittimo ruolo delle famiglie e delle associazioni familiari nella elaborazione e nell'attuazione dei programmi che interessano la vita della famiglia ».560
b) Famiglia, vita economica e lavoro
248 Il rapporto che intercorre tra la famiglia e la vita economica è particolarmente significativo. Da una parte, infatti, l'« eco-nomia » è nata dal lavoro domestico: la casa è stata per lungo tempo, e ancora — in molti luoghi — continua ad essere, unità di produzione e centro di vita. Il dinamismo della vita economica, d'altra parte, si sviluppa con l'iniziativa delle persone e si realizza, secondo cerchi concentrici, in reti sempre più vaste di produzione e di scambio di beni e di servizi, che coinvolgono in misura crescente le famiglie. La famiglia, dunque, va considerata, a buon diritto, come una protagonista essenziale della vita economica, orientata non dalla logica del mercato, ma da quella della condivisione e della solidarietà tra le generazioni.
249 Un rapporto del tutto particolare lega la famiglia e il lavoro: « la famiglia costituisce uno dei più importanti termini di riferimento, secondo i quali deve essere formato l'ordine socio-etico del lavoro umano ».561 Tale rapporto affonda le sue radici nella relazione che intercorre tra la persona e il suo diritto a possedere il frutto del proprio lavoro e riguarda non solo il singolo come individuo, ma anche come membro di una famiglia, intesa quale « società domestica ».562
Il lavoro è essenziale in quanto rappresenta la condizione che rende possibile la fondazione di una famiglia, i cui mezzi di sussistenza si acquistano mediante il lavoro. Il lavoro condiziona anche il processo di sviluppo delle persone, poiché una famiglia colpita dalla disoccupazione rischia di non realizzare pienamente le sue finalità.563
L'apporto che la famiglia può offrire alla realtà del lavoro è prezioso e, per molti versi, insostituibile. Si tratta di un contributo che si esprime sia in termini economici sia mediante le grandi risorse di solidarietà che la famiglia possiede e che costituiscono un importante appoggio per chi, al suo interno, si trova senza lavoro o è alla ricerca di un'occupazione. Soprattutto e più radicalmente, è un contributo che si realizza con l'educazione al senso del lavoro e tramite l'offerta di orientamenti e sostegni di fronte alle stesse scelte professionali.
250 Per tutelare questo rapporto tra famiglia e lavoro, un elemento da apprezzare e salvaguardare è il salario familiare, ossia un salario sufficiente a mantenere e a far vivere dignitosamente la famiglia.564 Tale salario deve permettere la realizzazione di un risparmio che favorisca l'acquisizione di qualche forma di proprietà, come garanzia di libertà: il diritto alla proprietà è strettamente legato all'esistenza delle famiglie, che si mettono al riparo dal bisogno anche grazie al risparmio e alla costituzione di una proprietà familiare.565 Vari possono essere i modi per dare concretezza al salario familiare. Concorrono a determinarlo alcuni importanti provvedimenti sociali, quali gli assegni familiari e altri contributi per le persone a carico, nonché la remunerazione del lavoro casalingo di uno dei due genitori.566
251 Nel rapporto tra famiglia e lavoro, una speciale attenzione va riservata al lavoro della donna in famiglia, il cosiddetto lavoro di cura, che chiama in causa anche le responsabilità dell'uomo come marito e come padre. Il lavoro di cura, a cominciare da quello della madre, proprio perché finalizzato e dedicato al servizio della qualità della vita, costituisce un tipo di attività lavorativa eminentemente personale e personalizzante, che deve essere socialmente riconosciuta e valorizzata,567 anche mediante un corrispettivo economico almeno pari a quello di altri lavori.568 Nello stesso tempo, occorre eliminare tutti gli ostacoli che impediscono agli sposi di esercitare liberamente la loro responsabilità procreativa e, in particolare, quelli che costringono la donna a non svolgere pienamente le sue funzioni materne.569
V. LA SOCIETÀ A SERVIZIO DELLA FAMIGLIA
252 Il punto di partenza per un corretto e costruttivo rapporto tra la famiglia e la società è il riconoscimento della soggettività e della priorità sociale della famiglia. Il loro intimo rapporto impone che « la società non venga mai meno al suo fondamentale compito di rispettare e di promuovere la famiglia stessa ».570 La società e, in particolare, le istituzioni statali — nel rispetto della priorità e « antecedenza » della famiglia — sono chiamate a garantire e favorire la genuina identità della vita familiare e a evitare e combattere tutto ciò che la altera e ferisce. Ciò richiede che l'azione politica e legislativa salvaguardi i valori della famiglia, dalla promozione dell'intimità e della convivenza familiare, al rispetto della vita nascente, alla effettiva libertà di scelta nell'educazione dei figli. La società e lo Stato non possono, pertanto, né assorbire, né sostituire, né ridurre la dimensione sociale della famiglia stessa; piuttosto devono onorarla, riconoscerla, rispettarla e promuoverla secondo il principio di sussidiarietà.571
253 Il servizio della società alla famiglia si concretizza nel riconoscimento, nel rispetto e nella promozione dei diritti della famiglia.572 Tutto ciò richiede la realizzazione di autentiche ed efficaci politiche familiari con interventi precisi in grado di affrontare i bisogni che derivano dai diritti della famiglia come tale. In tal senso, è necessario il prerequisito, essenziale e irrinunciabile, del riconoscimento — che comporta la tutela, la valorizzazione e la promozione — dell'identità della famiglia, società naturale fondata sul matrimonio. Tale riconoscimento traccia una linea di demarcazione netta tra la famiglia propriamente intesa e le altre convivenze, che della famiglia — per loro natura — non possono meritare né il nome né lo statuto.
254 Il riconoscimento, da parte delle istituzioni civili e dello Stato, della priorità della famiglia su ogni altra comunità e sulla stessa realtà statuale, comporta il superamento delle concezioni meramente individualistiche e l'assunzione della dimensione familiare come prospettiva, culturale e politica, irrinunciabile nella considerazione delle persone. Ciò non si pone in alternativa, ma piuttosto a sostegno e tutela degli stessi diritti che le persone hanno singolarmente. Tale prospettiva rende possibile elaborare criteri normativi per una soluzione corretta dei diversi problemi sociali, poiché le persone non devono essere considerate solo singolarmente, ma anche in relazione ai nuclei familiari in cui sono inserite, dei cui valori specifici ed esigenze si deve tenere debito conto.
CAPITOLO SESTO
IL LAVORO UMANO
I. ASPETTI BIBLICI
a) Il compito di coltivare e custodire la terra
255 L'Antico Testamento presenta Dio come Creatore onnipotente (cfr. Gen 2,2; Gb 38-41; Sal 104; Sal 147), che plasma l'uomo a Sua immagine, lo invita a lavorare la terra (cfr. Gen 2,5-6) e a custodire il giardino dell'Eden in cui lo ha posto (cfr. Gen 2,15). Alla prima coppia umana Dio affida il compito di soggiogare la terra e di dominare su ogni essere vivente (cfr. Gen 1,28). Il dominio dell'uomo sugli altri esseri viventi, tuttavia, non deve essere dispotico e dissennato; al contrario, egli deve « coltivare e custodire » (cfr. Gen 2,15) i beni creati da Dio: beni che l'uomo non ha creato, ma ha ricevuto come un dono prezioso posto dal Creatore sotto la sua responsabilità. Coltivare la terra significa non abbandonarla a se stessa; esercitare il dominio su di essa è averne cura, così come un re saggio si prende cura del suo popolo e un pastore del suo gregge.
Nel disegno del Creatore, le realtà create, buone in se stesse, esistono in funzione dell'uomo. Lo stupore davanti al mistero della grandezza dell'uomo fa esclamare il salmista: « Che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi » (Sal 8,5-7).
256 Il lavoro appartiene alla condizione originaria dell'uomo e precede la sua caduta; non è perciò né punizione né maledizione. Esso diventa fatica e pena a causa del peccato di Adamo ed Eva, che spezzano il loro rapporto fiducioso ed armonioso con Dio (cfr. Gen 3,6-8). La proibizione di mangiare « dell'albero della conoscenza del bene e del male » (Gen 2,17) ricorda all'uomo che egli ha ricevuto tutto come dono e che continua ad essere una creatura e non il Creatore. Il peccato di Adamo ed Eva fu provocato proprio da questa tentazione: « diventereste come Dio » (Gen 3,5). Essi vollero avere il dominio assoluto su tutte le cose, senza sottomettersi alla volontà del Creatore. Da allora, il suolo si fa avaro, ingrato, sordamente ostile (cfr. Gen 4,12); solo con il sudore della fronte sarà possibile trarne alimento (cfr. Gen 3,17.19). Nonostante il peccato dei progenitori, tuttavia, il disegno del Creatore, il senso delle Sue creature e, tra queste, dell'uomo, chiamato ad essere coltivatore e custode del creato, rimangono inalterati.
257 Il lavoro va onorato perché fonte di ricchezza o almeno di condizioni di vita decorose e, in genere, è strumento efficace contro la povertà (cfr. Pr 10,4), ma non si deve cedere alla tentazione di idolatrarlo, perché in esso non si può trovare il senso ultimo e definitivo della vita. Il lavoro è essenziale, ma è Dio, non il lavoro, la fonte della vita e il fine dell'uomo. Il principio fondamentale della Sapienza, infatti, è il timore del Signore; l'esigenza della giustizia, che ne deriva, precede quella del guadagno: « Poco con il timore di Dio è meglio di un gran tesoro con l'inquietudine » (Pr 15,16); « Poco con onestà è meglio di molte rendite senza giustizia » (Pr 16,8).
258 Vertice dell'insegnamento biblico sul lavoro è il comandamento del riposo sabbatico. All'uomo, legato alla necessità del lavoro, il riposo apre la prospettiva di una libertà più piena, quella del Sabato eterno (cfr. Eb 4,9-10). Il riposo consente agli uomini di ricordare e di rivivere le opere di Dio, dalla Creazione alla Redenzione, di riconoscersi essi stessi come opera Sua (cfr. Ef 2,10), di rendere grazie della propria vita e della propria sussistenza a Lui, che ne è l'autore.
La memoria e l'esperienza del sabato costituiscono un baluardo contro l'asservimento al lavoro, volontario o imposto, e contro ogni forma di sfruttamento, larvata o palese. Il riposo sabbatico, infatti, oltre che per consentire la partecipazione al culto di Dio, è stato istituito in difesa del povero; la sua è anche una funzione liberatoria dalle degenerazioni antisociali del lavoro umano. Tale riposo, che può durare anche un anno, comporta, infatti, un esproprio dei frutti della terra a favore dei poveri e la sospensione dei diritti di proprietà dei padroni del suolo: « Per sei anni seminerai la tua terra e ne raccoglierai il prodotto, ma nel settimo anno non la sfrutterai e la lascerai incolta: ne mangeranno gli indigenti del tuo popolo e ciò che lasceranno sarà divorato dalle bestie della campagna. Così farai per la tua vigna e per il tuo oliveto » (Es 23,10-11). Questa consuetudine risponde ad un'intuizione profonda: l'accumulazione di beni da parte di alcuni può diventare una sottrazione di beni ad altri.
b) Gesù uomo del lavoro
259 Nella Sua predicazione Gesù insegna ad apprezzare il lavoro. Egli stesso, « divenuto simile a noi in tutto, dedicò la maggior parte degli anni della sua vita sulla terra al lavoro manuale, presso un banco di carpentiere »,573 nella bottega di Giuseppe (cfr. Mt 13,55; Mc 6,3), al quale stava sottomesso (cfr. Lc 2,51). Gesù condanna il comportamento del servo fannullone, che nasconde sotto terra il talento (cfr. Mt 25,14-30) e loda il servo fidato e prudente che il padrone trova intento a svolgere le mansioni affidategli (cfr. Mt 24,46). Egli descrive la Sua stessa missione come un operare: « Il Padre mio opera sempre e anch'io opero » (Gv 5,17); e i Suoi discepoli come operai nella messe del Signore, che è l'umanità da evangelizzare (cfr. Mt 9,37-38). Per questi operai vale il principio generale secondo cui « l'operaio è degno della sua mercede » (Lc 10,7); essi sono autorizzati a dimorare nelle case in cui sono accolti, a mangiare e a bere quello che viene loro offerto (cfr. ibidem).
260 Nella Sua predicazione Gesù insegna agli uomini a non lasciarsi asservire dal lavoro. Essi devono preoccuparsi prima di tutto della loro anima; guadagnare il mondo intero non è lo scopo della loro vita (cfr. Mc 8,36). I tesori della terra, infatti, si consumano, mentre i tesori del cielo sono imperituri: a questi si deve legare il proprio cuore (cfr. Mt 6,19-21). Il lavoro non deve affannare (cfr. Mt 6,25.31.34): preoccupato e agitato per molte cose, l'uomo rischia di trascurare il Regno di Dio e la Sua giustizia (cfr. Mt 6,33), di cui ha veramente bisogno; tutto il resto, compreso il lavoro, trova il suo posto, il suo senso e il suo valore solo se viene orientato a quest'unica cosa necessaria, che non sarà mai tolta (cfr. Lc 10,40-42).
261 Durante il Suo ministero terreno, Gesù lavora instancabilmente, compiendo opere potenti per liberare l'uomo dalla malattia, dalla sofferenza e dalla morte. Il sabato, che l'Antico Testamento aveva proposto come giorno di liberazione e che, osservato solo formalmente, veniva svuotato del suo autentico significato, è riaffermato da Gesù nel suo originario valore: « Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato! » (Mc 2,27). Con le guarigioni, compiute in questo giorno di riposo (cfr. Mt 12,9-14; Mc 3,1-6; Lc 6,6-11; 13,10-17; 14,1-6), Egli vuole dimostrare che il sabato è Suo, perché Egli è veramente il Figlio di Dio, e che è il giorno in cui ci si deve dedicare a Dio e agli altri. Liberare dal male, praticare fraternità e condivisione è conferire al lavoro il suo significato più nobile, quello che permette all'umanità di incamminarsi verso il Sabato eterno, nel quale il riposo diventa la festa cui l'uomo interiormente aspira. Proprio in quanto orienta l'umanità a fare esperienza del sabato di Dio e della Sua vita conviviale, il lavoro inaugura sulla terra la nuova creazione.
262 L'attività umana di arricchimento e di trasformazione dell'universo può e deve far emergere le perfezioni in esso nascoste, che nel Verbo increato hanno il loro principio e il loro modello. Gli scritti paolini e giovannei, infatti, mettono in luce la dimensione trinitaria della creazione e, in particolare, il legame che intercorre tra il Figlio-Verbo, il « Logos », e la creazione (cfr. Gv 1,3; 1 Cor 8,6; Col 1,15-17). Creato in Lui e per mezzo di Lui, redento da Lui, l'universo non è un ammasso casuale, ma un « cosmo »,574 il cui ordine l'uomo deve scoprire, assecondare e portare a compimento: « In Gesù Cristo il mondo visibile, creato da Dio per l'uomo — quel mondo che, essendovi entrato il peccato, “è stato sottomesso alla caducità” (Rm 8,20; cfr. ibid., 8,19-22) — riacquista nuovamente il vincolo originario con la stessa sorgente divina della Sapienza e dell'Amore ».575 In tal modo, ossia mettendo in luce, in progressione crescente, « le imperscrutabili ricchezze di Cristo » (Ef 3,8) nella creazione, il lavoro umano si trasforma in un servizio reso alla grandezza di Dio.
263 Il lavoro rappresenta una dimensione fondamentale dell'esistenza umana come partecipazione non solo all'opera della creazione, ma anche della redenzione. Chi sopporta la penosa fatica del lavoro in unione con Gesù, in un certo senso, coopera con il Figlio di Dio alla Sua opera redentrice e si mostra discepolo di Cristo portando la Croce, ogni giorno, nell'attività che è chiamato a compiere. In questa prospettiva, il lavoro può essere considerato come un mezzo di santificazione e un'animazione delle realtà terrene nello Spirito di Cristo.576 Così raffigurato il lavoro è espressione della piena umanità dell'uomo, nella sua condizione storica e nella sua orientazione escatologica: la sua azione libera e responsabile ne svela l'intima relazione con il Creatore ed il suo potenziale creativo, mentre ogni giorno combatte lo sfiguramento del peccato, anche guadagnandosi il pane con il sudore della fronte.
c) Il dovere di lavorare
264 La consapevolezza della transitorietà della « scena di questo mondo » (cfr. 1 Cor 7,31) non esonera da alcun impegno storico, tanto meno dal lavoro (cfr. 2 Ts 3,7-15), che è parte integrante della condizione umana, pur non essendo l'unica ragione di vita. Nessun cristiano, per il fatto di appartenere ad una comunità solidale e fraterna, deve sentirsi in diritto di non lavorare e di vivere a spese degli altri (cfr. 2 Ts 3,6-12); tutti, piuttosto, sono esortati dall'Apostolo Paolo a farsi « un punto di onore » nel lavorare con le proprie mani così da « non aver bisogno di nessuno » (1 Ts 4,11-12) e a praticare una solidarietà anche materiale, condividendo i frutti del lavoro con « chi si trova in necessità » (Ef 4,28). San Giacomo difende i diritti conculcati dei lavoratori: « Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti » (Gc 5,4). I credenti devono vivere il lavoro con lo stile di Cristo e renderlo occasione di testimonianza cristiana « di fronte agli estranei » (1 Ts 4,12).
265 I Padri della Chiesa non considerano mai il lavoro come « opus servile » — tale era ritenuto, invece, nella cultura loro contemporanea -, ma sempre come « opus humanum », e tendono ad onorarne tutte le espressioni. Mediante il lavoro, l'uomo governa con Dio il mondo, insieme a Lui ne è signore, e compie cose buone per sé e per gli altri. L'ozio nuoce all'essere dell'uomo, mentre l'attività giova al suo corpo e al suo spirito.577 Il cristiano è chiamato a lavorare non solo per procurarsi il pane, ma anche per sollecitudine verso il prossimo più povero, al quale il Signore comanda di dare da mangiare, da bere, da vestire, accoglienza, cura e compagnia (cfr. Mt 25,35-36).578 Ciascun lavoratore, afferma sant'Ambrogio, è la mano di Cristo che continua a creare e a fare del bene.579
266 Con il suo lavoro e la sua laboriosità, l'uomo, partecipe dell'arte e della saggezza divina, rende più bello il creato, il cosmo già ordinato dal Padre; 580 suscita quelle energie sociali e comunitarie che alimentano il bene comune,581 a vantaggio soprattutto dei più bisognosi. Il lavoro umano, finalizzato alla carità, diventa occasione di contemplazione, si trasforma in devota preghiera, in vigile ascesi e in trepida speranza del giorno senza tramonto: « In questa visione superiore, il lavoro, pena ed insieme premio dell'attività umana, comporta un altro rapporto, quello cioè essenzialmente religioso, che è stato felicemente espresso nella formula benedettina: “Ora et labora”! Il fatto religioso conferisce al lavoro umano una spiritualità animatrice e redentrice. Tale parentela tra lavoro e religione riflette l'alleanza misteriosa, ma reale, che intercede tra l'agire umano e quello provvidenziale di Dio ».582
II. IL VALORE PROFETICO
DELLA « RERUM NOVARUM »
267 Il corso della storia è contrassegnato dalle profonde trasformazioni e dalle esaltanti conquiste del lavoro, ma anche dallo sfruttamento di tanti lavoratori e dalle offese alla loro dignità. La rivoluzione industriale lanciò alla Chiesa una grande sfida, alla quale il Magistero sociale rispose con la forza della profezia, affermando principi di validità universale e di perenne attualità, a sostegno dell'uomo che lavora e dei suoi diritti.
Destinataria del messaggio della Chiesa era stata per secoli una società di tipo agricolo, caratterizzata da ritmi regolari e ciclici; ora il Vangelo si doveva annunciare e vivere in un nuovo areopago, nel tumulto degli eventi sociali di una società più dinamica, tenendo conto della complessità dei nuovi fenomeni e delle impensabili trasformazioni rese possibili dalla tecnica. Al centro della sollecitudine pastorale della Chiesa si poneva sempre più urgentemente la questione operaia, ovvero il problema dello sfruttamento dei lavoratori, conseguente alla nuova organizzazione industriale del lavoro, di matrice capitalistica, e il problema, non meno grave, della strumentalizzazione ideologica, socialista e comunista, delle giuste rivendicazioni del mondo del lavoro. All'interno di questo orizzonte storico si collocano le riflessioni e gli ammonimenti dell'enciclica « Rerum novarum » di Leone XIII.
268 La « Rerum novarum » è innanzi tutto un'accorata difesa dell'inalienabile dignità dei lavoratori, alla quale collega l'importanza del diritto di proprietà, del principio di collaborazione tra le classi, dei diritti dei deboli e dei poveri, degli obblighi dei lavoratori e dei datori di lavoro, del diritto di associazione.
Gli orientamenti ideali espressi nell'enciclica rafforzarono l'impegno di animazione cristiana della vita sociale, che si manifestò nella nascita e nel consolidamento di numerose iniziative di alto profilo civile: unioni e centri di studi sociali, associazioni, società operaie, sindacati, cooperative, banche rurali, assicurazioni, opere di assistenza. Tutto ciò diede un notevole impulso alla legislazione del lavoro per la protezione degli operai, soprattutto dei fanciulli e delle donne; all'istruzione e al miglioramento dei salari e dell'igiene.
269 A partire dalla « Rerum novarum », la Chiesa non ha mai smesso di considerare i problemi del lavoro all'interno di una questione sociale che ha assunto progressivamente dimensioni mondiali.583 L'enciclica « Laborem exercens » arricchisce la visione personalista del lavoro caratteristica dei precedenti documenti sociali, indicando la necessità di un approfondimento dei significati e dei compiti che il lavoro comporta, in considerazione del fatto che « sorgono sempre nuovi interrogativi e problemi, nascono sempre nuove speranze, ma anche timori e minacce connesse con questa fondamentale dimensione dell'umano esistere, con la quale la vita dell'uomo è costruita ogni giorno, dalla quale essa attinge la propria specifica dignità, ma nella quale è contemporaneamente contenuta la costante misura dell'umana fatica, della sofferenza e anche del danno e dell'ingiustizia che penetrano profondamente la vita sociale, all'interno delle singole Nazioni e sul piano internazionale ».584 Il lavoro, infatti, « chiave essenziale » 585 di tutta la questione sociale, condiziona lo sviluppo non solo economico, ma anche culturale e morale delle persone, della famiglia, della società e dell'intero genere umano.
III. LA DIGNITÀ DEL LAVORO
a) La dimensione soggettiva e oggettiva del lavoro
270 Il lavoro umano ha una duplice dimensione: oggettiva e soggettiva. In senso oggettivo è l'insieme di attività, risorse, strumenti e tecniche di cui l'uomo si serve per produrre, per dominare la terra, secondo le parole del Libro della Genesi. Il lavoro in senso soggettivo è l'agire dell'uomo in quanto essere dinamico, capace di compiere varie azioni che appartengono al processo del lavoro e che corrispondono alla sua vocazione personale: « L'uomo deve soggiogare la terra, la deve dominare, perché come “immagine di Dio” è una persona, cioè un essere soggettivo capace di agire in modo programmato e razionale, capace di decidere di sé e tendente a realizzare se stesso. Come persona, l'uomo è quindi soggetto del lavoro ».586
Il lavoro in senso oggettivo costituisce l'aspetto contingente dell'attività dell'uomo, che varia incessantemente nelle sue modalità con il mutare delle condizioni tecniche, culturali, sociali e politiche. In senso soggettivo si configura, invece, come la sua dimensione stabile, perché non dipende da quel che l'uomo realizza concretamente né dal genere di attività che esercita, ma solo ed esclusivamente dalla sua dignità di essere personale. La distinzione è decisiva sia per comprendere qual è il fondamento ultimo del valore e della dignità del lavoro, sia in ordine al problema di un'organizzazione dei sistemi economici e sociali rispettosa dei diritti dell'uomo.
271 La soggettività conferisce al lavoro la sua peculiare dignità, che impedisce di considerarlo come una semplice merce o un elemento impersonale dell'organizzazione produttiva. Il lavoro, indipendentemente dal suo minore o maggiore valore oggettivo, è espressione essenziale della persona, è « actus personae ». Qualsiasi forma di materialismo e di economicismo che tentasse di ridurre il lavoratore a mero strumento di produzione, a semplice forza-lavoro, a valore esclusivamente materiale, finirebbe per snaturare irrimediabilmente l'essenza del lavoro, privandolo della sua finalità più nobile e profondamente umana. La persona è il metro della dignità del lavoro: « Non c'è, infatti, alcun dubbio che il lavoro umano abbia un suo valore etico, il quale senza mezzi termini e direttamente rimane legato al fatto che colui che lo compie è una persona ».587
La dimensione soggettiva del lavoro deve avere la preminenza su quella oggettiva, perché è quella dell'uomo stesso che compie il lavoro, determinandone la qualità e il valore più alto. Se manca questa consapevolezza oppure non si vuole riconoscere questa verità, il lavoro perde il suo significato più vero e profondo: in questo caso, purtroppo frequente e diffuso, l'attività lavorativa e le stesse tecniche utilizzate diventano più importanti dell'uomo stesso e, da alleate, si trasformano in nemiche della sua dignità.
272 Il lavoro umano non soltanto procede dalla persona, ma è anche essenzialmente ordinato e finalizzato ad essa. Indipendentemente dal suo contenuto oggettivo, il lavoro deve essere orientato verso il soggetto che lo compie, perché lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro, rimane sempre l'uomo. Anche se non può essere ignorata l'importanza della componente oggettiva del lavoro sotto il profilo della sua qualità, tale componente, tuttavia, va subordinata alla realizzazione dell'uomo, e quindi alla dimensione soggettiva, grazie alla quale è possibile affermare che il lavoro è per l'uomo e non l'uomo per il lavoro e che « lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro eseguito dall'uomo — fosse pure il lavoro più “di servizio”, più monotono, nella scala del comune modo di valutazione, addirittura più emarginante — rimane sempre l'uomo stesso ».588
273 Il lavoro umano possiede anche un'intrinseca dimensione sociale. Il lavoro di un uomo, infatti, si intreccia naturalmente con quello di altri uomini: « Oggi più che mai lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri: è un fare qualcosa per qualcuno ».589 Anche i frutti del lavoro offrono occasione di scambi, di relazioni e d'incontro. Il lavoro, pertanto, non si può valutare giustamente se non si tiene conto della sua natura sociale: « giacché se non sussiste un corpo veramente sociale e organico, se un ordine sociale e giuridico non tutela l'esercizio del lavoro, se le varie parti, le une dipendenti dalle altre, non si collegano fra di loro e mutuamente non si compiono, se, quel che è di più, non si associano, quasi a formare una cosa sola, l'intelligenza, il capitale, il lavoro, l'umana attività non può produrre i suoi frutti, e quindi non si potrà valutare giustamente né retribuire adeguatamente, dove non si tenga conto della sua natura sociale e individuale ».590
274 Il lavoro è anche « un obbligo cioè un dovere dell'uomo ».591 L'uomo deve lavorare sia perché il Creatore gliel'ha ordinato, sia per rispondere alle esigenze di mantenimento e sviluppo della sua stessa umanità. Il lavoro si profila come obbligo morale in relazione al prossimo, che è in primo luogo la propria famiglia, ma anche la società, alla quale si appartiene, la Nazione, della quale si è figli o figlie, l'intera famiglia umana, di cui si è membri: siamo eredi del lavoro di generazioni e insieme artefici del futuro di tutti gli uomini che vivranno dopo di noi.
275 Il lavoro conferma la profonda identità dell'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio: « Diventando — mediante il suo lavoro — sempre di più padrone della terra, e confermando — ancora mediante il lavoro — il suo dominio sul mondo visibile, l'uomo, in ogni caso ed in ogni fase di questo processo, rimane sulla linea di quell'originaria disposizione del Creatore, la quale resta necessariamente e indissolubilmente legata al fatto che l'uomo è stato creato, come maschio e femmina, “a immagine di Dio” ».592 Ciò qualifica l'attività dell'uomo nell'universo: egli non ne è il padrone, ma il fiduciario, chiamato a riflettere nel proprio operare l'impronta di Colui del quale egli è immagine.
b) I rapporti tra lavoro e capitale
276 Il lavoro, per il suo carattere soggettivo o personale, è superiore ad ogni altro fattore di produzione: questo principio vale, in particolare, rispetto al capitale. Oggi, il termine « capitale » ha diverse accezioni: talvolta indica i mezzi materiali di produzione nell'impresa, talvolta le risorse finanziarie impegnate in un'iniziativa produttiva o anche in operazioni nei mercati borsistici. Si parla anche, in modo non del tutto appropriato, di « capitale umano », per significare le risorse umane, cioè gli uomini stessi, in quanto capaci di sforzo lavorativo, di conoscenza, di creatività, di intuizione delle esigenze dei propri simili, di intesa reciproca in quanto membri di un'organizzazione. Ci si riferisce al « capitale sociale » quando si vuole indicare la capacità di collaborazione di una collettività, frutto dell'investimento in legami fiduciari reciproci. Questa molteplicità di significati offre spunti ulteriori per riflettere su cosa possa significare, oggi, il rapporto tra lavoro e capitale.
277 La dottrina sociale ha affrontato i rapporti tra lavoro e capitale, mettendo in evidenza sia la priorità del primo sul secondo, sia la loro complementarità.
Il lavoro ha una priorità intrinseca rispetto al capitale: « Questo principio riguarda direttamente il processo stesso di produzione, in rapporto al quale il lavoro è sempre una causa efficiente primaria, mentre il “capitale” essendo l'insieme dei mezzi di produzione, rimane solo uno strumento o la causa strumentale. Questo principio è verità evidente che risulta da tutta l'esperienza storica dell'uomo ».593 Esso « appartiene al patrimonio stabile della dottrina della Chiesa ».594
Tra lavoro e capitale ci deve essere complementarità: è la stessa logica intrinseca al processo produttivo a dimostrare la necessità della loro reciproca compenetrazione e l'urgenza di dare vita a sistemi economici nei quali l'antinomia tra lavoro e capitale venga superata.595 In tempi in cui, all'interno di un sistema economico meno complesso, il « capitale » e il « lavoro salariato » identificavano con una certa precisione non solo due fattori produttivi, ma anche e soprattutto due concrete classi sociali, la Chiesa affermava che entrambi sono in sé legittimi: 596 « né il capitale può stare senza il lavoro, né il lavoro senza il capitale ».597 Si tratta di una verità che vale anche per il presente, perché « è del tutto falso ascrivere o al solo capitale o al solo lavoro ciò che si ottiene con l'opera unita dell'uno e dell'altro; ed è affatto ingiusto che l'uno arroghi a sé quel che si fa, negando l'efficacia dell'altro ».598
278 Nella considerazione dei rapporti tra lavoro e capitale, soprattutto di fronte alle imponenti trasformazioni dei nostri tempi, si deve ritenere che la « principale risorsa » e il « fattore decisivo » 599 in mano all'uomo è l'uomo stesso, e che « l'integrale sviluppo della persona umana nel lavoro non contraddice, ma piuttosto favorisce la maggiore produttività ed efficacia del lavoro stesso ».600 Il mondo del lavoro, infatti, sta scoprendo sempre di più che il valore del « capitale umano » trova espressione nelle conoscenze dei lavoratori, nella loro disponibilità a tessere relazioni, nella creatività, nell'imprenditorialità di se stessi, nella capacità di affrontare consapevolmente il nuovo, di lavorare insieme e di saper perseguire obiettivi comuni. Si tratta di qualità prettamente personali, che appartengono al soggetto del lavoro più che agli aspetti oggettivi, tecnici, operativi del lavoro stesso. Tutto questo comporta una prospettiva nuova nei rapporti tra lavoro e capitale: si può affermare che, contrariamente a quanto accadeva nella vecchia organizzazione del lavoro dove il soggetto finiva per venire appiattito sull'oggetto, sulla macchina, al giorno d'oggi la dimensione soggettiva del lavoro tende ad essere più decisiva e importante di quella oggettiva.
279 Il rapporto tra lavoro e capitale presenta spesso i tratti della conflittualità, che assume caratteri nuovi con il mutare dei contesti sociali ed economici. Ieri, il conflitto tra capitale e lavoro era originato, soprattutto, « dal fatto che i lavoratori mettevano le loro forze a disposizione del gruppo degli imprenditori, e che questo, guidato dal principio del massimo profitto della produzione, cercava di stabilire il salario più basso possibile per il lavoro eseguito dagli operai ».601 Attualmente, il conflitto presenta aspetti nuovi e, forse, più preoccupanti: i progressi scientifici e tecnologici e la mondializzazione dei mercati, di per sé fonte di sviluppo e di progresso, espongono i lavoratori al rischio di essere sfruttati dagli ingranaggi dell'economia e dalla ricerca sfrenata di produttività.602
280 Non si deve erroneamente ritenere che il processo di superamento della dipendenza del lavoro dalla materia sia capace di per sé di superare l'alienazione sul lavoro e del lavoro. Il riferimento non è solo alle tante sacche di non lavoro, di lavoro nero, di lavoro minorile, di lavoro sottopagato, di lavoro sfruttato, che ancora persistono, ma anche alle nuove forme, molto più sottili, di sfruttamento dei nuovi lavori, al super-lavoro, al lavoro- carriera che talvolta ruba spazio a dimensioni altrettanto umane e necessarie per la persona, all'eccessiva flessibilità del lavoro che rende precaria e talvolta impossibile la vita familiare, alla modularità lavorativa che rischia di avere pesanti ripercussioni sulla percezione unitaria della propria esistenza e sulla stabilità delle relazioni familiari. Se l'uomo è alienato quando inverte mezzi e fini, anche nel nuovo contesto di lavoro immateriale, leggero, qualitativo più che quantitativo, si possono dare elementi di alienazione « a seconda che cresca la ... partecipazione [dell'uomo] in un'autentica comunità solidale, oppure cresca il suo isolamento in un complesso di relazioni di esasperata competitività e di reciproca estraniazione ».603
c) Il lavoro, titolo di partecipazione
281 Il rapporto tra lavoro e capitale trova espressione anche attraverso la partecipazione dei lavoratori alla proprietà, alla sua gestione, ai suoi frutti. È questa un'esigenza troppo spesso trascurata, che occorre invece valorizzare al meglio: « ognuno, in base al proprio lavoro, abbia il pieno titolo di considerarsi al tempo stesso il “comproprietario” del grande banco di lavoro, al quale s'impegna insieme con tutti. E una via verso tale traguardo potrebbe essere quella di associare, per quanto è possibile, il lavoro alla proprietà del capitale e di dar vita a una ricca gamma di corpi intermedi a finalità economiche, sociali, culturali: corpi che godano di una effettiva autonomia nei confronti dei pubblici poteri, che perseguano i loro specifici obiettivi in rapporti di leale collaborazione vicendevole, subordinatamente alle esigenze del bene comune, e che presentino forma e sostanza di una viva comunità, cioè che in essi i rispettivi membri siano considerati e trattati come persone e stimolati a prendere parte attiva alla loro vita ».604 La nuova organizzazione del lavoro, in cui il sapere conta di più della sola proprietà dei mezzi di produzione, attesta in maniera concreta che il lavoro, a motivo del suo carattere soggettivo, è titolo di partecipazione: è indispensabile ancorarsi a questa consapevolezza per valutare la giusta posizione del lavoro nel processo produttivo e per trovare modalità di partecipazione consone alla soggettività del lavoro nelle peculiarità delle varie situazioni concrete.605
d) Rapporto tra lavoro e proprietà privata
282 Il Magistero sociale della Chiesa articola il rapporto tra lavoro e capitale anche rispetto all'istituto della proprietà privata, al relativo diritto e all'uso di questa. Il diritto alla proprietà privata è subordinato al principio della destinazione universale dei beni e non deve costituire motivo di impedimento al lavoro e allo sviluppo altrui. La proprietà, che si acquista anzitutto mediante il lavoro, deve servire al lavoro. Ciò vale in modo particolare per il possesso dei mezzi di produzione; ma tale principio concerne anche i beni propri del mondo finanziario, tecnico, intellettuale, personale.
I mezzi di produzione « non possono essere posseduti contro il lavoro, non possono essere neppure posseduti per possedere ».606 Il loro possesso diventa illegittimo quando la proprietà « non viene valorizzata o serve ad impedire il lavoro di altri, per ottenere un guadagno che non nasce dall'espansione globale del lavoro e della ricchezza sociale, ma piuttosto dalla loro compressione, dall'illecito sfruttamento, dalla speculazione e dalla rottura della solidarietà nel mondo del lavoro ».607
283 La proprietà privata e pubblica nonché i vari meccanismi del sistema economico devono essere predisposti per un'economia a servizio dell'uomo, in modo che contribuiscano ad attuare il principio della destinazione universale dei beni. In tale prospettiva diventa rilevante la questione relativa alla proprietà e all'uso delle nuove tecnologie e conoscenze, che costituiscono, nel nostro tempo, un'altra forma particolare di proprietà, di importanza non inferiore a quella della terra e del capitale.608 Tali risorse, come tutti gli altri beni, hanno una destinazione universale; anch'esse vanno inserite in un contesto di norme giuridiche e di regole sociali che ne garantiscano un uso ispirato a criteri di giustizia, di equità e di rispetto dei diritti dell'uomo. I nuovi saperi e le tecnologie, grazie alle loro enormi potenzialità, possono dare un contributo decisivo alla promozione del progresso sociale, ma rischiano di divenire fonte di disoccupazione e di allargare il distacco tra zone sviluppate e zone di sottosviluppo, se rimangono accentrati nei Paesi più ricchi o nelle mani di ristretti gruppi di potere.
e) Il riposo festivo
284 Il riposo festivo è un diritto.609 Dio « cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro » (Gen 2,2): anche gli uomini, creati a Sua immagine, devono godere di sufficiente riposo e tempo libero che permetta loro di curare la vita familiare, culturale, sociale e religiosa.610 A ciò contribuisce l'istituzione del giorno del Signore.611 I credenti, durante la domenica e negli altri giorni festivi di precetto, devono astenersi da « lavori o attività che impediscano il culto dovuto a Dio, la letizia propria del giorno del Signore, la pratica delle opere di misericordia e la necessaria distensione della mente e del corpo ».612 Necessità familiari o esigenze di utilità sociale possono legittimamente esentare dal riposo domenicale, ma non devono creare abitudini pregiudizievoli per la religione, la vita di famiglia e la salute.
285 La domenica è un giorno da santificare con un'operosa carità, riservando attenzioni alla famiglia e ai parenti, come anche ai malati, agli infermi, agli anziani; né si devono dimenticare quei « fratelli che hanno i medesimi bisogni e i medesimi diritti e non possono riposarsi a causa della povertà e della miseria »; 613 inoltre è un tempo propizio per la riflessione, il silenzio, lo studio, che favoriscano la crescita della vita interiore e cristiana. I credenti dovranno distinguersi, anche in questo giorno, per la loro moderazione, evitando tutti gli eccessi e le violenze che spesso caratterizzano i divertimenti di massa.614 Il giorno del Signore deve sempre essere vissuto come il giorno della liberazione, che fa partecipare « all'adunanza festosa e all'assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli » (Eb 12,22-23) e anticipa la celebrazione della Pasqua definitiva nella gloria del cielo.615
286 Le autorità pubbliche hanno il dovere di vigilare affinché ai cittadini non sia sottratto, per motivi di produttività economica, un tempo destinato al riposo e al culto divino. I datori di lavoro hanno un obbligo analogo nei confronti dei loro dipendenti.616 I cristiani si devono adoperare, nel rispetto della libertà religiosa e del bene comune di tutti, affinché le leggi riconoscano le domeniche e le altre solennità liturgiche come giorni festivi: « Spetta a loro offrire a tutti un esempio pubblico di preghiera, di rispetto e di gioia e difendere le loro tradizioni come un prezioso contributo alla vita spirituale della società umana ».617 Ogni cristiano dovrà « evitare di imporre, senza necessità, ad altri ciò che impedirebbe loro di osservare il giorno del Signore ».618
IV. IL DIRITTO AL LAVORO
a) Il lavoro è necessario
287 Il lavoro è un diritto fondamentale ed è un bene per l'uomo: 619 un bene utile, degno di lui perché adatto appunto ad esprimere e ad accrescere la dignità umana. La Chiesa insegna il valore del lavoro non solo perché esso è sempre personale, ma anche per il carattere di necessità.620 Il lavoro è necessario per formare e mantenere una famiglia,621 per avere diritto alla proprietà,622 per contribuire al bene comune della famiglia umana.623 La considerazione delle implicazioni morali che la questione del lavoro comporta nella vita sociale induce la Chiesa ad additare la disoccupazione come una « vera calamità sociale » ,624 soprattutto in relazione alle giovani generazioni.
288 Il lavoro è un bene di tutti, che deve essere disponibile per tutti coloro che ne sono capaci. La « piena occupazione » è, pertanto, un obiettivo doveroso per ogni ordinamento economico orientato alla giustizia e al bene comune. Una società in cui il diritto al lavoro sia vanificato o sistematicamente negato e in cui le misure di politica economica non consentano ai lavoratori di raggiungere livelli soddisfacenti di occupazione, « non può conseguire né la sua legittimazione etica né la pace sociale ».625 Un ruolo importante e, dunque, una responsabilità specifica e grave appartengono, in questo ambito, al « datore di lavoro indiretto »,626 ossia a quei soggetti — persone o istituzioni di vario tipo — che sono in grado di orientare, a livello nazionale o internazionale, la politica del lavoro e dell'economia.
289 La capacità progettuale di una società orientata verso il bene comune e proiettata verso il futuro si misura anche e soprattutto sulla base delle prospettive di lavoro che essa è in grado di offrire. L'alto tasso di disoccupazione, la presenza di sistemi di istruzione obsoleti e di perduranti difficoltà nell'accesso alla formazione e al mercato del lavoro costituiscono, per molti giovani soprattutto, un forte ostacolo sulla strada della realizzazione umana e professionale. Chi è disoccupato o sottoccupato, infatti, subisce le conseguenze profondamente negative che tale condizione determina nella personalità e rischia di essere posto ai margini della società, di diventare una vittima dell'esclusione sociale.627 È questo un dramma che colpisce, in genere, oltre ai giovani, le donne, i lavoratori meno specializzati, i disabili, gli immigrati, gli ex-carcerati, gli analfabeti, tutti i soggetti che trovano maggiori difficoltà nella ricerca di una collocazione nel mondo del lavoro.
290 Il mantenimento dell'occupazione dipende sempre di più dalle capacità professionali.628 Il sistema di istruzione e di educazione non deve trascurare la formazione umana e tecnica, necessaria per svolgere con profitto le mansioni richieste. La sempre più diffusa necessità di cambiare varie volte impiego, nell'arco della vita, impone al sistema educativo di favorire la disponibilità delle persone ad un aggiornamento e riqualificazione permanenti. I giovani devono apprendere ad agire autonomamente, diventare capaci di assumersi responsabilmente il compito di affrontare con competenze adeguate i rischi legati ad un contesto economico mobile e spesso imprevedibile nei suoi scenari evolutivi.629 È altrettanto indispensabile l'offerta di opportune occasioni formative agli adulti in cerca di riqualificazione e ai disoccupati. Più in generale, il percorso lavorativo delle persone deve trovare nuove forme concrete di sostegno, a cominciare proprio dal sistema formativo, così che sia meno difficile attraversare fasi di cambiamento, di incertezza, di precarietà.
b) Il ruolo dello Stato e della società civile nella promozione del diritto al lavoro
291 I problemi dell'occupazione chiamano in causa le responsabilità dello Stato, al quale compete il dovere di promuovere politiche attive del lavoro, cioè tali da favorire la creazione di opportunità lavorative all'interno del territorio nazionale, incentivando a questo scopo il mondo produttivo. Il dovere dello Stato non consiste tanto nell'assicurare direttamente il diritto al lavoro di tutti i cittadini, irreggimentando l'intera vita economica e mortificando la libera iniziativa dei singoli, quanto piuttosto nell'« assecondare l'attività delle imprese, creando condizioni che assicurino occasioni di lavoro, stimolandola ove essa risulti insufficiente o sostenendola nei momenti di crisi ».630
292 Di fronte alle dimensioni planetarie rapidamente assunte dalle relazioni economico-finanziarie e dal mercato del lavoro, si deve promuovere un'efficace collaborazione internazionale tra gli Stati, mediante trattati, accordi e piani di azione comuni che salvaguardino il diritto al lavoro anche nelle fasi più critiche del ciclo economico, a livello nazionale ed internazionale. Bisogna avere consapevolezza del fatto che il lavoro umano è un diritto da cui dipendono direttamente la promozione della giustizia sociale e della pace civile. Importanti compiti in questa direzione spettano alle Organizzazioni internazionali e a quelle sindacali: collegandosi nelle forme più opportune, esse si devono impegnare, prima di tutto, a tessere « una trama sempre più fitta di disposizioni giuridiche che proteggono il lavoro degli uomini, delle donne, dei giovani, e gli assicurano una conveniente retribuzione ».631
293 Per la promozione del diritto al lavoro è importante, oggi come ai tempi della « Rerum novarum », che vi sia un « libero processo di auto-organizzazione della società ».632 Significative testimonianze ed esempi di auto- organizzazione si possono rintracciare nelle numerose iniziative, imprenditoriali e sociali, caratterizzate da forme di partecipazione, di cooperazione e di autogestione, che rivelano la fusione di energie solidali. Esse si offrono al mercato come un variegato settore di attività lavorative che si distinguono per un'attenzione particolare nei confronti della componente relazionale dei beni prodotti e dei servizi erogati in molteplici ambiti: istruzione, tutela della salute, servizi sociali di base, cultura. Le iniziative del cosiddetto « terzo settore » costituiscono un'opportunità sempre più rilevante di sviluppo del lavoro e dell'economia.
c) La famiglia e il diritto al lavoro
294 Il lavoro è « il fondamento su cui si forma la vita familiare, la quale è un diritto naturale ed una vocazione dell'uomo »: 633 esso assicura i mezzi di sussistenza e garantisce il processo educativo dei figli.634 Famiglia e lavoro, così strettamente interdipendenti nell'esperienza della grande maggioranza delle persone, meritano finalmente una considerazione più adeguata alla realtà, un'attenzione che li comprenda insieme, senza i limiti di una concezione privatistica della famiglia ed economicistica del lavoro. A questo riguardo, è necessario che le imprese, le organizzazioni professionali, i sindacati e lo Stato si rendano promotori di politiche del lavoro che non penalizzino, ma favoriscano il nucleo familiare dal punto di vista occupazionale. La vita di famiglia e il lavoro, infatti, si condizionano reciprocamente in vario modo. Il pendolarismo, il doppio lavoro e la fatica fisica e psicologica riducono il tempo dedicato alla vita familiare; 635 le situazioni di disoccupazione hanno ripercussioni materiali e spirituali sulle famiglie, così come le tensioni e le crisi familiari influiscono negativamente sugli atteggiamenti e sul rendimento in campo lavorativo.
d) Le donne e il diritto al lavoro
295 Il genio femminile è necessario in tutte le espressioni della vita sociale, perciò va garantita la presenza delle donne anche in ambito lavorativo. Il primo indispensabile passo in tale direzione è la concreta possibilità di accesso alla formazione professionale. Il riconoscimento e la tutela dei diritti delle donne nel contesto lavorativo dipendono, in generale, dall'organizzazione del lavoro, che deve tener conto della dignità e della vocazione della donna, la cui « vera promozione... esige che il lavoro sia strutturato in tal modo che essa non debba pagare la sua promozione con l'abbandono della famiglia, nella quale ha come madre un ruolo insostituibile »636. È una questione su cui si misurano la qualità della società e l'effettiva tutela del diritto al lavoro delle donne.
La persistenza di molte forme di discriminazione offensive della dignità e vocazione della donna nella sfera del lavoro è dovuta ad una lunga serie di condizionamenti penalizzanti per la donna, che è stata ed è ancora « travisata nelle sue prerogative, non di rado emarginata e persino ridotta in schiavitù ».637 Queste difficoltà, purtroppo, non sono superate, come dimostrano ovunque le diverse situazioni che avviliscono le donne, assoggettandole anche a forme di vero e proprio sfruttamento. L'urgenza di un effettivo riconoscimento dei diritti delle donne nel lavoro si avverte specialmente sotto l'aspetto retributivo, assicurativo e previdenziale.638
e) Lavoro minorile
296 Il lavoro minorile, nelle sue forme intollerabili, costituisce un tipo di violenza meno appariscente di altri, ma non per questo meno terribile.639 Una violenza che, al di là di tutte le implicazioni politiche, economiche e giuridiche, resta essenzialmente un problema morale. Questo l'ammonimento di Leone XIII: « Quanto ai fanciulli si badi a non ammetterli nelle officine prima che l'età ne abbia sufficientemente sviluppate le forze fisiche, intellettuali e morali. Le forze, che nella puerizia sbocciano simili all'erba in fiore, un movimento precoce le sciupa, e allora si rende impossibile la stessa educazione dei fanciulli ».640 La piaga del lavoro minorile, ad oltre cento anni di distanza, non è stata ancora debellata.
Pur nella consapevolezza che, almeno per ora, in certi Paesi il contributo portato dal lavoro dei bambini al bilancio familiare e alle economie nazionali è irrinunciabile e che, comunque, alcune forme di lavoro, svolte a tempo parziale, possono essere fruttuose per i bambini stessi, la dottrina sociale denuncia l'aumento dello « sfruttamento lavorativo dei minori in condizioni di vera schiavitù ».641 Tale sfruttamento costituisce una grave violazione della dignità umana di cui ogni individuo, « per piccolo o apparentemente insignificante che sia in termini di utilità »,642 è portatore.
f) L'emigrazione e il lavoro
297 L'immigrazione può essere una risorsa, anziché un ostacolo per lo sviluppo. Nel mondo attuale, in cui si aggrava lo squilibrio fra Paesi ricchi e Paesi poveri e in cui lo sviluppo delle comunicazioni riduce rapidamente le distanze, crescono le migrazioni di persone in cerca di migliori condizioni di vita, provenienti dalle zone meno favorite della terra: il loro arrivo nei Paesi sviluppati è spesso percepito come una minaccia per gli elevati livelli di benessere raggiunti grazie a decenni di crescita economica. Gli immigrati, tuttavia, nella maggioranza dei casi, rispondono a una domanda di lavoro che altrimenti resterebbe insoddisfatta, in settori e in territori nei quali la manodopera locale è insufficiente o non disposta a fornire il proprio contributo lavorativo.
298 Le istituzioni dei Paesi ospiti devono vigilare accuratamente affinché non si diffonda la tentazione di sfruttare la manodopera straniera, privandola dei diritti garantiti ai lavoratori nazionali, che devono essere assicurati a tutti senza discriminazioni. La regolamentazione dei flussi migratori secondo criteri di equità e di equilibrio643 è una delle condizioni indispensabili per ottenere che gli inserimenti avvengano con le garanzie richieste dalla dignità della persona umana. Gli immigrati devono essere accolti in quanto persone e aiutati, insieme alle loro famiglie, ad integrarsi nella vita sociale.644 In tale prospettiva va rispettato e promosso il diritto al ricongiungimento familiare.645 Nello stesso tempo, per quanto è possibile, vanno favorite tutte quelle condizioni che consentono accresciute possibilità di lavoro nelle proprie zone di origine.646
g) Il mondo agricolo e il diritto al lavoro
299 Una particolare attenzione merita il lavoro agricolo, per il ruolo sociale, culturale ed economico che esso mantiene nei sistemi economici di molti Paesi, per i numerosi problemi che deve affrontare nel contesto di un'economia sempre più globalizzata, per la sua importanza crescente nella salvaguardia dell'ambiente naturale: « sono dunque necessari cambiamenti radicali ed urgenti per ridare all'agricoltura — ed agli uomini dei campi — il giusto valore come base di una sana economia, nell'insieme dello sviluppo della comunità sociale ».647
I profondi e radicali mutamenti in atto a livello sociale e culturale, anche nell'agricoltura e nel più vasto mondo rurale, ripropongono con urgenza un approfondimento sul significato del lavoro agricolo nelle sue molteplici dimensioni. Si tratta di una sfida di notevole importanza, che va affrontata con politiche agricole e ambientali capaci di superare una certa concezione residuale e assistenziale e di elaborare nuove prospettive per un'agricoltura moderna, in grado di svolgere un ruolo significativo nella vita sociale ed economica.
300 In alcuni Paesi è indispensabile una ridistribuzione della terra, nell'ambito di efficaci politiche di riforma agraria, al fine di superare l'impedimento che il latifondo improduttivo, condannato dalla dottrina sociale della Chiesa,648 frappone ad un autentico sviluppo economico: « I Paesi in via di sviluppo possono contrastare efficacemente l'attuale processo di concentrazione della proprietà della terra se affrontano alcune situazioni che si connotano come veri e propri nodi strutturali. Tali sono le carenze e i ritardi a livello legislativo in tema di riconoscimento del titolo di proprietà della terra e in relazione al mercato del credito; il disinteresse per la ricerca e la formazione in agricoltura; la negligenza a proposito di servizi sociali e di infrastrutture nelle aree rurali ».649 La riforma agraria diventa pertanto, oltre che una necessità politica, un obbligo morale, dato che la sua mancata attuazione ostacola in questi Paesi gli effetti benefici derivanti dall'apertura dei mercati e, in genere, da quelle proficue occasioni di crescita che la globalizzazione in atto può offrire.650
V. DIRITTI DEI LAVORATORI
a) Dignità dei lavoratori e rispetto dei loro diritti
301 I diritti dei lavoratori, come tutti gli altri diritti, si basano sulla natura della persona umana e sulla sua trascendente dignità. Il Magistero sociale della Chiesa ha ritenuto di elencarne alcuni, auspicandone il riconoscimento negli ordinamenti giuridici: il diritto ad una giusta remunerazione; 651 il diritto al riposo; 652 il diritto « ad ambienti di lavoro ed a processi produttivi che non rechino pregiudizio alla sanità fisica dei lavoratori e non ledano la loro integrità morale »; 653 il diritto che venga salvaguardata la propria personalità sul luogo di lavoro, « senza essere violati in alcun modo nella propria coscienza o nella propria dignità »; 654 il diritto a convenienti sovvenzioni indispensabili per la sussistenza dei lavoratori disoccupati e delle loro famiglie; 655 il diritto alla pensione nonché all'assicurazione per la vecchiaia, la malattia e in caso di incidenti collegati alla prestazione lavorativa; 656 il diritto a provvedimenti sociali collegati alla maternità; 657 il diritto di riunirsi e di associarsi.658 Tali diritti vengono spesso offesi, come confermano i tristi fenomeni del lavoro sottopagato, privo di tutela o non rappresentato in maniera adeguata. Spesso accade che le condizioni di lavoro per uomini, donne e bambini, specie nei Paesi in via di sviluppo, siano talmente inumane da offendere la loro dignità e nuocere alla loro salute.
b) Il diritto all'equa remunerazione e distribuzione del reddito
302 La remunerazione è lo strumento più importante per realizzare la giustizia nei rapporti di lavoro.659 Il « giusto salario è il frutto legittimo del lavoro »; 660 commette grave ingiustizia chi lo rifiuta o non lo dà a tempo debito e in equa proporzione al lavoro svolto (cfr. Lv 19,13; Dt 24,14-15; Gc 5,4). Il salario è lo strumento che permette al lavoratore di accedere ai beni della terra: « il lavoro va ricompensato in misura tale da garantire all'uomo la possibilità di disporre dignitosamente la vita materiale, sociale, culturale e spirituale sua e dei suoi, in relazione ai compiti e al rendimento di ognuno, alle condizioni dell'azienda e al bene comune ».661 Il semplice accordo tra lavoratore e datore di lavoro circa l'entità della remunerazione non basta per qualificare « giusta » la remunerazione concordata, perché essa « non deve essere inferiore al sostentamento »662 del lavoratore: la giustizia naturale è anteriore e superiore alla libertà del contratto.
303 Il benessere economico di un Paese non si misura esclusivamente sulla quantità di beni prodotti, ma anche tenendo conto del modo in cui essi vengono prodotti e del grado di equità nella distribuzione del reddito, che a tutti dovrebbe consentire di avere a disposizione ciò che serve allo sviluppo e al perfezionamento della propria persona. Un'equa distribuzione del reddito va perseguita sulla base di criteri non solo di giustizia commutativa, ma anche di giustizia sociale, considerando cioè, oltre al valore oggettivo delle prestazioni lavorative, la dignità umana dei soggetti che le compiono. Un benessere economico autentico si persegue anche attraverso adeguate politiche sociali di ridistribuzione del reddito che, tenendo conto delle condizioni generali, considerino opportunamente i meriti e i bisogni di ogni cittadino.
c) Il diritto di sciopero
304 La dottrina sociale riconosce la legittimità dello sciopero « quando appare lo strumento inevitabile, o quanto meno necessario, in vista di un vantaggio proporzionato »,663 dopo che si sono rivelate inefficaci tutte le altre modalità di superamento dei conflitti.664 Lo sciopero, una delle conquiste più travagliate dell'associazionismo sindacale, può essere definito come il rifiuto collettivo e concertato, da parte dei lavoratori, di svolgere le loro prestazioni, allo scopo di ottenere, per mezzo della pressione così esercitata sui datori di lavoro, sullo Stato e sull'opinione pubblica, migliori condizioni di lavoro e della loro situazione sociale. Anche lo sciopero, per quanto si profili « come... una specie di ultimatum »,665 deve essere sempre un metodo pacifico di rivendicazione e di lotta per i propri diritti; esso diventa « moralmente inaccettabile allorché è accompagnato da violenze oppure gli si assegnano obiettivi non direttamente connessi con le condizioni di lavoro o in contrasto con il bene comune ».666
VI. SOLIDARIETÀ TRA I LAVORATORI
a) L'importanza dei sindacati
305 Il Magistero riconosce il ruolo fondamentale svolto dai sindacati dei lavoratori, la cui ragion d'essere consiste nel diritto dei lavoratori a formare associazioni o unioni per difendere gli interessi vitali degli uomini impiegati nei vari lavori. I sindacati « sono cresciuti sulla base della lotta dei lavoratori, del mondo del lavoro e, prima di tutto, dei lavoratori industriali, per la tutela dei loro giusti diritti nei confronti degli imprenditori e dei proprietari dei mezzi di produzione ».667 Le organizzazioni sindacali, perseguendo il loro fine specifico al servizio del bene comune, sono un fattore costruttivo di ordine sociale e di solidarietà e quindi un elemento indispensabile della vita sociale. Il riconoscimento dei diritti del lavoro costituisce da sempre un problema di difficile soluzione, perché si attua all'interno di processi storici e istituzionali complessi, e ancora oggi si può dire incompiuto. Ciò rende più che mai attuale e necessario l'esercizio di un'autentica solidarietà tra i lavoratori.
306 La dottrina sociale insegna che i rapporti all'interno del mondo del lavoro vanno improntati alla collaborazione: l'odio e la lotta per eliminare l'altro costituiscono metodi del tutto inaccettabili, anche perché, in ogni sistema sociale, sono indispensabili al processo di produzione tanto il lavoro quanto il capitale. Alla luce di questa concezione, la dottrina sociale « non ritiene che i sindacati costituiscano solamente il riflesso della struttura “di classe” della società e che siano l'esponente della lotta di classe, che inevitabilmente governa la vita sociale ».668 I sindacati sono propriamente i promotori della lotta per la giustizia sociale, per i diritti degli uomini del lavoro, nelle loro specifiche professioni: « Questa “lotta” deve essere vista come un normale adoperarsi “per” il giusto bene; [...] non è una lotta “contro” gli altri ».669 Il sindacato, essendo anzitutto strumento di solidarietà e di giustizia, non può abusare degli strumenti di lotta; in ragione della sua vocazione, deve vincere le tentazioni del corporativismo, sapersi autoregolamentare e valutare le conseguenze delle proprie scelte rispetto all'orizzonte del bene comune.670
307 Al sindacato, oltre alle funzioni difensive e rivendicative, competono sia una rappresentanza finalizzata ad « organizzare nel giusto ordine la vita economica »,671 sia l'educazione della coscienza sociale dei lavoratori, affinché essi si sentano parte attiva, secondo le capacità e le attitudini di ciascuno, in tutta l'opera dello sviluppo economico e sociale e della costruzione del bene comune universale. Il sindacato e le altre forme di associazionismo dei lavoratori devono assumersi una funzione di collaborazione con gli altri soggetti sociali ed interessarsi alla gestione della cosa pubblica. Le organizzazioni sindacali hanno il dovere di influenzare il potere politico, così da sensibilizzarlo debitamente ai problemi del lavoro e da impegnarlo a favorire la realizzazione dei diritti dei lavoratori. I sindacati, tuttavia, non hanno il carattere di « partiti politici » che lottano per il potere, e non devono neppure essere sottoposti alle decisioni dei partiti politici o avere con essi dei legami troppo stretti: « in una tale situazione essi perdono facilmente il contatto con ciò che è il loro compito specifico, che è quello di assicurare i giusti diritti degli uomini del lavoro nel quadro del bene comune dell'intera società, e diventano, invece, uno strumento per altri scopi ».672
b) Nuove forme di solidarietà
308 Il contesto socio-economico odierno, caratterizzato da processi di globalizzazione economico-finanziaria sempre più rapidi, spinge i sindacati a rinnovarsi. Oggi i sindacati sono chiamati ad agire in forme nuove,673 ampliando il raggio della propria azione di solidarietà in modo che siano tutelati, oltre alle categorie lavorative tradizionali, i lavoratori con contratti atipici o a tempo determinato; i lavoratori il cui impiego è messo in pericolo dalle fusioni di imprese che sempre più frequentemente avvengono, anche a livello internazionale; coloro che non hanno un'occupazione, gli immigrati, i lavoratori stagionali, coloro che per mancanza di aggiornamento professionale sono stati espulsi dal mercato del lavoro e non vi possono rientrare senza adeguati corsi di riqualificazione.
Di fronte ai cambiamenti intervenuti nel mondo del lavoro, la solidarietà potrà essere recuperata e forse anche meglio fondata rispetto al passato se si opera per una riscoperta del valore soggettivo del lavoro: « bisogna continuare a interrogarsi circa il soggetto del lavoro e le condizioni in cui egli vive ». Per questo, « sono necessari sempre nuovi movimenti di solidarietà degli uomini del lavoro e di solidarietà con gli uomini del lavoro ».674
309 Perseguendo « nuove forme di solidarietà »,675 le associazioni dei lavoratori devono orientarsi verso l'assunzione di maggiori responsabilità, non soltanto in relazione ai tradizionali meccanismi della ridistribuzione, ma anche nei confronti della produzione della ricchezza e della creazione di condizioni sociali, politiche e culturali che consentano a tutti coloro che possono e desiderano lavorare di esercitare il loro diritto al lavoro, nel pieno rispetto della loro dignità di lavoratori. Il superamento graduale del modello organizzativo basato sul lavoro salariato nella grande impresa rende opportuno, inoltre, un aggiornamento delle norme e dei sistemi di sicurezza sociale, mediante i quali i lavoratori sono stati finora tutelati, fatti salvi i loro fondamentali diritti.
VII. LE « RES NOVAE » DEL MONDO DEL LAVORO
a) Una fase di transizione epocale
310 Uno degli stimoli più significativi all'attuale cambiamento dell'organizzazione del lavoro è dato dal fenomeno della globalizzazione, che consente di sperimentare nuove forme di produzione, con la dislocazione degli impianti in aree diverse da quelle in cui vengono assunte le decisioni strategiche e lontane dai mercati di consumo. Due sono i fattori che danno impulso a questo fenomeno: la straordinaria velocità di comunicazione senza limiti di spazio e di tempo e la relativa facilità di trasportare merci e persone da una parte all'altra del globo. Ciò comporta una conseguenza fondamentale sui processi produttivi: la proprietà è sempre più lontana, spesso indifferente agli effetti sociali delle scelte che compie. D'altro canto, se è vero che la globalizzazione, a priori, non è buona o cattiva in sé, ma dipende dall'uso che l'uomo ne fa,676 si deve affermare che è necessaria una globalizzazione delle tutele, dei diritti minimi essenziali, dell'equità.
311 Una delle caratteristiche più rilevanti della nuova organizzazione del lavoro è la frammentazione fisica del ciclo produttivo, promossa per conseguire una maggiore efficienza e maggiori profitti. In questa prospettiva, le tradizionali coordinate spazio-tempo entro le quali si configurava il ciclo produttivo subiscono una trasformazione senza precedenti, che determina un cambiamento nella struttura stessa del lavoro. Tutto ciò ha conseguenze rilevanti nella vita dei singoli e delle comunità, sottoposti a cambiamenti radicali sia sul piano delle condizioni materiali, sia su quello culturale e dei valori. Questo fenomeno sta coinvolgendo, a livello globale e locale, milioni di persone, indipendentemente dalla professione che svolgono, dalla loro condizione sociale, dalla preparazione culturale. La riorganizzazione del tempo, la sua regolarizzazione e i cambiamenti in atto nell'uso dello spazio — paragonabili, per la loro entità, alla prima rivoluzione industriale, in quanto coinvolgono tutti i settori produttivi, in tutti i continenti, a prescindere dal loro grado di sviluppo — sono da considerarsi, pertanto, una sfida decisiva, anche a livello etico e culturale, nel campo della definizione di un sistema rinnovato di tutela del lavoro.
312 La globalizzazione dell'economia, con la liberalizzazione dei mercati, l'accentuarsi della concorrenza, l'accrescersi di imprese specializzate nel fornire prodotti e servizi, richiede maggiore flessibilità nel mercato del lavoro e nell'organizzazione e gestione dei processi produttivi. Nella valutazione di questa delicata materia, sembra opportuno riservare una maggiore attenzione morale, culturale e progettuale nell'orientare l'agire sociale e politico sulle tematiche connesse all'identità e ai contenuti del nuovo lavoro, in un mercato e in una economia essi stessi nuovi. I mutamenti del mercato del lavoro sono spesso, infatti, un effetto del cambiamento del lavoro stesso e non una sua causa.
313 Il lavoro, soprattutto all'interno dei sistemi economici dei Paesi più sviluppati, attraversa una fase che segna il passaggio da un'economia di tipo industriale ad un'economia essenzialmente centrata sui servizi e sull'innovazione tecnologica. Accade cioè che i servizi e le attività caratterizzate da un forte contenuto informativo crescono in modo più rapido rispetto a quelle dei tradizionali settori primario e secondario, con conseguenze di ampia portata nell'organizzazione della produzione e degli scambi, nel contenuto e nella forma delle prestazioni lavorative e nei sistemi di protezione sociale.
Grazie alle innovazioni tecnologiche, il mondo del lavoro si arricchisce di professioni nuove, mentre altre scompaiono. Nell'attuale fase di transizione, infatti, si assiste ad un continuo passaggio di occupati dall'industria ai servizi. Mentre perde terreno il modello economico e sociale legato alla grande fabbrica e al lavoro di una classe operaia omogenea, migliorano le prospettive occupazionali nel terziario e aumentano, in particolare, le attività lavorative nel comparto dei servizi alla persona, delle prestazioni part time, interinali e « atipiche », ossia forme di lavoro che non sono inquadrabili né come lavoro dipendente né come lavoro autonomo.
314 La transizione in atto segna il passaggio dal lavoro dipendente a tempo indeterminato, inteso come posto fisso, a un percorso lavorativo caratterizzato da una pluralità di attività lavorative; da un mondo del lavoro compatto, definito e riconosciuto, a un universo di lavori, variegato, fluido, ricco di promesse, ma anche carico di interrogativi preoccupanti, specie di fronte alla crescente incertezza circa le prospettive occupazionali, a fenomeni persistenti di disoccupazione strutturale, all'inadeguatezza degli attuali sistemi di sicurezza sociale. Le esigenze della competizione, della innovazione tecnologica e della complessità dei flussi finanziari vanno armonizzate con la difesa del lavoratore e dei suoi diritti.
L'insicurezza e la precarietà non riguardano soltanto la condizione lavorativa degli uomini che vivono nei Paesi più sviluppati, ma investono anche, e soprattutto, le realtà economicamente meno avanzate del pianeta, i Paesi in via di sviluppo e i Paesi con economie in transizione. Questi ultimi, oltre ai complessi problemi connessi al cambiamento dei modelli economici e produttivi, devono affrontare quotidianamente le difficili esigenze che provengono dalla globalizzazione in atto. La situazione risulta particolarmente drammatica per il mondo del lavoro, investito da vasti e radicali cambiamenti culturali e strutturali, in contesti spesso privi di supporti legislativi, formativi e di assistenza sociale.
315 Il decentramento produttivo, che assegna alle aziende minori molteplici compiti, in precedenza concentrati nelle grandi unità produttive, fa acquistare vigore e imprime nuovo slancio alle piccole e medie imprese. Emergono così, accanto all'artigianato tradizionale, nuove imprese caratterizzate da piccole unità produttive operanti in settori di produzione moderni oppure in attività decentrate dalle aziende maggiori. Molte attività che ieri richiedevano lavoro dipendente, oggi sono realizzate in forme nuove, che favoriscono il lavoro indipendente e si caratterizzano per una maggiore componente di rischio e di responsabilità.
Il lavoro nelle piccole e medie imprese, il lavoro artigianale e il lavoro indipendente possono costituire un'occasione per rendere più umano il vissuto lavorativo, sia per la possibilità di stabilire positive relazioni interpersonali in comunità di piccole dimensioni, sia per le opportunità offerte da una maggiore iniziativa e imprenditorialità; ma non sono pochi, in questi settori, i casi di trattamenti ingiusti, di lavoro mal pagato e soprattutto insicuro.
316 Nei Paesi in via di sviluppo, inoltre, si è diffuso, in questi ultimi anni, il fenomeno dell'espansione di attività economiche « informali » o « sommerse », che rappresenta un segnale di crescita economica promettente, ma solleva problemi etici e giuridici. Il significativo aumento dei posti di lavoro suscitato da tali attività è dovuto, infatti, all'assenza di specializzazione di gran parte dei lavoratori locali e allo sviluppo disordinato dei settori economici formali. Un elevato numero di persone è così costretto a lavorare in condizioni di grave disagio e in un quadro privo delle regole che tutelano la dignità del lavoratore. I livelli di produttività, reddito e tenore di vita sono estremamente bassi e spesso si rivelano insufficienti a garantire ai lavoratori e alle loro famiglie il raggiungimento del livello di sussistenza.
b) Dottrina sociale e « res novae »
317 Di fronte alle imponenti « res novae » del mondo del lavoro, la dottrina sociale della Chiesa raccomanda, prima di tutto, di evitare l'errore di ritenere che i mutamenti in atto avvengano in modo deterministico. Il fattore decisivo e « l'arbitro » di questa complessa fase di cambiamento è ancora una volta l'uomo, che deve restare il vero protagonista del suo lavoro. Egli può e deve farsi carico in modo creativo e responsabile delle attuali innovazioni e riorganizzazioni, così che esse giovino alla crescita della persona, della famiglia, delle società e dell'intera famiglia umana.677 Illuminante è per tutti il richiamo alla dimensione soggettiva del lavoro, alla quale la dottrina sociale della Chiesa insegna a dare la dovuta priorità, perché il lavoro umano « proviene immediatamente da persone create ad immagine di Dio e chiamate a prolungare, le une con e per le altre, l'opera della creazione sottomettendo la terra ».678
318 Le interpretazioni di tipo meccanicistico ed economicistico dell'attività produttiva, sebbene prevalenti e comunque influenti, risultano superate dalla stessa analisi scientifica dei problemi connessi con il lavoro. Tali concezioni si rivelano oggi più di ieri del tutto inadeguate a interpretare i fatti, che dimostrano ogni giorno di più la valenza del lavoro in quanto attività libera e creativa dell'uomo. Anche dai riscontri concreti deve derivare la spinta a superare senza indugio orizzonti teorici e criteri operativi ristretti e insufficienti rispetto alle dinamiche in atto, intrinsecamente incapaci di individuare i concreti e pressanti bisogni umani nella loro vasta gamma, che si estende ben oltre le categorie soltanto economiche. Sa bene la Chiesa, e da sempre insegna, che l'uomo, a differenza di ogni altro essere vivente, ha bisogni certo non limitati soltanto all'« avere »,679 perché la sua natura e la sua vocazione sono in relazione inscindibile col Trascendente. La persona umana affronta l'avventura della trasformazione delle cose mediante il suo lavoro per soddisfare necessità e bisogni innanzi tutto materiali, ma lo fa seguendo un impulso che la spinge sempre oltre i risultati conseguiti, alla ricerca di ciò che può corrispondere più profondamente alle sue ineliminabili esigenze interiori.
319 Cambiano le forme storiche in cui si esprime il lavoro umano, ma non devono cambiare le sue esigenze permanenti, che si riassumono nel rispetto dei diritti inalienabili dell'uomo che lavora. Di fronte al rischio di vedere negati questi diritti, devono essere immaginate e costruite nuove forme di solidarietà, tenendo conto dell'interdipendenza che lega tra loro gli uomini del lavoro. Quanto più profondi sono i cambiamenti, tanto più deciso deve essere l'impegno dell'intelligenza e della volontà per tutelare la dignità del lavoro, rafforzando, ai diversi livelli, le istituzioni interessate. Questa prospettiva consente di orientare al meglio le attuali trasformazioni nella direzione, tanto necessaria, della complementarità tra la dimensione economica locale e quella globale; tra economia « vecchia » e « nuova »; tra l'innovazione tecnologica e l'esigenza di salvaguardare il lavoro umano; tra la crescita economica e la compatibilità ambientale dello sviluppo.
320 Alla soluzione delle problematiche vaste e complesse del lavoro, che in alcune aree assumono dimensioni drammatiche, gli scienziati e gli uomini di cultura sono chiamati ad offrire il loro contributo specifico, tanto importante per la scelta di soluzioni giuste. È una responsabilità che richiede loro di evidenziare le occasioni e i rischi che nei cambiamenti si profilano e soprattutto di suggerire linee di azione per guidare il cambiamento nel senso più favorevole allo sviluppo dell'intera famiglia umana. A loro spetta il grave compito di leggere e di interpretare i fenomeni sociali con intelligenza ed amore della verità, senza preoccupazioni dettate da interessi di gruppo o personali. Il loro contributo, infatti, proprio perché di natura teorica, diventa un riferimento essenziale per l'agire concreto delle politiche economiche.680
321 Gli scenari attuali di profonda trasformazione del lavoro umano rendono ancor più urgente uno sviluppo autenticamente globale e solidale, in grado di coinvolgere tutte le zone del mondo, comprese quelle meno favorite. Per queste ultime, l'avvio di un processo di sviluppo solidale di vasta portata non solo rappresenta una concreta possibilità per creare nuovi posti di lavoro, ma si configura anche come una vera e propria condizione di sopravvivenza per interi popoli: « Occorre globalizzare la solidarietà ».681
Gli squilibri economici e sociali esistenti nel mondo del lavoro vanno affrontati ristabilendo la giusta gerarchia dei valori e ponendo al primo posto la dignità della persona che lavora: « Mai le nuove realtà, che investono con forza il processo produttivo, quali la globalizzazione della finanza, dell'economia, dei commerci e del lavoro, devono violare la dignità e la centralità della persona umana né la libertà e la democrazia dei popoli. La solidarietà, la partecipazione e la possibilità di governare questi radicali cambiamenti costituiscono, se non la soluzione, certamente la necessaria garanzia etica perché le persone ed i popoli diventino non strumenti, ma protagonisti del loro futuro. Tutto ciò può essere realizzato e, poiché è possibile, diventa doveroso ».682
322 Risulta sempre più necessaria un'attenta considerazione della nuova situazione del lavoro nell'attuale contesto della globalizzazione, in una prospettiva che valorizzi la naturale propensione degli uomini a stabilire relazioni. A questo proposito si deve affermare che l'universalità è una dimensione dell'uomo, non delle cose. La tecnica potrà essere la causa strumentale della globalizzazione, ma è l'universalità della famiglia umana la sua causa ultima. Anche il lavoro, pertanto, ha una sua dimensione universale, in quanto fondato sulla relazionalità umana. Le tecniche, specialmente elettroniche, hanno permesso di dilatare tale aspetto relazionale del lavoro a tutto il pianeta, imprimendo alla globalizzazione un ritmo particolarmente accelerato. Il fondamento ultimo di questo dinamismo è l'uomo che lavora, è sempre l'elemento soggettivo e non quello oggettivo. Anche il lavoro globalizzato trae origine, pertanto, dal fondamento antropologico dell'intrinseca dimensione relazionale del lavoro. Gli aspetti negativi della globalizzazione del lavoro non devono mortificare le possibilità che si sono aperte per tutti di dare espressione ad un umanesimo del lavoro a livello planetario, ad una solidarietà del mondo del lavoro a questo livello, affinché lavorando in un simile contesto, dilatato ed interconnesso, l'uomo capisca sempre di più la sua vocazione unitaria e solidale.
CAPITOLO SETTIMO
LA VITA ECONOMICA
I. ASPETTI BIBLICI
a) L'uomo, povertà e ricchezza
323 Nell'Antico Testamento si riscontra un duplice atteggiamento nei confronti dei beni economici e della ricchezza. Da un lato apprezzamento verso la disponibilità dei beni materiali considerati necessari per la vita: talora l'abbondanza — ma non la ricchezza o il lusso — è vista come una benedizione di Dio. Nella letteratura sapienziale, la povertà è descritta come una conseguenza negativa dell'ozio e della mancanza di laboriosità (cfr. Pr 10,4), ma anche come un fatto naturale (cfr. Pr 22,2). Da un altro lato, i beni economici e la ricchezza non sono condannati per se stessi, ma per il loro cattivo uso. La tradizione profetica stigmatizza gli imbrogli, l'usura, gli sfruttamenti, le vistose ingiustizie, specie nei confronti dei più poveri (cfr. Is 58,3-11; Ger 7,4-7; Os 4,1-2; Am 2,6-7; Mi 2,1-2). Tale tradizione, pur considerando un male la povertà degli oppressi, dei deboli, degli indigenti, vede in essa anche un simbolo della situazione dell'uomo davanti a Dio; da Lui proviene ogni bene come un dono da amministrare e da condividere.
324 Colui che riconosce la propria povertà davanti a Dio, in qualunque situazione egli viva, è oggetto di particolare attenzione da parte di Dio: quando il povero cerca, il Signore risponde; quando grida, Egli l'ascolta. Ai poveri sono rivolte le promesse divine: essi saranno gli eredi dell'alleanza tra Dio e il Suo popolo. L'intervento salvifico di Dio si attuerà tramite un nuovo Davide (cfr. Ez 34,22-31), il quale, come e più del re Davide, sarà difensore dei poveri e promotore della giustizia; egli stabilirà una nuova alleanza e scriverà una nuova legge nel cuore dei credenti (cfr. Ger 31,31-34).
La povertà, quando è accettata o ricercata con spirito religioso, predispone al riconoscimento e all'accettazione dell'ordine creaturale; il « ricco », in questa prospettiva, è colui che ripone la sua fiducia nelle cose che possiede piuttosto che in Dio, l'uomo che si fa forte dell'opera delle sue mani e che confida solo in questa sua forza. La povertà assurge a valore morale quando si manifesta come umile disponibilità e apertura verso Dio, fiducia in Lui. Questi atteggiamenti rendono l'uomo capace di riconoscere la relatività dei beni economici e di trattarli come doni divini da amministrare e da condividere, perché la proprietà originaria di tutti i beni appartiene a Dio.
325 Gesù assume l'intera tradizione dell'Antico Testamento anche sui beni economici, sulla ricchezza e sulla povertà, conferendole una definitiva chiarezza e pienezza (cfr. Mt 6,24 e 13,22; Lc 6,20-24 e 12,15-21; Rm 14,6-8 e 1 Tm 4,4). Egli, donando il Suo Spirito e cambiando i cuori, viene ad instaurare il « Regno di Dio », così da rendere possibile una nuova convivenza nella giustizia, nella fraternità, nella solidarietà e nella condivisione. Il Regno inaugurato da Cristo perfeziona la bontà originaria del creato e dell'attività umana, compromessa dal peccato. Liberato dal male e reintrodotto nella comunione con Dio, ogni uomo può continuare l'opera di Gesù, con l'aiuto del Suo Spirito: rendere giustizia ai poveri, affrancare gli oppressi, consolare gli afflitti, ricercare attivamente un nuovo ordine sociale, in cui si offrano adeguate soluzioni alla povertà materiale e vengano arginate più efficacemente le forze che ostacolano i tentativi dei più deboli di riscattarsi da una condizione di miseria e di schiavitù. Quando ciò accade, il Regno di Dio si fa già presente su questa terra, pur non appartenendole. In esso troveranno finalmente compimento le promesse dei Profeti.
326 Alla luce della Rivelazione, l'attività economica va considerata e svolta come risposta riconoscente alla vocazione che Dio riserva a ciascun uomo. Questi è posto nel giardino per coltivarlo e custodirlo, usandone secondo limiti ben precisi (cfr. Gen 2,16-17), nell'impegno di perfezionarlo (cfr. Gen 1,26-30; 2,15-16; Sap 9,2-3). Facendosi testimone della grandezza e della bontà del Creatore, l'uomo cammina verso la pienezza della libertà a cui Dio lo chiama. Una buona amministrazione dei doni ricevuti, anche dei doni materiali, è opera di giustizia verso se stessi e verso gli altri uomini: ciò che si riceve va ben usato, conservato, accresciuto, come insegna la parabola dei talenti (cfr. Mt 25,14-30; Lc 19,12-27).
L'attività economica e il progresso materiale devono essere posti a servizio dell'uomo e delle società; se ci si dedica ad essi con la fede, la speranza e la carità dei discepoli di Cristo, anche l'economia e il progresso possono essere trasformati in luoghi di salvezza e di santificazione; anche in questi ambiti è possibile dare espressione ad un amore e ad una solidarietà più che umani e contribuire alla crescita di una umanità nuova, che prefiguri il mondo dei tempi ultimi.683 Gesù sintetizza tutta la Rivelazione chiedendo al credente di arricchire davanti a Dio (cfr. Lc 12,21): anche l'economia è utile a questo scopo, quando non tradisce la sua funzione di strumento per la crescita globale dell'uomo e delle società, della qualità umana della vita.
327 La fede in Gesù Cristo permette una corretta comprensione dello sviluppo sociale, nel contesto di un umanesimo integrale e solidale. A questo scopo risulta assai utile il contributo di riflessione teologica offerto dal Magistero sociale: « La fede in Cristo Redentore, mentre illumina dal di dentro la natura dello sviluppo, guida anche nel compito della collaborazione. Nella lettera di san Paolo ai Colossesi leggiamo che Cristo è “il primogenito di tutta la creazione” e che “tutte le cose sono state create per mezzo di lui ed in vista di lui” (1,15-16). Infatti, ogni cosa “ha consistenza in lui”, perché “piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose” (ibid. 1,20). In questo piano divino, che comincia dall'eternità in Cristo, “immagine” perfetta del Padre, e che culmina in lui, “primogenito di coloro che risuscitano dai morti” (ibid. 1,15-18), s'inserisce la nostra storia, segnata dal nostro sforzo personale e collettivo di elevare la condizione umana, superare gli ostacoli sempre risorgenti lungo il nostro cammino, disponendoci così a partecipare alla pienezza che “risiede nel Signore” e che egli comunica “al suo corpo, che è la Chiesa” (ibid. 1,18; cfr. Ef 1,22-23), mentre il peccato, che sempre ci insidia e compromette le nostre realizzazioni umane è vinto e riscattato dalla “riconciliazione” operata da Cristo (cfr. Col 1,20) ».684
b) La ricchezza esiste per essere condivisa
328 I beni, anche se legittimamente posseduti, mantengono sempre una destinazione universale; è immorale ogni forma di indebita accumulazione, perché in aperto contrasto con la destinazione universale assegnata da Dio Creatore a tutti i beni. La salvezza cristiana, infatti, è una liberazione integrale dell'uomo, liberazione dal bisogno, ma anche rispetto al possesso stesso: « L'attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede » (1 Tm 6,10). I Padri della Chiesa insistono sulla necessità della conversione e della trasformazione delle coscienze dei credenti, più che su esigenze di cambiamento delle strutture sociali e politiche del loro tempo, sollecitando chi svolge un'attività economica e possiede beni a considerarsi amministratore di quanto Dio gli ha affidato.
329 Le ricchezze realizzano la loro funzione di servizio all'uomo quando sono destinate a produrre benefici per gli altri e la società: 685 « Come potremmo fare del bene al prossimo — si chiede Clemente Alessandrino — se tutti non possedessero nulla? ».686 Nella visione di san Giovanni Crisostomo, le ricchezze appartengono ad alcuni affinché essi possano acquistare merito condividendole con gli altri.687 Esse sono un bene che viene da Dio: chi lo possiede lo deve usare e far circolare, così che anche i bisognosi possano goderne; il male va visto nell'attaccamento smodato alle ricchezze, nella volontà di accaparrarsele. San Basilio il Grande invita i ricchi ad aprire le porte dei loro magazzini ed esclama: « Un grande fiume si riversa, in mille canali, sul terreno fertile: così, per mille vie, tu fa' giungere la ricchezza nelle abitazioni dei poveri ».688 La ricchezza, spiega san Basilio, è come l'acqua che sgorga sempre più pura dalla fontana se viene attinta con frequenza, mentre imputridisce se la fontana rimane inutilizzata.689 Il ricco, dirà più tardi san Gregorio Magno, non è che un amministratore di ciò che possiede; dare il necessario a chi ne ha bisogno è opera da compiere con umiltà, perché i beni non appartengono a chi li distribuisce. Chi tiene le ricchezze solo per sé non è innocente; darle a chi ne ha bisogno significa pagare un debito.690
II. MORALE ED ECONOMIA
330 La dottrina sociale della Chiesa insiste sulla connotazione morale dell'economia. Pio XI, in una pagina dell'enciclica « Quadragesimo anno », affronta il rapporto tra l'economia e la morale: « Sebbene l'economia e la disciplina morale, ciascuna nel suo ambito, si appoggino sui princìpi propri, sarebbe errore affermare che l'ordine economico e l'ordine morale siano così disparati ed estranei l'uno all'altro, che il primo in nessun modo dipenda dal secondo. Certo, le leggi, che si dicono economiche, tratte dalla natura stessa delle cose e dall'indole dell'anima e del corpo umano, stabiliscono quali limiti nel campo economico il potere dell'uomo non possa e quali possa raggiungere, e con quali mezzi; e la stessa ragione, dalla natura delle cose e da quella individuale e sociale dell'uomo, chiaramente deduce quale sia il fine da Dio Creatore proposto a tutto l'ordine economico. Soltanto la legge morale è quella la quale, come ci intima di cercare nel complesso delle nostre azioni il fine supremo ed ultimo, così nei particolari generi di operosità ci dice di cercare quei fini speciali, che a quest'ordine di operazioni sono stati prefissi dalla natura, o meglio, da Dio, autore della natura, e di subordinare armonicamente questi fini particolari al fine supremo ».691
331 Il rapporto tra morale ed economia è necessario e intrinseco: attività economica e comportamento morale si compenetrano intimamente. La necessaria distinzione tra morale ed economia non comporta una separazione tra i due ambiti, ma, al contrario, una reciprocità importante. Come in ambito morale si deve tener conto delle ragioni e delle esigenze dell'economia, operando in campo economico ci si deve aprire alle istanze morali: « Anche nella vita economico-sociale occorre onorare e promuovere la dignità della persona umana e la sua vocazione integrale e il bene di tutta la società. L'uomo infatti è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale ».692 Dare il giusto e dovuto peso alle ragioni proprie dell'economia non significa rifiutare come irrazionale ogni considerazione di ordine metaeconomico, proprio perché il fine dell'economia non sta nell'economia stessa, bensì nella sua destinazione umana e sociale.693 All'economia, infatti, sia in ambito scientifico sia a livello di prassi, non è affidato il fine della realizzazione dell'uomo e della buona convivenza umana, ma un compito parziale: la produzione, la distribuzione e il consumo di beni materiali e di servizi.
332 La dimensione morale dell'economia fa cogliere come finalità inscindibili, anziché separate e alternative, l'efficienza economica e la promozione di uno sviluppo solidale dell'umanità. La morale, costitutiva della vita economica, non è né oppositiva, né neutrale: se ispirata alla giustizia e alla solidarietà, costituisce un fattore di efficienza sociale della stessa economia. È un dovere svolgere in maniera efficiente l'attività di produzione dei beni, altrimenti si sprecano risorse; ma non è accettabile una crescita economica ottenuta a discapito degli esseri umani, di interi popoli e gruppi sociali, condannati all'indigenza e all'esclusione. L'espansione della ricchezza, visibile nella disponibilità di beni e di servizi, e l'esigenza morale di una equa diffusione di questi ultimi devono stimolare l'uomo e la società nel suo insieme a praticare la virtù essenziale della solidarietà 694 per combattere, nello spirito della giustizia e della carità, ovunque ne sia rivelata la presenza, quelle « strutture di peccato » 695 che generano e mantengono povertà, sottosviluppo e degradazione. Tali strutture sono edificate e consolidate da molti atti concreti di egoismo umano.
333 Per assumere un profilo morale, l'attività economica deve avere come soggetti tutti gli uomini e tutti i popoli. Tutti hanno il diritto di partecipare alla vita economica e il dovere di contribuire, secondo le proprie capacità, al progresso del proprio Paese e dell'intera famiglia umana.696 Se, in qualche misura, tutti sono responsabili di tutti, ciascuno ha il dovere di impegnarsi per lo sviluppo economico di tutti: 697 è dovere di solidarietà e di giustizia, ma è anche la via migliore per far progredire l'intera umanità. Se vissuta moralmente, l'economia è dunque prestazione di un servizio reciproco, mediante la produzione di beni e servizi utili alla crescita di ognuno, e diventa opportunità per ogni uomo di vivere la solidarietà e la vocazione alla « comunione con gli altri uomini per cui Dio lo ha creato ».698 Lo sforzo di concepire e realizzare progetti economico-sociali capaci di favorire una società più equa e un mondo più umano rappresenta una sfida aspra, ma anche un dovere stimolante, per tutti gli operatori economici e per i cultori delle scienze economiche.699
334 Oggetto dell'economia è la formazione della ricchezza e il suo incremento progressivo, in termini non soltanto quantitativi, ma qualitativi: tutto ciò è moralmente corretto se finalizzato allo sviluppo globale e solidale dell'uomo e della società in cui egli vive ed opera. Lo sviluppo, infatti, non può essere ridotto a mero processo di accumulazione di beni e servizi. Al contrario, la pura accumulazione, anche qualora fosse per il bene comune, non è una condizione sufficiente per la realizzazione dell'autentica felicità umana. In questo senso, il Magistero sociale mette in guardia dall'insidia che un tipo di sviluppo solo quantitativo nasconde, perché la « eccessiva disponibilità di ogni tipo di beni materiali in favore di alcune fasce sociali rende facilmente gli uomini schiavi del “possesso” e del godimento immediato... È la cosiddetta civiltà dei “consumi”, o consumismo... ».700
335 Nella prospettiva dello sviluppo integrale e solidale, si può dare un giusto apprezzamento alla valutazione morale che la dottrina sociale offre sull'economia di mercato o, semplicemente, economia libera: « Se con “capitalismo” si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell'impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell'economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di “economia d'impresa”, o di “economia di mercato”, o semplicemente di “economia libera”. Ma se con “capitalismo” si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell'economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa ».701 In tal modo viene definita la prospettiva cristiana circa le condizioni sociali e politiche dell'attività economica: non solo le sue regole, ma anche la sua qualità morale e il suo significato.
III. INIZIATIVA PRIVATA E IMPRESA
336 La dottrina sociale della Chiesa considera la libertà della persona in campo economico un valore fondamentale e un diritto inalienabile da promuovere e tutelare: « Ciascuno ha il diritto di iniziativa economica; ciascuno userà legittimamente i propri talenti per concorrere a un'abbondanza di cui tutti possano godere, e per raccogliere dai propri sforzi i giusti frutti ».702 Tale insegnamento mette in guardia dalle conseguenze negative che deriverebbero dalla mortificazione o negazione del diritto di iniziativa economica: « L'esperienza ci dimostra che la negazione di un tale diritto, o la sua limitazione in nome di una pretesa “eguaglianza” di tutti nella società riduce, o addirittura distrugge di fatto lo spirito d'iniziativa, cioè la soggettività creativa del cittadino ».703 In questa prospettiva, la libera e responsabile iniziativa in campo economico può essere anche definita come un atto che rivela l'umanità dell'uomo in quanto soggetto creativo e relazionale. Tale iniziativa deve godere, pertanto, di uno spazio ampio. Lo Stato ha l'obbligo morale di porre dei vincoli stringenti solo in ordine alle incompatibilità tra il perseguimento del bene comune e il tipo di attività economica avviata o le sue modalità di svolgimento.704
337 La dimensione creativa è un elemento essenziale dell'agire umano, anche in campo imprenditoriale, e si manifesta specialmente nell'attitudine progettuale e innovativa: « Organizzare un tale sforzo produttivo, pianificare la sua durata nel tempo, procurare che esso corrisponda in modo positivo ai bisogni che deve soddisfare, assumendo i rischi necessari: è, anche questo, una fonte di ricchezza dell'odierna società. Così diventa sempre più evidente e determinante il ruolo del lavoro umano disciplinato e creativo e — quale parte essenziale di tale lavoro — delle capacità di iniziativa e di imprenditorialità ».705 Alla base di tale insegnamento va individuata la convinzione che « la principale risorsa dell'uomo insieme con la terra è l'uomo stesso. È la sua intelligenza che fa scoprire le potenzialità produttive della terra e le multiformi modalità con cui i bisogni umani possono essere soddisfatti ».706
a) L'impresa e i suoi fini
338 L'impresa deve caratterizzarsi per la capacità di servire il bene comune della società mediante la produzione di beni e servizi utili. Cercando di produrre beni e servizi in una logica di efficienza e di soddisfacimento degli interessi dei diversi soggetti implicati, essa crea ricchezza per tutta la società: non solo per i proprietari, ma anche per gli altri soggetti interessati alla sua attività. Oltre a tale funzione tipicamente economica, l'impresa svolge anche una funzione sociale, creando opportunità d'incontro, di collaborazione, di valorizzazione delle capacità delle persone coinvolte. Nell'impresa, pertanto, la dimensione economica è condizione per il raggiungimento di obiettivi non solo economici, ma anche sociali e morali, da perseguire congiuntamente.
L'obiettivo dell'impresa deve essere realizzato in termini e con criteri economici, ma non devono essere trascurati gli autentici valori che permettono lo sviluppo concreto della persona e della società. In questa visione personalista e comunitaria, « l'azienda non può essere considerata solo come una “società di capitali”; essa, al tempo stesso, è una “società di persone”, di cui entrano a far parte in modo diverso e con specifiche responsabilità sia coloro che forniscono il capitale necessario per la sua attività, sia coloro che vi collaborano col loro lavoro ».707
339 I componenti dell'impresa devono essere consapevoli che la comunità nella quale operano rappresenta un bene per tutti e non una struttura che permette di soddisfare esclusivamente gli interessi personali di qualcuno. Solo tale consapevolezza permette di giungere alla costruzione di un'economia veramente al servizio dell'uomo e di elaborare un progetto di reale cooperazione tra le parti sociali.
Un esempio molto importante e significativo nella direzione indicata proviene dall'attività che può riferirsi alle imprese cooperative, alle piccole e medie imprese, alle aziende artigianali e a quelle agricole a dimensione familiare. La dottrina sociale ha sottolineato il contributo che esse offrono alla valorizzazione del lavoro, alla crescita del senso di responsabilità personale e sociale, alla vita democratica, ai valori umani utili al progresso del mercato e della società.708
340 La dottrina sociale riconosce la giusta funzione del profitto, come primo indicatore del buon andamento dell'azienda: « quando un'azienda produce profitto, ciò significa che i fattori produttivi sono stati adeguatamente impiegati ».709 Ciò non offusca la consapevolezza del fatto che non sempre il profitto segnala che l'azienda stia servendo adeguatamente la società.710 È possibile, ad esempio, « che i conti economici siano in ordine ed insieme che gli uomini, che costituiscono il patrimonio più prezioso dell'azienda, siano umiliati e offesi nella loro dignità ».711 È quanto avviene quando l'impresa è inserita in sistemi socio-culturali improntati allo sfruttamento delle persone, inclini a sfuggire agli obblighi di giustizia sociale e a violare i diritti dei lavoratori.
È indispensabile che, all'interno dell'impresa, il legittimo perseguimento del profitto si armonizzi con l'irrinunciabile tutela della dignità delle persone che a vario titolo operano nella stessa impresa. Le due esigenze non sono affatto in contrasto l'una con l'altra, dal momento che, da una parte, non sarebbe realistico pensare di garantire il futuro dell'impresa senza la produzione di beni e servizi e senza conseguire profitti che siano il frutto dell'attività economica svolta; d'altra parte, consentendo alla persona che lavora di crescere, si favorisce una maggiore produttività ed efficacia del lavoro stesso. L'impresa deve essere una comunità solidale 712 non chiusa negli interessi corporativi, tendere ad un'« ecologia sociale » 713 del lavoro, e contribuire al bene comune anche mediante la salvaguardia dell'ambiente naturale.
341 Se nell'attività economica e finanziaria la ricerca di un equo profitto è accettabile, il ricorso all'usura è moralmente condannato: « Quanti nei commerci usano pratiche usuraie e mercantili che provocano la fame e la morte dei loro fratelli in umanità, commettono indirettamente un omicidio, che è loro imputabile ».714 Tale condanna si estende anche ai rapporti economici internazionali, specialmente per quanto riguarda la situazione dei Paesi meno progrediti, ai quali non possono essere applicati « sistemi finanziari abusivi, se non usurai ».715 Il Magistero più recente ha avuto parole forti e chiare per una pratica tuttora drammaticamente estesa: « non praticare l'usura, piaga che anche ai nostri giorni è una infame realtà, capace di strangolare la vita di molte persone ».716
342 L'impresa si muove oggi nel quadro di scenari economici di dimensioni sempre più ampie, all'interno dei quali gli Stati nazionali mostrano limiti nella capacità di governare i rapidi processi di mutamento che investono le relazioni economico-finanziarie internazionali; questa situazione induce le imprese ad assumersi responsabilità nuove e maggiori rispetto al passato. Mai come oggi il loro ruolo risulta determinante in vista di uno sviluppo autenticamente solidale e integrale dell'umanità ed è altrettanto decisivo, in questo senso, il loro livello di consapevolezza del fatto che « lo sviluppo o diventa comune a tutte le parti del mondo, o subisce un processo di retrocessione anche nelle zone segnate da un costante progresso. Fenomeno, questo, particolarmente indicativo della natura dell'autentico sviluppo: o vi partecipano tutte le Nazioni del mondo, o non sarà veramente tale ».717
b) Il ruolo dell'imprenditore e del dirigente d'azienda
343 L'iniziativa economica è espressione dell'umana intelligenza e dell'esigenza di rispondere ai bisogni dell'uomo in modo creativo e collaborativo. Nella creatività e nella cooperazione è scritta l'autentica concezione della competizione imprenditoriale: un cum-petere, ossia un cercare insieme le soluzioni più adeguate, per rispondere nel modo più idoneo ai bisogni che man mano emergono. Il senso di responsabilità che scaturisce dalla libera iniziativa economica si configura non solo come virtù individuale indispensabile per la crescita umana del singolo, ma anche come virtù sociale necessaria allo sviluppo di una comunità solidale: « In questo processo sono coinvolte importanti virtù, come la diligenza, la laboriosità, la prudenza nell'assumere i ragionevoli rischi, l'affidabilità e la fedeltà nei rapporti interpersonali, la fortezza nell'esecuzione di decisioni difficili
e dolorose, ma necessarie per il lavoro comune dell'azienda e per far fronte agli eventuali rovesci di fortuna ».718
344 I ruoli dell'imprenditore e del dirigente rivestono un'importanza centrale dal punto di vista sociale, perché si collocano al cuore di quella rete di legami tecnici, commerciali, finanziari, culturali, che caratterizzano la moderna realtà di impresa. Dal momento che le decisioni aziendali producono, in ragione della crescente complessità dell'attività imprenditoriale, una molteplicità di effetti congiunti di grande rilevanza non solo economica, ma anche sociale, l'esercizio delle responsabilità imprenditoriali e dirigenziali esige, oltre ad uno sforzo continuo di aggiornamento specifico, una costante riflessione sulle motivazioni morali che devono guidare le scelte personali di chi è investito di tali compiti.
Gli imprenditori e i dirigenti non possono tener conto esclusivamente dell'obiettivo economico dell'impresa, dei criteri dell'efficienza economica, delle esigenze della cura del « capitale » come insieme di mezzi di produzione: è loro preciso dovere anche il concreto rispetto della dignità umana dei lavoratori che operano nell'impresa.719 Questi ultimi costituiscono « il patrimonio più prezioso dell'azienda »,720 il fattore decisivo della produzione.721 Nelle grandi decisioni strategiche e finanziarie, di acquisto o di vendita, di ridimensionamento o chiusura di impianti, nella politica delle fusioni, non ci si può limitare esclusivamente a criteri di natura finanziaria o commerciale.
345 La dottrina sociale insiste sulla necessità che l'imprenditore e il dirigente si impegnino a strutturare l'attività lavorativa nelle loro aziende in modo da favorire la famiglia, specialmente le madri di famiglia nello svolgimento dei loro compiti; 722 assecondino, alla luce di una visione integrale dell'uomo e dello sviluppo, la domanda di qualità « delle merci da produrre e da consumare; qualità dei servizi di cui usufruire; qualità dell'ambiente e della vita in generale »; 723 investano, qualora ricorrano le condizioni economiche e di stabilità politica, in quei luoghi e in quei settori produttivi che offrono a individui e popoli « l'occasione di valorizzare il proprio lavoro ».724
IV. ISTITUZIONI ECONOMICHE
AL SERVIZIO DELL'UOMO
346 Una delle questioni prioritarie in economia è l'impiego delle risorse,725 cioè di tutti quei beni e servizi a cui i soggetti economici, produttori e consumatori privati e pubblici, attribuiscono un valore per l'utilità ad essi inerente nel campo della produzione e del consumo. Le risorse sono nella natura quantitativamente scarse e ciò implica, di necessità, che ogni soggetto economico singolo, così come ogni società, debba escogitare una qualche strategia per impiegarle nel modo più razionale possibile, seguendo la logica dettata dal principio di economicità. Da ciò dipendono sia l'effettiva soluzione del problema economico più generale, e fondamentale, della limitatezza dei mezzi rispetto ai bisogni individuali e sociali, privati e pubblici, sia l'efficienza complessiva, strutturale e funzionale, dell'intero sistema economico. Tale efficienza chiama direttamente in causa la responsabilità e la capacità di vari soggetti, quali il mercato, lo Stato e i corpi sociali intermedi.
a) Ruolo del libero mercato
347 Il libero mercato è un'istituzione socialmente importante per la sua capacità di garantire risultati efficienti nella produzione di beni e servizi. Storicamente, il mercato ha dato prova di saper avviare e sostenere, nel lungo periodo, lo sviluppo economico. Vi sono buone ragioni per ritenere che, in molte circostanze, « il libero mercato sia lo strumento più efficace per collocare le risorse e rispondere efficacemente ai bisogni ».726 La dottrina sociale della Chiesa apprezza i sicuri vantaggi che i meccanismi del libero mercato offrono, sia per una migliore utilizzazione delle risorse, sia per l'agevolazione dello scambio dei prodotti; questi meccanismi, « soprattutto, pongono al centro la volontà e le preferenze della persona che nel contratto si incontrano con quelle di un'altra persona ».727
Un vero mercato concorrenziale è uno strumento efficace per conseguire importanti obiettivi di giustizia: moderare gli eccessi di profitto delle singole imprese; rispondere alle esigenze dei consumatori; realizzare un migliore utilizzo e un risparmio delle risorse; premiare gli sforzi imprenditoriali e l'abilità di innovazione; far circolare l'informazione, in modo che sia davvero possibile confrontare e acquistare i prodotti in un contesto di sana concorrenza.
348 Il libero mercato non può essere giudicato prescindendo dai fini che persegue e dai valori che trasmette a livello sociale. Il mercato, infatti, non può trovare in se stesso il principio della propria legittimazione. Spetta alla coscienza individuale e alla responsabilità pubblica stabilire un giusto rapporto tra mezzi e fini.728 L'utile individuale dell'operatore economico, sebbene legittimo, non deve mai diventare l'unico obiettivo. Accanto ad esso, ne esiste un altro, altrettanto fondamentale e superiore, quello dell'utilità sociale, che deve trovare realizzazione non in contrasto, ma in coerenza con la logica di mercato. Quando svolge le importanti funzioni sopra ricordate, il libero mercato diventa funzionale al bene comune e allo sviluppo integrale dell'uomo, mentre l'inversione del rapporto tra mezzi e fini può farlo degenerare in una istituzione disumana e alienante, con ripercussioni incontrollabili.
349 La dottrina sociale della Chiesa, pur riconoscendo al mercato la funzione di strumento insostituibile di regolazione all'interno del sistema economico, mette in evidenza la necessità di ancorarlo a finalità morali, che assicurino e, nello stesso tempo, circoscrivano adeguatamente lo spazio della sua autonomia.729 L'idea che si possa affidare al solo mercato la fornitura di tutte le categorie di beni non è condivisibile, perché basata su una visione riduttiva della persona e della società.730 Di fronte al concreto rischio di un'« idolatria » del mercato, la dottrina sociale della Chiesa ne sottolinea il limite, facilmente rilevabile nella sua constatata incapacità di soddisfare esigenze umane importanti, per le quali c'è bisogno di beni che, « per loro natura, non sono né possono essere semplici merci »,731 beni non negoziabili secondo la regola dello « scambio di equivalenti » e la logica del contratto, tipiche del mercato.
350 Il mercato assume una funzione sociale rilevante nelle società contemporanee, perciò è importante individuarne le potenzialità più positive e creare condizioni che ne permettano il concreto dispiegamento. Gli operatori devono essere effettivamente liberi di confrontare, valutare e scegliere tra varie opzioni, tuttavia la libertà, in ambito economico, deve essere regolata da un appropriato quadro giuridico, tale da porla al servizio della libertà umana integrale: « la libertà economica è soltanto un elemento della libertà umana. Quando quella si rende autonoma, quando cioè l'uomo è visto più come un produttore o un consumatore di beni che come un soggetto che produce e consuma per vivere, allora perde la sua necessaria relazione con la persona umana e finisce con l'alienarla ed opprimerla ».732
b) L'azione dello Stato
351 L'azione dello Stato e degli altri poteri pubblici deve conformarsi al principio di sussidiarietà e creare situazioni favorevoli al libero esercizio dell'attività economica; essa deve anche ispirarsi al principio di solidarietà e stabilire dei limiti all'autonomia delle parti per difendere la più debole.733 La solidarietà senza sussidiarietà, infatti, può degenerare facilmente in assistenzialismo, mentre la sussidiarietà senza solidarietà rischia di alimentare forme di localismo egoistico. Per rispettare questi due fondamentali principi, l'intervento dello Stato in ambito economico non deve essere né invadente, né carente, bensì commisurato alle reali esigenze della società: « Lo Stato ... ha il dovere di assecondare l'attività delle imprese, creando condizioni che assicurino occasioni di lavoro, stimolandola ove essa risulti insufficiente o sostenendola nei momenti di crisi. Lo Stato, ancora, ha il diritto di intervenire quando situazioni particolari di monopolio creino remore o ostacoli per lo sviluppo. Ma, oltre a questi compiti di armonizzazione e di guida dello sviluppo, esso può svolgere funzioni di supplenza in situazioni eccezionali ».734
352 Il compito fondamentale dello Stato in ambito economico è quello di definire un quadro giuridico atto a regolare i rapporti economici, al fine di « salvaguardare... le condizioni prime di un'economia libera, che presuppone una certa eguaglianza tra le parti, tale che una di esse non sia tanto più potente dell'altra da poterla ridurre praticamente in schiavitù ».735 L'attività economica, soprattutto in un contesto di libero mercato, non può svolgersi in un vuoto istituzionale, giuridico e politico: « Essa suppone, al contrario, sicurezza circa le garanzie della libertà individuale e della proprietà, oltre che una moneta stabile e servizi pubblici efficienti ».736 Per assolvere il suo compito, lo Stato deve elaborare un'opportuna legislazione, ma anche indirizzare in modo oculato le politiche economiche e sociali, così da non diventare mai prevaricatore nelle varie attività di mercato, il cui svolgimento deve rimanere libero da sovrastrutture e costrizioni autoritarie o, peggio, totalitarie.
353 Occorre che mercato e Stato agiscano di concerto l'uno con l'altro e si rendano complementari. Il libero mercato può recare effetti benefici per la collettività soltanto in presenza di un'organizzazione dello Stato che definisca e orienti la direzione dello sviluppo economico, che faccia rispettare regole eque e trasparenti, che intervenga anche in modo diretto, per il tempo strettamente necessario,737 nei casi in cui il mercato non riesce a ottenere i risultati di efficienza desiderati e quando si tratta di tradurre in atto il principio ridistributivo. In alcuni ambiti, il mercato, infatti, non è in grado, facendo leva sui propri meccanismi, di garantire una distribuzione equa di alcuni beni e servizi essenziali alla crescita umana dei cittadini: in questo caso la complementarità tra Stato e mercato è quanto mai necessaria.
354 Lo Stato può sollecitare i cittadini e le imprese alla promozione del bene comune provvedendo ad attuare una politica economica che favorisca la partecipazione di tutti i suoi cittadini alle attività produttive. Il rispetto del principio di sussidiarietà deve spingere le autorità pubbliche a ricercare condizioni favorevoli allo sviluppo delle capacità d'iniziativa individuali, dell'autonomia e della responsabilità personali dei cittadini, astenendosi da ogni intervento che possa costituire un condizionamento indebito delle forze imprenditoriali.
In vista del bene comune si deve sempre perseguire con costante determinazione l'obiettivo di un giusto equilibrio tra libertà privata ed azione pubblica, intesa sia come intervento diretto in economia, sia come attività di sostegno allo sviluppo economico. In ogni caso, l'intervento pubblico dovrà attenersi a criteri di equità, razionalità ed efficienza, e non sostituire l'azione dei singoli, contro il loro diritto alla libertà di iniziativa economica. Lo Stato, in questo caso, diventa deleterio per la società: un intervento diretto troppo pervasivo finisce per deresponsabilizzare i cittadini e produce una crescita eccessiva di apparati pubblici guidati più da logiche burocratiche che dall'obiettivo di soddisfare i bisogni delle persone.738
355 La raccolta fiscale e la spesa pubblica assumono un'importanza economica cruciale per ogni comunità civile e politica: l'obiettivo verso cui tendere è una finanza pubblica capace di proporsi come strumento di sviluppo e di solidarietà. Una finanza pubblica equa, efficiente, efficace, produce effetti virtuosi sull'economia, perché riesce a favorire la crescita dell'occupazione, a sostenere le attività imprenditoriali e le iniziative senza scopo di lucro, e contribuisce ad accrescere la credibilità dello Stato quale garante dei sistemi di previdenza e di protezione sociale, destinati in particolare a proteggere i più deboli.
La finanza pubblica si orienta al bene comune quando si attiene ad alcuni fondamentali principi: il pagamento delle imposte 739 come specificazione del dovere di solidarietà; razionalità ed equità nell'imposizione dei tributi; 740 rigore e integrità nell'amministrazione e nella destinazione delle risorse pubbliche.741 Nel ridistribuire le risorse, la finanza pubblica deve seguire i principi della solidarietà, dell'uguaglianza, della valorizzazione dei talenti, e prestare grande attenzione a sostenere le famiglie, destinando a tal fine un'adeguata quantità di risorse.742
c) Il ruolo dei corpi intermedi
356 Il sistema economico-sociale deve essere caratterizzato dalla compresenza di azione pubblica e privata, inclusa l'azione privata senza finalità di lucro. Si configura in tal modo una pluralità di centri decisionali e di logiche di azione. Vi sono alcune categorie di beni, collettivi e di uso comune, la cui utilizzazione non può dipendere dai meccanismi del mercato 743 e non è neppure di esclusiva competenza dello Stato. Il compito dello Stato, in relazione a questi beni, è piuttosto quello di valorizzare tutte le iniziative sociali ed economiche che hanno effetti pubblici, promosse dalle formazioni intermedie. La società civile, organizzata nei suoi corpi intermedi, è capace di contribuire al conseguimento del bene comune ponendosi in un rapporto di collaborazione e di efficace complementarità rispetto allo Stato e al mercato, favorendo così lo sviluppo di un'opportuna democrazia economica. In un simile contesto, l'intervento dello Stato va improntato all'esercizio di una vera solidarietà, che come tale non deve mai essere disgiunta dalla sussidiarietà.
357 Le organizzazioni private senza fine di lucro hanno un loro spazio specifico in ambito economico. Contraddistingue tali organizzazioni il coraggioso tentativo di coniugare armonicamente efficienza produttiva e solidarietà. In genere esse si costituiscono sulla base di un patto associativo e sono espressione di una comune tensione ideale dei soggetti che liberamente decidono di aderirvi. Lo Stato è chiamato a rispettare la natura di queste organizzazioni e a valorizzarne le caratteristiche, dando concreta attuazione al principio di sussidiarietà, che postula appunto un rispetto e una promozione della dignità e dell'autonoma responsabilità del soggetto « sussidiato ».
d) Risparmio e consumo
358 I consumatori, che in molti casi dispongono di ampi margini di potere d'acquisto, ben al di là della soglia di sussistenza, possono notevolmente influenzare la realtà economica con le loro libere scelte tra consumo e risparmio. La possibilità di influire sulle scelte del sistema economico, infatti, è nelle mani di chi deve decidere sulla destinazione delle proprie risorse finanziarie. Oggi più che in passato è possibile valutare le alternative disponibili non solo sulla base del previsto rendimento o del loro grado di rischio, ma anche esprimendo un giudizio di valore sui progetti di investimento che le risorse andranno a finanziare, nella consapevolezza che « la scelta di investire in un luogo piuttosto che in un altro, in un settore produttivo piuttosto che in un altro, è sempre una scelta morale e culturale ».744
359 L'utilizzo del proprio potere d'acquisto va esercitato nel contesto delle esigenze morali della giustizia e della solidarietà e di precise responsabilità sociali: non bisogna dimenticare « il dovere della carità, cioè il dovere di sovvenire col proprio “superfluo” e, talvolta, anche col proprio “necessario” per dare ciò che è indispensabile alla vita del povero ».745 Tale responsabilità conferisce ai consumatori la possibilità di indirizzare, grazie alla maggiore circolazione delle informazioni, il comportamento dei produttori, mediante la decisione — individuale o collettiva — di preferire i prodotti di alcune imprese anziché di altre, tenendo conto non solo dei prezzi e della qualità dei prodotti, ma anche dell'esistenza di corrette condizioni di lavoro nelle imprese, nonché del grado di tutela assicurato per l'ambiente naturale che lo circonda.
360 Il fenomeno del consumismo mantiene un persistente orientamento verso l'« avere » anziché verso l'« essere ». Esso impedisce di « distinguere correttamente le forme nuove e più elevate di soddisfacimento dei bisogni umani dai nuovi bisogni indotti, che ostacolano la formazione di una matura personalità ».746 Per contrastare questo fenomeno è necessario adoperarsi per costruire « stili di vita, nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti ».747 È innegabile che le influenze del contesto sociale sugli stili di vita sono notevoli: per questo la sfida culturale, che oggi il consumismo pone, deve essere affrontata con maggiore incisività, soprattutto se si considerano le generazioni future, le quali rischiano di dover vivere in un ambiente naturale saccheggiato a causa di un consumo eccessivo e disordinato.748
V. LE « RES NOVAE » IN ECONOMIA
a) La globalizzazione: le opportunità e i rischi
361 Il nostro tempo è segnato dal complesso fenomeno della globalizzazione economico-finanziaria, cioè un processo di crescente integrazione delle economie nazionali, sul piano del commercio di beni e servizi e delle transazioni finanziarie, nel quale un numero sempre maggiore di operatori assume un orizzonte globale per le scelte che deve operare in funzione delle opportunità di crescita e di profitto. Il nuovo orizzonte della società globale non è dato semplicemente dalla presenza di legami economici e finanziari tra attori nazionali operanti in Paesi diversi, che sono peraltro sempre esistiti, quanto piuttosto dalla pervasività e dalla natura assolutamente inedita del sistema di relazioni che si va sviluppando. Sempre più decisivo e centrale diventa il ruolo dei mercati finanziari, le cui dimensioni, in seguito alla liberalizzazione degli scambi e alla circolazione dei capitali, si sono accresciute enormemente con una velocità impressionante, al punto da consentire agli operatori di spostare « in tempo reale », da una parte all'altra del globo, capitali in grandi quantità. Si tratta di una realtà multiforme e non semplice da decifrare, in quanto si dispiega su vari livelli ed evolve continuamente, lungo traiettorie difficilmente prevedibili.
362 La globalizzazione alimenta nuove speranze, ma origina anche inquietanti interrogativi.749
Essa può produrre effetti potenzialmente benefici per l'intera umanità: intrecciandosi con l'impetuoso sviluppo delle telecomunicazioni, il percorso di crescita del sistema di relazioni economiche e finanziarie ha consentito simultaneamente una notevole riduzione nei costi delle comunicazioni e delle nuove tecnologie, nonché un'accelerazione nel processo di estensione su scala planetaria degli scambi commerciali e delle transazioni finanziarie. In altre parole, è accaduto che i due fenomeni, globalizzazione economico-finanziaria e progresso tecnologico, si sono rafforzati a vicenda, rendendo estremamente rapida la dinamica complessiva dell'attuale fase economica.
Analizzando il contesto attuale, oltre ad individuare le opportunità che si dischiudono nell'era dell'economia globale, si colgono anche i rischi legati alle nuove dimensioni delle relazioni commerciali e finanziarie. Non mancano, infatti, indizi rivelatori di una tendenza all'aumento delle disuguaglianze, sia tra Paesi avanzati e Paesi in via di sviluppo, sia all'interno dei Paesi industrializzati. Alla crescente ricchezza economica resa possibile dai processi descritti si accompagna una crescita della povertà relativa.
363 La cura del bene comune impone di cogliere le nuove occasioni di ridistribuzione di ricchezza tra le diverse aree del pianeta, a vantaggio di quelle più sfavorite e finora rimaste escluse o ai margini del progresso sociale ed economico: 750 « La sfida insomma è quella di assicurare una globalizzazione nella solidarietà, una globalizzazione senza marginalizzazione ».751 Lo stesso progresso tecnologico rischia di ripartire iniquamente tra i Paesi i propri effetti positivi. Le innovazioni, infatti, possono penetrare e diffondersi all'interno di una determinata collettività, se i loro potenziali beneficiari raggiungono una soglia minima di sapere e di risorse finanziarie: è evidente che, in presenza di forti disparità tra i Paesi nell'accesso alle conoscenze tecnico-scientifiche e ai più recenti prodotti tecnologici, il processo di globalizzazione finisce per allargare, anziché ridurre, le disuguaglianze tra i Paesi in termini di sviluppo economico e sociale. Data la natura delle dinamiche in atto, la libera circolazione di capitali non è di per sé sufficiente a favorire l'avvicinamento dei Paesi in via di sviluppo a quelli più avanzati.
364 Il commercio rappresenta una componente fondamentale delle relazioni economiche internazionali, contribuendo in maniera determinante alla specializzazione produttiva e alla crescita economica dei diversi Paesi. Oggi più che mai il commercio internazionale, se opportunamente orientato, promuove lo sviluppo ed è capace di creare nuova occupazione e di fornire utili risorse. La dottrina sociale ha più volte messo in luce le distorsioni del sistema commerciale internazionale752 che spesso, a causa delle politiche protezionistiche, discrimina i prodotti provenienti dai Paesi poveri ed ostacola la crescita di attività industriali e il trasferimento di tecnologie verso tali Paesi.753 Il continuo deterioramento nei termini di scambio delle materie prime e l'aggravarsi del divario tra Paesi ricchi e poveri ha spinto il Magistero a richiamare l'importanza dei criteri etici che dovrebbero orientare le relazioni economiche internazionali: il perseguimento del bene comune e la destinazione universale dei beni; l'equità nelle relazioni commerciali; l'attenzione ai diritti e ai bisogni dei più poveri nelle politiche commerciali e di cooperazione internazionale. Diversamente, « i poveri restano ognora poveri, mentre i ricchi diventano sempre più ricchi ».754
365 Una solidarietà adeguata all'era della globalizzazione richiede la difesa dei diritti umani. A questo riguardo il Magistero segnala che non solo « la prospettiva ... di un'autorità pubblica internazionale a servizio dei diritti umani, della libertà e della pace, non si è ancora interamente realizzata, ma si deve registrare, purtroppo, la non infrequente esitazione della comunità internazionale nel dovere di rispettare e applicare i diritti umani. Questo dovere tocca tutti i diritti fondamentali e non consente scelte arbitrarie, che porterebbero a realizzare forme di discriminazione e di ingiustizia. Allo stesso tempo, siamo testimoni dell'affermarsi di una preoccupante forbice tra una serie di nuovi “diritti” promossi nelle società tecnologicamente avanzate e diritti umani elementari che tuttora non vengono soddisfatti soprattutto in situazioni di sottosviluppo: penso, ad esempio, al diritto al cibo, all'acqua potabile, alla casa, all'auto-determinazione e all'indipendenza ».755
366 L'estensione della globalizzazione deve essere accompagnata da una più matura presa di coscienza, da parte delle organizzazioni della società civile, dei nuovi compiti ai quali sono chiamate a livello mondiale. Anche grazie ad un'azione incisiva da parte di queste organizzazioni, sarà possibile collocare l'attuale processo di crescita dell'economia e della finanza su scala planetaria in un orizzonte che garantisca un effettivo rispetto dei diritti dell'uomo e dei popoli nonché un'equa distribuzione delle risorse, all'interno di ogni Paese e tra Paesi diversi: « La libertà degli scambi non è equa se non subordinatamente alle esigenze della giustizia sociale ».756
Particolare attenzione va riservata alle specificità locali e alle diversità culturali, che rischiano di essere compromesse dai processi economico-finanziari in atto: « La globalizzazione non deve essere un nuovo tipo di colonialismo. Deve rispettare la diversità delle culture che, nell'ambito dell'armonia universale dei popoli, sono le chiavi interpretative della vita. In particolare, non deve privare i poveri di ciò che resta loro di più prezioso, incluse le credenze e le pratiche religiose, poiché convinzioni religiose autentiche sono la manifestazione più chiara della libertà umana ».757
367 Nell'epoca della globalizzazione va sottolineata con forza la solidarietà fra le generazioni: « In passato la solidarietà tra le generazioni era in molti Paesi un atteggiamento naturale da parte della famiglia; oggi è diventato anche un dovere della comunità ».758 È bene che tale solidarietà continui ad essere perseguita nelle comunità politiche nazionali, ma oggi il problema si pone anche per la comunità politica globale, affinché la mondializzazione non si realizzi a discapito dei più bisognosi e dei più deboli. La solidarietà tra le generazioni richiede che nella pianificazione globale si agisca secondo il principio dell'universale destinazione dei beni, che rende illecito moralmente e controproducente economicamente scaricare i costi attuali sulle future generazioni: illecito moralmente perché significa non assumersi le dovute responsabilità, controproducente economicamente perché la correzione dei guasti è più dispendiosa della prevenzione. Questo principio va applicato soprattutto — anche se non solo — nel campo delle risorse della terra e della salvaguardia del creato, reso particolarmente delicato dalla globalizzazione, la quale riguarda tutto il pianeta, inteso come unico ecosistema.759
b) Il sistema finanziario internazionale
368 I mercati finanziari non sono certo una novità della nostra epoca: già da molto tempo, in varie forme, essi si sono fatti carico di rispondere all'esigenza di finanziare attività produttive. L'esperienza storica attesta che, in assenza di sistemi finanziari adeguati, non si sarebbe avuta crescita economica. Gli investimenti su larga scala, tipici delle moderne economie di mercato, non sarebbero stati possibili senza il fondamentale ruolo di intermediazione svolto dai mercati finanziari, che ha permesso, tra l'altro, di apprezzare le funzioni positive del risparmio per lo sviluppo complessivo del sistema economico e sociale. Se la creazione di quello che è stato definito il « mercato globale dei capitali » ha prodotto effetti benefici, grazie al fatto che la maggiore mobilità dei capitali ha permesso alle attività produttive di avere più facilmente disponibilità di risorse, l'accresciuta mobilità, d'altra parte, ha fatto aumentare anche il rischio di crisi finanziarie. Lo sviluppo della finanza, le cui transazioni hanno superato di gran lunga, in volume, quelle reali, rischia di seguire una logica sempre più autoreferenziale, senza collegamento con la base reale dell'economia.
369 Un'economia finanziaria fine a se stessa è destinata a contraddire le sue finalità, poiché si priva delle proprie radici e della propria ragione costitutiva, ossia del suo ruolo originario ed essenziale di servizio all'economia reale e, in definitiva, di sviluppo delle persone e delle comunità umane. Il quadro complessivo risulta ancora più preoccupante alla luce della configurazione fortemente asimmetrica che contraddistingue il sistema finanziario internazionale: i processi di innovazione e di deregolamentazione dei mercati finanziari tendono infatti a consolidarsi solo in alcune parti del globo. Ciò è fonte di gravi preoccupazioni di natura etica, perché i Paesi esclusi dai processi descritti, pur non godendo dei benefici da questi prodotti, non sono tuttavia al riparo da eventuali conseguenze negative dell'instabilità finanziaria sui loro sistemi economici reali, soprattutto se fragili e in ritardo di sviluppo.760
L'improvvisa accelerazione di processi quali l'enorme incremento nel valore dei portafogli amministrati dalle istituzioni finanziarie e il rapido proliferare di nuovi e sofisticati strumenti finanziari rende quanto mai urgente l'individuazione di soluzioni istituzionali capaci di favorire efficacemente la stabilità del sistema, senza ridurne le potenzialità e l'efficienza. È indispensabile introdurre un quadro normativo che consenta di tutelare tale stabilità in tutte le sue complesse articolazioni, di promuovere la concorrenza tra gli intermediari e di assicurare la massima trasparenza a vantaggio degli investitori.
c) Il ruolo della comunità internazionale nell'epoca dell'economia globale
370 La perdita di centralità da parte degli attori statali deve coincidere con un maggior impegno della comunità internazionale nell'esercizio di un deciso ruolo di indirizzo economico e finanziario. Un'importante conseguenza del processo di globalizzazione, infatti, consiste nella graduale perdita di efficacia dello Stato nazione nella guida delle dinamiche economico-finanziarie nazionali. I Governi dei singoli Paesi vedono la propria azione in campo economico e sociale sempre più fortemente condizionata dalle aspettative dei mercati internazionali dei capitali e dalle sempre più incalzanti richieste di credibilità provenienti dal mondo finanziario. A causa dei nuovi legami tra gli operatori globali, le tradizionali misure difensive degli Stati appaiono condannate al fallimento e, di fronte alle nuove aree della competizione, passa in secondo piano la nozione stessa di mercato nazionale.
371 Quanto più il sistema economico-finanziario mondiale raggiunge livelli elevati di complessità organizzativa e funzionale, tanto più si pone come prioritario il compito di regolare tali processi, finalizzandoli al conseguimento del bene comune della famiglia umana. Emerge concretamente l'esigenza che, oltre agli Stati nazionali, sia la stessa comunità internazionale ad assumersi questa delicata funzione, con strumenti politici e giuridici adeguati ed efficaci.
È dunque indispensabile che le istituzioni economiche e finanziarie internazionali sappiano individuare le soluzioni istituzionali più appropriate ed elaborino le strategie di azione più opportune allo scopo di orientare un cambiamento che, se venisse subìto passivamente e abbandonato a se stesso, provocherebbe esiti drammatici soprattutto a danno degli strati più deboli e indifesi della popolazione mondiale.
Negli Organismi internazionali devono essere equamente rappresentati gli interessi della grande famiglia umana; è necessario che queste istituzioni, « nel valutare le conseguenze delle loro decisioni, tengano sempre adeguato conto di quei popoli e Paesi che hanno scarso peso sul mercato internazionale, ma concentrano i bisogni più vivi e dolenti e necessitano di maggior sostegno per il loro sviluppo ».761
372 Anche la politica, al pari dell'economia, deve saper estendere il proprio raggio d'azione al di là dei confini nazionali, acquisendo rapidamente quella dimensione operativa mondiale che le può consentire di indirizzare i processi in atto alla luce di parametri non solo economici, ma anche morali. L'obiettivo di fondo sarà quello di guidare tali processi assicurando il rispetto della dignità dell'uomo e lo sviluppo completo della sua personalità, nell'orizzonte del bene comune.762 L'assunzione di questo compito comporta la responsabilità di accelerare il consolidamento delle istituzioni esistenti così come la creazione di nuovi organi cui affidare tali responsabilità.763 Lo sviluppo economico, infatti, può essere duraturo se si dispiega all'interno di un quadro chiaro e definito di norme e di un ampio progetto di crescita morale, civile e culturale dell'intera famiglia umana.
d) Uno sviluppo integrale e solidale
373 Uno dei compiti fondamentali degli attori dell'economia internazionale è il raggiungimento di uno sviluppo integrale e solidale per l'umanità, vale a dire, « la promozione di ogni uomo e di tutto l'uomo ».764 Tale compito richiede una concezione dell'economia che garantisca, a livello internazionale, l'equa distribuzione delle risorse e risponda alla coscienza dell'interdipendenza — economica, politica e culturale — che unisce ormai definitivamente i popoli tra loro e li fa sentire legati ad un unico destino.765 I problemi sociali assumono sempre più una dimensione planetaria. Nessuno Stato può più affrontarli e risolverli da solo. Le attuali generazioni toccano con mano la necessità della solidarietà e avvertono concretamente il bisogno di superare la cultura individualistica.766 Si registra sempre più diffusamente l'esigenza di modelli di sviluppo che non prevedano solo « di elevare tutti i popoli al livello di cui godono oggi i Paesi più ricchi, ma di costruire nel lavoro solidale una vita più degna, di far crescere effettivamente la dignità e la creatività di ogni singola persona, la sua capacità di rispondere alla propria vocazione e, dunque, all'appello di Dio, in essa contenuto ».767
374 Uno sviluppo più umano e solidale gioverà anche agli stessi Paesi ricchi. Essi « avvertono spesso una sorta di smarrimento esistenziale, un'incapacità di vivere e di godere rettamente il senso della vita, pur in mezzo all'abbondanza dei beni materiali, un'alienazione e una perdita della propria umanità in molte persone, che si sentono ridotte al ruolo di ingranaggi nel meccanismo della produzione e del consumo e non trovano il modo di affermare la propria dignità di uomini, fatti a immagine e somiglianza di Dio ».768 I Paesi ricchi hanno dimostrato di avere la capacità di creare benessere materiale, ma sovente a spese dell'uomo e delle fasce sociali più deboli: « non si può ignorare che le frontiere della ricchezza e della povertà attraversano al loro interno le stesse società sia sviluppate che in via di sviluppo. Difatti, come esistono diseguaglianze sociali fino a livello di miseria nei Paesi ricchi, così, parallelamente, nei Paesi meno sviluppati si vedono non di rado manifestazioni di egoismo e ostentazioni di ricchezza, tanto sconcertanti quanto scandalose ».769
e) La necessità di una grande opera educativa e culturale
375 Per la dottrina sociale, l'economia « è solo un aspetto ed una dimensione della complessa attività umana. Se essa è assolutizzata, se la produzione ed il consumo delle merci finiscono con l'occupare il centro della vita sociale e diventano l'unico valore della società, non subordinato ad alcun altro, la causa va ricercata non solo e non tanto nel sistema economico stesso, quanto nel fatto che l'intero sistema socio-culturale, ignorando la dimensione etica e religiosa, si è indebolito e ormai si limita solo alla produzione dei beni e dei servizi ».770 La vita dell'uomo, al pari di quella sociale della collettività, non può essere ridotta ad una dimensione materialistica, anche se i beni materiali sono estremamente necessari sia ai fini della pura sopravvivenza, sia per il miglioramento del tenore di vita: « alla base di ogni sviluppo completo della società umana sta la crescita del senso di Dio e della conoscenza di sé ».771
376 Di fronte all'incedere rapido del progresso tecnico-economico e alla mutevolezza, altrettanto rapida, dei processi di produzione e di consumo, il Magistero avverte l'esigenza di proporre una grande opera educativa e culturale: « la domanda di un'esistenza qualitativamente più soddisfacente e più ricca è in sé cosa legittima; ma non si possono non sottolineare le nuove responsabilità ed i pericoli connessi con questa fase storica... Individuando nuovi bisogni e nuove modalità per il loro soddisfacimento, è necessario lasciarsi guidare da un'immagine integrale dell'uomo, che rispetti tutte le dimensioni del suo essere e subordini quelle materiali e istintive a quelle interiori e spirituali... È, perciò, necessaria ed urgente una grande opera educativa e culturale, la quale comprenda l'educazione dei consumatori ad un uso responsabile del loro potere di scelta, la formazione di un alto senso di responsabilità nei produttori e, soprattutto, nei professionisti delle comunicazioni di massa, oltre che il necessario intervento delle pubbliche Autorità ».772
CAPITOLO OTTAVO
LA COMUNITÀ POLITICA
I. ASPETTI BIBLICI
a) La signoria di Dio
377 Il popolo di Israele, nella fase iniziale della sua storia, non ha re, come gli altri popoli, perché riconosce soltanto la signoria di Jahve. È Dio che interviene nella storia attraverso uomini carismatici, come testimonia il Libro dei Giudici. All'ultimo di questi uomini, Samuele, profeta e giudice, il popolo chiederà un re (cfr. 1 Sam 8,5; 10,18-19). Samuele mette in guardia gli Israeliti circa le conseguenze di un esercizio dispotico della regalità (cfr. 1 Sam 8,11-18) ); il potere regale, tuttavia, può essere anche sperimentato come dono di Jahve che viene in soccorso del Suo popolo (cfr. 1 Sam 9,16). Alla fine, Saul riceverà l'unzione regale (cfr. 1 Sam 10,1- 2). La vicenda evidenzia le tensioni che portarono Israele ad una concezione della regalità diversa da quella dei popoli vicini: il re, scelto da Jahve (cfr. Dt 17,15; 1 Sam 9,16) e da Lui consacrato (cfr. 1 Sam 16,12-13), sarà visto come Suo figlio (cfr. Sal 2,7) e dovrà renderne visibile la signoria e il disegno di salvezza (cfr. Sal 72). Dovrà dunque farsi difensore dei deboli e assicurare al popolo la giustizia: le denunce dei profeti si appunteranno proprio sulle inadempienze dei re (cfr. 1 Re 21; Is 10,1-4; Am 2,6-8; 8,4-8; Mi 3,1-4).
378 Il prototipo del re scelto da Jahve è Davide, di cui il racconto biblico sottolinea con compiacimento l'umile condizione (cfr. 1 Sam 16,1-13). Davide è il depositario della promessa (cfr. 2 Sam 7,13-16; Sal 89,2-38; 132,11-18), che lo rende iniziatore di una speciale tradizione regale, la tradizione « messianica ». Essa, nonostante tutti i peccati e le infedeltà dello stesso Davide e dei suoi successori, culmina in Gesù Cristo, l'« unto di Jahve » (cioè « consacrato del Signore »: cfr. 1 Sam 2,35; 24,7.11; 26,9.16; cfr. anche Es 30,22-32) per eccellenza, figlio di Davide (cfr. le due genealogie in Mt 1,1-17 e Lc 3,23-38; cfr. anche Rm 1,3).
Il fallimento sul piano storico della regalità non porterà alla scomparsa dell'ideale di un re che, nella fedeltà a Jahve, governi con saggezza e operi la giustizia. Questa speranza riappare più volte nei Salmi (cfr. Sal 2; 18; 20; 21; 72). Negli oracoli messianici è attesa, per il tempo escatologico, la figura di un re abitato dallo Spirito del Signore, pieno di sapienza e in grado di rendere giustizia ai poveri (cfr. Is 11,2-5; Ger 23,5-6). Vero pastore del popolo d'Israele (cfr. Ez 34,23-24; 37,24), egli porterà la pace alle genti (cfr. Zc 9,9-10). Nella letteratura sapienziale, il re è presentato come colui che pronuncia giusti giudizi e aborrisce l'iniquità (cfr. Pr 16,12), giudica i poveri con equità (cfr. Pr 29,14) ed è amico dell'uomo dal cuore puro (cfr. Pr 22,11). Diventa via via più esplicito l'annuncio di quanto i Vangeli e gli altri testi del Nuovo Testamento vedono realizzato in Gesù di Nazaret, incarnazione definitiva della figura del re descritta nell'Antico Testamento.
b) Gesù e l'autorità politica
379 Gesù rifiuta il potere oppressivo e dispotico dei capi sulle Nazioni (cfr. Mc 10,42) e la loro pretesa di farsi chiamare benefattori (cfr. Lc 22,25), ma non contesta mai direttamente le autorità del Suo tempo. Nella diatriba sul tributo da dare a Cesare (cfr. Mc 12,13-17; Mt 22,15-22; Lc 20,20-26), Egli afferma che occorre dare a Dio quello che è di Dio, condannando implicitamente ogni tentativo di divinizzazione e di assolutizzazione del potere temporale: solo Dio può esigere tutto dall'uomo. Nello stesso tempo, il potere temporale ha diritto a ciò che gli è dovuto: Gesù non considera ingiusto il tributo a Cesare.
Gesù, il Messia promesso, ha combattuto e sconfitto la tentazione di un messianismo politico, caratterizzato dal dominio sulle Nazioni (cfr. Mt 4,8- 11; Lc 4,5-8). Egli è il Figlio dell'uomo venuto « per servire e dare la propria vita » (Mc 10,45; cfr. Mt 20,24-28; Lc 22,24-27). Ai Suoi discepoli che discutono su chi sia il più grande, il Signore insegna a farsi ultimi e a servire tutti (cfr. Mc 9,33-35), indicando ai figli di Zebedèo, Giacomo e Giovanni, che ambiscono a sedersi alla Sua destra, il cammino della croce (cfr. Mc 10,35-40; Mt 20,20-23).
c) Le prime comunità cristiane
380 La sottomissione, non passiva, ma per ragioni di coscienza (cfr. Rm 13,5), al potere costituito risponde all'ordine stabilito da Dio. San Paolo definisce i rapporti e i doveri dei cristiani verso le autorità (cfr. Rm 13,1- 7). Insiste sul dovere civico di pagare i tributi: « Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse, le tasse; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto » (Rm 13,7). L'Apostolo non intende certo legittimare ogni potere, quanto piuttosto aiutare i cristiani a « compiere il bene davanti a tutti gli uomini » (Rm 12,17), anche nei rapporti con l'autorità, in quanto essa è al servizio di Dio per il bene della persona (cfr. Rm 13,4; 1 Tm 2,1-2; Tt 3,1) e « per la giusta condanna di chi opera il male » (Rm 13,4).
San Pietro esorta i cristiani a stare « sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore » (1 Pt 2,13). Il re e i suoi governatori hanno il compito di « punire i malfattori e premiare i buoni » (1 Pt 2,14). La loro autorità deve essere « onorata » (cfr. 1 Pt 2,17), cioè riconosciuta, perché Dio esige un comportamento retto, che chiuda « la bocca all'ignoranza degli stolti » (1 Pt 2,15). La libertà non può essere usata per coprire la propria malizia, ma per servire Dio (cfr. ib.). Si tratta allora di un'obbedienza libera e responsabile ad un'autorità che fa rispettare la giustizia, assicurando il bene comune.
381 La preghiera per i governanti, raccomandata da san Paolo durante le persecuzioni, indica esplicitamente ciò che l'autorità politica deve garantire: una vita calma e tranquilla, da trascorrere con tutta pietà e dignità (cfr. 1 Tm 2,1-2). I cristiani devono « essere pronti per ogni opera buona » (Tt 3,1), « mostrando ogni dolcezza verso tutti gli uomini » (Tt 3,2), consapevoli di essere stati salvati non per le loro opere, ma per la misericordia di Dio. Senza « un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, effuso [da Dio] su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro » (Tt 3,5-6), tutti gli uomini sono « insensati, disobbedienti, traviati, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, [vivono] nella malvagità e nell'invidia, degni di odio e [odiandosi] a vicenda » (Tt 3,3). Non si deve dimenticare la miseria della condizione umana, segnata dal peccato e riscattata dall'amore di Dio.
382 Quando il potere umano esce dai limiti dell'ordine voluto da Dio, si autodivinizza e chiede l'assoluta sottomissione; diventa allora la Bestia dell'Apocalisse, immagine del potere imperiale persecutore, ebbro « del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù » (Ap 17,6). La Bestia ha al suo servizio il « falso profeta » (Ap 19,20), che spinge gli uomini ad adorarla con portenti che seducono. Questa visione addita profeticamente tutte le insidie usate da Satana per governare gli uomini, insinuandosi nel loro spirito con la menzogna. Ma Cristo è l'Agnello Vincitore di ogni potere che si assolutizza, nel corso della storia umana. Di fronte a tale potere, san Giovanni raccomanda la resistenza dei martiri: in questo modo i credenti testimoniano che il potere corrotto e satanico è vinto, perché non ha più nessun ascendente su di loro.
383 La Chiesa annuncia che Cristo, vincitore della morte, regna sull'universo che Egli stesso ha riscattato. Il Suo regno si estende anche nel tempo presente e finirà soltanto quando tutto sarà consegnato al Padre e la storia umana si compirà con il giudizio finale (cfr. 1 Cor 15,20-28). Cristo svela all'autorità umana, sempre tentata dal dominio, il suo significato autentico e compiuto di servizio. Dio è Padre unico e Cristo unico maestro per tutti gli uomini, che sono fratelli. La sovranità appartiene a Dio. Il Signore, tuttavia, « non ha voluto riservare solo a sé l'esercizio di tutti i poteri. Egli assegna ad ogni creatura le funzioni che essa è in grado di esercitare, secondo le capacità proprie della sua natura. Questo modo di governare deve essere imitato nella vita sociale. Il comportamento di Dio nel governo del mondo, che testimonia un profondissimo rispetto per la libertà umana, dovrebbe ispirare la saggezza di coloro che governano le comunità umane. Costoro devono comportarsi come ministri della provvidenza divina ».773
Il messaggio biblico ispira incessantemente il pensiero cristiano sul potere politico, ricordando che esso scaturisce da Dio ed è parte integrante dell'ordine da Lui creato. Tale ordine è percepito dalle coscienze e si realizza, nella vita sociale, mediante la verità, la giustizia, la libertà e la solidarietà che procurano la pace.774
II. IL FONDAMENTO
E IL FINE DELLA COMUNITÀ POLITICA
a) Comunità politica, persona umana e popolo
384 La persona umana è fondamento e fine della convivenza politica.775 Dotata di razionalità, essa è responsabile delle proprie scelte e capace di perseguire progetti che danno senso alla sua vita, a livello individuale e sociale. L'apertura verso la Trascendenza e verso gli altri è il tratto che la caratterizza e contraddistingue: soltanto in rapporto con la Trascendenza e con gli altri, la persona umana raggiunge la piena e completa realizzazione di sé. Questo significa che per l'uomo, creatura naturalmente sociale e politica, « la vita sociale non è qualcosa di accessorio »,776 bensì un'essenziale ed ineliminabile dimensione.
La comunità politica scaturisce dalla natura delle persone, la cui coscienza « rivela e ordina perentoriamente di seguire » 777 l'ordine scolpito da Dio in tutte le Sue creature: « un ordine etico-religioso, il quale incide più di ogni altro valore materiale sugli indirizzi e le soluzioni da dare ai problemi della vita individuale ed associata nell'interno delle comunità nazionali e nei rapporti tra esse ».778 Tale ordine deve essere gradualmente scoperto e sviluppato dall'umanità. La comunità politica, realtà connaturale agli uomini, esiste per ottenere un fine altrimenti irraggiungibile: la crescita più piena di ciascuno dei suoi membri, chiamati a collaborare stabilmente per realizzare il bene comune,779 sotto la spinta della loro tensione naturale verso il vero e verso il bene.
385 La comunità politica trova nel riferimento al popolo la sua autentica dimensione: essa « è, e deve essere in realtà, l'unità organica e organizzatrice di un vero popolo ».780 Il popolo non è una moltitudine amorfa, una massa inerte da manipolare e strumentalizzare, bensì un insieme di persone, ciascuna delle quali — « al proprio posto e nel proprio modo »781 — ha la possibilità di formarsi una propria opinione sulla cosa pubblica e la libertà di esprimere la propria sensibilità politica e di farla valere in maniera confacente al bene comune. Il popolo « vive della pienezza della vita degli uomini che lo compongono, ciascuno dei quali ... è una persona consapevole delle proprie responsabilità e delle proprie convinzioni ».782 Gli appartenenti ad una comunità politica, pur essendo uniti organicamente tra loro come popolo, conservano, tuttavia, un'insopprimibile autonomia a livello di esistenza personale e dei fini da perseguire.
386 Ciò che caratterizza in primo luogo un popolo è la condivisione di vita e di valori, che è fonte di comunione a livello spirituale e morale: « La convivenza umana... deve essere considerata anzitutto come un fatto spirituale: quale comunicazione di conoscenze nella luce del vero; esercizio di diritti e adempimento di doveri; impulso e richiamo al bene morale; e come nobile comune godimento del bello in tutte le sue legittime espressioni; permanente disposizione ad effondere gli uni negli altri il meglio di se stessi; anelito ad una mutua e sempre più ricca assimilazione di valori spirituali: valori nei quali trovano la loro perenne vivificazione e il loro orientamento di fondo le espressioni culturali, il mondo economico, le istituzioni sociali, i movimenti e i regimi politici, gli ordinamenti giuridici e tutti gli altri elementi esteriori, in cui si articola e si esprime la convivenza nel suo evolversi incessante ».783
387 A ogni popolo corrisponde in generale una Nazione, ma per varie ragioni non sempre i confini nazionali coincidono con quelli etnici.784 Sorge così la questione delle minoranze, che storicamente ha originato non pochi conflitti. Il Magistero afferma che le minoranze costituiscono gruppi con specifici diritti e doveri. In primo luogo, un gruppo minoritario ha diritto alla propria esistenza: « Tale diritto può essere disatteso in diverse maniere, fino ai casi estremi in cui è negato mediante forme manifeste o indirette di genocidio ».785 Inoltre, le minoranze hanno diritto di mantenere la loro cultura, compresa la lingua, nonché le loro convinzioni religiose, compresa la celebrazione del culto. Nella legittima rivendicazione dei propri diritti, le minoranze possono essere spinte a cercare una maggiore autonomia o addirittura l'indipendenza: in tali delicate circostanze, dialogo e negoziato sono il cammino per raggiungere la pace. In ogni caso il ricorso al terrorismo è ingiustificabile e danneggerebbe la causa che si vuole difendere. Le minoranze hanno anche doveri da assolvere tra cui, anzitutto, la cooperazione al bene comune dello Stato in cui sono inserite. In particolare, « un gruppo minoritario ha il dovere di promuovere la libertà e la dignità di ciascuno dei suoi membri e di rispettare le scelte di ogni suo individuo, anche quando uno decidesse di passare alla cultura maggioritaria ».786
b) Tutelare e promuovere i diritti umani
388 Considerare la persona umana come fondamento e fine della comunità politica significa adoperarsi, innanzi tutto, per il riconoscimento e il rispetto della sua dignità mediante la tutela e la promozione dei diritti fondamentali e inalienabili dell'uomo: « Nell'epoca moderna, l'attuazione del bene comune trova la sua indicazione di fondo nei diritti e nei doveri della persona ».787 Nei diritti umani sono condensate le principali esigenze morali e giuridiche che devono presiedere alla costruzione della comunità politica. Essi costituiscono una norma oggettiva che sta a fondamento del diritto positivo e che non può essere ignorata dalla comunità politica, perché la persona le è ontologicamente e finalisticamente anteriore: il diritto positivo deve garantire la soddisfazione delle esigenze umane fondamentali.
389 La comunità politica persegue il bene comune operando per la creazione di un ambiente umano in cui ai cittadini sia offerta la possibilità di un reale esercizio dei diritti umani e di un pieno adempimento dei relativi doveri: « l'esperienza attesta che qualora manchi una appropriata azione dei poteri pubblici, gli squilibri economici, sociali e culturali tra gli esseri umani tendono, soprattutto nell'epoca nostra, ad accentuarsi; di conseguenza i fondamentali diritti della persona rischiano di rimanere privi di contenuto; e viene compromesso l'adempimento dei rispettivi doveri ».788
La piena realizzazione del bene comune richiede che la comunità politica sviluppi, nell'ambito dei diritti umani, una duplice e complementare azione, di difesa e di promozione: « Si deve quindi evitare che, attraverso la preferenza data alla tutela dei diritti di alcuni individui o gruppi sociali, si creino posizioni di privilegio; e si deve pure evitare che, nell'intento di promuovere gli accennati diritti, si arrivi all'assurdo risultato di ridurre eccessivamente o renderne impossibile il genuino esercizio ».789
c) La convivenza basata sull'amicizia civile
390 Il significato profondo della convivenza civile e politica non emerge immediatamente dall'elenco dei diritti e dei doveri della persona. Tale convivenza acquista tutto il suo significato se basata sull'amicizia civile e sulla fraternità.790 Il campo del diritto, infatti, è quello dell'interesse tutelato e del rispetto esteriore, della protezione dei beni materiali e della loro ripartizione secondo regole stabilite; il campo dell'amicizia, invece, è quello del disinteresse, del distacco dai beni materiali, della loro donazione, della disponibilità interiore alle esigenze dell'altro.791 L'amicizia civile,792 così intesa, è l'attuazione più autentica del principio di fraternità, che è inseparabile da quello di libertà e di uguaglianza.793 Si tratta di un principio rimasto in gran parte non attuato nelle società politiche moderne e contemporanee, soprattutto a causa dell'influsso esercitato dalle ideologie individualistiche e collettivistiche.
391 Una comunità è solidamente fondata quando tende alla promozione integrale della persona e del bene comune; in questo caso, il diritto viene definito, rispettato e vissuto anche secondo le modalità della solidarietà e della dedizione al prossimo. La giustizia richiede che ognuno possa godere dei propri beni e dei propri diritti e può essere considerata la misura minima dell'amore.794 La convivenza diventa tanto più umana quanto più è caratterizzata dallo sforzo verso una più matura consapevolezza dell'ideale verso cui essa deve tendere, che è la « civiltà dell'Amore ».795
L'uomo è una persona, non solo un individuo.796 Con il termine « persona » si indica « una natura dotata di intelligenza e di volontà libera »: 797 è dunque una realtà ben superiore a quella di un soggetto che si esprime nei bisogni prodotti dalla mera dimensione materiale. La persona umana, infatti, pur partecipando attivamente all'opera tesa al soddisfacimento dei bisogni in seno alla società familiare, civile e politica, non trova realizzazione completa di sé fino a quando non supera la logica del bisogno per proiettarsi in quella della gratuità e del dono, che più pienamente risponde alla sua essenza e alla sua vocazione comunitaria.
392 Il precetto evangelico della carità illumina i cristiani sul significato più profondo della convivenza politica. Per renderla veramente umana, « non c'è niente di meglio che favorire il senso interiore della giustizia e benevolenza e del servizio al bene comune, e corroborare le convinzioni fondamentali sulla vera natura della comunità politica e sul fine, sul legittimo esercizio e sui limiti dell'autorità pubblica ».798 L'obiettivo che i credenti devono proporsi è la realizzazione di rapporti comunitari fra le persone. La visione cristiana della società politica conferisce il massimo rilievo al valore della comunità, sia come modello organizzativo della convivenza sia come stile di vita quotidiana.
III. L'AUTORITÀ POLITICA
a) Il fondamento dell'autorità politica
393 La Chiesa si è confrontata con diverse concezioni dell'autorità, avendo sempre cura di difenderne e di proporne un modello fondato sulla natura sociale delle persone: « Iddio, infatti, ha creato gli esseri umani sociali per natura; e poiché non vi può essere “società che si sostenga, se non c'è chi sovrasti gli altri, muovendo ognuno con efficacia ed unità di mezzi verso un fine comune, ne segue che alla convivenza civile è indispensabile l'autorità che la regga; la quale, non altrimenti che la società, è da natura, e perciò stesso viene da Dio” ».799 L'autorità politica è pertanto necessaria 800 a motivo dei compiti che le sono attribuiti e deve essere una componente positiva e insostituibile della convivenza civile.801
394 L'autorità politica deve garantire la vita ordinata e retta della comunità, senza sostituirsi alla libera attività dei singoli e dei gruppi, ma disciplinandola e orientandola, nel rispetto e nella tutela dell'indipendenza dei soggetti individuali e sociali, verso la realizzazione del bene comune. L'autorità politica è lo strumento di coordinamento e di direzione mediante il quale i singoli e i corpi intermedi si devono orientare verso un ordine le cui relazioni, istituzioni e procedure siano al servizio della crescita umana integrale. L'esercizio dell'autorità politica, infatti, « sia nella comunità come tale, sia negli organismi che rappresentano lo stato, deve sempre essere praticato entro i limiti dell'ordine morale, per procurare il bene comune — concepito però dinamicamente — secondo un ordinamento giuridico legittimamente definito o da definire. Allora i cittadini sono obbligati in coscienza ad obbedire ».802
395 Il soggetto dell'autorità politica è il popolo, considerato nella sua totalità quale detentore della sovranità. Il popolo, in varie forme, trasferisce l'esercizio della sua sovranità a coloro che liberamente elegge suoi rappresentanti, ma conserva la facoltà di farla valere nel controllo dell'operato dei governanti e anche nella loro sostituzione, qualora essi non adempiano in maniera soddisfacente alle loro funzioni. Sebbene questo sia un diritto valido in ogni Stato e in qualsiasi regime politico, il sistema della democrazia, grazie alle sue procedure di controllo, ne permette e ne garantisce la migliore attuazione.803 Il solo consenso popolare non è tuttavia sufficiente a far ritenere giuste le modalità di esercizio dell'autorità politica.
b) L'autorità come forza morale
396 L'autorità deve lasciarsi guidare dalla legge morale: tutta la sua dignità deriva dallo svolgersi nell'ambito dell'ordine morale,804 « il quale si fonda in Dio, che ne è il primo principio e l'ultimo fine ».805 In ragione del necessario riferimento a quest'ordine, che la precede e la fonda, delle sue finalità e dei destinatari, l'autorità non può essere intesa come una forza determinata da criteri di carattere puramente sociologico e storico: « In alcune... concezioni, purtroppo, non si riconosce l'esistenza dell'ordine morale: ordine trascendente, universale, assoluto, uguale e valevole per tutti. Viene meno così la possibilità di incontrarsi e di intendersi pienamente e sicuramente nella luce di una stessa legge di giustizia ammessa e seguita da tutti ».806 Questo ordine « non si regge che in Dio: scisso da Dio si disintegra ».807 Proprio da questo ordine l'autorità trae la virtù di obbligare 808 e la propria legittimità morale; 809 non dall'arbitrio o dalla volontà di potenza,810 ed è tenuta a tradurre tale ordine nelle azioni concrete per raggiungere il bene comune.811
397 L'autorità deve riconoscere, rispettare e promuovere i valori umani e morali essenziali. Essi sono innati, « scaturiscono dalla verità stessa dell'essere umano ed esprimono e tutelano la dignità della persona: valori, pertanto, che nessun individuo, nessuna maggioranza e nessuno Stato potranno mai creare, modificare o distruggere ».812 Essi non trovano fondamento in provvisorie e mutevoli « maggioranze » di opinione, ma devono essere semplicemente riconosciuti, rispettati e promossi come elementi di una legge morale obiettiva, legge naturale iscritta nel cuore dell'uomo (cfr. Rm 2,15), e punto di riferimento normativo della stessa legge civile.813 Quando, per un tragico oscuramento della coscienza collettiva, lo scetticismo giungesse a porre in dubbio persino i principi fondamentali della legge morale,814 lo stesso ordinamento statale sarebbe scosso nelle sue fondamenta, riducendosi a un puro meccanismo di regolazione pragmatica dei diversi e contrapposti interessi.815
398 L'autorità deve emanare leggi giuste, cioè conformi alla dignità della persona umana e ai dettami della retta ragione: « La legge umana in tanto è tale in quanto è conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza ».816 L'autorità che comanda secondo ragione pone il cittadino in rapporto non tanto di sudditanza rispetto a un altro uomo, quanto piuttosto di obbedienza all'ordine morale e, quindi, a Dio stesso che ne è la fonte ultima.817 Chi rifiuta obbedienza all'autorità che agisce secondo l'ordine morale « si oppone all'ordine stabilito da Dio » (Rm 13,2).818 Analogamente l'autorità pubblica, che ha il suo fondamento nella natura umana e appartiene all'ordine prestabilito da Dio,819 qualora non si adoperi per realizzare il bene comune, disattende il suo fine proprio e perciò stesso si delegittima.
c) Il diritto all'obiezione di coscienza
399 Il cittadino non è obbligato in coscienza a seguire le prescrizioni delle autorità civili se sono contrarie alle esigenze dell'ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo.820 Le leggi ingiuste pongono gli uomini moralmente retti di fronte a drammatici problemi di coscienza: quando sono chiamati a collaborare ad azioni moralmente cattive, hanno l'obbligo di rifiutarsi.821 Oltre ad essere un dovere morale, questo rifiuto è anche un diritto umano basilare che, proprio perché tale, la stessa legge civile deve riconoscere e proteggere: « Chi ricorre all'obiezione di coscienza deve essere salvaguardato non solo da sanzioni penali, ma anche da qualsiasi danno sul piano legale, disciplinare, economico e professionale ».822
È un grave dovere di coscienza non prestare collaborazione, neppure formale, a quelle pratiche che, pur ammesse dalla legislazione civile, sono in contrasto con la Legge di Dio. Tale collaborazione, infatti, non può mai essere giustificata, né invocando il rispetto della libertà altrui, né facendo leva sul fatto che la legge civile la prevede e la richiede. Alla responsabilità morale degli atti compiuti nessuno può mai sottrarsi e su tale responsabilità ciascuno sarà giudicato da Dio stesso (cfr. Rm 2,6; 14,12).
d) Il diritto di resistere
400 Riconoscere che il diritto naturale fonda e limita il diritto positivo significa ammettere che è legittimo resistere all'autorità qualora questa violi gravemente e ripetutamente i principi del diritto naturale. San Tommaso d'Aquino scrive che « si è tenuti a obbedire... per quanto lo esige l'ordine della giustizia ».823 Il fondamento del diritto di resistenza è quindi il diritto di natura.
Diverse possono essere le manifestazioni concrete che la realizzazione di tale diritto può assumere. Diversi possono essere anche i fini perseguiti. La resistenza all'autorità mira a ribadire la validità di una diversa visione delle cose, sia quando si cerca di ottenere un mutamento parziale, modificando ad esempio alcune leggi, sia quando ci si batte per un radicale cambiamento della situazione.
401 La dottrina sociale indica i criteri per l'esercizio del diritto di resistenza: « La resistenza all'oppressione del potere politico non ricorrerà legittimamente alle armi, salvo quando sussistano tutte insieme le seguenti condizioni: 1. in caso di violazioni certe, gravi e prolungate dei diritti fondamentali; 2. dopo che si siano tentate tutte le altre vie; 3. senza che si provochino disordini peggiori; 4. qualora vi sia una fondata speranza di successo; 5. se è impossibile intravedere ragionevolmente soluzioni migliori ».824 La lotta armata è contemplata quale estremo rimedio per porre fine a una « tirannia evidente e prolungata che attentasse gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuocesse in modo pericoloso al bene comune di un paese ».825 La gravità dei pericoli che il ricorso alla violenza oggi comporta fa ritenere comunque preferibile la strada della resistenza passiva, « più conforme ai principi morali e non meno promettente di successo ».826
e) Infliggere le pene
402 Per tutelare il bene comune, la legittima autorità pubblica ha il diritto e il dovere di comminare pene proporzionate alla gravità dei delitti.827 Lo Stato ha il duplice compito di reprimere i comportamenti lesivi dei diritti dell'uomo e delle regole fondamentali di una civile convivenza, nonché di rimediare, tramite il sistema delle pene, al disordine causato dall'azione delittuosa. Nello Stato di diritto, il potere di infliggere le pene è correttamente affidato alla Magistratura: « Le Costituzioni degli Stati moderni, definendo i rapporti che devono esistere tra il potere legislativo, l'esecutivo e il giudiziario, garantiscono a quest'ultimo la necessaria indipendenza nell'ambito della legge ».828
403 La pena non serve unicamente allo scopo di difendere l'ordine pubblico e di garantire la sicurezza delle persone: essa diventa, altresì, uno strumento per la correzione del colpevole, una correzione che assume anche il valore morale di espiazione quando il colpevole accetta volontariamente la sua pena.829 La finalità cui tendere è duplice: da un lato favorire il reinserimento delle persone condannate; da un altro lato promuovere una giustizia riconciliatrice, capace di restaurare le relazioni di armonica convivenza spezzate dall'atto criminoso.
A questo riguardo, è importante l'attività che i cappellani delle carceri sono chiamati a svolgere, non solo sotto il profilo specificamente religioso, ma anche in difesa della dignità delle persone detenute. Purtroppo, le condizioni in cui esse scontano la loro pena non favoriscono sempre il rispetto della loro dignità; spesso le prigioni diventano addirittura teatro di nuovi crimini. L'ambiente degli istituti di pena offre, tuttavia, un terreno privilegiato sul quale testimoniare, ancora una volta, la sollecitudine cristiana in campo sociale: « ero... carcerato e siete venuti a trovarmi » (Mt 25,35-36).
404 L'attività degli uffici preposti all'accertamento della responsabilità penale, che è sempre di carattere personale, deve tendere alla rigorosa ricerca della verità e va condotta nel pieno rispetto della dignità e dei diritti della persona umana: si tratta di assicurare i diritti del colpevole come quelli dell'innocente. Si deve sempre avere presente il principio giuridico generale per cui non si può comminare una pena se prima non si è provato il delitto.
Nell'espletamento delle indagini va scrupolosamente osservata la regola che interdice la pratica della tortura, anche nel caso dei reati più gravi: « Il discepolo di Cristo respinge ogni ricorso a simili mezzi, che nulla potrebbe giustificare e in cui la dignità dell'uomo viene avvilita tanto in colui che viene colpito quanto nel suo carnefice ».830 Gli strumenti giuridici internazionali relativi ai diritti dell'uomo indicano giustamente il divieto della tortura come un principio al quale non si può derogare in alcuna circostanza.
Va altresì escluso « il ricorso ad una detenzione motivata soltanto dal tentativo di ottenere notizie significative per il processo ».831 Inoltre, va assicurata « la piena celerità dei processi: una loro eccessiva lunghezza diventa intollerabile per i cittadini e finisce per tradursi in una vera e propria ingiustizia ».832
I magistrati sono tenuti a un doveroso riserbo nello svolgimento delle loro inchieste per non violare il diritto degli indagati alla riservatezza e per non indebolire il principio della presunzione d'innocenza. Poiché anche un giudice può sbagliarsi, è opportuno che la legislazione disponga un equo indennizzo per la vittima di un errore giudiziario.
405 La Chiesa vede come un segno di speranza « la sempre più diffusa avversione dell'opinione pubblica alla pena di morte anche solo come strumento di “legittima difesa” sociale, in considerazione delle possibilità di cui dispone una moderna società di reprimere efficacemente il crimine in modi che, mentre rendono inoffensivo colui che l'ha commesso, non gli tolgono definitivamente la possibilità di redimersi ».833 Seppure l'insegnamento tradizionale della Chiesa non escluda — supposto il pieno accertamento dell'identità e della responsabilità del colpevole — la pena di morte « quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani »,834 i metodi non cruenti di repressione e di punizione sono preferibili in quanto « meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e più conformi alla dignità della persona umana ».835 Il crescente numero di Paesi che adottano provvedimenti per abolire la pena di morte o per sospenderne l'applicazione è anche una prova del fatto che i casi in cui è assolutamente necessario sopprimere il reo « sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti ».836 La crescente avversione dell'opinione pubblica alla pena di morte e i vari provvedimenti in vista della sua abolizione, ovvero della sospensione della sua applicazione, costituiscono visibili manifestazioni di una maggiore sensibilità morale.
IV. IL SISTEMA DELLA DEMOCRAZIA
406 Un giudizio esplicito e articolato sulla democrazia è contenuto nell'enciclica « Centesimus annus »: « La Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno. Essa, pertanto, non può favorire la formazione di gruppi dirigenti ristretti, i quali per interessi particolari o per fini ideologici usurpano il potere dello Stato. Un'autentica democrazia è possibile soltanto in uno Stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persona umana. Essa esige che si verifichino le condizioni necessarie per la promozione sia delle singole persone mediante l'educazione e la formazione ai veri ideali, sia della “soggettività” della società mediante la creazione di strutture di partecipazione e di corresponsabilità ».837
a) I valori e la democrazia
407 Un'autentica democrazia non è solo il risultato di un rispetto formale di regole, ma è il frutto della convinta accettazione dei valori che ispirano le procedure democratiche: la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei diritti dell'uomo, l'assunzione del « bene comune » come fine e criterio regolativo della vita politica. Se non vi è un consenso generale su tali valori, si smarrisce il significato della democrazia e si compromette la sua stabilità.
La dottrina sociale individua uno dei rischi maggiori per le attuali democrazie nel relativismo etico, che induce a ritenere inesistente un criterio oggettivo e universale per stabilire il fondamento e la corretta gerarchia dei valori: « Oggi si tende ad affermare che l'agnosticismo e il relativismo scettico sono la filosofia e l'atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche, e che quanti sono convinti di conoscere la verità e aderiscono con fermezza ad essa non sono affidabili dal punto di vista democratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. A questo proposito, bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l'azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia ».838 La democrazia è fondamentalmente « un “ordinamento” e, come tale, uno strumento e non un fine. Il suo carattere “morale” non è automatico, ma dipende dalla conformità alla legge morale a cui, come ogni altro comportamento umano, deve sottostare: dipende cioè dalla moralità dei fini che persegue e dei mezzi di cui si serve ».839
b) Istituzioni e democrazia
408 Il Magistero riconosce la validità del principio relativo alla divisione dei poteri in uno Stato: « È preferibile che ogni potere sia bilanciato da altri poteri e da altre sfere di competenza, che lo mantengano nel suo giusto limite. È, questo, il principio dello “Stato di diritto”, nel quale è sovrana la legge, e non la volontà arbitraria degli uomini ».840
Nel sistema democratico, l'autorità politica è responsabile di fronte al popolo. Gli organismi rappresentativi devono essere sottoposti ad un effettivo controllo da parte del corpo sociale. Questo controllo è possibile innanzi tutto tramite libere elezioni, che permettono la scelta nonché la sostituzione dei rappresentanti. L'obbligo, da parte degli eletti, di rendere conto del loro operato, garantito dal rispetto delle scadenze elettorali, è elemento costitutivo della rappresentanza democratica.
409 Nel loro campo specifico (elaborazione delle leggi, attività di governo e controllo su di essa), gli eletti devono impegnarsi nella ricerca e nell'attuazione di ciò che può giovare al buon andamento della convivenza civile nel suo complesso.841 L'obbligo dei governanti di rispondere ai governati non implica affatto che i rappresentanti siano semplici agenti passivi degli elettori. Il controllo esercitato dai cittadini, infatti, non esclude la necessaria libertà di cui gli eletti devono godere nello svolgimento del loro mandato in relazione agli obiettivi da perseguire: questi non dipendono esclusivamente da interessi di parte, ma in misura molto maggiore dalla funzione di sintesi e di mediazione in vista del bene comune, che costituisce una delle finalità essenziali e irrinunciabili dell'autorità politica.
c) Le componenti morali della rappresentanza politica
410 Coloro che hanno responsabilità politiche non devono dimenticare o sottovalutare la dimensione morale della rappresentanza, che consiste nell'impegno di condividere le sorti del popolo e nel cercare la soluzione dei problemi sociali. In questa prospettiva, autorità responsabile significa anche autorità esercitata mediante il ricorso alle virtù che favoriscono la pratica del potere con spirito di servizio 842 (pazienza, modestia, moderazione, carità, sforzo di condivisione); un'autorità esercitata da persone in grado di assumere autenticamente come finalità del proprio operare il bene comune e non il prestigio o l'acquisizione di vantaggi personali.
411 Tra le deformazioni del sistema democratico, la corruzione politica è una delle più gravi,843 perché tradisce al tempo stesso i principi della morale e le norme della giustizia sociale; compromette il corretto funzionamento dello Stato, influendo negativamente sul rapporto tra governanti e governati; introduce una crescente sfiducia nei confronti delle istituzioni pubbliche, causando una progressiva disaffezione dei cittadini nei confronti della politica e dei suoi rappresentanti, con il conseguente indebolimento delle istituzioni. La corruzione distorce alla radice il ruolo delle istituzioni rappresentative, perché le usa come terreno di scambio politico tra richieste clientelari e prestazioni dei governanti. In tal modo, le scelte politiche favoriscono gli obiettivi ristretti di quanti possiedono i mezzi per influenzarle e impediscono la realizzazione del bene comune di tutti i cittadini.
412 La pubblica amministrazione, a qualsiasi livello — nazionale, regionale, comunale —, quale strumento dello Stato, ha come finalità quella di servire i cittadini: « Posto al servizio dei cittadini, lo Stato è il gestore del bene del popolo, che deve amministrare in vista del bene comune ».844 Contrasta con questa prospettiva l'eccesso di burocratizzazione, che si verifica quando « le istituzioni, diventando complesse nell'organizzazione e pretendendo di gestire ogni spazio disponibile, finiscono per essere rovinate dal funzionalismo impersonale, dall'esagerata burocrazia, dagli ingiusti interessi privati, dal disimpegno facile e generalizzato ».845 Il ruolo di chi lavora nella pubblica amministrazione non va concepito come qualcosa di impersonale e di burocratico, bensì come un aiuto premuroso per i cittadini, esercitato con spirito di servizio.
d) Strumenti di partecipazione politica
413 I partiti politici hanno il compito di favorire una partecipazione diffusa e l'accesso di tutti a pubbliche responsabilità. I partiti sono chiamati ad interpretare le aspirazioni della società civile orientandole al bene comune,846 offrendo ai cittadini la possibilità effettiva di concorrere alla formazione delle scelte politiche. I partiti devono essere democratici al loro interno, capaci di sintesi politica e di progettualità.
Strumento di partecipazione politica è anche il referendum, in cui si realizza una forma diretta di accesso alle scelte politiche. L'istituto della rappresentanza non esclude, infatti, che i cittadini possano essere interpellati direttamente per le scelte di maggiore rilievo della vita sociale.
e) Informazione e democrazia
414 L'informazione è tra i principali strumenti di partecipazione democratica. Non è pensabile alcuna partecipazione senza la conoscenza dei problemi della comunità politica, dei dati di fatto e delle varie proposte di soluzione. Occorre assicurare un reale pluralismo in questo delicato ambito della vita sociale, garantendo una molteplicità di forme e strumenti nel campo dell'informazione e della comunicazione e agevolando condizioni di uguaglianza nel possesso e nell'uso di tali strumenti mediante leggi appropriate. Tra gli ostacoli che si frappongono alla piena realizzazione del diritto all'obiettività nell'informazione,847 merita attenzione particolare il fenomeno delle concentrazioni editoriali e televisive, con pericolosi effetti per l'intero sistema democratico quando a tale fenomeno corrispondono legami sempre più stretti tra l'attività governativa, i poteri finanziari e l'informazione.
415 I mezzi di comunicazione sociale si devono utilizzare per edificare e sostenere la comunità umana, nei vari settori, economico, politico, culturale, educativo, religioso: 848 « L'informazione attraverso i mass-media è al servizio del bene comune. La società ha diritto ad un'informazione fondata sulla verità, la libertà, la giustizia e la solidarietà ».849
La questione essenziale relativa all'attuale sistema informativo è se esso contribuisca a rendere la persona umana veramente migliore, cioè più matura spiritualmente, più cosciente della dignità della sua umanità, più responsabile, più aperta agli altri, in particolare verso i più bisognosi e i più deboli. Un altro aspetto di grande importanza è la necessità che le nuove tecnologie rispettino le legittime differenze culturali.
416 Nel mondo dei mezzi di comunicazione sociale le difficoltà intrinseche della comunicazione spesso vengono ingigantite dall'ideologia, dal desiderio di profitto e di controllo politico, da rivalità e conflitti fra gruppi, e da altri mali sociali. I valori e i principi morali valgono anche per il settore delle comunicazioni sociali: « La dimensione etica tocca non solo il contenuto della comunicazione (il messaggio) e il processo di comunicazione (come viene fatta la comunicazione), ma anche questioni fondamentali strutturali e sistemiche, che spesso coinvolgono temi relativi alle politiche di distribuzione delle tecnologie e dei prodotti sofisticati (chi sarà ricco e chi povero di informazioni?) ».850
In tutte e tre le aree — del messaggio, del processo, delle questioni strutturali — è sempre valido un principio morale fondamentale: la persona e la comunità umana sono il fine e la misura dell'uso dei mezzi di comunicazione sociale. Un secondo principio è complementare al primo: il bene delle persone non si può realizzare indipendentemente dal bene comune delle comunità alle quali le persone appartengono.851 È necessaria una partecipazione al processo decisionale riguardante la politica delle comunicazioni. Tale partecipazione, di forma pubblica, deve essere autenticamente rappresentativa e non volta a favorire gruppi particolari, quando i mezzi di comunicazione sociale perseguono scopi di lucro.852
V. LA COMUNITÀ POLITICA
A SERVIZIO DELLA SOCIETÀ CIVILE
a) Il valore della società civile
417 La comunità politica è costituita per essere al servizio della società civile, dalla quale deriva. Alla distinzione tra comunità politica e società civile la Chiesa ha contribuito soprattutto con la sua visione dell'uomo, inteso come essere autonomo, relazionale, aperto alla Trascendenza, contrastata sia dalle ideologie politiche di stampo individualistico, sia da quelle totalitarie tendenti ad assorbire la società civile nella sfera dello Stato. L'impegno della Chiesa in favore del pluralismo sociale mira a conseguire una più adeguata realizzazione del bene comune e della stessa democrazia, secondo i principi della solidarietà, della sussidiarietà e della giustizia.
La società civile è un insieme di relazioni e di risorse, culturali e associative, relativamente autonome dall'ambito sia politico sia economico: « Il fine della società civile è universale, perché è quello che riguarda il bene comune, a cui tutti e singoli i cittadini hanno diritto nella debita proporzione ».853 Essa è caratterizzata da una propria capacità di progetto, orientata a favorire una convivenza sociale più libera e più giusta, in cui vari gruppi di cittadini si associano, mobilitandosi per elaborare ed esprimere i propri orientamenti, per far fronte ai loro bisogni fondamentali, per difendere legittimi interessi.
b) Il primato della società civile
418 La comunità politica e la società civile, seppure reciprocamente collegate e interdipendenti, non sono uguali nella gerarchia dei fini. La comunità politica è essenzialmente al servizio della società civile e, in ultima analisi, delle persone e dei gruppi che la compongono.854 La società civile, dunque, non può essere considerata un'appendice o una variabile della comunità politica: anzi, essa ha la preminenza, perché nella stessa società civile trova giustificazione l'esistenza della comunità politica.
Lo Stato deve fornire una cornice giuridica adeguata al libero esercizio delle attività dei soggetti sociali ed essere pronto ad intervenire, quando sia necessario e rispettando il principio di sussidiarietà, per orientare verso il bene comune la dialettica tra le libere associazioni attive nella vita democratica. La società civile è composita e frastagliata, non priva di ambiguità e di contraddizioni: è anche luogo di scontro tra interessi diversi, con il rischio che il più forte prevalga sul più indifeso.
c) L'applicazione del principio di sussidiarietà
419 La comunità politica è tenuta a regolare i propri rapporti nei confronti della società civile secondo il principio di sussidiarietà: 855 è essenziale che la crescita della vita democratica prenda avvio nel tessuto sociale. Le attività della società civile — soprattutto volontariato e cooperazione nell'ambito del privato-sociale, sinteticamente definito « terzo settore » per distinguerlo dagli ambiti dello Stato e del mercato — costituiscono le modalità più adeguate per sviluppare la dimensione sociale della persona, che in tali attività può trovare spazio per esprimersi compiutamente. La progressiva espansione delle iniziative sociali al di fuori della sfera statale crea nuovi spazi per la presenza attiva e per l'azione diretta dei cittadini, integrando le funzioni svolte dallo Stato. Tale importante fenomeno si è spesso attuato per vie e con strumenti largamente informali, dando vita a modalità nuove e positive di esercizio dei diritti della persona che arricchiscono qualitativamente la vita democratica.
420 La cooperazione, anche nelle sue forme meno strutturate, si delinea come una delle risposte più forti alla logica del conflitto e della concorrenza senza limiti, che oggi appare prevalente. I rapporti che si instaurano in un clima cooperativo e solidale superano le divisioni ideologiche, spingendo alla ricerca di ciò che unisce al di là di quanto divide.
Molte esperienze del volontariato costituiscono un ulteriore esempio di grande valore, che spinge a considerare la società civile come luogo ove è sempre possibile la ricomposizione di un'etica pubblica centrata sulla solidarietà, sulla collaborazione concreta, sul dialogo fraterno. Alle potenzialità che così si manifestano tutti sono chiamati a guardare con fiducia e a prestare la propria opera personale per il bene della comunità in generale e, in particolare, per quello dei più deboli e dei più bisognosi. È anche così che si afferma il principio della « soggettività della società ».856
VI. LO STATO E LE COMUNITÀ RELIGIOSE
A) LA LIBERTÀ RELIGIOSA, UN DIRITTO UMANO FONDAMENTALE
421 Il Concilio Vaticano II ha impegnato la Chiesa Cattolica nella promozione della libertà religiosa. La Dichiarazione « Dignitatis humanae » precisa nel sottotitolo che intende proclamare « il diritto della persona e delle comunità alla libertà sociale e civile in campo religioso ». Affinché tale libertà voluta da Dio e iscritta nella natura umana possa esercitarsi, non deve essere ostacolata, dato che « la verità non si impone altrimenti che in forza della verità stessa ».857 La dignità della persona e la natura stessa della ricerca di Dio esigono per tutti gli uomini l'immunità da ogni coercizione nel campo religioso.858 La società e lo Stato non devono costringere una persona ad agire contro la sua coscienza, né impedirle di operare in conformità ad essa.859 La libertà religiosa non è licenza morale di aderire all'errore, né un implicito diritto all'errore.860
422 La libertà di coscienza e di religione « riguarda l'uomo individualmente e socialmente »: 861 il diritto alla libertà religiosa deve essere riconosciuto nell'ordinamento giuridico e sancito come diritto civile,862 tuttavia non è di per sé un diritto illimitato. I giusti limiti all'esercizio della libertà religiosa devono essere determinati per ogni situazione sociale con la prudenza politica, secondo le esigenze del bene comune, e ratificati dall'autorità civile mediante norme giuridiche conformi all'ordine morale oggettivo: tali norme sono richieste « dall'efficace tutela dei diritti di tutti i cittadini e della loro pacifica coesistenza, da una sufficiente cura di quella onesta pace pubblica che è ordinata convivenza nella vera giustizia, e dalla doverosa custodia della pubblica moralità ».863
423 A motivo dei suoi legami storici e culturali con una Nazione, una comunità religiosa può ricevere uno speciale riconoscimento da parte dello Stato: tale riconoscimento non deve in alcun modo generare una discriminazione d'ordine civile o sociale per altri gruppi religiosi.864 La visione dei rapporti tra gli Stati e le organizzazioni religiose, promossa dal Concilio Vaticano II, corrisponde alle esigenze dello Stato di diritto e alle norme del diritto internazionale.865 La Chiesa è ben consapevole che tale visione non è condivisa da tutti: il diritto alla libertà religiosa, purtroppo, « è violato da numerosi Stati, fino al punto che dare, o far dare, o ricevere la catechesi diventa un delitto passibile di sanzione ».866
B) CHIESA CATTOLICA E COMUNITÀ POLITICA
a) Autonomia e indipendenza
424 La Chiesa e la comunità politica, pur esprimendosi ambedue con strutture organizzative visibili, sono di natura diversa sia per la loro configurazione sia per le finalità che perseguono. Il Concilio Vaticano II ha riaffermato solennemente: « Nel proprio campo, la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall'altra ».867 La Chiesa si organizza con forme atte a soddisfare le esigenze spirituali dei suoi fedeli, mentre le diverse comunità politiche generano rapporti e istituzioni al servizio di tutto ciò che rientra nel bene comune temporale. L'autonomia e l'indipendenza delle due realtà si mostrano chiaramente soprattutto nell'ordine dei fini.
Il dovere di rispettare la libertà religiosa impone alla comunità politica di garantire alla Chiesa lo spazio d'azione necessario. La Chiesa, d'altra parte, non ha un campo di competenza specifica per quanto riguarda la struttura della comunità politica: « La Chiesa rispetta la legittima autonomia dell'ordine democratico e non ha titolo per esprimere preferenze per l'una o l'altra soluzione istituzionale o costituzionale » 868 e non ha neppure il compito di entrare nel merito dei programmi politici, se non per le loro implicazioni religiose e morali.
b) Collaborazione
425 L'autonomia reciproca della Chiesa e della comunità politica non comporta una separazione che escluda la loro collaborazione: entrambe, anche se a titolo diverso, sono al servizio della vocazione personale e sociale dei medesimi uomini. La Chiesa e la comunità politica, infatti, si esprimono in forme organizzative che non sono fini a se stesse, ma al servizio dell'uomo, per consentirgli il pieno esercizio dei suoi diritti, inerenti alla sua identità di cittadino e di cristiano, e un corretto adempimento dei corrispondenti doveri. La Chiesa e la comunità politica pos-sono svolgere il loro servizio « a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace quanto meglio entrambe allacciano tra loro una sana collaborazione, considerando anche le circostanze di luogo e di tempo ».869
426 La Chiesa ha diritto al riconoscimento giuridico della propria identità. Proprio perché la sua missione abbraccia tutta la realtà umana, la Chiesa, sentendosi « davvero e intimamente solidale con il genere umano e la sua storia »,870 rivendica la libertà di esprimere il suo giudizio morale su tale realtà ogniqualvolta ciò sia richiesto dalla difesa dei diritti fondamentali della persona o dalla salvezza delle anime.871
La Chiesa pertanto chiede: libertà di espressione, di insegnamento, di evangelizzazione; libertà di manifestare il culto in pubblico; libertà di organizzarsi e avere propri regolamenti interni; libertà di scelta, di educazione, di nomina e di trasferimento dei propri ministri; libertà di costruire edifici religiosi; libertà di acquistare e di possedere beni adeguati alla propria attività; libertà di associazione per fini non solo religiosi, ma anche educativi, culturali, sanitari e caritativi.872
427 Al fine di prevenire o attutire possibili conflitti tra Chiesa e comunità politica, l'esperienza giuridica della Chiesa e dello Stato ha variamente delineato forme stabili di rapporti e strumenti idonei a garantire relazioni armoniche. Tale esperienza è un punto di riferimento essenziale per tutti i casi in cui lo Stato ha la pretesa di invadere il campo d'azione della Chiesa, ostacolandone la libera attività fino a perseguitarla apertamente o, viceversa, nei casi in cui organizzazioni ecclesiali non agiscano correttamente nei confronti dello Stato.
CAPITOLO NONO
LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE
I. ASPETTI BIBLICI
a) L'unità della famiglia umana
428 I racconti biblici sulle origini mostrano l'unità del genere umano e insegnano che il Dio d'Israele è il Signore della storia e del cosmo: la Sua azione abbraccia tutto il mondo e l'intera famiglia umana, alla quale è destinata l'opera della creazione. La decisione di Dio di fare l'uomo a Sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1,26-27) conferisce alla creatura umana una dignità unica, che si estende a tutte le generazioni (cfr. Gen 5) e su tutta la terra (cfr. Gen 10). Il Libro della Genesi mostra, inoltre, che l'essere umano non è stato creato isolato, ma all'interno di un contesto di cui fanno parte integrante lo spazio vitale, che gli assicura la libertà (il giardino), la disponibilità di alimenti (gli alberi del giardino), il lavoro (il comando di coltivare) e soprattutto la comunità (il dono dell'aiuto simile a lui) (cfr. Gen 2,8-24). Le condizioni che assicurano pienezza alla vita umana sono, in tutto l'Antico Testamento, oggetto della benedizione divina. Dio vuole garantire all'uomo i beni necessari alla sua crescita, la possibilità di esprimersi liberamente, il positivo risultato del lavoro, la ricchezza di relazioni tra esseri simili.
429 L'alleanza di Dio con Noè (cfr. Gen 9,1-17), e in lui con tutta l'umanità, dopo la distruzione causata dal diluvio, manifesta che Dio vuole mantenere per la comunità umana la benedizione di fecondità, il compito di dominare il creato e l'assoluta dignità e intangibilità della vita umana che avevano caratterizzato la prima creazione, nonostante in essa si fosse introdotta, con il peccato, la degenerazione della violenza e dell'ingiustizia, punita con il diluvio. Il libro della Genesi presenta con ammirazione la varietà dei popoli, opera dell'azione creatrice di Dio (cfr. Gen 10,1-32) e, nel contempo, stigmatizza la non accettazione da parte dell'uomo della sua condizione di creatura, con l'episodio della torre di Babele (cfr. Gen 11,1-9). Tutti i popoli, nel piano divino, avevano « una sola lingua e le stesse parole » (Gen 11,1), ma gli uomini si dividono, volgendo le spalle al Creatore (cfr. Gen 11,4).
430 L'alleanza stabilita da Dio con Abramo, eletto « padre di una moltitudine di popoli » (Gen 17,4), apre la strada al ricongiungimento della famiglia umana al suo Creatore. La storia salvifica induce il popolo di Israele a pensare che l'azione divina sia ristretta alla sua terra, tuttavia si consolida a poco a poco la convinzione che Dio opera anche tra le altre Nazioni (cfr. Is 19,18-25). I Profeti annunceranno per il tempo escatologico il pellegrinaggio dei popoli al tempio del Signore e un'era di pace tra le Nazioni (cfr. Is 2,2-5; 66,18-23). Israele, disperso nell'esilio, prenderà definitivamente coscienza del suo ruolo di testimone dell'unico Dio (cfr. Is 44,6-8), Signore del mondo e della storia dei popoli (cfr. Is 44,24-28).
b) Gesù Cristo prototipo e fondamento della nuova umanità
431 Il Signore Gesù è il prototipo e il fondamento della nuova umanità. In Lui, vera « immagine di Dio » (2 Cor 4,4), trova compimento l'uomo creato da Dio a Sua immagine. Nella testimonianza definitiva di amore che Dio ha manifestato nella croce di Cristo, tutte le barriere di inimicizia sono già state abbattute (cfr. Ef 2,12-18) e per quanti vivono la vita nuova in Cristo le differenze razziali e culturali non sono più motivo di divisione (cfr. Rm 10,12; Gal 3,26-28; Col 3,11).
Grazie allo Spirito, la Chiesa conosce il disegno divino che abbraccia l'intero genere umano (cfr. At 17,26) e che è finalizzato a riunire, nel mistero di una salvezza realizzata sotto la signoria di Cristo (cfr. Ef 1,8-10), tutta la realtà creaturale frammentata e dispersa. Dal giorno di Pentecoste, quando la Risurrezione è annunciata ai diversi popoli e compresa da ciascuno nella propria lingua (cfr. At 2,6), la Chiesa adempie al proprio compito di restaurare e testimoniare l'unità perduta a Babele: grazie a questo ministero ecclesiale, la famiglia umana è chiamata a riscoprire la propria unità e a riconoscere la ricchezza delle sue differenze, per giungere alla « piena unità in Cristo ».873
c) La vocazione universale del cristianesimo
432 Il messaggio cristiano offre una visione universale della vita degli uomini e dei popoli sulla terra,874 che fa comprendere l'unità della famiglia umana.875 Tale unità non va costruita con la forza delle armi, del terrore o del sopruso, ma è piuttosto l'esito di quel « supremo modello di unità, riflesso della vita intima di Dio, uno in tre Persone, ... che noi cristiani designiamo con la parola “comunione” »,876 e una conquista della forza morale e culturale della libertà.877 Il messaggio cristiano è stato decisivo per far capire all'umanità che i popoli tendono ad unirsi non solo in ragione di forme di organizzazione, di vicende politiche, di progetti economici o in nome di un internazionalismo astratto e ideologico, ma perché liberamente si orientano verso la cooperazione, consapevoli « di essere membra vive di una comunità mondiale ».878 La comunità mondiale deve proporsi sempre più e sempre meglio come figura concreta dell'unità voluta dal Creatore: « L'unità della famiglia umana è esistita in ogni tempo, giacché essa ha come membri gli esseri umani che sono tutti uguali per dignità naturale. Di conseguenza esisterà sempre l'esigenza obiettiva all'attuazione, in grado sufficiente, del bene comune universale, e cioè del bene comune dell'intera famiglia umana ».879
II. LE REGOLE FONDAMENTALI
DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE
a) Comunità internazionale e valori
433 La centralità della persona umana e la naturale attitudine delle persone e dei popoli a stringere relazioni tra loro sono gli elementi fondamentali per costruire una vera Comunità internazionale, la cui organizzazione deve tendere all'effettivo bene comune universale.880 Nonostante sia ampiamente diffusa l'aspirazione verso un'autentica comunità internazionale, l'unità della famiglia umana non trova ancora realizzazione, perché ostacolata da ideologie materialistiche e nazionalistiche che negano i valori di cui è portatrice la persona considerata integralmente, in tutte le sue dimensioni, materiale e spirituale, individuale e comunitaria. In particolare, è moralmente inaccettabile ogni teoria o comportamento improntati al razzismo e alla discriminazione razziale.881
La convivenza tra le Nazioni è fondata sui medesimi valori che devono orientare quella tra gli esseri umani: la verità, la giustizia, la solidarietà e la libertà.882 L'insegnamento della Chiesa, sul piano dei principi costitutivi della Comunità internazionale, chiede che le relazioni tra i popoli e le comunità politiche trovino la loro giusta regolazione nella ragione, nell'equità, nel diritto, nella trattativa, mentre esclude il ricorso alla violenza e alla guerra, a forme di discriminazione, di intimidazione e di inganno.883
434 Il diritto si pone come strumento di garanzia dell'ordine internazionale,884 ovvero della convivenza tra comunità politiche che singolarmente perseguono il bene comune dei propri cittadini e che collettivamente devono tendere a quello di tutti i popoli,885 nella convinzione che il bene comune di una Nazione è inseparabile dal bene dell'intera famiglia umana.886
Quella internazionale è una comunità giuridica fondata sulla sovranità di ogni Stato membro, senza vincoli di subordinazione che ne neghino o ne limitino l'indipendenza.887 Concepire in questo modo la comunità internazionale non significa affatto relativizzare e vanificare le differenti e peculiari caratteristiche di ogni popolo, ma favorirne l'espressione.888 La valorizzazione delle differenti identità aiuta a superare le varie forme di divisione che tendono a separare i popoli e a farli portatori di un egoismo dagli effetti destabilizzanti.
435 Il Magistero riconosce l'importanza della sovranità nazionale, concepita anzitutto come espressione della libertà che deve regolare i rapporti tra gli Stati.889 La sovranità rappresenta la soggettività 890 di una Nazione sotto il profilo politico, economico, sociale e anche culturale. La dimensione culturale acquista uno spessore particolare come punto di forza per la resistenza agli atti di aggressione o alle forme di dominio che condizionano la libertà di un Paese: la cultura costituisce la garanzia di conservazione dell'identità di un popolo, esprime e promuove la sua sovranità spirituale.891
La sovranità nazionale non è però un assoluto. Le Nazioni possono rinunciare liberamente all'esercizio di alcuni loro diritti in vista di un obiettivo comune, nella consapevolezza di formare una « famiglia »,892 dove devono regnare reciproca fiducia, sostegno vicendevole e mutuo rispetto. In tale prospettiva, merita attenta considerazione la mancanza di un accordo internazionale che affronti in modo adeguato « i diritti delle Nazioni »,893 la cui preparazione potrebbe affrontare opportunamente le questioni relative alla giustizia e alla libertà nel mondo contemporaneo.
b) Relazioni fondate sull'armonia tra ordine giuridico e ordine morale
436 Per realizzare e consolidare un ordine internazionale che garantisca efficacemente la pacifica convivenza tra i popoli, la stessa legge morale che regge la vita degli uomini deve regolare anche i rapporti tra gli Stati: « legge morale, la cui osservanza deve venir inculcata e promossa dall'opinione pubblica di tutte le Nazioni e di tutti gli Stati con tale unanimità di voce e di forza, che nessuno possa osare di porla in dubbio o attenuarne il vincolo obbligante ».894 È necessario che la legge morale universale, scritta nel cuore dell'uomo, venga considerata effettiva e inderogabile quale viva espressione della coscienza che l'umanità ha in comune, una « grammatica »895 in grado di orientare il dialogo sul futuro del mondo.
437 Il rispetto universale dei principi che ispirano un « ordinamento giuridico in armonia con l'ordine morale » 896 è una condizione necessaria per la stabilità della vita internazionale. La ricerca di una simile stabilità ha favorito la graduale elaborazione di un diritto delle genti 897 (« ius gentium »), che può essere considerato come « l'antenato del diritto internazionale ».898 La riflessione giuridica e teologica, ancorata al diritto naturale, ha formulato « principi universali che sono anteriori e superiori al diritto interno degli Stati »,899 come l'unità del genere umano, l'uguaglianza in dignità di ogni popolo, il rifiuto della guerra per superare le contese, l'obbligazione di cooperare per il bene comune, l'esigenza di tenere fede agli impegni sottoscritti (« pacta sunt servanda »). Quest'ultimo principio va particolarmente sottolineato per evitare « la tentazione di fare appello al diritto della forza piuttosto che alla forza del diritto ».900
438 Per risolvere i conflitti che insorgono tra le diverse comunità politiche e che compromettono la stabilità delle Nazioni e la sicurezza internazionale, è indispensabile riferirsi a regole comuni affidate alla trattativa, rinunciando definitivamente all'idea di ricercare la giustizia mediante il ricorso alla guerra: 901 « la guerra può terminare senza vincitori né vinti in un suicidio dell'umanità, ed allora bisogna ripudiare la logica che conduce ad essa, l'idea che la lotta per la distruzione dell'avversario, la contraddizione e la guerra stessa siano fattori di progresso e di avanzamento della storia ».902
La Carta delle Nazioni Unite ha interdetto non solo il ricorso alla forza, ma anche la sola minaccia di usarla: 903 tale disposizione è nata dalla tragica esperienza della Seconda Guerra Mondiale. Il Magistero non aveva mancato durante quel conflitto di individuare alcuni fattori indispensabili per edificare un rinnovato ordine internazionale: la libertà e l'integrità territoriale di ogni Nazione; la tutela dei diritti delle minoranze; un'equa condivisione delle risorse della terra; il rifiuto della guerra e l'attuazione del disarmo; l'osservanza dei patti concordati; la cessazione della persecuzione religiosa.904
439 Per consolidare il primato del diritto, vale anzitutto il principio della fiducia reciproca.905 In questa prospettiva, gli strumenti normativi per la soluzione pacifica delle controversie devono essere ripensati in modo da rafforzarne la portata e l'obbligatorietà. Gli istituti del negoziato, della mediazione, della conciliazione, dell'arbitrato, che sono espressione della legalità internazionale, devono essere sostenuti dalla creazione di « un'autorità giuridica pienamente efficiente in un mondo pacificato ».906 Un avanzamento in questa direzione consentirà alla Comunità internazionale di proporsi non più come semplice momento di aggregazione della vita degli Stati, ma come una struttura in cui i conflitti possono essere pacificamente risolti: « Come all'interno dei singoli Stati ... il sistema della vendetta privata e della rappresaglia è stato sostituito dall'impero della legge, così è ora urgente che un simile progresso abbia luogo nella Comunità internazionale ».907 In definitiva, il diritto internazionale « deve evitare che prevalga la legge del più forte ».908
III. L'ORGANIZZAZIONE
DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE
a) Il valore delle Organizzazioni internazionali
440 Il cammino verso un'autentica « comunità » internazionale, che ha assunto una precisa direzione con l'istituzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite nel 1945, è accompagnato dalla Chiesa: tale Organizzazione « ha contribuito notevolmente a promuovere il rispetto della dignità umana, la libertà dei popoli e l'esigenza dello sviluppo, preparando il terreno culturale e istituzionale su cui costruire la pace ».909 La dottrina sociale, in generale, considera positivamente il ruolo delle Organizzazioni inter-governative, in particolare di quelle operanti in settori specifici,910 pur esprimendo riserve quando esse affrontano in modo scorretto i problemi.911 Il Magistero raccomanda che l'azione degli Organismi internazionali risponda alle necessità umane nella vita sociale e negli ambiti rilevanti per la pacifica e ordinata convivenza delle Nazioni e dei popoli.912
441 La sollecitudine per un'ordinata e pacifica convivenza della famiglia umana spinge il Magistero a mettere in rilievo l'esigenza di istituire « una qualche autorità pubblica universale, da tutti riconosciuta, che goda di un potere effettivo per garantire a tutti sia la sicurezza, sia l'osservanza della giustizia, sia il rispetto dei diritti ».913 Nel corso della storia, nonostante i cambiamenti di prospettiva delle diverse epoche, si è avvertito costantemente il bisogno di una simile autorità per rispondere ai problemi di dimensione mondiale posti dalla ricerca del bene comune: è essenziale che tale autorità sia il frutto di un accordo e non di un'imposizione, e non venga intesa come « un super-stato globale ».914
Un'autorità politica esercitata nel quadro della Comunità internazionale deve essere regolata dal diritto, ordinata al bene comune e rispettosa del principio di sussidiarietà: « I poteri pubblici della comunità mondiale non hanno lo scopo di limitare la sfera di azione ai poteri pubblici delle singole comunità politiche e tanto meno di sostituirsi ad essi; hanno invece lo scopo di contribuire alla creazione, sul piano mondiale, di un ambiente nel quale i poteri pubblici delle singole comunità politiche, i rispettivi cittadini e i corpi intermedi possano svolgere i loro compiti, adempiere i loro doveri, esercitare i loro diritti con maggiore sicurezza ».915
442 Una politica internazionale volta verso l'obiettivo della pace e dello sviluppo mediante l'adozione di misure coordinate 916 è resa più che mai necessaria dalla globalizzazione dei problemi. Il Magistero rileva che l'interdipendenza tra gli uomini e tra le Nazioni acquista una dimensione morale e determina le relazioni nel mondo attuale sotto il profilo economico, culturale, politico e religioso. In tale contesto si auspica una revisione delle Organizzazioni internazionali, un processo che « suppone il superamento delle rivalità politiche e la rinuncia a ogni volontà di strumentalizzare le stesse Organizzazioni, che hanno per unica ragion d'essere il bene comune »,917 con lo scopo di conseguire « un grado superiore di ordinamento internazionale ».918
In particolare, le strutture inter-governative devono esercitare efficacemente le loro funzioni di controllo e di guida nel campo dell'economia, poiché il raggiungimento del bene comune diventa un traguardo ormai precluso ai singoli Stati, anche se dominanti in termini di potenza, ricchezza, forza politica.919 Gli Organismi internazionali devono, inoltre, garantire quell'eguaglianza che è il fondamento del diritto di tutti alla partecipazione al processo di pieno sviluppo, nel rispetto delle legittime diversità.920
443 Il Magistero valuta positivamente il ruolo dei raggruppamenti che si sono formati nella società civile per svolgere un'importante funzione di sensibilizzazione dell'opinione pubblica ai diversi aspetti della vita internazionale, con una speciale attenzione per il rispetto dei diritti dell'uomo, come rivela « il numero di associazioni private, alcune di portata mondiale, di recente istituzione, e quasi tutte impegnate a seguire con grande cura e lodevole obiettività gli avvenimenti internazionali in un campo così delicato ».921
I Governi dovrebbero sentirsi incoraggiati da un simile impegno, che mira a tradurre in pratica gli ideali che ispirano la comunità internazionale, « in particolare mediante i concreti gesti di solidarietà e di pace delle tante persone che operano anche nelle Organizzazioni non Governative e nei Movimenti per i diritti dell'uomo ».922
b) La personalità giuridica della Santa Sede
444 La Santa Sede — o Sede Apostolica 923 — gode di piena soggettività internazionale in quanto autorità sovrana che realizza atti giuridicamente propri. Essa esercita una sovranità esterna, riconosciuta nel quadro della Comunità internazionale, che riflette quella esercitata all'interno della Chiesa e che è caratterizzata dall'unità organizzativa e dall'indipendenza. La Chiesa si avvale di quelle modalità giuridiche che risultino necessarie o utili al compimento della sua missione.
L'attività internazionale della Santa Sede si manifesta oggettivamente sotto diversi aspetti, tra cui: il diritto di legazione attivo e passivo; l'esercizio dello « ius contrahendi », con la stipulazione di trattati; la partecipazione a organizzazioni intergovernative, come ad esempio quelle appartenenti al sistema delle Nazioni Unite; le iniziative di mediazione in caso di conflitti. Tale attività intende offrire un servizio disinteressato alla Comunità internazionale, poiché non cerca vantaggi di parte, ma si propone il bene comune dell'intera famiglia umana. In tale contesto, la Santa Sede si giova particolarmente del proprio personale diplomatico.
445 Il servizio diplomatico della Santa Sede, frutto di un'antica e consolidata prassi, è uno strumento che opera non solo per la « libertas Ecclesiae », ma anche per la difesa e la promozione della dignità umana, nonché per un ordine sociale basato sui valori della giustizia, della verità, della libertà e dell'amore: « Per un nativo diritto inerente alla nostra stessa missione spirituale, favorito da un secolare sviluppo di avvenimenti storici, noi inviamo pure i nostri legati alle supreme autorità degli stati nei quali è radicata o presente in qualche modo la Chiesa Cattolica. È ben vero che le finalità della Chiesa e dello Stato sono di ordine diverso, e che ambedue sono società perfette, dotate, quindi, di mezzi propri, e sono indipendenti nella rispettiva sfera d'azione, ma è anche vero che l'una e l'altro agiscono a beneficio di un soggetto comune, l'uomo, da Dio chiamato alla salvezza eterna e posto sulla terra per permettergli, con l'aiuto della grazia, di conseguirla con una vita di lavoro, che porti a lui benessere, nella pacifica convivenza ».924 Il bene delle persone e delle comunità umane è favorito da un dialogo strutturato tra la Chiesa e le autorità civili, che trova espressione anche tramite la stipula di mutui accordi. Tale dialogo tende a stabilire o rafforzare rapporti di reciproca comprensione e collaborazione, nonché a prevenire o sanare eventuali dissidi, con l'obiettivo di contribuire al progresso di ogni popolo e di tutta l'umanità nella giustizia e nella pace.
IV. LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE
PER LO SVILUPPO
a) Collaborazione per garantire il diritto allo sviluppo
446 La soluzione del problema dello sviluppo richiede la cooperazione tra le singole comunità politiche: « Le comunità politiche si condizionano a vicenda, e si può asserire che ognuna riesce a sviluppare se stessa contribuendo allo sviluppo delle altre. Per cui tra esse si impone l'intesa e la collaborazione ».925 Il sottosviluppo sembra una situazione impossibile da eliminare, quasi una fatale condanna, se si considera il fatto che esso non è solo il frutto di scelte umane sbagliate, ma anche il risultato di « meccanismi economici, finanziari e sociali » 926 e di « strutture di peccato » 927 che impediscono il pieno sviluppo degli uomini e dei popoli.
Queste difficoltà, tuttavia, devono essere affrontate con determinazione ferma e perseverante, perché lo sviluppo non è solo un'aspirazione, ma un diritto 928 che, come ogni diritto, implica un obbligo: « La collaborazione allo sviluppo di tutto l'uomo e di ogni uomo, infatti, è un dovere di tutti verso tutti e deve, al tempo stesso, essere comune alle quattro parti del mondo: Est e Ovest, Nord e Sud ».929 Nella visione del Magistero, il diritto allo sviluppo si fonda sui seguenti principi: unità d'origine e comunanza di destino della famiglia umana; eguaglianza tra ogni persona e tra ogni comunità basata sulla dignità umana; destinazione universale dei beni della terra; integralità della nozione di sviluppo; centralità della persona umana; solidarietà.
447 La dottrina sociale incoraggia forme di cooperazione capaci di incentivare l'accesso al mercato internazionale dei Paesi segnati da povertà e sottosviluppo: « In anni non lontani è stato sostenuto che lo sviluppo dipendesse dall'isolamento dei Paesi più poveri dal mercato mondiale e dalla loro fiducia nelle sole proprie forze. L'esperienza recente ha dimostrato che i Paesi che si sono esclusi hanno conosciuto stagnazione e regresso, mentre hanno conosciuto lo sviluppo i Paesi che sono riusciti ad entrare nella generale interconnessione delle attività economiche a livello internazionale. Sembra, dunque, che il maggior problema sia quello di ottenere un equo accesso al mercato internazionale, fondato non sul principio unilaterale dello sfruttamento delle risorse naturali, ma sulla valorizzazione delle risorse umane ».930 Tra le cause che maggiormente concorrono a determinare il sottosviluppo e la povertà, oltre all'impossibilità di accedere al mercato internazionale,931 vanno annoverati l'analfabetismo, l'insicurezza alimentare, l'assenza di strutture e servizi, la carenza di misure per garantire l'assistenza sanitaria di base, la mancanza di acqua potabile, la corruzione, la precarietà delle istituzioni e della stessa vita politica. Esiste una connessione tra la povertà e la mancanza, in molti Paesi, di libertà, di possibilità di iniziativa economica, di amministrazione statale capace di predisporre un adeguato sistema di educazione e di informazione.
448 Lo spirito della cooperazione internazionale richiede che al di sopra della stretta logica del mercato vi sia consapevolezza di un dovere di solidarietà, di giustizia sociale e di carità universale;932 infatti, esiste « qualcosa che è dovuto all'uomo perché è uomo, in forza della sua eminente dignità ».933 La cooperazione è la via che la Comunità internazionale nel suo insieme deve impegnarsi a percorrere « secondo un'adeguata concezione del bene comune in riferimento all'intera famiglia umana ».934 Ne deriveranno effetti molto positivi, come per esempio un aumento di fiducia nelle potenzialità delle persone povere e quindi dei Paesi poveri e un'equa distribuzione dei beni.
b) Lotta alla povertà
449 All'inizio del nuovo millennio, la povertà di miliardi di uomini e donne è « la questione che più di ogni altra interpella la nostra coscienza umana e cristiana ».935 La povertà pone un drammatico problema di giustizia: la povertà, nelle sue diverse forme e conseguenze, si caratterizza per una crescita ineguale e non riconosce a ogni popolo « l'eguale diritto “ad assidersi alla mensa del banchetto comune” ».936 Tale povertà rende impossibile la realizzazione di quell'umanesimo plenario che la Chiesa auspica e persegue, affinché le persone e i popoli possano « essere di più » 937 e vivere in « condizioni più umane ».938
La lotta alla povertà trova una forte motivazione nell'opzione, o amore preferenziale, della Chiesa per i poveri.939 In tutto il suo insegnamento sociale la Chiesa non si stanca di ribadire anche altri suoi fondamentali principi: primo fra tutti, quello della destinazione universale dei beni.940 Con la costante riaffermazione del principio della solidarietà, la dottrina sociale sprona a passare all'azione per promuovere « il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti ».941 Il principio della solidarietà, anche nella lotta alla povertà, deve essere sempre opportunamente affiancato da quello della sussidiarietà, grazie al quale è possibile stimolare lo spirito d'iniziativa, base fondamentale di ogni sviluppo socio-economico, negli stessi Paesi poveri: 942 ai poveri si deve guardare « non come ad un problema, ma come a coloro che possono diventare soggetti e protagonisti di un futuro nuovo e più umano per tutto il mondo ».943
c) Il debito estero
450 Il diritto allo sviluppo deve essere tenuto presente nelle questioni legate alla crisi debitoria di molti Paesi poveri.944 Tale crisi ha alla sua origine cause complesse e di vario genere, sia di carattere internazionale — fluttuazione dei cambi, speculazioni finanziarie, neocolonialismo economico —, sia all'interno dei singoli Paesi indebitati — corruzione, cattiva gestione del denaro pubblico, distorta utilizzazione dei prestiti ricevuti. Le sofferenze maggiori, riconducibili a questioni strutturali ma anche a comportamenti personali, colpiscono le popolazioni dei Paesi indebitati e poveri, le quali non hanno alcuna responsabilità. La comunità internazionale non può trascurare una simile situazione: pur riaffermando il principio che il debito contratto va onorato, bisogna trovare le vie per non compromettere il « fondamentale diritto dei popoli alla sussistenza ed al progresso ».945
CAPITOLO DECIMO
SALVAGUARDARE L'AMBIENTE
I. ASPETTI BIBLICI
451 L'esperienza viva della presenza divina nella storia è il fondamento della fede del popolo di Dio: « Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dall'Egitto con mano potente » (Dt 6,21). La riflessione sulla storia permette di riassumere il passato e di scoprire l'opera di Dio fin nelle proprie radici: « Mio padre era un Arameo errante » (Dt 26,5); un Dio che può dire al Suo popolo: « Io presi il padre vostro Abramo da oltre il fiume » (Gs 24,3). È una riflessione che permette di volgersi con fiducia al futuro, grazie alla promessa e all'alleanza che Dio rinnova continuamente.
La fede d'Israele vive nel tempo e nello spazio di questo mondo, percepito non come un ambiente ostile o un male da cui liberarsi, ma piuttosto come il dono stesso di Dio, il luogo e il progetto che Egli affida alla responsabile guida e operosità dell'uomo. La natura, opera dell'azione creatrice divina, non è una pericolosa concorrente. Dio, che ha fatto tutte le cose, di ognuna di esse « vide che era cosa buona » (Gen 1,4.10.12. 18.21.25). Al vertice della Sua creazione, come « cosa molto buona » (Gen 1,31), il Creatore pone l'uomo. Solo l'uomo e la donna, tra tutte le creature, sono stati voluti da Dio « a sua immagine » (Gen 1,27): a loro il Signore affida la responsabilità di tutto il creato, il compito di tutelarne l'armonia e lo sviluppo (cfr. Gen 1,26-30). Lo speciale legame con Dio spiega la privilegiata posizione della coppia umana nell'ordine della creazione.
452 La relazione dell'uomo con il mondo è un elemento costitutivo dell'identità umana. Si tratta di una relazione che nasce come frutto del rapporto, ancora più profondo, dell'uomo con Dio. Il Signore ha voluto la persona umana come Sua interlocutrice: solo nel dialogo con Dio la creatura umana trova la propria verità, dalla quale trae ispirazione e norme per progettare il futuro del mondo, un giardino che Dio le ha dato affinché sia coltivato e custodito (cfr. Gen 2,15). Neppure il peccato elimina tale compito, pur gravando di dolore e di sofferenza la nobiltà del lavoro (cfr. Gen 3,17-19).
La creazione è sempre oggetto della lode nella preghiera di Israele: « Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! Tutto hai fatto con saggezza » (Sal 104,24). La salvezza è compresa come una nuova creazione, che ristabilisce quell'armonia e quella potenzialità di crescita che il peccato ha compromesso: « Io creo nuovi cieli e nuova terra » (Is 65,17) — dice il Signore — « allora il deserto diventerà un giardino... e la giustizia regnerà nel giardino... Il mio popolo abiterà in una dimora di pace » (Is 32,15-18).
453 La salvezza definitiva, che Dio offre a tutta l'umanità mediante il Suo stesso Figlio, non si attua fuori di questo mondo. Pur ferito dal peccato, esso è destinato a conoscere una radicale purificazione (cfr. 2 Pt 3,10) dalla quale uscirà rinnovato (cfr. Is 65,17; 66,22; Ap 21,1), diventando finalmente il luogo nel quale « avrà stabile dimora la giustizia » (2 Pt 3,13).
Nel Suo ministero pubblico Gesù valorizza gli elementi naturali. Della natura Egli è non solo sapiente interprete nelle immagini che ama offrirne e nelle parabole, ma anche dominatore (cfr. l'episodio della tempesta sedata in Mt 14,22-33; Mc 6,45-52; Lc 8,22-25; Gv 6,16-21): il Signore la pone al servizio del Suo disegno redentore. Egli chiede ai Suoi discepoli di guardare alle cose, alle stagioni e agli uomini con la fiducia dei figli che sanno di non poter essere abbandonati da un Padre provvidente (cfr. Lc 11,11-13). Lungi dal farsi schiavo delle cose, il discepolo di Cristo deve sapersene servire per creare condivisione e fraternità (cfr. Lc 16,9-13).
454 L'ingresso di Gesù Cristo nella storia del mondo ha il suo culmine nella Pasqua, dove la natura stessa partecipa al dramma del Figlio di Dio rifiutato e alla vittoria della Risurrezione (cfr. Mt 27,45.51; 28,2). Attraversando la morte e innestandovi la novità splendente della Risurrezione, Gesù inaugura un mondo nuovo in cui tutto è sottomesso a Lui (cfr. 1 Cor 15,20-28) e ristabilisce quei rapporti di ordine ed armonia che il peccato aveva distrutto. La coscienza degli squilibri tra l'uomo e la natura deve accompagnarsi alla consapevolezza che in Gesù è avvenuta la riconciliazione dell'uomo e del mondo con Dio, così che ogni essere umano, consapevole dell'Amore divino, può ritrovare la pace perduta: « Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove » (2 Cor 5,17). La natura, che nel Verbo era stata creata, per mezzo dello stesso Verbo, fattosi carne, viene riconciliata con Dio e rappacificata (cfr. Col 1,15-20).
455 Non solo l'interiorità dell'uomo è risanata, ma tutta la sua corporeità è toccata dalla forza redentrice di Cristo; l'intera creazione prende parte al rinnovamento che scaturisce dalla Pasqua del Signore, pur nei gemiti delle doglie del parto (cfr. Rm 8,19-23), in attesa di dare alla luce « un nuovo cielo e una nuova terra » (Ap 21,1) che sono il dono della fine dei tempi, della salvezza compiuta. Nel frattempo, nulla è estraneo a tale salvezza: in qualsiasi condizione di vita, il cristiano è chiamato a servire Cristo, a vivere secondo il Suo Spirito, lasciandosi guidare dall'amore, principio di una vita nuova, che riporta il mondo e l'uomo al progetto delle loro origini: « il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio » (1 Cor 3,22-23).
II. L'UOMO E L'UNIVERSO DELLE COSE
456 La visione biblica ispira gli atteggiamenti dei cristiani in relazione all'uso della terra, nonché allo sviluppo della scienza e della tecnica. Il Concilio Vaticano II afferma che l'uomo « partecipe della luce della mente divina, per la sua intelligenza ... ritiene giustamente di superare tutte le realtà »; 946 i Padri Conciliari riconoscono i progressi fatti grazie all'applicazione instancabile dell'ingegno umano lungo i secoli, nelle scienze empiriche, nelle arti tecniche e nelle discipline liberali.947 L'uomo oggi, « specialmente per mezzo della scienza e della tecnica, ha esteso e continuamente estende il suo dominio su quasi tutta la natura ».948
Poiché l'uomo, « creato ad immagine di Dio, ha ricevuto il mandato di governare il mondo nella giustizia e nella santità, sottomettendo a sé la terra con tutto quello che in essa è contenuto, e di rapportare a Dio se stesso e l'universo intero, riconoscendolo Creatore di tutte le cose, perché, nella sottomissione di tutte le cose all'uomo, sia grande il nome di Dio su tutta la terra », il Concilio insegna che « l'attività umana individuale e collettiva, ossia quell'ingente sforzo col quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita, considerato in se stesso corrisponde al progetto di Dio ».949
457 I risultati della scienza e della tecnica sono, in se stessi, positivi: i cristiani « nemmeno pensano a contrapporre quello che gli uomini hanno prodotto con il proprio ingegno e la propria forza alla potenza di Dio, né che la creatura razionale sia quasi rivale del Creatore; al contrario, sono convinti piuttosto che le vittorie dell'umanità sono segno della grandezza di Dio e frutto del suo ineffabile progetto ».950 I Padri Conciliari sottolineano anche il fatto che « quanto più cresce la potenza degli uomini, tanto più largamente si estende la responsabilità sia degli individui che delle comunità »,951 e che ogni attività umana deve corrispondere, secondo il disegno di Dio e la Sua volontà, al vero bene dell'umanità.952 In questa prospettiva, il Magistero ha più volte sottolineato che la Chiesa Cattolica non si oppone in alcun modo al progresso,953 anzi considera « la scienza e la tecnologia... un prodotto meraviglioso della creatività umana che è un dono di Dio, dal momento che ci hanno fornito possibilità meravigliose, di cui beneficiamo con animo grato ».954 Per questa ragione, « come credenti in Dio, che ha giudicato “buona” la natura da lui creata, noi godiamo dei progressi tecnici ed economici, che l'uomo con la sua intelligenza riesce a realizzare ».955
458 Le considerazioni del Magistero sulla scienza e sulla tecnologia in generale valgono anche per le loro applicazioni all'ambiente naturale e all'agricoltura. La Chiesa apprezza « i vantaggi che derivano — e che possono ancora derivare — dallo studio e dalle applicazioni della biologia molecolare, completata dalle altre discipline come la genetica e la sua applicazione tecnologica nell'agricoltura e nell'industria ».956 Infatti, « la tecnica potrebbe costituire, con una retta applicazione, un prezioso strumento utile a risolvere gravi problemi, a cominciare da quelli della fame e della malattia, mediante la produzione di varietà di piante più progredite e resistenti e di preziosi medicamenti ».957 È importante, però, ribadire il concetto di « retta applicazione », perché « noi sappiamo che questo potenziale non è neutro: esso può essere usato sia per il progresso dell'uomo, sia per la sua degradazione ».958 Per questa ragione, « è necessario ... mantenere un atteggiamento di prudenza e vagliare con occhio attento natura, finalità e modi delle varie forme di tecnologia applicata ».959 Gli scienziati, dunque, devono « utilizzare veramente la loro ricerca e le loro capacità tecniche per il servizio all'umanità »,960 sapendo subordinarle « ai principi e valori morali che rispettano e realizzano nella sua pienezza la dignità dell'uomo ».961
459 Punto di riferimento centrale per ogni applicazione scientifica e tecnica è il rispetto dell'uomo, che deve accompagnarsi ad un doveroso atteggiamento di rispetto nei confronti delle altre creature viventi. Anche quando si pensa a una loro alterazione, « occorre tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato ».962 In questo senso, le formidabili possibilità della ricerca biologica suscitano profonda inquietudine, in quanto « non si è ancora in grado di misurare i turbamenti indotti in natura da una indiscriminata manipolazione genetica e dallo sviluppo sconsiderato di nuove specie di piante e forme di vita animale, per non parlare di inaccettabili interventi sulle origini della stessa vita umana ».963 Infatti, « si è constatato che l'applicazione di talune scoperte nell'ambito industriale ed agricolo produce, a lungo termine, effetti negativi. Ciò ha messo crudamente in rilievo come ogni intervento in un'area dell'ecosistema non possa prescindere dal considerare le sue conseguenze in altre aree e, in generale, sul benessere delle future generazioni ».964
460 L'uomo, dunque, non deve dimenticare che « la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro ... si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio ».965 Egli non deve « disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma ed una destinazione anteriore datale da Dio, che l'uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire ».966 Quando si comporta in questo modo, « invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell'opera della creazione, l'uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui ».967
Se l'uomo interviene sulla natura senza abusarne e senza danneggiarla, si può dire che « interviene non per modificare la natura ma per aiutarla a svilupparsi secondo la sua essenza, quella della creazione, quella voluta da Dio. Lavorando in questo campo, evidentemente delicato, il ricercatore aderisce al disegno di Dio. Dio ha voluto che l'uomo fosse il re della creazione ».968 In fondo, è Dio stesso che offre all'uomo l'onore di cooperare con tutte le forze dell'intelligenza all'opera della creazione.
III. LA CRISI NEL RAPPORTO TRA UOMO E AMBIENTE
461 Il messaggio biblico e il Magistero ecclesiale costituiscono i punti di riferimento essenziali per valutare i problemi che si pongono nei rapporti tra l'uomo e l'ambiente.969 Alle origini di tali problemi si può ravvisare la pretesa di esercitare un dominio incondizionato sulle cose da parte dell'uomo, un uomo incurante di quelle considerazioni di ordine morale che devono invece contraddistinguere ogni attività umana.
La tendenza allo sfruttamento « sconsiderato » 970 delle risorse del creato è il risultato di un lungo processo storico e culturale: « L'epoca moderna ha registrato una crescente capacità d'intervento trasformativo da parte dell'uomo. L'aspetto di conquista e di sfruttamento delle risorse è diventato predominante e invasivo, ed è giunto oggi a minacciare la stessa capacità ospitale dell'ambiente: l'ambiente come “risorsa” rischia di minacciare l'ambiente come “casa”. A causa dei potenti mezzi di trasformazione offerti dalla civiltà tecnologica, sembra talora che l'equilibrio uomo-ambiente abbia raggiunto un punto critico ».971
462 La natura appare come uno strumento nelle mani dell'uomo, una realtà che egli deve costantemente manipolare, specialmente mediante la tecnologia. A partire dal presupposto, rivelatosi errato, che esiste una quantità illimitata di energia e di risorse da utilizzare, che la loro rigenerazione sia possibile nell'immediato e che gli effetti negativi delle manipolazioni dell'ordine naturale possono essere facilmente assorbiti, si è diffusa una concezione riduttiva che legge il mondo naturale in chiave meccanicistica e lo sviluppo in chiave consumistica; il primato attribuito al fare e all'avere piuttosto che all'essere causa gravi forme di alienazione umana.972
Un simile atteggiamento non deriva dalla ricerca scientifica e tecnologica, ma da un'ideologia scientista e tecnocratica che tende a condizionarla. La scienza e la tecnica, con il loro progresso, non eliminano il bisogno di trascendenza e non sono di per sé causa della secolarizzazione esasperata che conduce al nichilismo; mentre avanzano nel loro cammino, esse suscitano domande circa il loro senso e fanno crescere la necessità di rispettare la dimensione trascendente della persona umana e della stessa creazione.
463 Una corretta concezione dell'ambiente, mentre da una parte non può ridurre utilitaristicamente la natura a mero oggetto di manipolazione e sfruttamento, dall'altra non deve assolutizzarla e sovrapporla in dignità alla stessa persona umana. In quest'ultimo caso, si arriva al punto di divinizzare la natura o la terra, come si può facilmente riscontrare in alcuni movimenti ecologisti che chiedono di dare un profilo istituzionale internazionalmente garantito alle loro concezioni.973
Il Magistero ha motivato la sua contrarietà a una concezione dell'ambiente ispirata all'ecocentrismo e al biocentrismo, perché essa « si propone di eliminare la differenza ontologica e assiologica tra l'uomo e gli altri esseri viventi, considerando la biosfera come un'unità biotica di valore indifferenziato. Si viene così ad eliminare la superiore responsabilità dell'uomo in favore di una considerazione egualitaristica della “dignità” di tutti gli esseri viventi ».974
464 Una visione dell'uomo e delle cose slegata da ogni riferimento alla trascendenza ha portato a rifiutare il concetto di creazione e ad attribuire all'uomo e alla natura un'esistenza completamente autonoma. Il legame che unisce il mondo a Dio è stato così spezzato: tale rottura ha finito per disancorare dalla terra anche l'uomo e, più radicalmente, ha impoverito la sua stessa identità. L'essere umano si è ritrovato a pensarsi estraneo al contesto ambientale in cui vive. È ben chiara la conseguenza che ne discende: « è il rapporto che l'uomo ha con Dio a determinare il rapporto dell'uomo con i suoi simili e con il suo ambiente. Ecco perché la cultura cristiana ha sempre riconosciuto nelle creature che circondano l'uomo altrettanti doni di Dio da coltivare e custodire con senso di gratitudine verso il Creatore. In particolare, la spiritualità benedettina e francescana hanno testimoniato questa sorta di parentela dell'uomo con l'ambiente creaturale, alimentando in lui un atteggiamento di rispetto verso ogni realtà del mondo circostante ».975 Va messa maggiormente in risalto la profonda connessione esistente tra ecologia ambientale ed « ecologia umana ».976
465 Il Magistero sottolinea la responsabilità umana di preservare un ambiente integro e sano per tutti: 977 « L'umanità di oggi, se riuscirà a congiungere le nuove capacità scientifiche con una forte dimensione etica, sarà certamente in grado di promuovere l'ambiente come casa e come risorsa a favore dell'uomo e di tutti gli uomini, sarà in grado di eliminare i fattori d'inquinamento, di assicurare condizioni di igiene e di salute adeguate per piccoli gruppi come per vasti insediamenti umani. La tecnologia che inquina può anche disinquinare, la produzione che accumula può distribuire equamente, a condizione che prevalga l'etica del rispetto per la vita e la dignità dell'uomo, per i diritti delle generazioni umane presenti e di quelle che verranno ».978
IV. UNA COMUNE RESPONSABILITÀ
a) L'ambiente, un bene collettivo
466 La tutela dell'ambiente costituisce una sfida per l'umanità intera: si tratta del dovere, comune e universale, di rispettare un bene collettivo,979 destinato a tutti, impedendo che si possa fare « impunemente uso delle diverse categorie di esseri, viventi o inanimati – animali, piante, elementi naturali – come si vuole, a seconda delle proprie esigenze ».980 È una responsabilità che deve maturare in base alla globalità della presente crisi ecologica e alla conseguente necessità di affrontarla globalmente, in quanto tutti gli esseri dipendono gli uni dagli altri nell'ordine universale stabilito dal Creatore: « occorre tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato, ch'è appunto il cosmo ».981
Questa prospettiva riveste una particolare importanza quando si considera, nel contesto degli stretti legami che uniscono tra loro i vari ecosistemi, il valore ambientale della biodiversità, che va trattata con senso di responsabilità e adeguatamente protetta, perché costituisce una straordinaria ricchezza per l'intera umanità. A questo proposito, ognuno può facilmente avvertire, per esempio, l'importanza della regione amazzonica, « uno degli spazi più apprezzati del mondo per la sua diversità biologica, che lo rende vitale per l'equilibrio ambientale di tutto il pianeta ».982 Le foreste contribuiscono a mantenere essenziali equilibri naturali indispensabili alla vita.983 La loro distruzione, anche tramite sconsiderati incendi dolosi, accelera i processi di desertificazione con rischiose conseguenze per le riserve di acqua e compromette la vita di molti popoli indigeni e il benessere delle future generazioni. Tutti, individui e soggetti istituzionali, devono sentirsi impegnati a proteggere il patrimonio forestale e, dove necessario, promuovere adeguati programmi di riforestazione.
467 La responsabilità verso l'ambiente, patrimonio comune del genere umano, si estende non solo alle esigenze del presente, ma anche a quelle del futuro: « Eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti, e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi ad ingrandire la cerchia della famiglia umana. La solidarietà universale, ch'è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere ».984 Si tratta di una responsabilità che le generazioni presenti hanno nei confronti di quelle future,985 una responsabilità che appartiene anche ai singoli Stati e alla Comunità internazionale.
468 La responsabilità verso l'ambiente deve trovare una traduzione adeguata a livello giuridico. È importante che la Comunità internazionale elabori regole uniformi, affinché tale regolamentazione consenta agli Stati di controllare con maggiore efficacia le diverse attività che determinano effetti negativi sull'ambiente e di preservare gli ecosistemi prevenendo possibili incidenti: « Spetta ad ogni Stato, nell'ambito del proprio territorio, il compito di prevenire il degrado dell'atmosfera e della biosfera, controllando attentamente, tra l'altro, gli effetti delle nuove scoperte tecnologiche o scientifiche, ed offrendo ai propri cittadini la garanzia di non essere esposti ad agenti inquinanti o a rifiuti tossici ».986
Il contenuto giuridico del « diritto ad un ambiente sano e sicuro » 987 sarà il frutto di una graduale elaborazione, sollecitata dalla preoccupazione dell'opinione pubblica di disciplinare l'uso dei beni del creato secondo le esigenze del bene comune e in una comune volontà di introdurre sanzioni per coloro che inquinano. Le norme giuridiche, tuttavia, da sole non bastano; 988 accanto ad esse devono maturare un forte senso di responsabilità nonché un effettivo cambiamento nelle mentalità e negli stili di vita.
469 Le autorità chiamate a prendere decisioni per fronteggiare rischi sanitari ed ambientali talvolta si trovano di fronte a situazioni nelle quali i dati scientifici disponibili sono contradditori oppure quantitativamente scarsi: può essere opportuna allora una valutazione ispirata dal « principio di precauzione », che non comporta una regola da applicare, bensì un orientamento volto a gestire situazioni di incertezza. Esso manifesta l'esigenza di una decisone provvisoria e modificabile in base a nuove conoscenze che vengano eventualmente raggiunte. La decisione deve essere proporzionata rispetto a provvedimenti già in atto per altri rischi. Le politiche cautelative, basate sul principio di precauzione, richiedono che le decisioni siano basate su un confronto tra rischi e benefici ipotizzabili per ogni possibile scelta alternativa, ivi compresa la decisione di non intervenire. All'approccio precauzionale è connessa l'esigenza di promuovere ogni sforzo per acquisire conoscenze più approfondite, pur nella consapevolezza che la scienza non può raggiungere rapidamente conclusioni circa l'assenza di rischi. Le circostanze di incertezza e provvisorietà rendono particolarmente importante la trasparenza nel processo decisionale.
470 La programmazione dello sviluppo economico deve considerare attentamente « la necessità di rispettare l'integrità e i ritmi della natura »,989 poiché le risorse naturali sono limitate e alcune non sono rinnovabili. L'attuale ritmo di sfruttamento compromette seriamente la disponibilità di alcune risorse naturali per il tempo presente e per il futuro.990 La soluzione del problema ecologico richiede che l'attività economica rispetti maggiormente l'ambiente, conciliando le esigenze dello sviluppo economico con quelle della protezione ambientale. Ogni attività economica che si avvalga delle risorse naturali deve anche preoccuparsi della salvaguardia dell'ambiente e prevederne i costi, che sono da considerare come « una voce essenziale dei costi dell'attività economica ».991 In questo contesto vanno considerati i rapporti tra l'attività umana e i cambiamenti climatici che, data la loro estrema complessità, devono essere opportunamente e costantemente seguiti a livello scientifico, politico e giuridico, nazionale e internazionale. Il clima è un bene che va protetto e richiede che, nei loro comportamenti, i consumatori e gli operatori di attività industriali sviluppino un maggiore senso di responsabilità.992
Un'economia rispettosa dell'ambiente non perseguirà unicamente l'obiettivo della massimizzazione del profitto, perché la protezione ambientale non può essere assicurata solo sulla base del calcolo finanziario di costi e benefici. L'ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente.993 Tutti i Paesi, in particolare quelli sviluppati, devono avvertire come urgente l'obbligo di riconsiderare le modalità d'uso dei beni naturali. La ricerca di innovazioni capaci di ridurre l'impatto sull'ambiente provocato dalla produzione e dal consumo dovrà essere efficacemente incentivata.
Un'attenzione particolare dovrà essere riservata alle complesse problematiche riguardanti le risorse energetiche.994 Quelle non rinnovabili, alle quali attingono i Paesi altamente industrializzati e quelli di recente industrializzazione, devono essere poste al servizio di tutta l'umanità. In una prospettiva morale improntata all'equità e alla solidarietà intergenerazionale, si dovrà, altresì, continuare, tramite il contributo della comunità scientifica, a identificare nuove fonti energetiche, a sviluppare quelle alternative e a elevare i livelli di sicurezza dell'energia nucleare.995 L'utilizzo dell'energia, per i legami che ha con le questioni dello sviluppo e dell'ambiente, chiama in causa le responsabilità politiche degli Stati, della comunità internazionale e degli operatori economici; tali responsabilità dovranno essere illuminate e guidate dalla ricerca continua del bene comune universale.
471 Una speciale attenzione merita la relazione che i popoli indigeni hanno con la loro terra e le sue risorse: si tratta di un'espressione fondamentale della loro identità.996 Molti popoli hanno già perso o rischiano di perdere, a vantaggio di potenti interessi agro-industriali o in forza di processi di assimilazione e di urbanizzazione, le terre su cui vivono,997 alle quali è legato il senso stesso della loro esistenza.998 I diritti dei popoli indigeni devono essere opportunamente tutelati.999 Questi popoli offrono un esempio di vita in armonia con l'ambiente che essi hanno imparato a conoscere e a preservare: 1000 la loro straordinaria esperienza, che è un'insostituibile ricchezza per tutta l'umanità, rischia di andare perduta insieme all'ambiente da cui trae origine.
b) L'uso delle biotecnologie
472 Negli ultimi anni si è imposta con forza la questione dell'uso delle nuove biotecnologie per scopi legati all'agricoltura, alla zootecnia, alla medicina e alla protezione dell'ambiente. Le nuove possibilità offerte dalle attuali tecniche biologiche e biogenetiche suscitano, da una parte, speranze ed entusiasmi e, dall'altra, allarme e ostilità. Le applicazioni delle biotecnologie, la loro liceità dal punto di vista morale, le loro conseguenze per la salute dell'uomo, il loro impatto sull'ambiente e sull'economia, formano oggetto di studio approfondito e di vivace dibattito. Si tratta di questioni controverse che coinvolgono scienziati e ricercatori, politici e legislatori, economisti ed ambientalisti, produttori e consumatori. I cristiani non sono indifferenti a queste problematiche, coscienti dell'importanza dei valori in gioco.1001
473 La visione cristiana della creazione comporta un giudizio positivo sulla liceità degli interventi dell'uomo sulla natura, ivi inclusi anche gli altri esseri viventi, e, allo stesso tempo, un forte richiamo al senso di responsabilità.1002 La natura non è, in effetti, una realtà sacra o divina, sottratta all'azione umana. È piuttosto un dono offerto dal Creatore alla comunità umana, affidato all'intelligenza e alla responsabilità morale dell'uomo. Per questo egli non compie un atto illecito quando, rispettando l'ordine, la bellezza e l'utilità dei singoli esseri viventi e della loro funzione nell'ecosistema, interviene modificando alcune loro caratteristiche e proprietà. Sono deprecabili gli interventi dell'uomo quando danneggiano gli esseri viventi o l'ambiente naturale, mentre sono lodevoli quando si traducono in un loro miglioramento. La liceità dell'uso delle tecniche biologiche e biogenetiche non esaurisce tutta la problematica etica: come per ogni comportamento umano, è necessario valutare accuratamente la loro reale utilità nonché le loro possibili conseguenze anche in termini di rischi. Nell'ambito degli interventi tecnico-scientifici di forte e ampia incisività sugli organismi viventi, con la possibilità di notevoli ripercussioni a lungo termine, non è lecito agire con leggerezza e irresponsabilità.
474 Le moderne biotecnologie hanno un forte impatto sociale, economico e politico, sul piano locale, nazionale e internazionale: vanno valutate secondo i criteri etici che devono sempre orientare le attività e i rapporti umani nell'ambito socio-economico e politico.1003 Bisogna tener presenti soprattutto i criteri di giustizia e solidarietà, ai quali si devono attenere innanzi tutto gli individui ed i gruppi che operano nella ricerca e nella commercializzazione nel campo delle biotecnologie. Comunque, non si deve cadere nell'errore di credere che la sola diffusione dei benefici legati alle nuove biotecnologie possa risolvere tutti gli urgenti problemi di povertà e di sottosviluppo che assillano ancora tanti Paesi del pianeta.
475 In uno spirito di solidarietà internazionale, diverse misure possono essere attuate in relazione all'uso delle nuove biotecnologie. Va facilitato, in primo luogo, l'interscambio commerciale equo, libero da vincoli ingiusti. La promozione dello sviluppo dei popoli più svantaggiati non sarà però autentica ed efficace se si riduce all'interscambio di prodotti. È indispensabile favorire anche la maturazione di una necessaria autonomia scientifica e tecnologica da parte di quegli stessi popoli, promuovendo gli interscambi di conoscenze scientifiche e tecnologiche e il trasferimento di tecnologie verso i Paesi in via di sviluppo.
476 La solidarietà comporta anche un richiamo alla responsabilità che hanno i Paesi in via di sviluppo e in particolare, le loro autorità politiche, di promuovere una politica commerciale favorevole ai loro popoli e l'interscambio di tecnologie atte a migliorarne le condizioni alimentari e sanitarie. In tali Paesi deve crescere l'investimento nella ricerca, con speciale attenzione alle caratteristiche e alle necessità particolari del proprio territorio e della propria popolazione, soprattutto tenendo presente che alcune ricerche nel campo delle biotecnologie, potenzialmente benefiche, richiedono investimenti relativamente modesti. A tal fine sarebbe utile la creazione di Organismi nazionali deputati alla protezione del bene comune mediante un'accorta gestione dei rischi.
477 Gli scienziati e i tecnici impegnati nel settore delle biotecnologie sono chiamati a lavorare con intelligenza e perseveranza nella ricerca delle migliori soluzioni per i gravi e urgenti problemi dell'alimentazione e della sanità. Essi non devono dimenticare che le loro attività riguardano materiali, viventi e non, appartenenti all'umanità come un patrimonio, destinato anche alle generazioni future; per i credenti si tratta di un dono ricevuto dal Creatore, affidato all'intelligenza e alla libertà umane, anch'esse dono dell'Altissimo. Sappiano gli scienziati impegnare le loro energie e le loro capacità in una ricerca appassionata, guidata da una coscienza limpida e onesta.1004
478 Gli imprenditori e i responsabili degli enti pubblici che si occupano della ricerca, della produzione e del commercio dei prodotti derivati dalle nuove biotecnologie devono tener conto non solo del legittimo profitto, ma anche del bene comune. Questo principio, valido per ogni tipo di attività economica, diventa particolarmente importante quando si tratta di attività che hanno a che fare con l'alimentazione, la medicina, la custodia della salute e dell'ambiente. Con le loro decisioni, imprenditori e responsabili degli enti pubblici interessati possono orientare gli sviluppi nel settore delle biotecnologie verso traguardi molto promettenti per quanto riguarda la lotta contro la fame, specialmente nei Paesi più poveri, la lotta contro le malattie e la lotta per la salvaguardia dell'ecosistema, patrimonio di tutti.
479 I politici, i legislatori e i pubblici amministratori hanno la responsabilità di valutare le potenzialità, i vantaggi e gli eventuali rischi connessi all'uso delle biotecnologie. Non è auspicabile che le loro decisioni, a livello nazionale o internazionale, vengano dettate da pressioni provenienti da interessi di parte. Le autorità pubbliche devono favorire anche una corretta informazione dell'opinione pubblica e saper prendere comunque le decisioni più convenienti per il bene comune.
480 Anche i responsabili dell'informazione hanno un compito importante, da svolgere con prudenza e obiettività. La società si aspetta da loro un'informazione completa e obiettiva, che aiuti i cittadini a formarsi una corretta opinione sui prodotti biotecnologici, soprattutto perché si tratta di qualcosa che li concerne in prima persona in quanto possibili consumatori. Si deve evitare, pertanto, di cadere nella tentazione di una informazione superficiale, alimentata da facili entusiasmi o da ingiustificati allarmismi.
c) Ambiente e condivisione dei beni
481 Anche nel campo dell'ecologia la dottrina sociale invita a tener presente che i beni della terra sono stati creati da Dio per essere sapientemente usati da tutti: tali beni vanno equamente condivisi, secondo giustizia e carità. Si tratta essenzialmente di impedire l'ingiustizia di un accaparramento delle risorse: l'avidità, sia essa individuale o collettiva, è contraria all'ordine della creazione.1005 Gli attuali problemi ecologici, di carattere planetario, possono essere affrontati efficacemente solo grazie ad una cooperazione internazionale capace di garantire un maggiore coordinamento sull'uso delle risorse della terra.
482 Il principio della destinazione universale dei beni offre un fondamentale orientamento, morale e culturale, per sciogliere il complesso e drammatico nodo che lega insieme crisi ambientale e povertà. L'attuale crisi ambientale colpisce particolarmente i più poveri, sia perché vivono in quelle terre che sono soggette all'erosione e alla desertificazione o coinvolti in conflitti armati o costretti a migrazioni forzate, sia perché non dispongono dei mezzi economici e tecnologici per proteggersi dalle calamità.
Moltissimi di questi poveri vivono nei sobborghi inquinati delle città in alloggiamenti di fortuna o in agglomerati di case fatiscenti e pericolose (slums, bidonvilles, barrios, favelas). Nel caso si debba procedere al loro trasferimento e per non aggiungere sofferenza a sofferenza, è necessario fornire un'adeguata e previa informazione, offrire alternative di alloggi dignitosi e coinvolgere direttamente gli interessati.
Si tenga presente, inoltre, la situazione dei Paesi penalizzati dalle regole di un commercio internazionale non equo, nei quali permane una scarsità di capitali spesso aggravata dall'onere del debito estero: in questi casi la fame e la povertà rendono quasi inevitabile uno sfruttamento intensivo ed eccessivo dell'ambiente.
483 Lo stretto legame che esiste tra lo sviluppo dei Paesi più poveri, mutamenti demografici e un uso sostenibile dell'ambiente, non va utilizzato come pretesto per scelte politiche ed economiche poco conformi alla dignità della persona umana. Nel Nord del pianeta si assiste ad una « caduta del tasso di natalità, con ripercussioni sull'invecchiamento della popolazione, incapace perfino di rinnovarsi biologicamente »,1006 mentre nel Sud la situazione è diversa. Se è vero che l'ineguale distribuzione della popolazione e delle risorse disponibili crea ostacoli allo sviluppo e ad un uso sostenibile dell'ambiente, va riconosciuto che la crescita demografica è pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale: 1007 « Siamo tutti d'accordo che una politica demografica è soltanto una parte di una strategia di sviluppo globale. Di conseguenza è importante che tutti i dibattiti sulle politiche demografiche prendano in considerazione lo sviluppo attuale e futuro delle nazioni e delle regioni. Allo stesso tempo è impossibile non tener conto dell'autentica natura del significato del termine “sviluppo”. Qualsiasi sviluppo degno di questo nome deve essere completo, ossia rivolto al bene autentico di ogni persona e dell'intera persona ».1008
484 Il principio della destinazione universale dei beni si applica naturalmente anche all'acqua, considerata nelle Sacre Scritture come simbolo di purificazione (cfr. Sal 51,4, Gv 13,8) e di vita (cfr. Gv 3,5; Gal 3,27): « In quanto dono di Dio, l'acqua è elemento vitale, imprescindibile per la sopravvivenza e, pertanto, un diritto di tutti ».1009 L'utilizzazione dell'acqua e dei servizi connessi deve essere orientata al soddisfacimento dei bisogni di tutti e soprattutto delle persone che vivono in povertà. Un limitato accesso all'acqua potabile incide sul benessere di un numero enorme di persone ed è spesso causa di malattie, sofferenze, conflitti, povertà e addirittura di morte: per essere adeguatamente risolta, tale questione « deve essere inquadrata in modo da stabilire criteri morali basati proprio sul valore della vita e sul rispetto dei diritti e della dignità di tutti gli esseri umani ».1010
485 L'acqua, per la sua stessa natura, non può essere trattata come una mera merce tra le altre e il suo uso deve essere razionale e solidale. La sua distribuzione rientra, tradizionalmente, fra le responsabilità di enti pubblici, perché l'acqua è stata sempre considerata come un bene pubblico, caratteristica che va mantenuta qualora la gestione venga affidata al settore privato. Il diritto all'acqua,1011 come tutti i diritti dell'uomo, si basa sulla dignità umana, e non su valutazioni di tipo meramente quantitativo, che considerano l'acqua solo come un bene economico. Senza acqua la vita è minacciata. Dunque, il diritto all'acqua è un diritto universale e inalienabile.
d) Nuovi stili di vita
486 I gravi problemi ecologici richiedono un effettivo cambiamento di mentalità che induca ad adottare nuovi stili di vita,1012 « nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti ».1013 Tali stili di vita devono essere ispirati alla sobrietà, alla temperanza, all'autodisciplina, sul piano personale e sociale. Bisogna uscire dalla logica del mero consumo e promuovere forme di produzione agricola e industriale che rispettino l'ordine della creazione e soddisfino i bisogni primari di tutti. Un simile atteggiamento, favorito da una rinnovata consapevolezza dell'interdipendenza che lega tra loro tutti gli abitanti della terra, concorre ad eliminare diverse cause di disastri ecologici e garantisce una tempestiva capacità di risposta quando tali disastri colpiscono popoli e territori.1014 La questione ecologica non deve essere affrontata solo per le agghiaccianti prospettive che il degrado ambientale profila: essa deve tradursi, soprattutto, in una forte motivazione per un'autentica solidarietà a dimensione mondiale.
487 L'atteggiamento che deve caratterizzare l'uomo di fronte al creato è essenzialmente quello della gratitudine e della riconoscenza: il mondo, infatti, rinvia al mistero di Dio che lo ha creato e lo sostiene. Se si mette tra parentesi la relazione con Dio, si svuota la natura del suo significato profondo, depauperandola. Se invece si arriva a riscoprire la natura nella sua dimensione di creatura, si può stabilire con essa un rapporto comunicativo, cogliere il suo significato evocativo e simbolico, penetrare così nell'orizzonte del mistero, che apre all'uomo il varco verso Dio, Creatore dei cieli e della terra. Il mondo si offre allo sguardo dell'uomo come traccia di Dio, luogo nel quale si disvela la Sua potenza creatrice, provvidente e redentrice.
CAPITOLO UNDICESIMO
LA PROMOZIONE DELLA PACE
I. ASPETTI BIBLICI
488 Prima di essere un dono di Dio all'uomo e un progetto umano conforme al disegno divino, la pace è anzitutto un attributo essenziale di Dio: « Signore-Pace » (Gdc 6,24). La creazione, che è un riflesso della gloria divina, aspira alla pace. Dio crea ogni cosa e tutto il creato forma un insieme armonico, buono in ogni sua parte (cfr. Gen 1,4.10.12.18.21.25.31).
La pace si fonda sulla relazione primaria tra ogni essere umano e Dio stesso, una relazione improntata a rettitudine (cfr. Gen 17,1). In seguito all'atto volontario con cui l'uomo altera l'ordine divino, il mondo conosce spargimenti di sangue e divisione: la violenza si manifesta nei rapporti interpersonali (cfr. Gen 4,1-16) e in quelli sociali (cfr. Gen 11,1-9). La pace e la violenza non possono abitare nella stessa dimora, dove c'è violenza non può esserci Dio (cfr. 1 Cr 22,8-9).
489 Nella Rivelazione biblica, la pace è molto più della semplice assenza di guerra: essa rappresenta la pienezza della vita (cfr. Ml 2,5); lungi dall'essere una costruzione umana, è un sommo dono divino offerto a tutti gli uomini, che comporta l'obbedienza al piano di Dio. La pace è l'effetto della benedizione di Dio sul Suo popolo: « Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace » (Nm 6,26). Tale pace genera fecondità (cfr. Is 48,19), benessere (cfr. Is 48,18), prosperità (cfr. Is 54,13), assenza di paura (cfr. Lv 26,6) e gioia profonda (cfr. Pr 12,20).
490 La pace è il traguardo della convivenza sociale, come appare in maniera straordinaria nella visione messianica della pace: quando tutti i popoli si recheranno nella casa del Signore ed Egli indicherà loro le Sue vie, essi potranno camminare lungo i sentieri della pace (cfr. Is 2,2-5). Un mondo nuovo di pace, che abbraccia tutta la natura, è promesso per l'era messianica (cfr. Is 11,6-9) e lo stesso Messia è definito « Principe della pace » (Is 9,5). Laddove regna la Sua pace, laddove essa viene anche parzialmente anticipata, nessuno potrà più gettare il popolo di Dio nella paura (cfr. Sof 3,13). La pace sarà allora duratura, poiché quando il re governa secondo la giustizia di Dio, la rettitudine germoglia e la pace abbonda « finché non si spenga la luna » (Sal 72,7). Dio anela a dare la pace al Suo popolo: « egli annunzia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con tutto il cuore » (Sal 85,9). Il Salmista, ascoltando ciò che Dio ha da dire al Suo popolo sulla pace, ode queste parole: « Misericordia e verità s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno » (Sal 85,11).
491 La promessa di pace, che percorre tutto l'Antico Testamento, trova il suo compimento nella Persona di Gesù. La pace, infatti, è il bene messianico per eccellenza, nel quale vengono compresi tutti gli altri beni salvifici. La parola ebraica « shalom », nel senso etimologico di « completezza », esprime il concetto di « pace » nella pienezza del suo significato (cfr. Is 9,5s.; Mi 5,1-4). Il regno del Messia è appunto il regno della pace (cfr. Gb 25,2; Sal 29,11; 37,11; 72,3.7; 85,9.11; 119,165; 125,5; 128,6; 147,14; Ct 8,10; Is 26,3.12; 32,17s.; 52,7; 54,10; 57,19; 60,17; 66,12; Ag 2,9; Zc 9,10 et alibi). Gesù « è la nostra pace » (Ef 2,14), Egli che ha abbattuto il muro divisorio dell'inimicizia tra gli uomini, riconciliandoli con Dio (cfr. Ef 2,14-16): così san Paolo, con efficacissima semplicità, indica la ragione radicale che spinge i cristiani ad una vita e ad una missione di pace.
Alla vigilia della Sua morte, Gesù parla della Sua relazione d'amore con il Padre e della forza unificatrice che questo amore irradia sui discepoli; è un discorso di commiato che mostra il senso profondo della Sua vita e che può essere considerato una sintesi di tutto il Suo insegnamento. Sigilla il Suo testamento spirituale il dono della pace: « Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi » (Gv 14,27). Le parole del Risorto non risuoneranno diversamente; ogni volta che Egli incontrerà i Suoi, essi riceveranno da Lui il saluto e il dono della pace: « Pace a voi! » (Lc 24,36; Gv 20,19.21.26).
492 La pace di Cristo è innanzi tutto la riconciliazione con il Padre, che si attua mediante la missione apostolica affidata da Gesù ai Suoi discepoli; questa inizia con un annuncio di pace: « In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa » (Lc 10,5; cfr. Rm 1,7). La pace è poi riconciliazione con i fratelli, perché Gesù, nella preghiera che ci ha insegnato, il « Padre nostro », associa il perdono chiesto a Dio a quello accordato ai fratelli: « rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori » (Mt 6,12). Con questa duplice riconciliazione il cristiano può diventare artefice di pace e quindi partecipe del Regno di Dio, secondo quanto Gesù stesso proclama: « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio » (Mt 5,9).
493 L'azione per la pace non è mai disgiunta dall'annuncio del Vangelo, che è appunto « la buona novella della pace » (At 10,36; cfr. Ef 6,15), indirizzata a tutti gli uomini. Al centro del « vangelo della pace » (Ef 6,15) resta il mistero della Croce, perché la pace è insita nel sacrificio di Cristo (cfr. Is 53,5: « Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti »): Gesù crocifisso ha annullato la divisione, instaurando la pace e la riconciliazione proprio « per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia » (Ef 2,16) e donando agli uomini la salvezza della Risurrezione.
II. LA PACE: FRUTTO DELLA GIUSTIZIA E DELLA CARITÀ
494 La pace è un valore 1015 e un dovere universale 1016 e trova il suo fondamento nell'ordine razionale e morale della società che ha le sue radici in Dio stesso, « fonte primaria dell'essere, verità essenziale e bene supremo ».1017 La pace non è semplicemente assenza di guerra e neppure uno stabile equilibrio tra forze avversarie,1018 ma si fonda su una corretta concezione della persona umana 1019 e richiede l'edificazione di un ordine secondo giustizia e carità.
La pace è frutto della giustizia (cfr. Is 32,17),1020 intesa in senso ampio come il rispetto dell'equilibrio di tutte le dimensioni della persona umana. La pace è in pericolo quando all'uomo non è riconosciuto ciò che gli è dovuto in quanto uomo, quando non viene rispettata la sua dignità e quando la convivenza non è orientata verso il bene comune. Per la costruzione di una società pacifica e per lo sviluppo integrale di individui, popoli e Nazioni, risultano essenziali la difesa e la promozione dei diritti umani.1021
La pace è frutto anche dell'amore: « vera pace è cosa piuttosto di carità che di giustizia, perché alla giustizia spetta solo rimuovere gli impedimenti della pace: l'offesa e il danno; ma la pace stessa è atto proprio e specifico di carità ».1022
495 La pace si costruisce giorno per giorno nella ricerca dell'ordine voluto da Dio 1023 e può fiorire solo quando tutti riconoscono le proprie responsabilità nella sua promozione.1024 Per prevenire conflitti e violenze, è assolutamente necessario che la pace cominci ad essere vissuta come valore profondo nell'intimo di ogni persona: così può estendersi nelle famiglie e nelle diverse forme di aggregazione sociale, fino a coinvolgere l'intera comunità politica.1025 In un clima diffuso di concordia e di rispetto della giustizia, può maturare un'autentica cultura di pace,1026 capace di diffondersi anche nella Comunità internazionale. La pace è, pertanto, « il frutto dell'ordine immesso nella società umana dal suo Fondatore e che deve essere attuato dagli uomini assetati di una giustizia sempre più perfetta ».1027 Tale ideale di pace « non si può ottenere se non è messo al sicuro il bene delle persone e gli uomini con fiducia non si scambiano spontaneamente le ricchezze del loro animo e del loro ingegno ».1028
496 La violenza non costituisce mai una risposta giusta. La Chiesa proclama, con la convinzione della sua fede in Cristo e con la consapevolezza della sua missione, « che la violenza è male, che la violenza come soluzione ai problemi è inaccettabile, che la violenza è indegna dell'uomo. La violenza è una menzogna, poiché è contraria alla verità della nostra fede, alla verità della nostra umanità. La violenza distrugge ciò che sostiene di difendere: la dignità, la vita, la libertà degli esseri umani ».1029
Anche il mondo attuale ha bisogno della testimonianza di profeti non armati, purtroppo oggetto di scherno in ogni epoca: 1030 « Coloro che, per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, rinunciano all'azione violenta e cruenta e ricorrono a mezzi di difesa che sono alla portata dei più deboli, rendono testimonianza alla carità evangelica, purché ciò si faccia senza pregiudizio per i diritti e i doveri degli altri uomini e delle società. Essi legittimamente attestano la gravità dei rischi fisici e morali del ricorso alla violenza, che causa rovine e morti ».1031
III. IL FALLIMENTO DELLA PACE: LA GUERRA
497 Il Magistero condanna « l'enormità della guerra » 1032 e chiede che sia considerata con un approccio completamente nuovo: 1033 infatti, « riesce quasi impossibile pensare che nell'era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia ».1034 La guerra è un « flagello » 1035 e non rappresenta mai un mezzo idoneo per risolvere i problemi che sorgono tra le Nazioni: « Non lo è mai stato e mai lo sarà »,1036 perché genera conflitti nuovi e più complessi.1037 Quando scoppia, la guerra diventa una « inutile strage »,1038 una « avventura senza ritorno »,1039 che compromette il presente e mette a rischio il futuro dell'umanità: « Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra ».1040 I danni causati da un conflitto armato non sono solamente materiali, ma anche morali.1041 La guerra è, in definitiva, « il fallimento di ogni autentico umanesimo »,1042 « è sempre una sconfitta dell'umanità »: 1043 « non più gli uni contro gli altri, non più, mai! ... non più la guerra, non più la guerra! ».1044
498 La ricerca di soluzioni alternative alla guerra per risolvere i conflitti internazionali ha assunto oggi un carattere di drammatica urgenza, poiché « la potenza terrificante dei mezzi di distruzione, accessibili perfino alle medie e piccole potenze, e la sempre più stretta connessione, esistente tra i popoli di tutta la terra, rendono assai arduo o praticamente impossibile limitare le conseguenze di un conflitto ».1045 È quindi essenziale la ricerca delle cause che originano un conflitto bellico, anzitutto quelle collegate a situazioni strutturali di ingiustizia, di miseria, di sfruttamento, sulle quali bisogna intervenire con lo scopo di rimuoverle: « Per questo, l'altro nome della pace è lo sviluppo. Come esiste la responsabilità collettiva di evitare la guerra, così esiste la responsabilità collettiva di promuovere lo sviluppo ».1046
499 Gli Stati non sempre dispongono degli strumenti adeguati per provvedere efficacemente alla propria difesa: da qui la necessità e l'importanza delle Organizzazioni internazionali e regionali, che devono essere in grado di collaborare per far fronte ai conflitti e favorire la pace, instaurando relazioni di fiducia reciproca capaci di rendere impensabile il ricorso alla guerra: 1047 « È lecito... sperare che gli uomini, incontrandosi e negoziando, abbiano a scoprire meglio i vincoli che li legano, provenienti dalla loro comune umanità, e abbiano pure a scoprire che una fra le più profonde esigenze della loro comune umanità è che tra essi e tra i rispettivi popoli regni non il timore, ma l'amore: il quale tende ad esprimersi nella collaborazione leale, multiforme, apportatrice di molti beni ».1048
a) La legittima difesa
500 Una guerra di aggressione è intrinsecamente immorale. Nel tragico caso in cui essa si scateni, i responsabili di uno Stato aggredito hanno il diritto e il dovere di organizzare la difesa anche usando la forza delle armi.1049 L'uso della forza, per essere lecito, deve rispondere ad alcune rigorose condizioni: « — che il danno causato dall'aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; — che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci; — che ci siano fondate condizioni di successo; — che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione. Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della “guerra giusta”. La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune ».1050
Se tale responsabilità giustifica il possesso di mezzi sufficienti per esercitare il diritto alla difesa, resta per gli Stati l'obbligo di fare tutto il possibile per « garantire le condizioni della pace non soltanto sul proprio territorio, ma in tutto il mondo ».1051 Non bisogna dimenticare che « altro è ricorrere alle armi perché i popoli siano legittimamente difesi, altro voler soggiogare altre nazioni. Né la potenza bellica rende legittimo ogni suo impiego militare o politico. Né diventa tutto lecito tra i belligeranti quando la guerra è ormai disgraziatamente scoppiata ».1052
501 La Carta della Nazioni Unite, scaturita dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale e volta a preservare le generazioni future dal flagello della guerra, si basa sull'interdizione generalizzata del ricorso alla forza per risolvere le contese tra gli Stati, fatti salvi due casi: la legittima difesa e le misure prese dal Consiglio di Sicurezza nell'ambito delle sue responsabilità per mantenere la pace. In ogni caso, l'esercizio del diritto a difendersi deve rispettare « i tradizionali limiti della necessità e della proporzionalità ».1053
Quanto, poi, a un'azione bellica preventiva, lanciata senza prove evidenti che un'aggressione stia per essere sferrata, essa non può non sollevare gravi interrogativi sotto il profilo morale e giuridico. Pertanto, solo una decisione dei competenti organismi, sulla base di rigorosi accertamenti e di fondate motivazioni, può dare legittimazione internazionale all'uso della forza armata, identificando determinate situazioni come una minaccia alla pace e autorizzando un'ingerenza nella sfera del dominio riservato di uno Stato.
b) Difendere la pace
502 Le esigenze della legittima difesa giustificano l'esistenza, negli Stati, delle forze armate, la cui azione deve essere posta al servizio della pace: coloro i quali presidiano con tale spirito la sicurezza e la libertà di un Paese danno un autentico contributo alla pace.1054 Ogni persona che presta servizio nelle forze armate è concretamente chiamata a difendere il bene, la verità e la giustizia nel mondo; non pochi sono coloro che in tale contesto hanno sacrificato la propria vita per questi valori e per difendere vite innocenti. Il crescente numero di militari che operano in seno a forze multinazionali, nell'ambito delle « missioni umanitarie e di pace », promosse dalle Nazioni Unite, è un fatto significativo.1055
503 Ogni membro delle forze armate è moralmente obbligato ad opporsi agli ordini che incitano a compiere crimini contro il diritto delle genti e i suoi principi universali.1056 I militari rimangono pienamente responsabili degli atti che compiono in violazione dei diritti delle persone e dei popoli o delle norme del diritto internazionale umanitario. Tali atti non si possono giustificare con il motivo dell'obbedienza a ordini superiori.
Gli obiettori di coscienza, i quali rifiutano in via di principio di effettuare il servizio militare nei casi in cui sia obbligatorio, poiché la loro coscienza li porta a respingere qualsiasi uso della forza oppure la partecipazione ad un determinato conflitto, devono essere disponibili a svolgere altri tipi di servizio: « Sembra ... giusto che le leggi provvedano con comprensione al caso di chi per motivi di coscienza ricusa di usare le armi, mentre accetta un'altra forma di servizio alla comunità umana ».1057
c) Il dovere di proteggere gli innocenti
504 Il diritto all'uso della forza per scopi di legittima difesa è associato al dovere di proteggere e aiutare le vittime innocenti che non possono difendersi dall'aggressione. Nei conflitti dell'era moderna, frequentemente interni ad uno stesso Stato, le disposizioni del diritto internazionale umanitario devono essere pienamente rispettate. In troppe circostanze la popolazione civile è colpita, a volte perfino come obiettivo bellico. In alcuni casi viene brutalmente massacrata o sradicata dalle proprie case e dalla propria terra con trasferimenti forzati, sotto il pretesto di una « pulizia etnica » 1058 inaccettabile. In tali tragiche circostanze, è necessario che gli aiuti umanitari raggiungano la popolazione civile e che non siano mai utilizzati per condizionare i beneficiari: il bene della persona umana deve avere la precedenza sugli interessi delle parti in conflitto.
505 Il principio di umanità, iscritto nella coscienza di ogni persona e popolo, comporta l'obbligo di tenere al riparo la popolazione civile dagli effetti della guerra: « Quel minimo di protezione della dignità di ogni essere umano, garantito dal diritto internazionale umanitario, è troppo spesso violato in nome di esigenze militari o politiche, che mai dovrebbero avere il sopravvento sul valore della persona umana. Si avverte oggi la necessità di trovare un nuovo consenso sui principi umanitari e di rafforzarne i fondamenti per impedire il ripetersi di atrocità e abusi ».1059
Una particolare categoria di vittime della guerra è quella dei rifugiati, costretti dai combattimenti a fuggire dai luoghi in cui vivono abitualmente, fino a trovare riparo in Paesi diversi da quelli in cui sono nati. La Chiesa è loro vicina, non solo con la presenza pastorale e con il soccorso materiale, ma anche con l'impegno a difendere la loro dignità umana: « La sollecitudine per i rifugiati deve spingersi a riaffermare e a sottolineare i diritti umani, universalmente riconosciuti, e a chiedere che anche per essi siano effettivamente realizzati ».1060
506 I tentativi di eliminazione di interi gruppi nazionali, etnici, religiosi o linguistici sono dei delitti contro Dio e contro la stessa umanità e i responsabili di tali crimini devono essere chiamati a risponderne di fronte alla giustizia.1061 Il secolo XX è stato contrassegnato tragicamente da diversi genocidi: da quello degli armeni a quello degli ucraini, da quello dei cambogiani a quelli avvenuti in Africa e nei Balcani. Tra essi spicca l'olocausto del popolo ebraico, la Shoah: « i giorni della Shoah hanno segnato una vera notte nella storia, registrando crimini inauditi contro Dio e contro l'uomo ».1062
La Comunità internazionale nel suo complesso ha l'obbligo morale di intervenire in favore di quei gruppi la cui stessa sopravvivenza è minacciata o di cui siano massicciamente violati i fondamentali diritti. Gli Stati, in quanto parte di una Comunità internazionale, non possono restare indifferenti: al contrario, se tutti gli altri mezzi a disposizione si dovessero rivelare inefficaci, è « legittimo e persino doveroso impegnarsi con iniziative concrete per disarmare l'aggressore ».1063 Il principio della sovranità nazionale non può essere addotto come motivo per impedire l'intervento in difesa delle vittime.1064 Le misure adottate devono essere attuate nel pieno rispetto del diritto internazionale e del fondamentale principio dell'uguaglianza tra gli Stati.
La Comunità internazionale si è anche dotata di una Corte Penale Internazionale per punire i responsabili di atti particolarmente gravi: crimine di genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra, crimine di aggressione. Il Magistero non ha mancato di incoraggiare ripetutamente tale iniziativa.1065
d) Misure contro chi minaccia la pace
507 Le sanzioni, nelle forme previste dall'ordinamento internazionale contemporaneo, mirano a correggere il comportamento del governo di un Paese che viola le regole della pacifica ed ordinata convivenza internazionale o che mette in pratica gravi forme di oppressione nei confronti della popolazione. Le finalità delle sanzioni devono essere precisate in modo inequivocabile e le misure adottate devono essere periodicamente verificate dagli organismi competenti della Comunità internazionale, per un'obiettiva valutazione della loro efficacia e del loro reale impatto sulla popolazione civile. Il vero scopo di tali misure è quello di aprire la strada alle trattative e al dialogo. Le sanzioni non devono mai costituire uno strumento di punizione diretto contro un'intera popolazione: non è lecito che per le sanzioni abbiano a soffrire intere popolazioni e specialmente i loro membri più vulnerabili. Le sanzioni economiche, in particolare, sono uno strumento da utilizzare con grande ponderazione e da sottoporre a rigidi criteri giuridici ed etici.1066 L'embargo economico deve essere limitato nel tempo e non può essere giustificato quando gli effetti che produce si rivelano indiscriminati.
e) Il disarmo
508 La dottrina sociale propone la meta di un « disarmo generale, equilibrato e controllato ».1067 L'enorme aumento delle armi rappresenta una minaccia grave per la stabilità e la pace. Il principio di sufficienza, in virtù del quale uno Stato può possedere unicamente i mezzi necessari per la sua legittima difesa, deve essere applicato sia dagli Stati che comprano armi, sia da quelli che le producono e le forniscono.1068 Qualsiasi accumulo eccessivo di armi, o il loro commercio generalizzato, non possono essere giustificati moralmente; tali fenomeni vanno valutati anche alla luce della normativa internazionale in materia di non-proliferazione, produzione, commercio e uso dei differenti tipi di armamenti. Le armi non devono mai essere considerate alla stregua di altri beni scambiati a livello mondiale o sui mercati interni.1069
Il Magistero, inoltre, ha espresso una valutazione morale del fenomeno della deterrenza: « L'accumulo delle armi sembra a molti un modo paradossale di dissuadere dalla guerra eventuali avversari. Costoro vedono in esso il più efficace dei mezzi atti ad assicurare la pace tra le nazioni. Riguardo a tale mezzo di dissuasione vanno fatte severe riserve morali. La corsa agli armamenti non assicura la pace. Lungi dall'eliminare le cause di guerra, rischia di aggravarle ».1070 Le politiche di deterrenza nucleare, tipiche del periodo della cosiddetta Guerra Fredda, devono essere sostituite con concrete misure di disarmo, basate sul dialogo e sul negoziato multilaterale.
509 Le armi di distruzione di massa — biologiche, chimiche e nucleari — rappresentano una minaccia particolarmente grave; coloro che le possiedono hanno una responsabilità enorme davanti a Dio e all'umanità intera.1071 Il principio della non-proliferazione delle armi nucleari, insieme alle misure per il disarmo nucleare, come anche il divieto di test nucleari, sono obiettivi tra loro strettamente legati, che devono essere raggiunti nel più breve tempo tramite controlli efficaci a livello internazionale.1072 Il divieto di sviluppo, di produzione, di accumulo e di impiego delle armi chimiche e biologiche, nonché i provvedimenti che ne impongono la distruzione, completano il quadro normativo internazionale per mettere al bando tali armi nefaste,1073 il cui uso è esplicitamente riprovato dal Magistero: « Ogni azione bellica che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni con i loro abitanti è un crimine contro Dio e contro l'uomo, che deve essere condannato con fermezza e senza esitazione ».1074
510 Il disarmo deve estendersi all'interdizione di armi che infliggono effetti traumatici eccessivi o che colpiscono indiscriminatamente, nonché delle mine antipersona, un tipo di piccoli ordigni, disumanamente insidiosi, poiché continuano a colpire anche molto tempo dopo il termine delle ostilità: gli Stati che le producono, le commercializzano o le usano ancora, si assumono la responsabilità di ritardare gravemente la totale eliminazione di tali strumenti mortiferi.1075 La Comunità internazionale deve continuare ad impegnarsi nell'attività di sminamento, promuovendo un'efficace cooperazione, compresa la formazione tecnica, con i Paesi che non dispongono di mezzi propri adatti ad effettuare l'urgentissima bonifica dei loro territori e che non sono in grado di fornire un'assistenza adeguata alle vittime delle mine.
511 Misure appropriate sono necessarie per il controllo della produzione, della vendita, dell'importazione e dell'esportazione di armi leggere e individuali, che facilitano molte manifestazioni di violenza. La vendita e il traffico di tali armi costituiscono una seria minaccia per la pace: esse sono quelle che uccidono di più e sono usate maggiormente nei conflitti non internazionali; la loro disponibilità fa aumentare il rischio di nuovi conflitti e l'intensità di quelli in corso. L'atteggiamento degli Stati che applicano severi controlli sul trasferimento internazionale di armi pesanti, mentre non prevedono mai, o solo in rare occasioni, restrizioni sul commercio delle armi leggere e individuali, è una contraddizione inaccettabile. È indispensabile ed urgente che i Governi adottino regole adeguate per controllare la produzione, l'accumulo, la vendita e il traffico di tali armi,1076 così da contrastarne la crescente diffusione, in larga parte tra gruppi di combattenti che non appartengono alle forze militari di uno Stato.
512 L'utilizzazione di bambini e adolescenti come soldati in conflitti armati — nonostante il fatto che la loro giovanissima età non ne deve permettere il reclutamento — va denunciata. Essi sono costretti con la forza a combattere, oppure lo scelgono di propria iniziativa senza essere pienamente consapevoli delle conseguenze. Si tratta di bambini privati non solo dell'istruzione che dovrebbero ricevere e di un'infanzia normale, ma anche addestrati ad uccidere: tutto ciò costituisce un crimine intollerabile. Il loro impiego nelle forze combattenti di qualsiasi tipo deve essere fermato; contemporaneamente, bisogna fornire tutto l'aiuto possibile per la cura, l'educazione e la riabilitazione di coloro che sono stati coinvolti nei combattimenti.1077
f) La condanna del terrorismo
513 Il terrorismo è una delle forme più brutali della violenza che oggi sconvolge la Comunità internazionale: esso semina odio, morte, desiderio di vendetta e di rappresaglia.1078 Da strategia sovversiva tipica soltanto di alcune organizzazioni estremistiche, finalizzata alla distruzione delle cose e all'uccisione delle persone, il terrorismo si è trasformato in una rete oscura di complicità politiche, utilizza anche sofisticati mezzi tecnici, si avvale spesso di ingenti risorse finanziarie ed elabora strategie su vasta scala, colpendo persone del tutto innocenti, vittime casuali delle azioni terroristiche.1079 Bersagli degli attacchi terroristici sono, in genere, i luoghi della vita quotidiana e non obiettivi militari nel contesto di una guerra dichiarata. Il terrorismo agisce e colpisce al buio, al di fuori delle regole con cui gli uomini hanno cercato di disciplinare, per esempio mediante il diritto internazionale umanitario, i loro conflitti: « In molti casi il ricorso ai metodi del terrorismo è considerato un nuovo sistema di guerra ».1080 Non vanno trascurate le cause che possono motivare tale inaccettabile forma di rivendicazione. La lotta contro il terrorismo presuppone il dovere morale di contribuire a creare le condizioni affinché esso non nasca o si sviluppi.
514 Il terrorismo va condannato nel modo più assoluto. Esso manifesta un disprezzo totale della vita umana e nessuna motivazione può giustificarlo, in quanto l'uomo è sempre fine e mai mezzo. Gli atti di terrorismo colpiscono profondamente la dignità umana e costituiscono un'offesa all'intera umanità: « Esiste perciò un diritto a difendersi dal terrorismo ».1081 Tale diritto non può tuttavia essere esercitato nel vuoto di regole morali e giuridiche, poiché la lotta contro i terroristi va condotta nel rispetto dei diritti dell'uomo e dei principi di uno Stato di diritto.1082 L'identificazione dei colpevoli va debitamente provata, perché la responsabilità penale è sempre personale e quindi non può essere estesa alle religioni, alle Nazioni, alle etnie, alle quali i terroristi appartengono. La collaborazione internazionale contro l'attività terroristica « non può esaurirsi soltanto in operazioni repressive e punitive. È essenziale che il pur necessario ricorso alla forza sia accompagnato da una coraggiosa e lucida analisi delle motivazioni soggiacenti agli attacchi terroristici ».1083 È necessario anche un particolare impegno sul piano « politico e pedagogico » 1084 per risolvere, con coraggio e determinazione, i problemi che, in alcune drammatiche situazioni, possono alimentare il terrorismo: « Il reclutamento dei terroristi, infatti, è più facile nei contesti sociali in cui si semina l'odio, i diritti vengono conculcati e le situazioni di ingiustizia troppo a lungo tollerate ».1085
515 È profanazione e bestemmia proclamarsi terroristi in nome di Dio: 1086 così si strumentalizza anche Dio e non solo l'uomo, in quanto si ritiene di possedere totalmente la Sua verità anziché cercare di esserne posseduti. Definire « martiri » coloro i quali muoiono compiendo atti terroristici è stravolgere il concetto di martirio, che è testimonianza di chi si fa uccidere per non rinunciare a Dio e al Suo amore e non di chi uccide in nome di Dio.
Nessuna religione può tollerare il terrorismo e, ancor meno, predicarlo.1087 Le religioni sono impegnate, piuttosto, a collaborare per rimuovere le cause del terrorismo e per promuovere l'amicizia tra i popoli.1088
IV. IL CONTRIBUTO DELLA CHIESA ALLA PACE
516 La promozione della pace nel mondo è parte integrante della missione con cui la Chiesa continua l'opera redentrice di Cristo sulla terra. La Chiesa, infatti, è, in Cristo, « “sacramento”, cioè segno e uno strumento della pace nel mondo e per il mondo ».1089 La promozione della vera pace è un'espressione della fede cristiana nell'amore che Dio nutre per ogni essere umano. Dalla fede liberante nell'amore di Dio derivano una nuova visione del mondo e un nuovo modo di avvicinarsi all'altro, sia esso una singola persona o un popolo intero: è una fede che cambia e rinnova la vita, ispirata dalla pace che Cristo ha lasciato ai Suoi discepoli (cfr. Gv 14,27). Mossa unicamente da tale fede, la Chiesa intende promuovere l'unità dei cristiani e una feconda collaborazione con i credenti delle altre religioni. Le differenze religiose non possono e non devono costituire una causa di conflitto: la ricerca comune della pace da parte di tutti i credenti è piuttosto un forte fattore di unità tra i popoli.1090 La Chiesa esorta persone, popoli, Stati e Nazioni a farsi partecipi della sua preoccupazione per il ristabilimento e il consolidamento della pace sottolineando, in particolare, l'importante funzione del diritto internazionale.1091
517 La Chiesa insegna che una vera pace è resa possibile soltanto dal perdono e dalla riconciliazione.1092 Non è facile perdonare di fronte alle conseguenze della guerra e dei conflitti, perché la violenza, specialmente quando conduce « sino agli abissi della disumanità e della desolazione »,1093 lascia sempre in eredità un pesante fardello di dolore, che può essere alleviato solo da una riflessione approfondita, leale e coraggiosa, comune ai contendenti, capace di affrontare le difficoltà del presente con un atteggiamento purificato dal pentimento. Il peso del passato, che non può essere dimenticato, può essere accettato solo in presenza di un perdono reciprocamente offerto e ricevuto: si tratta di un percorso lungo e difficile, ma non impossibile.1094
518 Il perdono reciproco non deve annullare le esigenze della giustizia né, tanto meno, precludere il cammino che porta alla verità: giustizia e verità rappresentano, invece, i requisiti concreti della riconciliazione. Risultano opportune le iniziative tendenti ad istituire Organismi giudiziari internazionali. Simili Organismi, avvalendosi del principio della giurisdizione universale e sorretti da procedure adeguate, rispettose dei diritti degli imputati e delle vittime, possono accertare la verità sui crimini perpetrati durante i conflitti armati.1095 È necessario, tuttavia, andare oltre la determinazione dei comportamenti delittuosi, sia attivi che omissivi, e oltre le decisioni in merito alle procedure di riparazione, per giungere al ristabilimento di relazioni di reciproca accoglienza tra i popoli divisi, nel segno della riconciliazione.1096 È necessario, inoltre, promuovere il rispetto del diritto alla pace: tale diritto « favorisce la costruzione di una società all'interno della quale ai rapporti di forza subentrano rapporti di collaborazione, in vista del bene comune ».1097
519 La Chiesa lotta per la pace con la preghiera. La preghiera apre il cuore non solo ad un profondo rapporto con Dio, ma anche all'incontro con il prossimo all'insegna del rispetto, della fiducia, della comprensione, della stima e dell'amore.1098 La preghiera infonde coraggio e dà sostegno a tutti « i veri amici della pace »,1099 i quali cercano di promuoverla nelle varie circostanze in cui si trovano a vivere. La preghiera liturgica è « il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e insieme la fonte da cui
promana tutta la sua forza »; 1100 in particolare la celebrazione eucaristica, « fonte e apice di tutta la vita cristiana »,1101 è sorgente inesauribile di ogni autentico impegno cristiano per la pace.1102
520 Le Giornate Mondiali della Pace sono celebrazioni di particolare intensità per la preghiera di invocazione della pace e per l'impegno di costruire un mondo di pace. Il Papa Paolo VI le istituì allo scopo di « dedicare ai pensieri ed ai propositi della pace una particolare celebrazione nel primo giorno dell'anno civile ».1103 I Messaggi pontifici per tale annuale occasione costituiscono una ricca fonte di aggiornamento e di sviluppo della dottrina sociale e mostrano la costante azione pastorale della Chiesa in favore della pace: « La Pace si afferma solo con la pace, quella non disgiunta dai doveri della giustizia, ma alimentata dal sacrificio proprio, dalla clemenza, dalla misericordia, dalla carità ».1104
INDICI
INDICE DEI RIFERIMENTI
La seconda colonna si riferisce ai numeri del Compendio.
L'asterisco che segue i numeri relativi ai riferimenti indica che essi si trovano in nota.
SACRA SCRITTURA
Antico Testamento
Genesi
1, 4.10.12.18.21.25 113, 451
1, 4.10.12.18.21.25.31 488
1, 26 149
1, 26-27 26, 36, 428
1, 26-28 209
1, 26.28-30 149
1, 26-30 64, 326, 451
1, 27 108, 110, 451
1, 28 36, 111, 209, 255
1, 28-29 171
1, 31 451, 578
2, 2 255, 284
2, 5-6 255
2, 7 108
2, 7-24 209
2, 8-24 428
2, 15 255, 452
2, 15-16 326
2, 16-17 136, 326
2, 17 256
2, 18 209
2, 19-20 113
2, 20 110
2, 20.23 149
2, 23 110
2, 24 209, 217, 219
3, 1-24 27
3, 5 256
3, 6-8 256
3, 12 116
3, 17-19 452
3, 17.19 256
4, 1-16 488
4, 2-16 116
4, 12 256
5 428
9, 1-17 429
9, 5 112
10 428
10, 1-32 429
11, 1 429
11, 1-9 429, 488
11, 4 429
11, 4-8 562
17, 1 488
17, 4 430
Esodo
3, 7-8 21
3, 14 21
12, 25-27 210
13, 8.14-15 210
19-24 22
20, 13 112
23 24*
23, 10-11 258
30, 22-32 378
33, 11 13
34, 28 22
Levitico
19, 13 302
19, 18 112
19, 33-34 23
25 24*
26, 6 489
Numeri
6, 26 489
Deuteronomio
4, 13 22
5, 17 112
6, 20-25 210
6, 21 451
10, 4 22
13, 7-11 210
15 24*
15, 7-8 23
17, 15 377
24, 14-15 302
26, 5 451
Giosuè
24, 3 451
Giudici
6, 24 488
Primo libro di Samuele
2, 35 378
3, 13 210
8, 5 377
8, 11-18 377
9, 16 377
10, 1-2 377
10, 18-19 377
16, 1-13 378
16, 12-13 377
24, 7.11 378
26, 9.16 378
Secondo libro di Samuele
7, 13-16 378
Primo libro dei Re
21 377
Primo libro delle Cronache
22, 8-9 488
Giobbe
25, 2 491
38-41 255
Salmi
2 378
2, 7 377
8, 5-7 255
18 378
20 378
21 378
29, 11 491
37, 11 491
51, 4 484
72 377, 378
72, 3.7 491
72, 7 490
85, 9 490
85, 9.11 491
85, 11 490
89, 2-38 378
92, 15 222
104 255
104, 24 452
119, 165 491
125, 5 491
128, 6 491
132, 11-18 378
139, 14-18 108
147 255
147, 14 491
Proverbi
1,8-9 210
4, 1-4 210
6, 20-21 210
10, 4 257, 323
12, 20 489
15, 16 257
16, 8 257
16, 12 378
22, 2 323
22, 11 378
29, 14 378
Qoelet
3, 11 114
Cantico dei Cantici
8, 10 491
Sapienza
1, 7 578
9, 2-3 326
Siracide
3, 1-16 210
7, 27-28 210
15, 14 135
Isaia
2, 2-5 430, 490
9, 5 490
9, 5s 491
10, 1-4 377
11, 2-5 378
11, 4 59
11, 6-9 490
19, 18-25 430
26, 3.12 491
32, 15-18 452
32, 17 102, 203, 494
32, 17s 491
44, 6-8 430
44, 24-28 430
45, 8 123
48, 18 489
48, 19 489
52, 7 491
53, 5 493
54 111, 219*
54, 10 491
54, 13 489
57, 19 491
58, 3-11 323
60, 17 491
61, 1 59
61, 1-2 28
65, 17 452, 453
66, 12 491
66, 18-23 430
66, 22 453
Geremia
3, 6-13 219*
7, 4-7 323
23, 5-6 378
31, 31-34 324
31, 33 25
Baruc
3, 38 13
Ezechiele
16, 25 219*
34, 22-31 324
34, 23-24 378
36, 26-27 25
37, 24 378
Osea
1-3 111
2, 21 219*
3 219*
4, 1-2 323
Amos
2, 6-7 323
2, 6-8 377
8, 4-8 377
Michea
2, 1-2 323
3, 1-4 377
5, 1-4 491
Sofonia
3, 13 490
Aggeo
2, 9 491
Zaccaria
9, 9-10 378
9, 10 491
Malachia
2, 5 489
2, 14-15 210
Nuovo Testamento
Vangelo secondo Matteo
1, 1-17 378
4, 1-11 175
4, 8-11 379
5, 9 492
5, 43-44 40
6, 12 492
6, 19-21 260
6, 24 181, 325
6, 25.31.34 260
6, 33 260
7, 12 20
7, 24 70
9, 37-38 259
10, 8 184
10, 40-42 193
11, 5 183
12, 9-14 261
13, 22 325
13, 52 12
13, 55 259
14, 22-33 453
18, 20 52
19, 3-9 210
19, 5 219
19, 5-6 209
19, 8 217
19,18 22
19, 21-26 181
20, 1-16 541
20, 20-23 379
20, 24-28 379
20, 25 193
22,15-22 379
22, 37-40 112
22, 40 580
24, 46 259
25, 14-30 259, 326
25, 31-46 183
25, 34-36.40 57
25, 35-36 265, 403
25, 35-37 58
25, 40.45 183
26, 11 183
27, 45.51 454
28,2 454
28, 19-20 52
Vangelo secondo Marco
1, 12-13 175
1, 15 49
2, 27 261
3, 1-6 261
6, 3 259
6, 45-52 453
8, 36 260
9, 33-35 379
10, 5 217
10, 35-40 379
10, 42 379
10, 42-45 193
10, 45 379
12, 13-17 379
12, 28 40
12, 29-31 40, 112
14,7 183
Vangelo secondo Luca
1, 38 59
1, 50-53 59
2, 51 259
3, 23-38 378
4, 1-13 175
4, 5-8 379
4, 18-19 28
6, 6-11 261
6, 20-24 325
6, 46-47 70
8, 22-25 453
10, 5 492
10, 7 259
10, 27-28 112
10, 40-42 260
11, 11-13 453
12, 15-21 325
12, 21 326
13, 10-17 261
14, 1-6 261
16, 9-13 453
16, 13 181
17, 33 34, 583
19, 12-27 326
20, 20-26 379
22, 24-27 379
22, 25 379
22, 25-27 193
24, 36 491
24, 46-49 52
Vangelo secondo Giovanni
1, 3 262
1, 4.9 121
3, 5 484
3, 8 50
3, 16 3, 64
5, 17 259
6, 16-21 453
10, 9 1
12, 8 183
12, 24 570
13, 8 484
13, 34 32
13, 35 196*, 580
14, 6 1, 555
14, 9 28
14, 16.26 104
14, 21.23-24 70
14, 27 491, 516
15-17 39
15, 12 580
15, 14-15 13
15, 15 29
16,13-15 104
16, 15 29
17, 3 122
17, 14-16 18
17, 21-22 34
20, 19.21.26 491
Atti degli Apostoli
1, 8 3, 453
2, 5-11 562
2, 6 431
10, 34 144
10, 36 493
17, 26 431
Lettera ai Romani
1, 3 378
1, 7 492
2, 6 399
2, 11 144
2, 14-15 53
2, 15 397
5, 5 31
5, 12 115
5, 12-21 64
5, 14 121
5, 18-21 121
5, 19 115
6, 4 41
8 38
8, 1-11 522
8, 14-17 122
8, 15 31
8, 18-22 123
8, 19-22 64, 262
8,19-23 455
8, 20 64, 262
8, 23 522
8, 25 579
8, 26 30
8, 29 121
8, 31-32 30
10, 12 144, 431
12,17 380
13,1-7 380
13,2 398
13,4 380
13,5 380
13,7 380
14,6-8 325
14,12 399
14,15 105
Prima lettera ai Corinzi
3, 22-23 44, 455
6, 20 1, 578
7, 31 48, 264
8, 6 262
8, 11 105
9, 16 71, 538
12, 13 144
12, 31 204
12, 31-14,1 580
13, 12 122
15, 20-28 383, 454
15, 47-49 121
15, 56-57 121
Seconda lettera ai Corinzi
1, 22 122
4, 4 121, 431
5, 1-2 56
5,17 454
Lettera ai Galati
2, 6 144
3, 26-28 52, 431
3, 27 484
3,28 144
4, 4-7 122
4, 6 31
4, 6-7 39
Lettera agli Efesini
1, 8-10 431
1, 14 122, 522
1, 22-23 327
2, 10 258
2, 12-18 431
2, 14 491
2, 14-16 491
2, 16 493
3, 8 262
3, 20 122
4, 25.29 562
4, 28 264
5, 16 579
5, 21-33 111
6, 9 144
6, 12 579
6, 15 493
Lettera ai Filippesi
2, 8 196
Lettera ai Colossesi
1, 15 121
1, 15-16 327
1, 15-17 262
1, 15-18 327
1, 15-20 454
1, 18 327
1, 20 327
3, 11 144, 431
3, 14 580
4, 5 579
Prima lettera ai Tessalonicesi
4, 11-12 264
4, 12 264
5, 21 126
Seconda lettera ai Tessalonicesi
2, 7 578
3, 6-12 264
3, 7-15 264
Prima lettera a Timoteo
2, 1-2 380, 381
2, 4-5 121
4, 4 325
6,10 328
Seconda lettera a Timoteo
4, 2-5 2
Lettera a Tito
3, 1 380, 381
3, 2 381
3, 3 381
3, 5-6 381
Lettera agli Ebrei
4, 9-10 258
10, 23 39
12, 22-23 285
13, 20 1
Lettera di Giacomo
1, 17 12
1, 22 70
2, 1-9 145
2, 8 580
3, 18 102, 203
5, 1-6 184
5, 4 264, 302
Prima lettera di Pietro
1, 18-19 1
2, 13 380
2, 14 380
2, 15 380
2, 17 380
Seconda lettera di Pietro
3, 10 453
3, 13 56, 82, 453
Prima lettera di Giovanni
1, 8 120
3, 16 196
4, 8 54
4, 10 30, 39
4, 11-12 32
Apocalisse
17, 6 382
19, 20 382
21, 1 453, 455
21, 3 60
Concili ecumenici
(citati secondo DS,
ad eccezione del Concilio Vaticano II)
Concilio Lateranense IV
800 127*
Concilio Vaticano I
3002 127*
3005 141
3022 127*
3025 127*
Concilio Vaticano II
Sacrosanctum Concilium
10 519
Inter mirifica
3 415*
4 560*
11 415*
Lumen gentium
1 19*, 49, 431
5 49
9 33*
11 519
12 79
31 11, 83*, 220*, 541, 545
35 579
42 580*
48 65
Christus Dominus
12 11
Gravissimum educationis
1 242
3 238*, 239*
6 240*
Nostra aetate
4 536*
5 433*
Dei Verbum
2 13, 47*
4 31*
5 39
Apostolicam actuositatem
7 45*
8 184, 581*
11 211*
Dignitatis humanae
97*
1 152*, 421
2 155, 421*, 422*
3 421*
5 239*, 241*
6 423*
7 422
8 530
14 70*, 75*
Gaudium et spes
96*
1 60*, 96, 197*, 426
3 13, 18
4 104
9 281*
10 14*, 31
11 53*
12 37, 109*, 110, 149*, 209
13 27*, 143
14 128
15 129, 456, 456*
16 198*
17 135, 135*, 199*
22 38*, 41, 105, 121, 153*, 522
24 34, 96, 133*
25 81*, 96, 150*, 384*, 384
26 132, 155*, 156*, 164, 166*, 197*, 287*
27 112*, 132, 153*, 155*
28 43
29 144*
30 19, 191*, 355*
31 191*
32 61*, 196*
33 456
34 456, 457
35 318*, 457*
36 45, 46, 197*
37 44
38 54, 580
39 55, 56
40 51, 60*, 62*, 96
41 152*, 159, 575, 576
42 68, 82*, 192*, 432*
43 83*, 554*, 574
44 18*
47 213
48 211*, 215, 218*, 219*, 223*
50 111*, 218*, 232*, 234*
51 233*
52 238*, 242*
59 556*
60 557
61 198*, 239*, 558
63 331, 336*
65 185*, 333*
66 290*, 298*
67 250*, 284*, 302
68 301*, 304*, 307
69 171, 177*, 178, 180*, 481*
71 176
73 392
74 168*, 384*, 394, 396*, 398*, 567*
75 189*, 413*,531*, 531
76 49, 50*, 50, 81*, 150*, 424, 425, 527*, 544, 550, 571*
77 497
78 494*, 495
79 497*, 500, 502*, 503, 513
80 497*, 509*, 509
82 441
83 194*
84 145*, 194*, 440*
85 194*
86 194*
90 99
91 551
92 12*
Documenti pontifici
Leone XIII
Lett. enc. « Immortale Dei »
(1º novembre 1885)
393*
Lett. enc. « Libertas praestantissimum »
(20 giugno1888)
149*
Lett. enc. « Rerum novarum »
(15 maggio 1891)
87, 87*, 89, 89*, 90, 91, 100, 101, 103, 168*, 176, 176*, 177*, 185*, 249, 250*, 267, 268, 269, 277, 286*, 287*, 293, 296, 301*, 302, 417, 521, 581
Allocuzione al Collegio dei Cardinali
(1899)
497
Benedetto XV
Appello ai Capi dei popoli belligeranti
(1º agosto 1917)
497
Lett. enc. « Pacem Dei »
(23 maggio 1920)
581*
Pio XI
Lett. enc. « Ubi arcano »
(23 dicembre 1922)
494
Lett. enc. « Casti connubii »
(31 dicembre 1930)
233*
Lett. enc. « Quadragesimo anno »
(15 maggio 1931)
82*, 87*, 89*, 91, 91*, 167, 178*, 185*, 186, 250*, 273, 277*, 277, 301*, 302*, 330, 419*, 552, 581*
Lett. enc. « Non abbiamo bisogno »
(29 giugno 1931)
92
Lett. enc. « Divini Redemptoris »
(19 marzo 1937)
92, 201*, 355*
Lett. enc. « Mit brennender Sorge »
(17 marzo 1937)
92
Discorsi
6 settembre 1938 92
Pio XII
Lett. enc. « Summi Pontificatus »
(20 ottobre 1939)
125, 194*, 396*, 397*, 434*, 437*, 577
Lett. enc. « Sertum laetitiae »
(1º novembre 1939)
301*
Lett. enc. « Humani generis »
(12 agosto 1950)
141*
Esort. ap. « Menti nostrae»
(23 settembre 1950)
87*
Radiomessaggio
(24 agosto 1939)
497
Radiomessaggio natalizio
(24 dicembre 1939)
93*, 434*
Radiomessaggio natalizio
(24 dicembre 1940)
93*
Radiomessaggio per il 50º anniversario della « Rerum novarum »
(1º giugno 1941)
81*, 82*, 87*, 89*, 168*, 171*, 172, 176*, 355*
Radiomessaggio natalizio
(24 dicembre 1941)
93*, 436, 437*, 438*
Radiomessaggio natalizio
(24 dicembre 1942)
93*, 149*, 176*
Radiomessaggio
(1º settembre 1944)
93*, 176*
Radiomessaggio natalizio
(24 dicembre 1944)
93*, 106, 385, 396*
Radiomessaggio natalizio
(24 dicembre 1945)
439*, 446*
Radiomessaggio natalizio
(24 dicembre 1946)
93*
Radiomessaggio natalizio
(24 dicembre 1947)
93*
Radiomessaggio natalizio
(24 dicembre 1948)
93*
Radiomessaggio natalizio
(24 dicembre 1949)
93*
Radiomessaggio natalizio
(24 dicembre 1950)
93*
Radiomessaggio natalizio
(24 dicembre 1951)
93*
Radiomessaggio natalizio
(24 dicembre 1952)
93*, 191*
Radiomessaggio natalizio
(24 dicembre 1953)
93*
Radiomessaggio natalizio
(24 dicembre 1954)
93*
Radiomessaggio natalizio
(24 dicembre 1955)
93*
Discorsi
29 aprile 1945 85*
21 ottobre 1945 251*
6 dicembre 1953 432*, 434*
3 ottobre 1953 506*, 518*
Giovanni XXIII
Lett. enc. « Mater et Magistra »
(15 maggio 1961)
84*, 87*, 94*, 95, 107*, 160*, 164*, 166*, 167*, 176*, 178*, 185*, 189*, 192*, 194*, 336*, 339*, 355*, 384, 396, 440*, 446, 527*, 549*, 551*, 575, 579, 581*
Lett. enc. « Pacem in terris »
(11 aprile 1963)
84*, 87*, 94, 95*, 95, 145*, 149*, 153*, 153, 155*, 156*, 156, 164*, 165*, 190*, 197*, 198*, 200*, 201*, 205*, 301*, 383*, 384, 386, 387*, 388, 389, 391, 393, 393*, 395*, 396, 396*, 397*, 398*, 414*, 432, 433*, 434*, 435*, 437, 437*, 439*, 441*, 441, 497, 497*, 499*, 499, 527*
Paolo VI
Lett. enc. « Populorum progressio »
(26 marzo 1967)
98, 98*, 102
6 449
13 61, 81, 197*
14 373
17 194*, 467
19 318*
20 449
21 98, 449
22 172, 177*, 446*, 449*, 481*
23 158, 177*, 300*
31 401
35 198*
37 234*
40 198*, 373*
41 373*
42 82, 98, 373*
43 145*
44 145*, 448*, 581*
47 449*
48 194*
51 442*
52 442*
53 442*
54 442*
55 442*, 449*
56 447*
57 364, 447*
58 447*
59 366, 447*
60 447*
61 364*, 447*
63 433*
76 98, 495*
77 98, 442*
78 98, 372*, 441*, 442*
79 98, 442*
80 98
81 83*, 531
Lett. enc. « Humanae vitae »
(25 luglio 1968)
7 233*
10 232
14 233*
16 233*
17 233*
Lett. ap. « Sollicitudo omnium ecclesiarum »
(29 giugno 1969)
445
Lett. ap. « Octogesima adveniens »
(14 maggio 1971)
100, 100*
3 80*
4 11*, 80*, 81*, 574
5 80*
16 145*, 433*
21 461*, 461
22 189*
23 158
26 124*
27 124*, 126
28 124*
29 124*
30 124*
31 124*
32 124*
33 124*
34 124*
35 124*
36 124*
37 53*, 124*
38 124*
39 124*
41 349*
42 86
43 372*, 446*
44 372*
46 164*, 167*, 189*, 565*, 573*, 581*
47 191*
50 574*
51 525
Esort. ap. « Evangelii nuntiandi »
(8 dicembre 1975)
9 64*, 82
20 523*
29 66*
30 64*
31 66
34 71*
37 496*
45 415*
Motu proprio « Iustitiam et pacem promovere »
(10 dicembre 1976)
159
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1968)
519, 520
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1969)
494*
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1972)
494*
Messaggio per la Giornata mondiale della Pace (1974)
495*
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1976)
520
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1977)
391
Discorsi e altri Messaggi
5 gennaio 1964 210*
24 giugno 1965 497*
4 ottobre 1965 145*, 155*, 433*, 497
15 aprile 1968 153
10 giugno 1969 292, 446*
16 novembre 1970 207*, 581*
26 ottobre 1974 155*
Lettera del Card. Maurice Roy in occasione del 10º anniversario dell'enciclica « Pacem in terris »
(11 aprile 1973)
95*
Giovanni Paolo II
Lett. enc. « Redemptor hominis »
(4 marzo 1979)
1 262
8 64, 262
11 53*
13 58*
14 62, 82, 105*, 126
15 581
17 155, 158*, 168*
Esort. ap. « Catechesi tradendae »
(16 ottobre 1979)
5 529
14 423
18 529*
29 529
Lett. enc. « Dives in misericordia »
(30 novembre 1980)
12 206
14 206, 582
Lett. enc. « Laborem exercens »
(14 settembre 1981)
72, 101*, 269
1 269
2 201*, 269*
3 72*, 87*, 269
4 275
6 259, 270, 271, 272
8 193*, 308
9 287*
10 249, 249*, 287*, 294, 294*, 317*
11 279
12 277, 290*
13 277*
14 177, 189*, 192*, 281, 282, 287*
15 192*
16 274, 287*
17 288*, 336*
18 287*, 287, 301*
19 172, 250*, 251*, 284*, 295, 301*, 301, 302*, 345*
20 301*, 304*, 304, 305, 306, 307, 318*
21 299
22 148
25 326*
26 326*
27 263*, 326*
Esort. ap. « Familiaris consortio »
(22 novembre 1982)
12 219*
13 217*, 219
18 221*
19 217
20 225
23 251*, 294*
24 295*
26 244
27 222*
32 233*
36 239
37 238*, 243
40 240
42 553*
43 221, 238*, 242*, 553*
44 247, 553*
45 214*, 252, 355*, 553*
46 253*, 553*
47 220, 553*
48 220, 553*
77 226*, 298*
81 229
84 226*
Esort. ap. « Reconciliatio et paenitentia »
(2 dicembre 1985)
2 116
10 121
15 116
16 117, 118, 193*
Lett. enc. « Redemptoris Mater »
(25 marzo 1987)
37 59
Lett. enc. « Sollicitudo rei socialis »
(30 dicembre 1987)
72, 102, 102*
1 60*, 87*, 104, 162*
3 85*, 85
9 374*
11 192*
12 192*
14 192*, 374
15 185*, 191*, 192*, 336*, 336, 435*
16 192*, 446
17 192*, 194*, 342
18 192*
19 192*
20 192*
21 192*
22 192*
25 483, 483*
26 150*, 443, 470
27 181*
28 181*, 318*, 334, 449*, 462*
29 181*
30 181*
31 181*, 327
32 181*, 333*, 446*, 446, 537*
33 157*, 181*, 442*, 446*, 446, 449
34 181*, 459, 465*, 466, 470*
36 119*, 193, 332, 446, 566
37 119, 181*, 193, 446
38 43*, 193, 194*, 449
39 102, 194*, 203, 383*, 442*, 446
40 33, 194*, 196*, 196, 202*, 332*, 432, 580
41 7, 67*, 68*, 72, 73, 81*, 82*, 159, 563
42 172, 182
43 364*, 372*, 442
44 189*, 198*, 411*, 449*
45 189*, 194*
47 578
48 526*
Lett. ap. « Mulieris dignitatem »
(15 agosto 1988)
7 33, 34
11 147
Esort. ap. « Christifideles laici »
(30 dicembre 1988)
15 10, 83*, 543
24 544*
29 549
30 549*
35 523
37 552
39 553, 553*, 570*
40 209, 212
41 412
42 410*, 581*
50 146
59 546
60 528
62 549
Lett. ap. « Nel cinquantesimo anniversario dell'inizio della Seconda Guerra mondiale »
(27 agosto 1989)
2 157
8 517
Lett. enc. « Redemptoris missio »
(7 dicembre 1990)
2 538
11 1, 521*, 523, 524
20 50
37 415*
52 523
Lett. enc. « Centesimus annus »
(1º maggio 1991)
103*
3 538
5 67, 71*, 90, 521, 523, 583*
6 176*
7 301*
9 284*
10 103, 194*, 580
11 107*
13 125, 135*
15 301, 351*, 352
16 293, 336*
17 200*
18 438
21 157*
23 438*
24 558, 559*, 577*
29 373
31 171, 176, 273, 287*
32 179, 278, 283*, 337, 343, 344*
33 344*, 447
34 347, 349*, 448
35 179, 189*, 340, 344, 446*, 450
36 345, 358, 359, 360, 376, 486*, 486
37 360*, 460, 467*
38 340, 464
39 212, 231, 350, 375
40 347, 349, 356*, 466*, 470*
41 47, 170*, 181*, 280, 333, 348*
42 200, 335
43 278, 282, 288, 338, 340*
44 191*, 408
45 191*
46 86*, 190*, 395*, 406, 407, 567, 569*
47 155, 158, 191*, 424
48 185*, 186*, 187, 188*, 291, 336*, 351, 352, 353*, 354*, 411*
49 185*, 355*, 420*
50 556
51 494*, 498
52 434*, 439, 498
53 60*, 81*, 82*
54 60*, 61, 67, 69, 78, 159*, 527*
55 9*, 560, 577
56 90, 90*
57 193*, 525, 551*
58 371, 442*, 448
59 73, 76, 78
60 90
Lett. enc. « Veritatis splendor »
(6 agosto 1993)
13 75*
27 70*
34 135*
35 136
44 138*
48 127
50 75*, 140*
51 142
61 139
64 70*
79 75*
80 155*
86 138
87 143*
97 22, 397*
98 577
99 138*, 397*
107 530
110 70*
Motu proprio « Socialium Scientiarum »
(1º gennaio 1994)
78*
Lett. alle famiglie « Gratissimam sane »
(2 febbraio 1994)
6 111*, 230
7 213
8 111*
10 237
11 218*, 221, 230
13 231
14 111*, 227*
16 111*
17 211, 251*
19 111*
20 111*
21 233*
Lett. ap. « Tertio millennio adveniente »
(10 novembre 1994)
13 25*
51 182*, 450*
Lettera alle donne
(29 giugno 1995)
3 295
8 147
Lett. enc. « Evangelium vitae »
(25 marzo 1995)
2 155*
7 155*
8 155*
9 155*
10 155*
11 155*
12 155*
13 155*
14 155*
15 155*
16 155*, 483*
17 155*
18 155*
19 112*, 142*, 155*
20 142*, 155*
21 155*
22 155*
23 155*
24 155*
25 155*
26 155*
27 155*, 405
28 155*
32 182*
34 109*, 114*
35 109*, 110
56 405
58 233*
59 233*
61 233*
62 233*
70 397*, 407
71 229*, 397
72 233*
73 399*, 570*
74 399
92 231*
93 231
101 233*
Lett. ap. « Dies Domini »
(31 maggio 1998)
26 285*
Lett. enc. « Fides et ratio »
(14 settembre 1998)
74*
Prologo 113*
36-48 560*
Esort. ap. « Ecclesia in America »
(22 gennaio 1999)
20 362*
25 466
54 7*, 8*
Lett. ap. « Novo Millennio ineunte »
(6 gennaio 2001)
1 1*
16-28 58*
29 577
49 182*, 583*
50 5, 182*, 583*
51 5, 583*
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1982)
4 494
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1986)
1 494*
2 509*
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1988)
3 516*
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1989)
5 387
11 387
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1990)
6 459
7 459
9 468, 468*
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1992)
4 519*
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1993)
1 449*
3 298*
4 497*
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1994)
5 239*
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1996)
2-6 245*
5 296*
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1997)
3 517*, 518*
4 517*, 518*
6 518*
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1998)
2 154
3 363
4 450*
5 412
6 296
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1999)
3 153, 154
5 423*
6 411*
7 506*, 518*
8 287*
9 450*
10 468*
11 497, 510*, 511*, 512*, 518
12 494*
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (2000)
6 388*
7 506*
11 506
13 373*
14 373*, 449, 564
15-16 333*
17 564*
20 516
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (2001)
13 298*
19 405*
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (2002)
4 513*
5 514
7 515*
9 517*
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (2003)
5 365, 485*,
6 441
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (2004)
4 494*
5 437
6 438*, 501
7 440, 442*, 443
8 514*, 514
9 439, 506*, 516*
10 203, 206, 517*, 582
Messaggio per la Quaresima (1990)
3 505
Messaggio per la XXXIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (1999)
3 560
Discorsi, Lettere e altri Messaggi
2 dicembre 1978 71
13 gennaio 1979 244
28 gennaio 1979 64*, 82*, 178*, 182*, 449*
17 febbraio 1979 159*
14 settembre 1979 266
29 settembre 1979 496
2 ottobre 1979 152, 155*, 244
12 novembre 1979 440*
9 febbraio 1980 581*
1º giugno 1980 390*
2 giugno 1980 435*, 440*, 554, 556*
10 luglio 1980 471*
1 settembre 1980 426*
25 febbraio 1981 457, 458
3 ottobre 1981 458, 474*
3 aprile 1982 85*
15 giugno 1982 292*, 404
21 settembre 1982 458, 477*
23 ottobre 1982 458, 473*, 477*
18 dicembre 1982 470*
7 marzo 1983 471*
19 ottobre 1983 15
29 ottobre 1983 460
12 novembre 1983 496*
22 marzo 1984 92
18 settembre 1984 471*
31 gennaio 1985 471*
5 febbraio 1985 471*
13 maggio 1985 439
18 agosto 1985 486*
14 ottobre 1985 508
28 novembre 1986 457*, 458
29 novembre 1986 471*
12 luglio 1987 466*
14 settembre 1987 471*
6 novembre 1987 470*
9 gennaio 1988 157*
17 aprile 1988 508*
8 ottobre 1988 468
16 novembre 1989 470
19 marzo 1990 457, 458, 505
22 settembre 1990 244*, 296
1º ottobre 1990 497*
12 gennaio 1991 437
16 gennaio 1991 497
17 gennaio 1991 497
1º maggio 1991 374
19 maggio 1991 63*
5 dicembre 1992 506*
16 gennaio 1993 506*
7 marzo 1993 504
18 aprile 1993 506
30 novembre 1993 440*, 504*
11 marzo 1994 502*
18 marzo 1994 440*, 483
28 ottobre 1994 470*
9 gennaio 1995 507*
26 maggio 1995 440*
9 luglio 1995 147
5 ottobre 1995 145*, 152*, 157, 388*, 432*, 434*, 435*, 435, 436
13 gennaio 1996 509*
2 dicembre 1996 308*
13 gennaio 1997 495*, 518*
24 marzo 1997 461, 463, 464, 465
25 aprile 1997 287*, 369*
20 giugno 1997 446*
19 febbraio 1998 228*
9 maggio 1998 363*
14 giugno 1998 506*
4 luglio 1998 506*
30 novembre 1998 450*
21 gennaio 1999 228
6 marzo 1999 279*
11 agosto 1999 505
31 marzo 2000 402, 404
1º maggio 2000 321
2 maggio 2000 446*
29 agosto 2000 236*
13 gennaio 2001 435*
27 aprile 2001 310*, 366
14 settembre 2001 309, 320*
24 settembre 2001 515*
24 febbraio 2002 515*
21 marzo 2002 437*
3 aprile 2002 222
11 aprile 2002 367
27 aprile 2002 367*
13 gennaio 2003 497
5 gennaio 2004 148
7 gennaio 2004 484
12 gennaio 2004 572
4 febbraio 2004 341
21 febbraio 2004 236*
Documenti ecclesiali
Catechismo della Chiesa Cattolica
titolo del c. 1º, sez. 1ª, parte 1ª 109
24 8*
27 133*
356 109*, 133*
357 108
358 109*, 133*
363 128*
364 128*
365 129
369 110*
371 111*
373 113*
404 115
826 580*
1033 183
1603 215*, 216*
1605 209*
1639 215*
1644 223*
1645 223*
1646 223*
1647 223*
1648 223*
1649 223*
1650 223*, 225*
1651 223*, 225*
1652 230*
1653 238*
1656 220*
1657 220*
1703 128*
1705 135*, 199*
1706 134, 136*
1721 109*
1730 135*, 199*
1731 135*
1732 135*
1733 135*
1738 199
1740 137
1741 143*
1749 138*
1750 138*
1751 138*
1752 138*
1753 138*
1754 138*
1755 138*
1756 138*
1789 20*
1806 548*
1807 201
1827 207*
1849 116*
1850 115*
1869 119*
1879 149*
1880 149
1881 384*
1882 151, 185*
1883 185*,186*, 419*
1884 185*, 383, 419*
1885 185*, 419*
1886 197*
1888 42
1889 43*, 581*, 583
1897 393*
1898 393*
1899 398*
1900 398*
1901 398*
1902 396*
1905 164*
1906 164*
1907 164*, 166*
1908 164*, 169*
1909 164*
1910 164*, 168*, 418*
1911 164*, 433*
1912 164*, 165*
1913 167*, 189*
1914 189*
1915 189*
1916 189*
1917 189*, 191*
1928 201*
1929 201*, 202*
1930 153*, 201*
1931 105*, 201*
1932 201*
1933 201*
1934 144*, 201*
1935 201*
1936 201*
1937 201*
1938 201*
1939 193*, 201*,581*
1940 193*, 201*
1941 193*, 194*, 201*
1942 193*, 201*
1955 140*
1956 140*
1957 141*
1958 141
1959 142*
1960 141*
1970 20*
2011 583*
2034 79*
2037 80*
2039 83*
2062 22
2070 22
2105 422
2106 421*
2107 423*
2108 421*, 422*
2109 422*
2184 284*
2185 284
2186 285
2187 285*, 286
2188 286
2204 220*
2206 213*
2209 214*
2210 213*
2211 252*
2212 206*, 390*, 391*, 582*
2213 390*
2221 239*
2223 239*
2224 213*
2228 238*
2229 240*
2235 132*, 396*
2236 409*
2237 388*
2241 298*
2242 399*
2243 401
2244 47*, 51*
2245 50*, 424*,
2246 426*
2258 112*
2259 112*
2260 112*
2261 112*
2265 500*
2266 402*, 403*
2267 405
2269 341
2271 233*
2272 233*
2273 233*
2297 513*
2304 495*
2306 496
2307 497*
2308 497*
2309 497*, 500
2310 497*, 502*
2311 497*, 503*
2312 497*
2313 497*, 503*
2314 497*, 509*
2315 497*, 508
2316 497*, 508*
2317 495*, 497*
2333 224
2334 111*
2357 228*
2358 228*
2359 228*
2366 230*
2367 232*
2368 234*
2370 233*
2372 234*
2375 235*
2376 235*
2377 235*
2378 235*
2379 218
2384 225*
2385 225
2390 227*
2402 177*
2403 177*
2404 177*
2405 177*
2406 177*
2411 201*
2419 3, 63
2420 68*
2421 87*
2422 104*
2423 81*
2424 340*
2425 201*, 349*
2426 201*, 331*
2427 201*, 263*, 317
2428 201*, 272*
2429 201*, 336, 336*
2430 201*, 304*, 306*
2431 201*, 351*, 352*
2432 201*, 344*
2433 201*, 288*
2434 201*, 302
2435 201*, 304
2436 201*, 289*
2437 201*, 373*
2438 194*, 201*, 341, 373*
2439 201*
2440 201*, 372*
2441 201*, 375
2442 83*, 201*
2443 183, 201*
2444 184*, 201*
2445 184, 201*
2446 184*, 201*
2447 184, 201*
2448 183*,184, 201*
2449 201*
2464 198*
2465 198*
2466 198*
2467 198*
2468 198*
2469 198*
2470 198*
2471 198*
2472 198*
2473 198*
2474 198*
2475 198*
2476 198*
2477 198*
2478 198*
2479 198*
2480 198*
2481 198*
2482 198*
2483 198*
2484 198*
2485 198*
2486 198*
2487 198*
2494 415
2495 561
2510 20*
2832 201*
Congregazioni
Congregazione per il Clero
Direttorio generale per la catechesi
(15 agosto 1997)
17 529*
18 521*
30 529*
54 529*
Congregazione per la Dottrina
della Fede
Dich. « Persona humana »
(29 dicembre 1975)
8 228*
Istr. « Libertatis conscientia »
(22 marzo 1986)
26 199
28 199*
32 149
63 64*
64 64*
72 81*, 82*, 85*, 160
73 185*, 194*
75 137
79 401
80 64*
85 185*
86 185*
90 175
94 241
97 59
99 198*
Lett. La cura pastorale delle persone omosessuali (1º ottobre 1986)
1-2 228*
Istr. « Donum vitae »
(22 febbraio 1987)
553*
II/2.3.5 235*
II/7 235*
Istr. « Donum veritatis »
(24 maggio 1990)
16 80*
17 80*
23 80*
Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali
(23 luglio 1992)
228*
Nota Dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica
(24 novembre 2002)
3 384*, 563*
4 570
5 397*
6 397*, 566, 571, 572
7 555*, 568
Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali
(3 giugno 2003)
8 228
228*
Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla collaborazione dell'uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo
(31 maggio 2004)
147*
Congregazione per l'Educazione
Cattolica
Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale nella formazione sacerdotale
(30 dicembre 1988)
8 568*
20 89
21 91
22 93
23 94
24 96
25 98
26 102
27 104
29 160*
30 160*
31 160*
32 152*, 160*
33 160*
34 160*
35 106, 160*
36 160*
37 160*
38 160*, 194*
39 160*
40 160*, 189*
41 160*
42 160*
43 197
47 162*
Pontifici Consigli
Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali
Communio et Progressio
(23 maggio 1971)
126-134 415*
Aetatis novae
(22 febbraio 1992)
11 415*
Etica nella pubblicità
(22 febbraio 1997)
4-8 415*
Etica nelle comunicazioni sociali
(4 giugno 2000)
14 561*
20 416
22 416*
24 416*
33 562*
Pontificio Consiglio Cor Unum - Pontificio Consiglio della Pastorale per i
Migranti e Itineranti
I rifugiati. Una sfida alla solidarietà
(2 ottobre 1992)
6 298*
Pontificio Consiglio della Cultura - Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso
Gesù Cristo portatore dell'acqua viva. Una riflessione cristiana sul « New Age »
(2003)
463*
Pontificio Consiglio per la famiglia
Sessualità umana: verità e significato. Orientamenti educativi in famiglia
(8 dicembre 1995)
243*
Famiglia, matrimonio e « unioni di fatto »
(26 luglio 2000)
23 228*
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace
La Chiesa e i diritti dell'uomo
(10 dicembre 1974)
70-90 159*
Al servizio della comunità umana: un approccio etico al debito internazionale
(27 dicembre 1986)
450*
I, 1 194*
Il commercio internazionale delle armi
(1º maggio 1994)
6 500
9-11 508*
Per una migliore distribuzione della terra. La sfida della riforma agraria
(23 novembre 1997)
11 471*
13 300
27-31 180*
35 300*
L'Eglise face au racisme. Contribution du Saint-Siège à la Conférence mondiale contre le Racisme, la Discrimination raciale, la Xénophobie et l'intolérance qui y est associée
(29 agosto 2001)
21 236*
433*
Water, an Essential Element for Life. A Contribution of the Delegation of the Holy See on the occasion of the 3rd World Water Forum
(Kyoto, 16-23 marzo 2003)
485*
Commissione per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo
Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah
(16 marzo 1998)
506*
Pontifica Accademia Pro Vita
Riflessioni sulla clonazione
(25 giugno 1997)
236*
Biotecnologie animali e vegetali: Nuove frontiere e nuove responsabilità
(1999)
472*
Santa Sede
Carta dei diritti della famiglia
(24 novembre 1983)
Preambolo, D-E 214*
Preambolo E 229, 238,
Art. 3, c 237
Art. 5 239*
Art. 5, b 241
Art. 8, a-b 247
Art. 9 247*
Art. 10 294*
Art. 10, a 250*
Art. 10, b 251*
Art. 12 298*
Diritto Canonico
Codice di diritto canonico
208-223 159*
361 444*
747, 2 71, 426*
793-799 239*
1136 239*
Scrittori ecclesiastici
Agostino (santo)
Confessiones
1, 1: PL 32, 661 114
2, 4, 9: PL 32, 678 142*
Ambrogio (santo)
De obitu Valentiniani consolatio
62: PL 16, 1438 265*
Atanasio di Alessandria (santo)
Vita S. Antonii
c. 3: PG 26, 846 265*
Basilio il Grande (santo)
Homilia in illud Lucae, Destruam horrea mea
5: PG 31, 271 329, 329*
Regulae fusius tractatae
42: PG 31,
1023-1027 265*
Clemente d'Alessandria
Quis dives salvetur
13: PG 9, 618 329
Erma
Pastor, Liber tertium, Similitudo
I: PG 2, 954 329*
Giovanni Crisostomo (santo)
Omelie sugli Atti, in Acta Apostolorum Homiliae
35, 3: PG 60, 258 265*
Homiliae XXI de Statuis ad populum Antiochenum habitae
2, 6-8: PG 49,
41-46 329*
Homilia « De perfecta caritate »
1, 2: PG 56,
281-282 582
Gregorio Magno (santo)
Regula pastoralis
3, 21: PL 77, 87-89 184, 329*
Gregorio Nisseno (santo)
De vita Moysis
2, 2-3: PG 44,
327B-328B 135*
Ireneo di Lione (santo)
Adversus haereses
5, 32, 2:
PG 7, 1210 266*
Teodoreto di Ciro
De Providentia, Orationes
5-7: PG 83,
625-686 266*
Teresa di Gesù Bambino (santa)
Atto di offerta all'Amore Misericordioso
583
Tommaso d'Aquino (santo)
Commentum in tertium librum Sententiarum
d. 27, q. 1, a. 4 130
De Caritate
a. 9 581*
De regno. Ad regem Cypri
I, 1 393*
I, 10 390*
In duo praecepta caritatis et in decem Legis praecepta expositio
c. 1 140
Sententiae Octavi Libri Ethicorum
lect. 1 390*
Summa theologiae
I, q. 75, a. 5 130*
I-II, q. 6 201*
I-II, q. 91, a. 2, c 140*
I-II, q. 93, a. 3,
ad 2um 398
I-II, q. 94, a. 2 167*
I-II, q. 96, a. 2 229*
I-II, q. 99 391*
II-II, q. 23, a. 3,
ad 1um 391*
II-II, q. 23, a. 8 207
II-II, q. 29, a. 3,
ad 3um 494*
II-II, qq. 47-56 548*
II-II, q. 49, a. 1 548*
II-II, q. 49, a. 3 548*
II-II, q. 49, a. 4 548*
II-II, q. 49, a. 6 548*
II-II, q. 49, a. 7 548*
II-II, q. 50, a. 1 548*
II-II, q. 50, a. 2 548*
II-II, q. 58, a. 1 201*
II-II, q. 104, a. 6,
ad 3um 400
Riferimenti dal Diritto
Internazionale
Carta delle Nazioni Unite
(26 giugno 1945)
art. 2.4 438*
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo
(1948)
16.3 237*
Convenzione sui diritti del fanciullo
(1990)
245*
1Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 1: AAS 93 (2001) 266.
2Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 11: AAS 83 (1991) 260.
3Catechismo della Chiesa Cattolica, 2419.
4Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 50-51: AAS 93 (2001)
303-304.
5Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 41: AAS 80 (1988) 571-572.
6Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Ecclesia in America, 54: AAS 91 (1999) 790.
7Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Ecclesia in America, 54: AAS 91 (1999) 790; Catechismo della Chiesa Cattolica, 24.
8Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 55: AAS 83 (1991) 860.
9Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 15: AAS 81 (1989) 414.
10Concilio Vaticano II, Decr. Christus Dominus, 12: AAS 58 (1966) 678.
11Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 31: AAS 57 (1965) 37.
12Cfr. Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 4: AAS 63 (1971) 403.
13Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 92: AAS 58 (1966) 1113-1114.
14Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum, 2: AAS 58 (1966) 818.
15Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 3: AAS 58 (1966) 1026.
16Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 3: AAS 58 (1966) 1027.
17Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 10: AAS 58 (1966) 1032.
18Giovanni Paolo II, Discorso all'Udienza generale (19 ottobre 1983), 2: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VI, 2 (1983) 815.
19Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 44: AAS 58 (1966) 1064.
20Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 3: AAS 58 (1966) 1026.
21Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 1: AAS 57 (1965) 5.
22Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 30: AAS 58 (1966) 1050.
23Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1789; 1970; 2510.
24Catechismo della Chiesa Cattolica, 2062.
25Catechismo della Chiesa Cattolica, 2070.
26Giovanni Paolo II, Lett. enc. Veritatis splendor, 97: AAS 85 (1993) 1209.
27La legge è riportata in Es 23, Dt 15, Lv 25.
28Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Tertio millennio adveniente, 13: AAS 87 (1995) 14.
29Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 13: AAS 58 (1966) 1035.
30Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum, 4: AAS 58 (1966) 819.
31Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 10: AAS 58 (1966) 1033.
32Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 9: AAS 57 (1965)
12-14.
33Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mulieris dignitatem, 7: AAS 80 (1988) 1666.
34Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mulieris dignitatem, 7: AAS 80 (1988) 1665- 1666.
35Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 40: AAS 80 (1988) 569.
36Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mulieris dignitatem , 7: AAS 80 (1988) 1664.
37Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 24: AAS 58 (1966) 1045.
38Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 12: AAS 58 (1966) 1034.
39Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 22: AAS 58 (1966) 1043.
40Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum, 5: AAS 58 (1966) 819.
41Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 22: AAS 58 (1966) 1043.
42Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 22: AAS 58 (1966) 1043.
43Catechismo della Chiesa Cattolica, 1888.
44Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 38: AAS 80 (1988) 565-566.
45Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 28: AAS 58 (1966) 1048.
46Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1889.
47Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 37: AAS 58 (1966) 1055.
48Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 36: AAS 58 (1966) 1054; cfr. Id., Decr. Apostolicam actuositatem, 7: AAS 58 (1966) 843-844.
49Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 36: AAS 58 (1966) 1054.
50Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2244.
51Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum, 2: AAS 58 (1966) 818.
52Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 41: AAS 83 (1991) 844.
53Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 41: AAS 83 (1991) 844- 845.
54Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 76: AAS 58 (1966) 1099.
55Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 1: AAS 57 (1965) 5.
56Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 5: AAS 57 (1965) 8.
57Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 20: AAS 83 (1991) 267.
58Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 76: AAS 58 (1966) 1099; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2245.
59Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 76: AAS 58 (1966) 1099.
60Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 40: AAS 58 (1966) 1058.
61Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2244.
62Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 40: AAS 58 (1966) 1058.
63Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 11: AAS 58 (1966) 1033.
64Cfr. Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 37: AAS 63 (1971) 426-427.
65Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis, 11: AAS 71 (1979) 276: « Giustamente i Padri della Chiesa vedevano nelle diverse religioni quasi altrettanti riflessi di un'unica verità come “germi del Verbo”, i quali testimoniano che, quantunque per diverse strade, è rivolta tuttavia in una unica direzione la più profonda aspirazione dello spirito umano ».
66Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 38: AAS 58 (1966)
1055-1056.
67Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 39: AAS 58 (1966) 1057.
68Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 39: AAS 58 (1966) 1057.
69Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis, 13: AAS 71 (1979)
283-284.
70Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 16-28: AAS 93 (2001) 276-285.
71Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater, 37: AAS 79 (1987) 410.
72Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 97: AAS 79 (1987) 597.
73Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 1: AAS 58 (1966)
1025-1026.
74Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 40: AAS 58 (1966) 1057-1059; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 53-54: AAS 83 (1991)
859-860; Id., Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 1: AAS 80 (1988) 513-514.
75Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 32: AAS 58 (1966) 1051.
76Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 54: AAS 83 (1991) 859.
77Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 13: AAS 59 (1967) 263.
78Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 40: AAS 58 (1966) 1057-1059.
79Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis, 14: AAS 71 (1979) 284.
80Catechismo della Chiesa Cattolica, 2419.
81Cfr. Giovanni Paolo II, Omelia della messa di Pentecoste nel I centenario della « Rerum novarum » (19 maggio 1991): AAS 84 (1992) 282.
82Cfr. Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 9. 30: AAS 68 (1976) 10-11. 25- 26; Giovanni Paolo II, Discorso alla Terza Conferenza Generale dell'Episcopato Latino-Americano, Puebla (28 gennaio 1979), III/4-7: AAS 71 (1979) 199-204; Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 63-64. 80: AAS 79 (1987)
581-582. 590-591.
83Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis, 8: AAS 71 (1979) 270.
84Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 48: AAS 57 (1965) 53.
85Cfr. Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 29: AAS 68 (1976) 25.
86Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 31: AAS 68 (1976) 26.
87Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 54: AAS 83 (1991) 860.
88Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 41: AAS 80 (1988) 570-572.
89Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 5: AAS 83 (1991) 799.
90Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 54: AAS 83 (1991) 860.
91Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2420.
92Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 42: AAS 58 (1966) 1060.
93Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 41: AAS 80 (1988) 570-572.
94Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 54: AAS 83 (1991) 860.
95Cfr. Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, 14: AAS 58 (1966) 940; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Veritatis splendor, 27. 64. 110: AAS 85 (1993) 1154-1155. 1183-1184. 1219-1220.
96Giovanni Paolo II, Messaggio al Segretario generale delle Nazioni Unite in occasione del trentesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'uomo (2 dicembre 1978): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, I (1978) 261.
97Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 5: AAS 83 (1991) 799.
98Cfr. Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 34: AAS 68 (1976) 28.
99CIC, canone 747, § 2.
100Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 3: AAS 73 (1981)
583-584.
101Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 41: AAS 80 (1988) 571.
102Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 41: AAS 80 (1988) 571.
103Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 41: AAS 80 (1988) 572.
104Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 59: AAS 83 (1991) 864-865.
105Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Fides et ratio: AAS 91 (1999) 5-88.
106Cfr. Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, 14: AAS 58 (1966) 940.
107Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Veritatis splendor, 13. 50. 79: AAS 85 (1993) 1143-1144. 1173-1174. 1197.
108Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 59: AAS 83 (1991) 864.
109È significativa, a questo riguardo, l'istituzione della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali; nel Motu proprio di erezione si legge: « Le indagini delle scienze sociali possono efficacemente contribuire al miglioramento dei rapporti umani, come dimostrano i progressi realizzati nei diversi settori della convivenza, soprattutto nel corso del secolo che volge ormai al suo termine. Per questo motivo la Chiesa, sempre sollecita del vero bene dell'uomo, si è volta con crescente interesse a questo campo della ricerca scientifica, per trarne indicazioni concrete nell'adempimento dei suoi compiti magisteriali »: Giovanni Paolo II, Motu proprio Socialium Scientiarum (1º gennaio 1994): AAS 86 (1994) 209.
110Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 54: AAS 83 (1991) 860.
111Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 59: AAS 83 (1991) 864.
112Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 12: AAS 57 (1965) 16.
113Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2034.
114Cfr. Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 3-5: AAS 63 (1971) 402- 405.
115Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2037.
116Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum veritatis, 16-17. 23: AAS 82 (1990) 1557-1558. 1559-1560.
117Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 53: AAS 83 (1991) 859.
118Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 13: AAS 59 (1967) 264.
119Cfr. Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 4: AAS 63 (1971) 403- 404; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 41: AAS 80 (1988) 570- 572; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2423; Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 72: AAS 79 (1987) 586.
120Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 25: AAS 58 (1966) 1045-1046.
121Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 76: AAS 58 (1966) 1099-1100; Pio XII, Radiomessaggio per il 50º anniversario della « Rerum novarum »: AAS 33 (1941) 196-197.
122Cfr. Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 190; Pio XII, Radiomessaggio per il 50º anniversario della « Rerum novarum »: AAS 33 (1941) 196-197; Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 42: AAS 58 (1966) 1079; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 41: AAS 80 (1988) 570-572; Id., Lett. enc. Centesimus annus, 53: AAS 83 (1991) 859; Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 72: AAS 79 (1987) 585-586.
123Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis, 14: AAS 71 (1979) 284; cfr. Id., Discorso alla Terza Conferenza Generale dell'Episcopato Latino-Americano, Puebla (28 gennaio 1979), III/2: AAS 71 (1979) 199.
124Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 42: AAS 59 (1967) 278.
125Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 9: AAS 68 (1976) 10.
126Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 42: AAS 59 (1967) 278.
127Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2039.
128Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2442.
129Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 15: AAS 81 (1989) 413; Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 31: AAS 57 (1965) 37.
130Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 43: AAS 58 (1966) 1061-1064; Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 81: AAS 59 (1967) 296- 297.
131Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 453.
132A cominciare dall'enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII tale destinazione è indicata nell'indirizzo iniziale di ogni documento sociale.
133Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 3: AAS 80 (1988) 515; Pio XII, Discorso ai partecipanti al Convegno dell'Azione Cattolica (29 aprile 1945): Discorsi e Radiomessaggi di Pio XII, VII, 37-38; Giovanni Paolo II, Discorso al Simposio internazionale « Dalla “Rerum novarum” alla “Laborem exercens”: verso l'anno 2000 » (3 aprile 1982): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V, 1 (1982) 1095-1096.
134Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 3: AAS 80 (1988) 515.
135Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 72: AAS 79 (1987) 585-586.
136Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 3: AAS 80 (1988) 515.
137Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 46: AAS 83 (1991)
850-851.
138Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 42: AAS 63 (1971) 431.
139Cfr. Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 179; Pio XII, nel Radiomessaggio per il 50º anniversario della « Rerum novarum »: AAS 33 (1941) 197, parla di « dottrina sociale cattolica », e nell'Esort. ap. Menti nostrae, del 23 settembre 1950: AAS 42 (1950) 657, di « dottrina sociale della Chiesa ». Giovanni XXIII conserva le espressioni « dottrina sociale della Chiesa » (Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 [1961] 453; Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 [1963] 300-301) o ancora « dottrina sociale cristiana » (Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 [1961] 453), o « dottrina sociale cattolica » (Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 [1961] 454).
140Cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 97- 144.
141Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 3: AAS 73 (1981)
583-584; Id., Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 1: AAS 80 (1988) 513-514.
142Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2421.
143Cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 97- 144.
144Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 20, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988, p. 24.
145Cfr. Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 189; Pio XII, Radiomessaggio per il 50º anniversario della « Rerum novarum »: AAS 33 (1941) 198.
146Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 5: AAS 83 (1991) 799.
147Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 5: AAS 83 (1991) 799.
148Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 56: AAS 83 (1991) 862.
149Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 60: AAS 83 (1991) 865.
150Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 60: AAS 83 (1991) 865.
151Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 143. Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 56: AAS 83 (1991) 862.
152Cfr. Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 177-228.
153Cfr. Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 186-189.
154Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 21, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988, p. 24.
155Cfr. Pio XI, Lett. enc. Non abbiamo bisogno: AAS 23 (1931) 285-312 .
156Testo ufficiale (tedesco): AAS 29 (1937) 145-167. Testo italiano: AAS 29 (1937) 168-188.
157Pio XI, Discorso ai giornalisti belgi della radio (6 settembre 1938), in Giovanni Paolo II, Discorso ai dirigenti della ‘‘Anti-Defamation League of B'nai B'rith'' (22 marzo 1984): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII, 1 (1984) 740-742.
158Testo ufficiale (latino): AAS 29 (1937) 65-106. Testo italiano: AAS 29 (1937) 107-138.
159Pio XI, Lett. enc. Divini Redemptoris: AAS 29 (1937) 130.
160Cfr. Pio XII, Radiomessaggi natalizi: sulla pace e l'ordine internazionale, degli anni: 1939: AAS 32 (1940) 5-13; 1940: AAS 33 (1941) 5-14; 1941: AAS 34 ( 1942) 10-21; 1945: AAS 38 (1946) 15-25; 1946: AAS 39 (1947) 7-17; 1948: AAS 41 (1949) 8-16; 1950: AAS 43 (1951) 49-59; 1951: AAS 44 (1952) 5-15; 1954: AAS 47 (1955) 15-28; 1955: AAS 48 (1956) 26-41; sull'ordine interno delle Nazioni, del 1942: AAS 35 (1943) 9-24; sulla democrazia, del 1944: AAS 37 (1945) 10-23; sulla funzione della civiltà cristiana, del 1ºsettembre 1944: AAS 36 (1944) 249-258; sul ritorno a Dio nella generosità e nella fraternità, del 1947: AAS 40 (1948) 8-16; sull'anno del gran ritorno e del gran perdono, del 1949: AAS 42 (1950) 121-133; sulla spersonalizzazione dell'uomo, del 1952: AAS 45 (1953) 33-46; sul ruolo del progresso tecnico e la pace dei popoli, del 1953: AAS 46 (1954) 5-16.
161Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 22, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988, p. 25.
162Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 22, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988, p. 25.
163Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 267-269. 278-279. 291. 295-296.
164Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 401- 464.
165Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 23, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988, p. 26.
166Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 415- 418.
167Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 257-304.
168Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, Indirizzo: AAS 55 (1963) 257.
169Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 301.
170Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 294.
171Cfr. Roy Card. Maurice, Lettera a Paolo VI e Documento in occasione del 10º anniversario dell'enciclica « Pacem in terris »: L'Osservatore Romano, 11 aprile 1973, pp. 3-6.
172Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes: AAS 58 (1966)
1025-1120.
173Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 24, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988, p. 27.
174Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 1: AAS 58 (1966) 1026.
175Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 40: AAS 58 (1966) 1058.
176Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 24: AAS 58 (1966) 1045.
177Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 25: AAS 58 (1966) 1045.
178Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 24, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988, pp. 28-29.
179Cfr. Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae: AAS 58 (1966) 929- 946.
180Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 76-80: AAS 59 (1967) 294- 296.
181Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio: AAS 59 (1967) 257-299.
182Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 25, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988, p. 29.
183Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 21: AAS 59 (1967) 267.
184Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 42: AAS 59 (1967) 278.
185Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 90: AAS 58 (1966) 1112.
186Cfr. Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens: AAS 63 (1971) 401-441.
187Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens: AAS 73 (1981) 577- 647.
188Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis: AAS 80 (1988)
513-586.
189Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 26, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988, p. 32.
190Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 26, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988, p. 32.
191Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 39: AAS 80 (1988) 568.
192Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus: AAS 83 (1991) 793- 867.
193Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 10: AAS 83 (1991) 805.
194Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 27, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988, p. 33.
195Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 4: AAS 58 (1966) 1028.
196Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 1: AAS 80 (1988) 514; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2422.
197Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 22: AAS 58 (1966) 1042.
198Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis, 14: AAS 71 (1979) 284.
199Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1931.
200Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 35, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988, p. 39.
301Catechismo della Chiesa Cattolica, 1882.
302Cfr. Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, 1: AAS 58 (1966)
929-930.
303Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 41: AAS 58 (1966) 1059-1060; Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 32, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988, pp. 36-37.
304Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (2 ottobre 1979), 7: AAS 71 (1979) 1147-1148; per Giovanni Paolo II tale Dichiarazione « resta una delle più alte espressioni della coscienza umana del nostro tempo »: Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50º di fondazione (5 ottobre 1995), 2: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII, 2 (1995) 731-732.
305Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 27: AAS 58 (1966) 1047-1048; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1930.
306Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 259; Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 22: AAS 58 (1966) 1079.
307Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 278-279.
308Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 259.
309Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 3: AAS 91 (1999) 379.
310Paolo VI, Messaggio alla Conferenza internazionale sui diritti dell'uomo (15 aprile 1968): AAS 60 (1968) 285.
311Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 3: AAS 91 (1999) 379.
312Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 3: AAS 91 (1999) 379.
313Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1998, 2: AAS 90 (1998) 149.
314Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 259-264.
315Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 26: AAS 58 (1966) 1046-1047.
316Cfr. Paolo VI, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (4 ottobre 1965), 6: AAS 57 (1965) 883-884; Id., Messaggio ai Vescovi riuniti per il Sinodo (26 ottobre 1974): AAS 66 (1974) 631-639.
317Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 47: AAS 83 (1991) 851-852; cfr. anche Id., Discorso all'Assemblea generale delle Nazioni Unite (2 ottobre 1979), 13: AAS 71 (1979) 1152-1153.
318Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, 2: AAS 87 (1995) 402.
319Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 27: AAS 58 (1966) 1047-1048; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Veritatis splendor, 80: AAS 85 (1993) 1197- 1198; Id., Lett. enc. Evangelium vitae, 7-28: AAS 87 (1995) 408-433.
320Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, 2: AAS 58 (1966) 930-931.
321Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis, 17: AAS 71 (1979) 300.
322Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 259-264; Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 26: AAS 58 (1966) 1046-1047.
323Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 264.
324Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 264.
325Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 33: AAS 80 (1988) 557-559; Id., Lett. enc. Centesimus annus, 21: AAS 83 (1991) 818-819.
326Giovanni Paolo II, Lett. Nel cinquantesimo anniversario dell'inizio della Seconda Guerra mondiale, 8: AAS 82 (1990) 56.
327Giovanni Paolo II, Lett. Nel cinquantesimo anniversario dell'inizio della Seconda Guerra mondiale, 8: AAS 82 (1990) 56.
328Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomatico (9 gennaio 1988), 7-8: AAS 80 (1988) 1139.
329Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50º di fondazione (5 ottobre 1995), 8: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII, 2 (1995) 736.
330Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50º di fondazione (5 ottobre 1995), 8: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII, 2 (1995) 736-737.
331Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 47: AAS 83 (1991) 852.
332Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis, 17: AAS 71 (1979) 295-300.
333Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 23: AAS 63 (1971) 418.
334Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 54: AAS 83 (1991) 859-860.
335Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 41: AAS 58 (1966) 1060.
336Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso agli Officiali e Avvocati del Tribunale della Rota Romana (17 febbraio 1979), 4: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II, 1 (1979) 413-414.
337Cfr. CIC, canoni 208-223.
338Cfr. Pontificia Commissione « Iustitia et Pax », La Chiesa e i diritti dell'uomo, 70-90, Città del Vaticano 1975, pp. 47-55.
339Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 41: AAS 80 (1988) 572.
340Paolo VI, Motu proprio Iustitiam et Pacem (10 dicembre 1976): AAS 68 (1976) 700.
341Cfr. Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 29-42, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988, pp. 35-43.
342Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 453.
343Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 72: AAS 79 (1987) 585.
344Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 1: AAS 80 (1988) 513-514.
345Cfr. Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 47, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988, p. 47.
346Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 26: AAS 58 (1966) 1046; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1905- 1912; Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 417-421; Id., Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 272-273; Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 46: AAS 63 (1971) 433-435.
347Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1912.
348Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 272.
349Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1907.
350Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 26: AAS 58 (1966) 1046-1047.
351Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 421.
352Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 417; Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 46: AAS 63 (1971) 433-435; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1913.
353San Tommaso d'Aquino colloca al livello più alto e più specifico delle « inclinationes naturales » dell'uomo il « conoscere la verità su Dio » e il « vivere in società » (Summa theologiae, I-II, q. 94, a. 2, Ed. Leon. 7, 170: « Secundum igitur ordinem inclinationum naturalium est ordo praeceptorum legis naturae... Tertio modo inest homini inclinatio ad bonum secundum naturam rationis, quae est sibi propria; sicut homo habet naturalem inclinationem ad hoc quod veritatem cognoscat de Deo, et ad hoc quod in societate vivat »).
354Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 197.
355Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1910.
356Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 74: AAS 58 (1966) 1095-1097; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis, 17: AAS 71 (1979) 295-300.
357Cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 133- 135; Pio XII, Radiomessaggio per il 50º anniversario dell'enciclica « Rerum novarum »: AAS 33 (1941) 200.
358Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1908.
359Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 41: AAS 83 (1991) 843-845.
360Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 69: AAS 58 (1966) 1090.
361Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 31: AAS 83 (1991) 831.
362Cfr. Pio XII, Radiomessaggio per il 50º anniversario dell'enciclica « Rerum novarum »: AAS 33 (1941) 199-200.
363Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 525.
364Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 42: AAS 80 (1988) 573.
365Pio XII, Radiomessaggio per il 50º anniversario dell'enciclica « Rerum novarum »: AAS 33 (1941) 199.
366Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 22: AAS 59 (1967) 268.
367Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 90: AAS 79 (1987) 594.
368Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 31: AAS 83 (1991) 832.
369Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 71: AAS 58 (1966) 1092- 1093; cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 103-104; Pio XII, Radiomessaggio per il 50º anniversario dell'enciclica « Rerum novarum »: AAS 33 (1941) 199; Id., Radiomessaggio (24 dicembre 1942): AAS 35 (1943) 17; Id., Radiomessaggio (1º settembre 1944): AAS 36 (1944) 253; Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 428-429.
370Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 6: AAS 83 (1991) 800-801.
371Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 102.
372Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 14: AAS 73 (1981) 613.
373Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 69: AAS 58 (1966) 1090-1092; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2402-2406.
374Cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 102.
375Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 22-23: AAS 59 (1967) 268-269.
376Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 430-431; Giovanni Paolo II, Discorso alla Terza Conferenza Generale dell'Episcopato Latino- Americano, Puebla (28 gennaio 1979), III/4: AAS 71 (1979) 199-201.
377Cfr. Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 191-192. 193-194. 196-197.
378Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 69: AAS 58 (1966) 1090.
379Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 32: AAS 83 (1991) 832.
380Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 35: AAS 83 (1991) 837.
381Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 69: AAS 58 (1966) 1090-1092.
382Cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Per una migliore distribuzione della terra. La sfida della riforma agraria (23 novembre 1997), 27-31, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, pp. 26-29.
383Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 27-34. 37: AAS 80 (1988) 547-560. 563-564; Id., Lett. enc. Centesimus annus, 41: AAS 83 (1991) 843-845.
384Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Terza Conferenza Generale dell'Episcopato Latino-Americano, Puebla (28 gennaio 1979), I/8: AAS 71 (1979) 194-195.
385Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 42: AAS 80 (1988) 572- 573; cfr. Id., Lett. enc. Evangelium vitae, 32: AAS 87 (1995) 436-437; Id., Lett. ap. Tertio millennio adveniente, 51: AAS 87 (1995) 36; Id., Lett. ap. Novo millennio ineunte, 49-50: AAS 93 (2001) 302-303.
386Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2448.
387Catechismo della Chiesa Cattolica, 2443.
388Catechismo della Chiesa Cattolica, 1033.
389Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2444.
390Catechismo della Chiesa Cattolica, 2448.
391Catechismo della Chiesa Cattolica, 2447.
392San Gregorio Magno, Regula pastoralis, 3, 21: PL 77, 87: « Nam cum quaelibet necessaria indigentibus ministramus, sua illis reddimus, non nostra largimur; iustitiae potius debitum soluimus, quam misericordiae opera implemus ».
393Concilio Vaticano II, Decr. Apostolicam actuositatem, 8: AAS 58 (1966) 845; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2446.
394Catechismo della Chiesa Cattolica, 2445.
395Cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 101-102. 123.
396Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1882.
397Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 15: AAS 80 (1988) 529; cfr. Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 203; Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 439; Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 65: AAS 58 (1966) 1086-1087; Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 73. 85-86: AAS 79 (1987) 586. 592-593; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 48: AAS 83 (1991) 852-854; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1883-1885.
398Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 49: AAS 83 (1991) 854-856 e anche Id., Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 15: AAS 80 (1988) 528-530.
399Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 203; cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 48: AAS 83 (1991) 852-854; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1883.
400Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 48: AAS 83 (1991) 854.
401Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 48: AAS 83 (1991) 852-854.
402Cfr. Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 22.46: AAS 63 (1971) 417. 433- 435; Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 40, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988, pp. 41-42.
403Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 75: AAS 58 (1966) 1097-1099.
404Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1913-1917.
405Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 423-425; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 14: AAS 73 (1981) 612-616; Id., Lett. enc. Centesimus annus, 35: AAS 83 (1991) 836-838.
406Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 44-45: AAS 80 (1988) 575-578.
407Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 278.
408Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 46: AAS 83 (1991) 850-851.
409Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1917.
410Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 30-31: AAS 58 (1966) 1049-1050; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 47: AAS 83 (1991) 851-852.
411Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 44-45: AAS 83 (1991) 848-849.
412Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 15: AAS 80 (1988) 528-530; cfr. Pio XII, Radiomessaggio (24 dicembre 1952): AAS 45 (1953) 37; Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 47: AAS 63 (1971) 435-437.
413All'interdipendenza può essere associato il tema classico della socializzazione, più volte esaminato dalla dottrina sociale della Chiesa: cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 415-417; Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 42: AAS 58 (1966) 1060-1061; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 14-15: AAS 73 (1981) 612-618.
414Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 11-22: AAS 80 (1988) 525-540.
415Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1939-1941.
416Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1942.
417Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 36.37: AAS 80 (1988) 561- 564; cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Reconciliatio et paenitentia, 16: AAS 77 (1985) 213-217.
418Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 38: AAS 80 (1988) 565-566.
419Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 38: AAS 80 (1988) 566. Cfr. inoltre: Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 8: AAS 73 (1981) 594- 598; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 57: AAS 83 (1991) 862-863.
420Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 17.39.45: AAS 80 (1988) 532-533. 566-568. 577-578. Anche la solidarietà internazionale è un'esigenza di ordine morale; la pace del mondo dipende in larga misura da essa: cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 83-86: AAS 58 (1966) 1107-1110; Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 48: AAS 59 (1967) 281; Pontificia Commissione « Iustitia et Pax », Al servizio della comunità umana: un approccio etico al debito internazionale (27 dicembre 1986), I, 1, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1986, pp. 10-11; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1941 e 2438.
421La solidarietà, benché manchi ancora l'espressione esplicita, è uno dei principi basilari della « Rerum novarum » (cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 [1961] 407). « Il principio, che oggi chiamiamo di solidarietà, ... è più volte enunciato da Leone XIII col nome di “amicizia”, che troviamo già nella filosofia greca, da Pio XI è designato col nome non meno significativo di “carità sociale”, mentre Paolo VI, ampliando il concetto secondo le moderne e molteplici dimensioni della questione sociale, parlava di “civiltà dell'amore” » (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 10: AAS 83 [1991] 805). La solidarietà è uno dei principi basilari dell'intero insegnamento sociale della Chiesa (cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 73: AAS 79 [1987] 586). A partire da Pio XII (cfr. Lett. enc. Summi Pontificatus: AAS 31 [1939] 426-427), il termine « solidarietà » viene impiegato con crescente frequenza e con sempre maggior ampiezza di significato: da quello di « legge » nella stessa Enciclica, a quello di « principio » (cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 [1961] 407), di « dovere » (cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 17.48: AAS 59 [1967] 265-266. 281) e di « valore » (cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 38: AAS 80 [1988] 564-566), a quello, infine, di « virtù » (cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 38.40: AAS 80 [1988] 564-566. 568-569).
422Cfr. Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 38, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988, pp. 40-41.
423Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 32: AAS 58 (1966) 1051.
424Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 40: AAS 80 (1988) 568: « La solidarietà è indubbiamente una virtù cristiana. Già nella precedente esposizione era possibile intravedere numerosi punti di contatto tra essa e la carità, che è il segno distintivo dei discepoli di Cristo (cfr. Gv 13,35) ».
425Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 40: AAS 80 (1988) 569.
426Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1886.
427Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 26: AAS 58 (1966) 1046-1047; Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 265-266.
428Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 43, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988, pp. 43-44.
429Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 36: AAS 58 (1966) 1053-1054.
430Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 1: AAS 58 (1966) 1025-1026; Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 13: AAS 59 (1967) 263-264.
431Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2467.
432Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 265-266. 281.
433Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 61: AAS 58 (1966) 1081-1082; Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 35. 40: AAS 59 (1967) 274-275. 277; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 44: AAS 80 (1988) 575-577. Per la riforma della società « il compito prioritario, che condiziona la riuscita di tutti gli altri, è di ordine educativo »: Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 99: AAS 79 (1987) 599.
434Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 16: AAS 58 (1966) 1037; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2464-2487.
435Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 17: AAS 58 (1966) 1037-1038; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1705. 1730; Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 28: AAS 79 (1987) 565.
436Catechismo della Chiesa Cattolica, 1738.
437Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 26: AAS 79 (1987) 564-565.
438Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 42: AAS 83 (1991) 846. L'affermazione concerne l'iniziativa economica, tuttavia sembra correttamente estensibile anche agli altri ambiti dell'agire personale.
439Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 17: AAS 83 (1991) 814-815.
440Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 289-290.
441Cfr. San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I-II, q. 6: Ed. Leon. 6, 55-63.
442Catechismo della Chiesa Cattolica, 1807; cfr. San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 58, a. 1: Ed. Leon. 9, 9-10: « iustitia est perpetua et constans voluntas ius suum unicuique tribuendi ».
443Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 282-283.
444Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2411.
445Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1928-1942, 2425-2449, 2832; Pio XI, Lett. enc. Divini Redemptoris: AAS 29 (1937) 92.
446Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 2: AAS 73 (1981)
580-583.
447Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 40: AAS 80 (1988) 568; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1929.
448Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 10: AAS 96 (2004) 121.
449Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 39: AAS 80 (1988) 568.
450Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 39: AAS 80 (1988) 568.
451Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 265-266.
452Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 10: AAS 96 (2004) 120.
453Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dives in misericordia, 14: AAS 72 (1980) 1223.
454Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dives in misericordia, 12: AAS 72 (1980) 1216.
455Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dives in misericordia, 14: AAS 72 (1980) 1224; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2212.
456San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 23, a. 8: Ed. Leon. 8, 172; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1827.
457Cfr. Paolo VI, Discorso alla sede della FAO, nel XXV anniversario dell'istituzione (16 novembre 1970): Insegnamenti di Paolo VI, VIII (1970) 1153.
458Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 12: AAS 58 (1966) 1034.
459Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1605.
460Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 40: AAS 81 (1989) 469.
461La Santa Famiglia è un modello di vita familiare: « Nazareth ci ricordi cos'è la famiglia, cos'è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com'è dolce ed insostituibile l'educazione in famiglia; ci insegni la sua funzione naturale nell'ordine sociale. Infine impariamo la lezione del lavoro »: Paolo VI, Discorso a Nazareth (5 gennaio 1964): AAS 56 (1964) 168.
462Giovanni Paolo II, Lett. alle famiglie Gratissimam sane, 17: AAS 86 (1994) 906.
463Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 48: AAS 58 (1966) 1067-1069.
464Cfr. Concilio Vaticano II, Decr. Apostolicam actuositatem, 11: AAS 58 (1966) 848.
465Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 40: AAS 81 (1989) 468.
466Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 39: AAS 83 (1991) 841.
467Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 39: AAS 83 (1991) 841.
468Giovanni Paolo II, Lett. alle famiglie Gratissimam sane, 7: AAS 86 (1994) 875; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2206.
469Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 47: AAS 58 (1966) 1067; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2210.
470Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2224.
471Cfr. Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia (22 ottobre 1983), Preambolo, D-E, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1983, p. 6.
472Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 45: AAS 74 (1982)
136-137; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2209.
473Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 48: AAS 58 (1966) 1067-1068.
474Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 48: AAS 58 (1966) 1067.
475Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1603.
476Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 48: AAS 58 (1966) 1067.
477Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1639.
478Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1603.
479Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 13: AAS 74 (1982) 93-96.
480Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 19: AAS 74 (1982) 102.
481Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 48.50: AAS 58 (1966) 1067-1069. 1070-1072.
482Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. alle famiglie Gratissimam sane, 11: AAS 86 (1994) 883-886.
483Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 50: AAS 58 (1966) 1070-1072.
484Catechismo della Chiesa Cattolica, 2379.
485Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 12: AAS 74 (1982) 93: « È per questo che la parola centrale della Rivelazione, “Dio ama il suo popolo”, viene pronunciata anche attraverso le parole vive e concrete con cui l'uomo e la donna si dicono il loro amore coniugale. Il loro vincolo di amore diventa l'immagine e il simbolo dell'Alleanza che unisce Dio e il suo popolo (cfr. ad es. Os 2,21; Ger 3,6- 13; Is 54). E lo stesso peccato, che può ferire il patto coniugale, diventa immagine dell'infedeltà del popolo al suo Dio: l'idolatria è prostituzione (cfr. Ez 16,25), l'infedeltà è adulterio, la disobbedienza alla legge è abbandono dell'amore sponsale del Signore. Ma l'infedeltà di Israele non distrugge la fedeltà eterna del Signore e, pertanto, l'amore sempre fedele di Dio si pone come esemplare delle relazioni di amore fedele che devono esistere tra gli sposi (cfr. Os 3) ».
486Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 13: AAS 74 (1982) 93-94.
487Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 48: AAS 58 (1966) 1067-1069.
488Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 47: AAS 74 (1982) 139. La nota interna fa riferimento a Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 31: AAS 57 (1965) 37.
489Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 48: AAS 74 (1982) 140; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1656-1657. 2204.
490Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 18: AAS 74 (1982) 100-101.
491Giovanni Paolo II, Lett. alle famiglie Gratissimam sane, 11: AAS 86 (1994) 883.
492Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 43: AAS 74 (1982) 134.
493Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 43: AAS 74 (1982) 134.
494Giovanni Paolo II, Messaggio alla Seconda Assemblea Mondiale sull'Invecchiamento (3 aprile 2002): AAS 94 (2002) 582; cfr. Id., Esort. ap. Familiaris consortio, 27: AAS 74 (1982) 113-114.
495Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 48: AAS 58 (1966) 1067-1069; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1644-1651.
496Catechismo della Chiesa Cattolica, 2333.
497Catechismo della Chiesa Cattolica, 2385; cfr. anche 1650 -1651. 2384.
498Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 20: AAS 74 (1982) 104.
499Il rispetto dovuto sia al sacramento del matrimonio sia agli stessi coniugi e ai loro familiari, sia ancora alla comunità dei fedeli, proibisce ad ogni pastore, per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, di porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere. Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 20: AAS 74 (1982) 104.
500Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 77. 84: AAS 74 (1982) 175-178. 184-186.
501Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. alle famiglie Gratissimam sane, 14: AAS 86 (1994) 893-896; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2390.
502Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2390.
503Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lett. La cura pastorale delle persone omosessuali (1º ottobre 1986), 1-2: AAS 79 (1987) 543-544.
504Giovanni Paolo II, Discorso al Tribunale della Rota Romana (21 gennaio 1999), 5: AAS 91 (1999) 625.
505Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Alcune considerazioni concernenti la risposta alle proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali (23 luglio 1992): L'Osservatore Romano, 24 luglio 1992, p. 4; Id., Dich. Persona humana (29 dicembre 1975), 8: AAS 68 (1976) 84-85.
506Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2357-2359.
507Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi spagnoli in visita ad limina (19 febbraio 1998), 4: AAS 90 (1998) 809-810; Pontificio Consiglio per la Famiglia, Famiglia, matrimonio e « unioni di fatto » (26 luglio 2000), 23, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000, pp. 42-44; Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali (3 giugno 2003), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2003.
508Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali (3 giugno 2003), 8, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2003, p. 9.
509 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, 71: AAS 87 (1995) 483; San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I-II, q. 96, a. 2 (« Utrum ad legem humanam pertineat omnia vitia cohibere »): Ed. Leon. 7, 181.
510Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 81: AAS 74 (1982) 183.
511Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, Preambolo, E, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1983, p. 6.
512Cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, 1652.
513Giovanni Paolo II, Lett. alle famiglie Gratissimam sane, 6: AAS 86 (1994) 874; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2366.
514Giovanni Paolo II, Lett. alle famiglie Gratissimam sane, 11: AAS 86 (1994) 884.
515Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 39: AAS 83 (1991) 842.
516Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, 92: AAS 87 (1995) 505-507.
517Giovanni Paolo II, Lett. alle famiglie Gratissimam sane, 13: AAS 86 (1994) 891.
518Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, 93: AAS 87 (1995) 507-508.
519Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 50: AAS 58 (1966) 1070-1072; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2367.
520Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 10: AAS 60 (1968) 487; cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 50: AAS 58 (1966) 1070-1072.
521Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 14: AAS 60 (1968) 490-491.
522Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 51: AAS 58 (1966) 1072-1073; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2271-2272; Giovanni Paolo II, Lett. alle famiglie Gratissimam sane, 21: AAS 86 (1994) 919-920; Id., Lett. enc. Evangelium vitae, 58.59.61-62: AAS 87 (1995) 466-468. 470-472.
523Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. alle famiglie Gratissimam sane, 21: AAS 86 (1994) 919-920; Id., Lett. enc. Evangelium vitae, 72.101: AAS 87 (1995) 484-485.516- 518; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2273.
524Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 51: AAS 58 (1966) 1072-1073; Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 14: AAS 60 (1968) 490-491; Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 32: AAS 74 (1982) 118-120; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2370; Pio XI, Lett. enc. Casti connubii: AAS 22 (1930), 559-561.
525Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 7: AAS 60 (1968) 485; Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 32: AAS 74 (1982) 118-120.
526Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 17: AAS 60 (1968) 493-494.
527Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 16: AAS 60 (1968) 491-492; Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 32: AAS 74 (1982) 118-120; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2370.
528Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 50: AAS 58 (1966) 1070-1072; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2368; Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 37: AAS 59 (1967) 275-276.
529Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2372.
530Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2378.
531Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, II, 2.3.5: AAS 80 (1988) 88-89.92-94; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2376-2377.
532Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, II, 7: AAS 80 (1988) 95-96.
533Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2375.
534Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia per la Vita (21 febbraio 2004), 2: AAS 96 (2004) 418.
535Cfr. Pontificia Accademia per la Vita, Riflessioni sulla clonazione, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997; Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, L'Église face au racisme. Contribution du Saint-Siège à la Conférence mondiale contre le Racisme, la Discrimination raciale, la Xénophobie et l'Intolérance qui y est associée, 21, Tipografia Vaticana, Città del Vaticano 2001, p. 23.
536Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso al 18º Congresso Internazionale della Società dei Trapianti (29 agosto 2000), 8: AAS 92 (2000) 826.
537Giovanni Paolo II, Lett. alle famiglie Gratissimam sane, 10: AAS 86 (1994) 881.
538Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, art. 3, c, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1983, p. 9. La Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo afferma che « la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto di essere protetta dalla società e dallo Stato » (Art. 16.3): Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, Pubblicazioni della Società Italiana per l'organizzazione internazionale, Cedam, Padova 1950, p. 31.
539Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, Preambolo, E, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1983, p. 6.
540Cfr. Concilio Vaticano II, Dich. Gravissimum educationis, 3: AAS 58 (1966) 731-732; Id., Cost. past. Gaudium et spes, 52: AAS 58 (1966) 1073-1074; Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 37: AAS 74 (1982) 127-129; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1653. 2228.
541Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 43: AAS 74 (1982) 134-135.
542Cfr. Concilio Vaticano II, Dich. Gravissimum educationis, 3: AAS 58 (1966) 731-732; Id., Cost. past. Gaudium et spes, 61: AAS 58 (1966) 1081-1082; Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, art. 5, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1983, pp. 10-11; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2223. Il Codice di Diritto Canonico dedica a questo diritto-dovere dei genitori i canoni 793-799 e il canone 1136.
543Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 36: AAS 74 (1982) 127.
544Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 36: AAS 74 (1982) 126; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2221.
545Cfr. Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, 5: AAS 58 (1966) 933; Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1994, 5: AAS 86 (1994) 159-160.
546Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 40: AAS 74 (1982) 131.
547Cfr. Concilio Vaticano II, Dich. Gravissimum educationis, 6: AAS 58 (1966) 733-734; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2229.
548Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, art. 5, b, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1983, p. 11; cfr. anche Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, 5: AAS 58 (1966) 933.
549Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 94: AAS 79 (1987) 595-596.
550Concilio Vaticano II, Dich. Gravissimum educationis, 1: AAS 58 (1966) 729.
551Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 43: AAS 74 (1982) 134-135.
552Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 52: AAS 58 (1966) 1073-1074.
553Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 37: AAS 74 (1982) 128; cfr. Pontificio Consiglio per la Famiglia, Sessualità umana: verità e significato. Orientamenti educativi in famiglia (8 dicembre 1995), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1995.
554Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 26: AAS 74 (1982) 111-112.
555Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (2 ottobre 1979), 21: AAS 71 (1979) 1159; cfr. anche Id., Messaggio al Segretario Generale delle Nazioni Unite in occasione del Vertice mondiale per i Bambini (22 settembre 1990): AAS 83 (1991) 358-361.
556Giovanni Paolo II, Discorso al Comitato dei Giornalisti europei per i diritti del fanciullo (13 gennaio 1979): AAS 71 (1979) 360.
557Cfr. Convenzione sui diritti del fanciullo, entrata in vigore nel 1990; anche la Santa Sede l'ha ratificata.
558Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1996, 2-6: AAS 88 (1996) 104-107.
559Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 44: AAS 74 (1982) 136; cfr. Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, art. 9, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1983, p. 13.
560Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, art. 8, a-b, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1983, p. 12.
561Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 10: AAS 73 (1981) 601.
562Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 104.
563Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 10: AAS 73 (1981)
600-602.
564Cfr. Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 200; Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 67: AAS 58 (1966) 1088-1089; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 625-629.
565Cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 105; Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 193-194.
566Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 625- 629; Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, art. 10, a, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1983, p. 14.
567Cfr. Pio XII, Allocuzione alle donne sulla dignità e missione della donna (21 ottobre 1945): AAS 37 (1945) 284-295; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 625-629; Id., Esort. ap. Familiaris consortio, 23: AAS 74 (1982) 107-109; Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, art. 10, b, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1983, p. 14.
568Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. alle famiglie Gratissimam sane, 17: AAS 86 (1994) 903-906.
569Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 625- 629; Id., Esort. ap. Familiaris consortio, 23: AAS 74 (1982) 107-109.
570Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 45: AAS 74 (1982) 136.
571Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2211.
572Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 46: AAS 74 (1982) 137-139.
573Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 6: AAS 73 (1981) 591.
574Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis, 1: AAS 71 (1979) 257.
575Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis, 8: AAS 71 (1979) 270.
576Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2427; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 27: AAS 73 (1981) 644-647.
577Cfr. San Giovanni Crisostomo, Omelie sugli Atti, in Acta Apostolorum Homiliae 35, 3: PG 60, 258.
578Cfr. San Basilio il Grande, Regulae fusius tractatae, 42: PG 31, 1023-1027; Sant'Atanasio di Alessandria, Vita S. Antonii, c. 3: PG 26, 846.
579Cfr. Sant'Ambrogio, De obitu Valentiniani consolatio, 62: PL 16, 1438.
580Cfr. Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 5, 32, 2: PG 7, 1210-1211.
581Cfr. Teodoreto di Ciro, De Providentia, Orationes 5-7: PG 83, 625-686.
582Giovanni Paolo II, Discorso durante la visita a Pomezia (14 settembre 1979), 3: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II, 2 (1979) 299.
583Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 2: AAS 73 (1981) 580-583.
584Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 1: AAS 73 (1981) 579.
585Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 3: AAS 73 (1981) 584.
586Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 6: AAS 73 (1981) 589-590.
587Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 6: AAS 73 (1981) 590.
588Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 6: AAS 73 (1981) 592; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2428.
589Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 31: AAS 83 (1991) 832.
590Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 200.
591Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 16: AAS 73 (1981) 619.
592Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 4: AAS 73 (1981) 586.
593Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 12: AAS 73 (1981) 606.
594Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 12: AAS 73 (1981) 608.
595Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 13: AAS 73 (1981)
608-612.
596Cfr. Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 194-198.
597Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 109.
598Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 195.
599Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 32: AAS 83 (1991) 833.
600Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 43: AAS 83 (1991) 847.
601Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 11: AAS 73 (1981) 604.
602Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (6 marzo 1999), 2: AAS 91 (1999) 889.
603Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 41: AAS 83 (1991) 844.
604Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 14: AAS 73 (1981) 616.
605Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 9: AAS 58 (1966) 1031-1032.
606Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 14: AAS 73 (1981) 613.
607Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 43: AAS 83 (1991) 847.
608Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 32: AAS 83 (1991)
832-833.
609Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 625-629; Id., Lett. Enc. Centesimus annus, 9: AAS 83 (1991) 804.
610Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 67: AAS 58 (1966) 1088-1089.
611Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2184.
612Catechismo della Chiesa Cattolica, 2185.
613Catechismo della Chiesa Cattolica, 2186.
614Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2187.
615Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Dies Domini, 26: AAS 90 (1998) 729: « La celebrazione della domenica, giorno “primo” e insieme “ottavo”, proietta il cristiano verso il traguardo della vita eterna ».
616Cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 110.
617Catechismo della Chiesa Cattolica, 2188.
618Catechismo della Chiesa Cattolica, 2187.
619Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 26: AAS 58 (1966) 1046-1047; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 9.18: AAS 73 (1981) 598- 600. 622-625; Id., Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (25 aprile 1997), 3: AAS 90 (1998) 139-140; Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 8: AAS 91 (1999) 382-383.
620Cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 128.
621Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 10: AAS 73 (1981)
600-602.
622Cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 103; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 14: AAS 73 (1981) 612-616; Id., Lett. enc. Centesimus annus, 31: AAS 83 (1991) 831-832.
623Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 16: AAS 73 (1981) 618-620.
624Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 18: AAS 73 (1981) 623.
625Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 43: AAS 83 (1991) 848; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2433.
626Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 17: AAS 73 (1981) 620-622.
627Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2436.
628Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 66: AAS 58 (1966) 1087-1088.
629Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 12: AAS 73 (1981)
605-608.
630Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 48: AAS 83 (1991) 853.
631Paolo VI, Discorso all'Organizzazione Internazionale del Lavoro (10 giugno 1969), 21: AAS 61 (1969) 500; cfr. Giovanni Paolo II, Discorso all'Organizzazione Internazionale del Lavoro (15 giugno 1982), 13: AAS 74 (1982) 1004-1005.
632Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 16: AAS 83 (1991) 813.
633Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 10: AAS 73 (1981) 600.
634Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 10: AAS 73 (1981) 600- 602; Id., Esort. ap. Familiaris consortio, 23: AAS 74 (1982) 107-109.
635Cfr. Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, art. 10, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1983, p. 14.
636Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 628.
637Giovanni Paolo II, Lettera alle donne (29 giugno 1995), 3: AAS 87 (1995) 804.
638Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 24: AAS 74 (1982) 109-110.
639Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1996, 5: AAS 88 (1996) 106-107.
640Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 129.
641Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1998, 6: AAS 90 (1998) 153.
642Giovanni Paolo II, Messaggio al Segretario Generale delle Nazioni Unite in occasione del Vertice mondiale per i Bambini (22 settembre 1990): AAS 83 (1991) 360.
643Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2001, 13: AAS 93 (2001) 241; Pontificio Consiglio Cor Unum - Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e Itineranti, I rifugiati, una sfida alla solidarietà, 6, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992, p. 8.
644Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2241.
645Cfr. Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, art. 12, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1983, p. 14; Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 77: AAS 74 (1982) 175-178.
646Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 66: AAS 58 (1966) 1087-1088; Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1993, 3: AAS 85 (1993) 431-433.
647Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 21: AAS 73 (1981) 634.
648Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 23: AAS 59 (1967) 268-269.
649Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Per una migliore distribuzione della terra. La sfida della riforma agraria (23 novembre 1997), 13, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, p. 17.
650Cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Per una migliore distribuzione della terra. La sfida della riforma agraria (23 novembre 1997), 35, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, p. 31.
651Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 625-629.
652Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 625-629.
653Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 629.
654Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 15: AAS 83 (1991) 812.
655Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 18: AAS 73 (1981) 622-625.
656Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 625-629.
657Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 625-629.
658Cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 135; Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 186; Pio XII, Lett. enc. Sertum laetitiae: AAS 31 (1939) 643; Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 262-263; Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 68: AAS 58 (1966) 1089-1090; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 20: AAS 73 (1981) 629-632; Id., Lett. enc. Centesimus annus, 7: AAS 83 (1991) 801-802.
659Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 625-629.
660Catechismo della Chiesa Cattolica, 2434; cfr. Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 198-202: « Il giusto salario » è il titolo del capitolo 4 della Parte II.
661Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 67: AAS 58 (1966) 1088-1089.
662Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 131.
663Catechismo della Chiesa Cattolica, 2435.
664Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 68: AAS 58 (1966) 1089-1090; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 20: AAS 73 (1981) 629-632; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2430.
665Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 20: AAS 73 (1981) 632.
666Catechismo della Chiesa Cattolica, 2435.
667Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 20: AAS 73 (1981) 629.
668Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 20: AAS 73 (1981) 630.
669Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 20: AAS 73 (1981) 630.
670Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2430.
671Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 68: AAS 58 (1966) 1090.
672Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 20: AAS 73 (1981) 631.
673Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Conferenza Internazionale per i rappresentanti sindacali (2 dicembre 1996), 4: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIX, 2 (1996) 865.
674Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 8: AAS 73 (1981) 597.
675Giovanni Paolo II, Messaggio ai partecipanti all'Incontro Internazionale sul Lavoro (14 settembre 2001), 4: L'Osservatore Romano, 16 settembre 2001, p. 7.
676Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (27 aprile 2001), 2: AAS 93 (2001) 599.
677Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 10: AAS 73 (1981) 600-602.
678Catechismo della Chiesa Cattolica, 2427.
679Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 35: AAS 58 (1966) 1053; Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 19: AAS 59 (1967), 266-267; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 20: AAS 73 (1981) 629-632; Id., Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 28: AAS 80 (1988) 548-550.
680Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio ai partecipanti all'Incontro Internazionale sul Lavoro (14 settembre 2001), 5: L'Osservatore Romano, 16 settembre 2001, p. 7.
681Giovanni Paolo II, Discorso all'Incontro giubilare con il mondo del lavoro (1º maggio 2000), 2: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXIII, 1 (2000) 720.
682Giovanni Paolo II, Omelia alla Santa Messa per il Giubileo dei lavoratori (1º maggio 2000), 3: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXIII, 1 (2000) 717.
683Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 25-27: AAS 73 (1981) 638-647.
684Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 31: AAS 80 (1988) 554-555.
685Cfr. Erma, Pastor, Liber Tertium, Similitudo I: PG 2, 954.
686Clemente d'Alessandria, Quis dives salvetur, 13: PG 9, 618.
687Cfr. San Giovanni Crisostomo, Homiliae XXI de Statuis ad populum Antiochenum habitae, 2, 6-8: PG 49, 41-46.
688San Basilio Magno, Homilia in illud Lucae, Destruam horrea mea, 5: PG 31, 271.
689Cfr. San Basilio Magno, Homilia in illud Lucae, Destruam horrea mea, 5: PG 31, 271.
690Cfr. San Gregorio Magno, Regula pastoralis, 3, 21: PL 77, 87-89. Titolo del § 21: « Quomodo admonendi qui aliena non appetunt, sed sua retinent; et qui sua tribuentes, aliena tamen rapiunt ».
691Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 190-191.
692Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 63: AAS 58 (1966) 1084.
693Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2426.
694Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 40: AAS 80 (1988) 568-569.
695Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 36: AAS 80 (1988) 561.
696Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 65: AAS 58 (1966) 1086-1087.
697Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 32: AAS 80 (1988) 556-557.
698Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 41: AAS 83 (1991) 844.
699Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2000, 15-16: AAS 92 (2000) 366-367.
700Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 28: AAS 80 (1988) 548.
701Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 42: AAS 83 (1991) 845-846.
702Catechismo della Chiesa Cattolica, 2429; cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 63: AAS 58 (1966) 1084-1085; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 48: AAS 83 (1991) 852-854; Id., Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 15: AAS 80 (1988) 528-530; Id., Lett. enc. Laborem exercens, 17: AAS 73 (1981) 620-622; Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 413-415.
703Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 15: AAS 80 (1988) 529. Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2429.
704Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 16: AAS 83 (1991) 813-814.
705Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 32: AAS 83 (1991) 833.
706Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 32: AAS 83 (1991) 833.
707Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 43: AAS 83 (1991) 847.
708 Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 422-423.
709Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 35: AAS 83 (1991) 837.
710Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2424.
711Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 35: AAS 83 (1991) 837.
712Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 43: AAS 83 (1991) 846-848.
713Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 38: AAS 83 (1991) 841.
714Catechismo della Chiesa Cattolica, 2269.
715Catechismo della Chiesa Cattolica, 2438.
716Giovanni Paolo II, Discorso all'Udienza generale (4 febbraio 2004), 3: L'Osservatore Romano, 5 febbraio 2004, p. 4.
717Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 17: AAS 80 (1988) 532.
718Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 32: AAS 83 (1991) 833.
719Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2432.
720Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 35: AAS 83 (1991) 837.
721Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 32-33: AAS 83 (1991) 832-835.
722Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 19: AAS 73 (1981) 625-629.
723Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 36: AAS 83 (1991) 838.
724Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 36: AAS 83 (1991) 840.
725Riguardo all'uso delle risorse e dei beni, la dottrina sociale della Chiesa propone il suo insegnamento circa la destinazione universale dei beni e la proprietà privata; cfr. Capitolo Quarto, III.
726Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 34: AAS 83 (1991) 835.
727Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 40: AAS 83 (1991) 843.
728Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 41: AAS 83 (1991) 843-845.
729Cfr. Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 41: AAS 63 (1971) 429-430.
730Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 34: AAS 83 (1991) 835-836.
731Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 40: AAS 83 (1991) 843; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2425.
732Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 39: AAS 83 (1991) 843.
733Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 15: AAS 83 (1991)
811-813.
734Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 48: AAS 83 (1991) 853; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2431.
735Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 15: AAS 83 (1991) 811.
736Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 48: AAS 83 (1991) 852-853; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2431.
737Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 48: AAS 83 (1991)
852-854.
738Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 48: AAS 83 (1991) 852-854.
739Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 30: AAS 58 (1966) 1049-1050.
740Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 433-434, 438.
741Cfr. Pio XI, Lett. enc. Divini Redemptoris: AAS 29 (1937) 103-104.
742Cfr. Pio XII, Radiomessaggio per il 50º anniversario della « Rerum novarum »: AAS 33 (1941) 202; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 49: AAS 83 (1991) 854-856; Id., Esort. ap. Familiaris consortio, 45: AAS 74 (1982) 136-137.
743Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 40: AAS 83 (1991) 843.
744Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 36: AAS 83 (1991) 839-840.
745Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 36: AAS 83 (1991) 839.
746Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 36: AAS 83 (1991) 839.
747Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 36: AAS 83 (1991) 839.
748Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 37: AAS 83 (1991) 840.
749Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Ecclesia in America, 20: AAS 91 (1999) 756.
750Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso ai membri della Fondazione « Centesimus Annus » (9 maggio 1998), 2: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXI, 1 (1998) 873-874.
751Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1998, 3: AAS 90 (1998) 150.
752 Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 61: AAS 59 (1967) 287.
753Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 43: AAS 80 (1988) 574-575.
754Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 57: AAS 59 (1967) 285.
755Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2003, 5: AAS 95 (2003) 343.
756Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 59: AAS 59 (1967) 286.
757Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (27 aprile 2001), 4: AAS 93 (2001) 600.
758Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (11 aprile 2002), 3: AAS 94 (2002) 525.
759Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso all'Udienza alle ACLI (27 aprile 2002), 4: L'Osservatore Romano, 28 aprile 2002, p. 5.
760Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze So- ciali (25 aprile 1997), 6: AAS 90 (1998) 141-142.
761Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 58: AAS 83 (1991) 864.
762Cfr. Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 43-44: AAS 63 (1971) 431-433.
763Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2440; Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 78: AAS 59 (1967) 295; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 43: AAS 80 (1988) 574-575.
764Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 14: AAS 59 (1967) 264.
765Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2437-2438.
766Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2000, 13-14: AAS 92 (2000) 365-366.
767Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 29: AAS 83 (1991) 828-829; cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 40-42: AAS 59 (1967) 277-278.
768Giovanni Paolo II, Discorso del 1º maggio 1991: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIV, 1 (1991) 1985-1991; cfr. Id., Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 9: AAS 80 (1988) 520-523.
769Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 14: AAS 80 (1988)
526-527.
770Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 39: AAS 83 (1991) 842.
771Catechismo della Chiesa Cattolica, 2441.
772Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 36: AAS 83 (1991) 838-839.
773Catechismo della Chiesa Cattolica, 1884.
774Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 266-267. 281- 291. 301-302; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 39: AAS 80 (1988) 566-568.
775Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 25: AAS 58 (1966) 1045-1046; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1881; Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota Dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica (24 novembre 2002), 3, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, p. 8.
776Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 25: AAS 58 (1966) 1045.
777Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 258.
778Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 450.
779Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 74: AAS 58 (1966) 1095-1097.
780Pio XII, Radiomessaggio natalizio (24 dicembre 1944): AAS 37 (1945) 13.
781Pio XII, Radiomessaggio natalizio (24 dicembre 1944): AAS 37 (1945) 13.
782Pio XII, Radiomessaggio natalizio (24 dicembre 1944): AAS 37 (1945) 13.
783Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 266.
784Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 283.
785Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1989, 5: AAS 81 (1989) 98.
786Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1989, 11: AAS 81 (1989) 101.
787Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 273; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2237; Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2000, 6: AAS 92 (2000) 362; Id., Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50º di fondazione (5 ottobre 1995), 3: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII, 2 (1995) 732-733.
788Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 274.
789Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 275.
790Cfr. San Tommaso d'Aquino, Sententiae Octavi Libri Ethicorum, lect. 1: Ed. Leon. 47, 443: « Est enim naturalis amicitia inter eos qui sunt unius gentis ad invicem, inquantum communicant in moribus et convictu. Quartam rationem ponit ibi: Videtur autem et civitates continere amicitia. Et dicit quod per amicitiam videntur conservari civitates. Unde legislatores magis student ad amicitiam conservandam inter cives quam etiam ad iustitiam, quam quandoque intermittunt, puta in poenis inferendis, ne dissensio oriatur. Et hoc patet per hoc quod concordia assimulatur amicitiae, quam quidem, scilicet concordiam, legislatores maxime appetunt, contentionem autem civium maxime expellunt, quasi inimicam salutis civitatis. Et quia tota moralis philosophia videtur ordinari ad bonum civile, ut in principio dictum est, pertinet ad moralem considerare de amicitia ».
791Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2212-2213.
792Cfr. San Tommaso d'Aquino, De regno. Ad regem Cypri, I, 10: Ed. Leon. 42, 461: « Omnis autem amicitia super aliqua communione firmatur: eos enim qui conueniunt uel per nature originem uel per morum similitudinem uel per cuiuscumque communionem, uidemus amicitia coniungi... Non enim conseruatur amore, cum parua uel nulla sit amicitia subiecte multitudinis ad tyrannum, ut prehabitis patet ».
793« Libertà, uguaglianza, fraternità » è stato il motto della Rivoluzione francese. « In fondo sono idee cristiane » ha affermato Giovanni Paolo II, nel corso del suo primo viaggio in Francia: Omelia a Le Bourget (1º giugno 1980), 5: AAS 72 (1980) 720.
794Cfr. San Tommaso D'aquino, Summa theologiae, I-II, q. 99: Ed. Leon. 7, 199- 205; Id., II-II, q. 23, a. 3, ad 1um: Ed Leon. 8, 168.
795Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1977: AAS 68 (1976) 709.
796Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2212.
797Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 259.
798Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 73: AAS 58 (1966) 1095.
799Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 269. Cfr. Leo-
ne XIII, Lett. enc. Immortale Dei: Acta Leonis XIII, 5 (1885) 120.
800Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1898; San Tommaso d'Aquino, De regno. Ad regem Cypri, I,1: Ed. Leon. 42, 450: « Si igitur naturale est homini quod in societate multorum uiuat, necesse est in omnibus esse aliquid per quod multitudo regatur. Multis enim existentibus hominibus et unoquoque id quod est sibi congruum prouidente, multitudo in diuersa dispergetur nisi etiam esset aliquid de eo quod ad bonum multitudinis pertinet curam habens, sicut et corpus hominis et cuiuslibet animalis deflueret nisi esset aliqua uis regitiua communis in corpore, quae ad bonum commune omnium membrorum intenderet. Quod considerans Salomon dixit: “Ubi non est gubernator, dissipabitur populus” ».
801Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1897; Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 279.
802Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 74: AAS 58 (1966) 1096.
803Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 46: AAS 83 (1991) 850- 851; Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 271.
804Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 74: AAS 58 (1966) 1095-1097.
805Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 270; cfr. Pio XII, Radiomessaggio natalizio (24 dicembre 1944): AAS 37 (1945) 15; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2235.
806Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 449-450.
807Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 450.
808Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 269-270.
809Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1902.
810Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 258-259.
811Cfr. Pio XII, Lett. enc. Summi Pontificatus: AAS 31 (1939) 432-433.
812Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, 71: AAS 87 (1995) 483.
813Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, 70: AAS 87 (1995) 481- 483; Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 258-259. 279-280.
814Cfr. Pio XII, Lett. enc. Summi Pontificatus: AAS 31 (1939) 423.
815Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, 70: AAS 87 (1995) 481- 483; Id., Lett. enc. Veritatis splendor, 97 e 99: AAS 85 (1993) 1209-1211; Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota Dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica (24 novembre 2002), 5-6, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, pp. 11-14.
816San Tommaso D'aquino, Summa theologiae, I-II, q. 93, a. 3, ad 2um: Ed Leon. 7, 164: « Lex humana intantum habet rationem legis, inquantum est secundum rationem rectam: et secundum hoc manifestum est quod a lege aeterna derivatur. Inquantum vero a ratione recedit, sic dicitur lex iniqua: et sic non habet rationem legis, sed magis violentiae cuiusdam ».
817Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 270.
818Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1899-1900.
819Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 74: AAS 58 (1966) 1095-1097; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1901.
820Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2242.
821Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, 73: AAS 87 (1995)
486-487.
822Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, 74: AAS 87 (1995) 488.
823San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 104, a. 6, ad 3um: Ed. Leon. 9, 392: « Principibus saecularibus intantum homo oboedire tenetur, inquantum ordo iustitiae requirit ».
824Catechismo della Chiesa Cattolica, 2243.
825Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 31: AAS 59 (1967) 272.
826Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 79: AAS 79 (1987) 590.
827Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2266.
828Giovanni Paolo II, Discorso all'Associazione italiana dei Magistrati (31 marzo 2000), 4: AAS 92 (2000) 633.
829Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2266.
830Giovanni Paolo II, Discorso al Comitato Internazionale della Croce Rossa, Ginevra (15 giugno 1982), 5: L'Osservatore Romano, 17 giugno 1982, p. 2.
831Giovanni Paolo II, Discorso al Congresso dell'Associazione italiana dei Magistrati (31 marzo 2000), 4: AAS 92 (2000) 633.
832Giovanni Paolo II, Discorso al Congresso dell'Associazione italiana dei Magistrati (31 marzo 2000), 4: AAS 92 (2000) 633.
833Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, 27: AAS 87 (1995) 432.
834Catechismo della Chiesa Cattolica, 2267.
835Catechismo della Chiesa Cattolica, 2267.
836Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, 56: AAS 87 (1995) 464; cfr. anche Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2001, 19: AAS 93 (2001) 244, dove il ricorso alla pena di morte è definito « tutt'altro che necessario ».
837Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 46: AAS 83 (1991) 850.
838Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 46: AAS 83 (1991) 850.
839Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, 70: AAS 87 (1995) 482.
840Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 44: AAS 83 (1991) 848.
841Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2236.
842 Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 42: AAS 81 (1989)
472-476.
843Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 44: AAS 80 (1988) 575-577; Id., Lett. enc. Centesimus annus, 48: AAS 83 (1991) 852-854; Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 6: AAS 91 (1999) 381-382.
844Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1998, 5: AAS 90 (1998) 152.
845Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 41: AAS 81 (1989) 471-472.
846 Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 75: AAS 58 (1966) 1097-1099.
847Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 260.
848Cfr. Concilio Vaticano II, Decr. Inter mirifica, 3: AAS 56 (1964) 146; Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 45: AAS 68 (1976) 35-36; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 37: AAS 83 (1991) 282-286; Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Communio et progressio, 126-134: AAS 63 (1971) 638-640; Id., Aetatis novae, 11: AAS 84 (1992) 455-456; Id., Etica nella pubblicità (22 febbraio 1997),
4-8, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, pp. 10-15.
849Catechismo della Chiesa Cattolica, 2494; cfr. Concilio Vaticano II, Decr. Inter mirifica, 11: AAS 56 (1964) 148-149.
850Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Etica nelle comunicazioni sociali (4 giugno 2000), 20, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000, p. 24.
851Cfr. Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Etica nelle comunicazioni sociali (4 giugno 2000), 22, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000, pp. 26-27.
852Cfr. Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Etica nelle comunicazioni sociali (4 giugno 2000), 24, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000, pp. 29-30.
853Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 134.
854Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1910.
855Cfr. Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 203; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1883-1885.
856Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 49: AAS 83 (1991) 855.
857Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, 1: AAS 58 (1966) 929.
858Cfr. Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, 2: AAS 58 (1966)
930-931; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2106.
859Cfr. Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, 3: AAS 58 (1966)
931-932.
860Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2108.
861Catechismo della Chiesa Cattolica, 2105.
862Cfr. Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, 2: AAS 58 (1966) 930- 931; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2108.
863Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, 7: AAS 58 (1966) 935; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2109.
864Cfr. Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, 6: AAS 58 (1966)
933-934; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2107.
865Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 5: AAS 91 (1999) 380-381.
866Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi tradendae, 14: AAS 71 (1979) 1289.
867Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 76: AAS 58 (1966) 1099; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2245.
868Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 47: AAS 83 (1991) 852.
869Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 76: AAS 58 (1966) 1099.
870Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 1: AAS 58 (1966) 1026.
871Cfr. CIC, canone 747, § 2; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2246.
872Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera ai Capi di Stato firmatari dell'Atto finale di Helsinki (1º settembre 1980), 4: AAS 72 (1980) 1256-1258.
873Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 1: AAS 57 (1965) 5.
874Cfr. Pio XII, Discorso ai Giuristi Cattolici sulle Comunità di Stati e di popoli
(6 dicembre 1953), 2: AAS 45 (1953), 795.
875Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 42: AAS 58 (1966) 1060-1061.
876Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 40: AAS 80 (1988) 569.
877Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50º di fondazione (5 ottobre 1995), 12: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII, 2 (1995) 739.
878Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 296.
879Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 292.
880 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1911.
881Cfr. Concilio Vaticano II, Dich. Nostra aetate, 5: AAS 58 (1966) 743-744; Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 268.281; Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 63: AAS 59 (1967) 288; Id., Lett. apost. Octogesima adveniens, 16: AAS 63 (1971) 413; Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, L'Église face au racisme. Contribution du Saint-Siège à la Conférence mondiale contre le Racisme, la Discrimination raciale, la Xénophobie et l'Intolérance qui y est associée, Tipografia Vaticana, Città del Vaticano 2001.
882Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 279-280.
883 Cfr. Paolo VI, Discorso alle Nazioni Unite (4 ottobre 1965), 2: AAS 57 (1965) 879-880.
884Cfr. Pio XII, Lett. enc. Summi Pontificatus: AAS 31 (1939) 438-439.
885 Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 292; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 52: AAS 83 (1991) 857-858.
886 Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 284.
887Cfr. Pio XII, Allocuzione natalizia (24 dicembre 1939): AAS 32 (1940) 9-11; Id., Discorso ai Giuristi Cattolici sulle Comunità di Stati e di popoli (6 dicembre 1953): AAS 45 (1953) 395-396; Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 289.
888Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50º di fondazione (5 ottobre 1995), 9-10: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII, 2 (1995) 737-738.
889Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 289; Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50º di fondazione (5 ottobre 1995), 15: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII, 2 (1995) 741-742.
890 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 15: AAS 80 (1988) 528-530.
891Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso all'UNESCO (2 giugno 1980), 14: AAS 72 (1980) 744-745.
892Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50º di fondazione (5 ottobre 1995), 14: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII, 2 (1995) 741; cfr. anche Id., Discorso al Corpo Diplomatico (13 gennaio 2001), 8: AAS 93 (2001) 319.
893Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50º di fondazione (5 ottobre 1995), 6: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII, 2 (1995) 735.
894Pio XII, Radiomessaggio natalizio (24 dicembre 1941): AAS 34 (1942) 16.
895Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50º di fondazione (5 ottobre 1995), 3: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII, 2 (1995) 732.
896 Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 277.
897Cfr. Pio XII, Lett. enc. Summi Pontificatus: AAS 31 (1939) 438-439; Id., Radiomessaggio natalizio (24 dicembre 1941): AAS 34 (1942) 16-17; Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 290-292.
898Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomatico (12 gennaio 1991), 8: L'Osservatore Romano, 13 gennaio 1991, p. 5.
899Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 5: AAS 96 (2004) 116.
900Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 5: AAS 96 (2004) 117; cfr. anche Id., Messaggio al Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense (21 marzo 2002), 6: L'Osservatore Romano, 22 marzo 2002, p. 6.
901Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 23: AAS 83 (1991)
820-821.
902Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 18: AAS 83 (1991) 816.
903Cfr. Carta delle Nazioni Unite (26 giugno 1945), art. 2.4; Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 6: AAS 96 (2004) 117.
904Cfr. Pio XII, Radiomessaggio natalizio (24 dicembre 1941): AAS 34 (1942) 18.
905 Cfr. Pio XII, Radiomessaggio natalizio (24 dicembre 1945): AAS 38 (1946) 22; Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 287-288.
906Giovanni Paolo II, Discorso alla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja
(13 maggio 1985), 4: AAS 78 (1986) 520.
907Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 52: AAS 83 (1991) 858.
908Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 9: AAS 96 (2004) 120.
909Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 7: AAS 96 (2004) 118.
910Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 426. 439; Giovanni Paolo II, Discorso alla 20ª Conferenza Generale della FAO (12 novembre 1979), 6: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II, 2 (1979) 1136-1137; Id., Allocuzione all'UNESCO (2 giugno 1980), 5. 8: AAS 72 (1980) 737. 739-740; Id., Discorso al Consiglio dei Ministri della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE) (30 novembre 1993), 3. 5: AAS 86 (1994) 750-751. 752.
911Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio alla Signora Nafis Sadik, Segretario Generale della Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo (18 marzo 1994): AAS 87 (1995) 191-192; Id., Messaggio alla Signora Gertrude Mongella, Segretario Generale della Quarta Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulla Donna (26 maggio 1995): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII, 1 (1995) 1571-1577.
912Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 84: AAS 58 (1966) 1107-1108.
913Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 82: AAS 58 (1966) 1105; cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 293 e Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 78: AAS 59 (1967) 295.
914Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2003, 6: AAS 95 (2003) 344.
915Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 294-295.
916Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 51-55 e 77-79: AAS 59 (1967) 282-284 e 295-296.
917Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 43: AAS 80 (1988) 575.
918Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 43: AAS 80 (1988) 575; cfr. Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 7: AAS 96 (2004) 118.
919Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 58: AAS 83 (1991)
863-864.
920Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 33. 39: AAS 80 (1988) 557-559. 566-568.
921Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 26: AAS 80 (1988)
544-547.
922Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 7: AAS 96 (2004) 118.
923Cfr. CIC, canone 361.
924Paolo VI, Lett. ap. Sollicitudo omnium ecclesiarum: AAS 61 (1969) 476.
925Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 449; cfr. Pio XII, Radiomessaggio natalizio (24 dicembre 1945): AAS 38 (1946) 22.
926Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 16: AAS 80 (1988) 531.
927Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 36-37. 39: AAS 80 (1988) 561-564. 567.
928Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 22: AAS 59 (1967) 268; Id., Lett. ap. Octogesima adveniens, 43: AAS 63 (1971) 431-432; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 32-33: AAS 80 (1988) 556-559; Id., Lett. enc. Centesimus annus, 35: AAS 83 (1991) 836-838; cfr. anche Paolo VI, Discorso all'Organizzazione Internazionale del Lavoro (10 giugno 1969), 22: AAS 61 (1969) 500-501; Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno di dottrina sociale della Chiesa (20 giugno 1997), 5: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XX, 1 (1997) 1554-1555; Id., Discorso ai Dirigenti di Sindacati di Lavoratori e di grandi Società (2 maggio 2000), 3: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXIII, 1 (2000) 726.
929Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 32: AAS 80 (1988) 556.
930Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 33: AAS 83 (1991) 835.
931Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 56-61: AAS 59 (1967) 285-287.
932Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 44: AAS 59 (1967) 279.
933Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 34: AAS 83 (1991) 836.
934Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 58: AAS 83 (1991) 863.
935Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2000, 14: AAS 92 (2000) 366; cfr. anche Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1993, 1: AAS 85 (1993) 429-430.
936Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 33: AAS 80 (1988) 558. Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 47: AAS 59 (1967) 280.
937Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 6: AAS 59 (1967) 260; cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 28: AAS 80 (1988) 548-550.
938Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 20-21: AAS 59 (1967) 267-268.
939Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Terza Conferenza Generale dell'Episcopato Latino-Americano, Puebla (28 gennaio 1979), I/8: AAS 71 (1979) 194-195.
940Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 22: AAS 59 (1967) 268.
941Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 38: AAS 80 (1988) 566.
942Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 55: AAS 59 (1967) 284; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 44: AAS 80 (1988) 575-577.
943Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2000, 14: AAS 92 (2000) 366.
944Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Tertio millennio adveniente, 51: AAS 87 (1995) 36; Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1998, 4: AAS 90 (1998) 151-152; Id., Discorso alla Conferenza dell'Unione Interparlamentare (30 novembre 1998): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXI, 2 (1998) 1162-1163; Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 9: AAS 91 (1999) 383-384.
945Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 35: AAS 83 (1991) 838; cfr. anche il documento Al servizio della comunità umana: un approccio etico al debito internazionale, pubblicato dalla Pontificia Commissione « Iustitia et Pax » (27 dicembre 1986), Città del Vaticano 1986.
946Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 15: AAS 58 (1966) 1036.
947Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 15: AAS 58 (1966) 1036.
948Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 33: AAS 58 (1966) 1052.
949Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 34: AAS 58 (1966) 1052.
950Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 34: AAS 58 (1966) 1053.
951Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 34: AAS 58 (1966) 1053.
952Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 35: AAS 58 (1966) 1053.
953Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso pronunciato durante la visita al « Mercy Maternity Hospital », Melbourne (28 novembre 1986): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX, 2 (1986) 1732-1736.
954Giovanni Paolo II, Discorso pronunciato durante l'incontro con gli scienziati e rappresentanti dell'Università delle Nazioni Unite, Hiroshima (25 febbraio 1981), 3: AAS 73 (1981) 422.
955Giovanni Paolo II, Discorso ai lavoratori delle Officine Olivetti di Ivrea (19 marzo 1990), 5: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIII, 1 (1990) 697.
956Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze (3 ottobre 1981), 3: AAS 73 (1981) 670.
957Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Convegno promosso dall'Accademia Nazionale delle Scienze nel bicentenario della fondazione (21 settembre 1982), 4: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V, 3 (1982) 513.
958Giovanni Paolo II, Discorso pronunciato durante l'incontro con gli scienziati e rappresentanti dell'Università delle Nazioni Unite, Hiroshima (25 febbraio 1981), 3: AAS 73 (1981) 422.
959Giovanni Paolo II, Discorso ai lavoratori delle Officine Olivetti di Ivrea (19 marzo 1990), 4: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIII, 1 (1990).
960Giovanni Paolo II, Omelia nella Celebrazione al Victorian Racing Club, Melbourne (28 novembre 1986), 11: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX, 2 (1986) 1730.
961Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze (23 ottobre 1982), 6: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V, 3 (1982) 898.
962Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 34: AAS 80 (1988) 559.
963Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990, 7: AAS 82 (1990) 151.
964Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990, 6: AAS 82 (1990) 150.
965Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 37: AAS 83 (1991) 840.
966Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 37: AAS 83 (1991) 840.
967Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 37: AAS 83 (1991) 840.
968Giovanni Paolo II, Discorso alla 35ª Assemblea generale dell'Associazione Medica Mondiale (29 ottobre 1983), 6: AAS 76 (1984) 394.
969Cfr. Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 21: AAS 63 (1971) 416-417.
970Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 21: AAS 63 (1971) 417.
971Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti ad un Convegno su ambiente e salute (24 marzo 1997), 2: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XX, 1 (1997) 521.
972Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 28: AAS 80 (1988) 548-550.
973Cfr., ad esempio, Pontificio Consiglio della Cultura - Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, Gesù Cristo portatore dell'acqua viva. Una riflessione cristiana sul « New Age », Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2003, p. 35.
974Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti ad un Convegno su ambiente e salute (24 marzo 1997), 5: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XX, 1 (1997) 522.
975Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti ad un Convegno su ambiente e salute (24 marzo 1997), 4: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XX, 1 (1997) 521.
976Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 38: AAS 83 (1991) 841.
977Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 34: AAS 80 (1988) 559-560.
978Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti ad un Convegno su ambiente e salute (24 marzo 1997), 5: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XX, 1 (1997) 522.
979Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 40: AAS 83 (1991) 843.
980Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 34: AAS 80 (1988) 559.
981Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 34: AAS 80 (1988) 559.
982Giovanni Paolo II, Esort. ap. Ecclesia in America, 25: AAS 91 (1999) 760.
983Giovanni Paolo II, Omelia in Val Visdende nella festa votiva di San Giovanni Gualberto (12 luglio 1987): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 (1987) 67.
984Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 17: AAS 59 (1967) 266.
985Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 37: AAS 83 (1991) 840.
986Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990, 9: AAS 82 (1990) 152.
987Giovanni Paolo II, Discorso alla Corte e alla Commissione europee dei diritti dell'uomo, Strasburgo (8 ottobre 1988), 5: AAS 81 (1989) 685; cfr. Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990, 9: AAS 82 (1990) 152; Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 10: AAS 91 (1999) 384-385.
988Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 10: AAS 91 (1999) 384-385.
989Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 26: AAS 80 (1988) 546.
990Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 34: AAS 80 (1988) 559-560.
991Giovanni Paolo II, Allocuzione alla XXV Sessione della Conferenza della F.A.O. (16 novembre 1989), 8: AAS 82 (1990) 673.
992Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso a un Gruppo di studio della Pontificia Accademia delle Scienze (6 novembre 1987): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 (1987) 1018-1020.
993Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 40: AAS 83 (1991) 843.
994Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze (28 ottobre 1994): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVII, 2 (1994) 567-568.
995Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti ad un Symposium sulla fisica (18 dicembre 1982): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V, 3 (1982) 1631-1634.
996Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso ai popoli autoctoni dell'Amazzonia, Manaus (10 luglio 1980): AAS 72 (1980) 960-961.
997Cfr. Giovanni Paolo II, Omelia durante la liturgia della Parola per le popolazioni autoctone dell'Amazzonia peruviana (5 febbraio 1985), 4: AAS 77 (1985) 897-898; cfr. anche Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Per una migliore distribuzione della terra. La sfida della riforma agraria (23 novembre 1997), 11, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, pp. 15-16.
998Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso agli aborigeni dell'Australia (29 novembre 1986), 4: AAS 79 (1987) 974-975.
999Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso agli indigeni del Guatemala (7 marzo 1983), 4: AAS 75 (1983) 742-743; Id., Discorso ai popoli autoctoni del Canada (18 settembre 1984), 7-8: AAS 77 (1985) 421-422; Id., Discorso ai popoli autoctoni dell'Ecuador (31 gennaio 1985), II.1: AAS 77 (1985) 861; Id., Discorso agli aborigeni dell'Australia (29 novembre 1986), 10: AAS 79 (1987) 976-977.
1000Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso agli aborigeni dell'Australia (29 novembre 1986), 4: AAS 79 (1987) 974-975; Id., Discorso agli Amerindi (14 settembre 1987), 4: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 (1987) 514-515.
1001Cfr. Pontificia Academia Pro Vita, Biotecnologie animali e vegetali. Nuove frontiere e nuove responsabilità, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1999.
1002Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze (23 ottobre 1982), 6: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V, 3 (1982) 898.
1003Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze (3 ottobre 1981): AAS 73 (1981) 668-672.
1004Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze (23 ottobre 1982): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V, 3 (1982) 895-898; Id., Discorso ai partecipanti al Convegno promosso dall'Accademia Nazionale delle Scienze nel bicentenario della fondazione (21 settembre 1982): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V, 3 (1982) 511-515.
1005Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 69: AAS 58 (1966) 1090-1092; Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 22: AAS 59 (1967) 268.
1006Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 25: AAS 80 (1988) 543; cfr. Id., Lett. enc. Evangelium vitae, 16: AAS 87 (1995) 418.
1007Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 25: AAS 80 (1988) 543-544.
1008Giovanni Paolo II, Messaggio alla Signora Nafis Sadik, Segretario generale della Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo (18 marzo 1994), 3: AAS 87 (1995) 191.
1009Giovanni Paolo II, Messaggio al Card. Geraldo Majella Agnelo in occasione della Campagna della Fraternità della Conferenza Episcopale del Brasile (19 gennaio 2004): L'Osservatore Romano, 4 marzo 2004, p. 5.
1010Giovanni Paolo II, Messaggio al Card. Geraldo Majella Agnelo in occasione della Campagna della Fraternità della Conferenza Episcopale del Brasile (19 gennaio 2004): L'Osservatore Romano, 4 marzo 2004, p. 5.
1011Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2003, 5: AAS 95 (2003) 343; Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Water, an Essential Element for Life. A Contribution of the Delegation of the Holy See on the occasion of the 3rd World Water Forum, Kyoto, 16-23 marzo 2003.
1012Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 36: AAS 83 (1991)
838-840.
1013Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 36: AAS 83 (1991) 839.
1014Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso al Centro delle Nazioni Unite, Nairobi (18 agosto 1985), 5: AAS 78 (1986) 92.
1015Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1986, 1: AAS 78 (1986) 278-279.
1016Cfr. Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1969: AAS 60 (1968) 771; Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 4: AAS 96 (2004) 116.
1017Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1982, 4: AAS 74 (1982) 328.
1018Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 78: AAS 58 (1966) 1101-1102.
1019Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 51: AAS 83 (1991)
856-857.
1020Cfr. Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1972: AAS 63 (1971) 868.
1021Cfr. Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1969: AAS 60 (1968) 772; Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 12: AAS 91 (1999) 386-387.
1022Pio XI, Lett. enc. Ubi arcano: AAS 14 (1922) 686. Nell'Enciclica si fa riferimento a San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 29 art. 3, ad 3um: Ed. Leon. 8, 238; cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 78: AAS 58 (1966) 1101-1102.
1023Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 76: AAS 59 (1967) 294-295.
1024Cfr. Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1974: AAS 65 (1973) 672.
1025Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2317.
1026Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomatico (13 gennaio 1997), 3: AAS 89 (1997) 474.
1027Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 78: AAS 58 (1966) 1101; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2304.
1028Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 78: AAS 58 (1966) 1101.
1029Giovanni Paolo II, Discorso presso Drogheda, Irlanda (29 settembre 1979), 9: AAS 71 (1979) 1081; cfr. Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 37: AAS 68 (1976) 29.
1030Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze (12 novembre 1983), 5: AAS 76 (1984) 398-399.
1031Catechismo della Chiesa Cattolica, 2306.
1032Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 77: AAS 58 (1966) 1100; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2307-2317.
1033Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 80: AAS 58 (1966) 1103-1104.
1034Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 291.
1035Leone XIII, Allocuzione al Collegio dei Cardinali, Acta Leonis XIII, 19 (1899) 270-272.
1036Giovanni Paolo II, Incontro con gli Officiali del Vicariato di Roma (17 gennaio 1991): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIV, 1 (1991) 132; cfr. Id., Discorso ai Vescovi di Rito Latino della Regione Araba (1º ottobre 1990), 4: AAS 83 (1991) 475.
1037Cfr. Paolo VI, Discorso ai Cardinali (24 giugno 1965): AAS 57 (1965) 643-644.
1038Benedetto XV, Appello ai Capi dei popoli belligeranti (1º agosto 1917): AAS 9 (1917) 423.
1039Giovanni Paolo II, Preghiera per la pace durante l'Udienza Generale (16 gennaio 1991): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIV, 1 (1991) 121.
1040Pio XII, Radiomessaggio (24 agosto 1939): AAS 31 (1939) 334; Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1993, 4: AAS 85 (1993) 433-434; cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 288.
1041Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 79: AAS 58 (1966) 1102-1103.
1042Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 11: AAS 91 (1999) 385.
1043Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomatico (13 gennaio 2003), 4: AAS 95 (2003) 323.
1044Paolo VI, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (4 ottobre 1965), 5: AAS 57 (1965) 881.
1045Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 51: AAS 83 (1991) 857.
1046Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 52: AAS 83 (1991) 858.
1047Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 288-289.
1048Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 291.
1049Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2265.
1050Catechismo della Chiesa Cattolica, 2309.
1051Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Il commercio internazionale delle armi (1º maggio 1994), I, 6, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994, p. 12.
1052Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 79: AAS 58 (1966) 1103.
1053Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 6: AAS 96 (2004) 117.
1054Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 79: AAS 58 (1966) 1102-1103; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2310.
1055Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio al III Convegno internazionale degli Ordinari militari (11 marzo 1994), 4: AAS 87 (1995) 74.
1056Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2313.
1057Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 79: AAS 58 (1966) 1103; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2311.
1058Giovanni Paolo II, Angelus Domini (7 marzo 1993), 4: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVI, 1 (1993) 589; Id., Discorso al Consiglio dei Ministri OSCE (30 novembre 1993), 4: AAS 86 (1994) 751.
1059Giovanni Paolo II, Discorso all'Udienza generale (11 agosto 1999): L'Osservatore Romano, 12 agosto 1999, p. 5.
1060Giovanni Paolo II, Messaggio per la Quaresima 1990, 3: AAS 82 (1990) 802.
1061Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 7: AAS 91 (1999) 382; Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2000, 7: AAS 92 (2000) 362.
1062Giovanni Paolo II, Regina coeli (18 aprile 1993), 3: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVI, 1 (1993) 922; cfr. Commissione per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo, Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah (16 marzo 1998), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998.
1063Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2000, 11: AAS 92 (2000) 363.
1064Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomatico (16 gennaio 1993), 13: AAS 85 (1993) 1247-1248; Id., Discorso pronunciato in occasione della Conferenza Internazionale sulla Nutrizione, organizzata dalla FAO e dall'OMS (5 dicembre 1992), 3: AAS 85 (1993) 922-923; Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 9: AAS 96 (2004) 120.
1065Cfr. Giovanni Paolo II, Angelus Domini (14 giugno 1998): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXI, 1 (1998) 1376; Id., Discorso al Congresso mondiale sulla pastorale dei diritti umani (4 luglio 1998), 5: L'Osservatore Romano, 5 luglio 1998, p. 5; Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 7: AAS 91 (1999) 382; cfr. anche Pio XII, Discorso al VI Congresso internazionale di diritto penale (3 ottobre 1953): AAS 45 (1953) 730-744.
1066Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomatico (9 gennaio 1995), 7: AAS 87 (1995) 849.
1067Giovanni Paolo II, Messaggio per il 40º anniversario dell'ONU (14 ottobre 1985), 6: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII, 2 (1985) 988.
1068Cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Il commercio internazionale delle armi (1º maggio 1994), I, 9-11, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994, p. 13.
1069Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2316; Giovanni Paolo II, Discorso al Mondo del Lavoro, Verona, Italia (17 aprile 1988), 6: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XI, 1 (1988) 940.
1070Catechismo della Chiesa Cattolica, 2315.
1071Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 80: AAS 58 (1966) 1104; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2314; Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1986, 2: AAS 78 (1986) 280.
1072Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomatico (13 gennaio 1996), 7: AAS 88 (1996) 767-768.
1073La Santa Sede ha voluto diventare parte degli strumenti giuridici relativi alle armi nucleari, biologiche e chimiche per sostenere le iniziative della Comunità internazionale in tal senso.
1074Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 80: AAS 58 (1966) 1104.
1075Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 11: AAS 91 (1999) 385-386.
1076Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 11: AAS 91 (1999) 385-386.
1077Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 11: AAS 91 (1999) 385-386.
1078Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2297.
1079Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002, 4: AAS 94 (2002) 134.
1080Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 79: AAS 58 (1966) 1102.
1081Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002, 5: AAS 94 (2002) 134.
1082Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 8: AAS 96 (2004) 119.
1083Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 8: AAS 96 (2004) 119.
1084Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 8: AAS 96 (2004) 119.
1085Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002, 5: AAS 94 (2002) 134.
1086Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso ai rappresentanti del mondo della cultura, dell'arte e della scienza, Astana, Kazakhstan (24 settembre 2001), 5: L'Osservatore Romano, 24-25 settembre 2001, p. 16.
1087Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002, 7: AAS 94 (2002) 135-136.
1088Cfr. Decalogo di Assisi per la pace, n. 1, contenuto nella Lettera inviata da Giovanni Paolo II ai Capi di Stato e di Governo il 24 febbraio 2002: L'Osservatore Romano, 4-5 marzo 2002, p. 1.
1089Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2000, 20: AAS 92 (2000) 369.
1090Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1988, 3: AAS 80 (1988) 282-284.
1091Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 9: AAS 96 (2004) 120.
1092Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002, 9: AAS 94 (2002) 136-137; Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 10: AAS 96 (2004) 121.
1093Giovanni Paolo II, Lett. Nel cinquantesimo anniversario dell'inizio della Seconda Guerra Mondiale, 2: AAS 82 (1990) 51.
1094Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1997, 3 e 4: AAS 89 (1997) 193.
1095Cfr. Pio XII, Discorso al VI Congresso internazionale di diritto penale (3 ottobre 1953): AAS 65 (1953) 730-744; Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomatico (13 gennaio 1997), 4: AAS 89 (1997) 474-475; Id. Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 7: AAS 91 (1999) 382.
1096Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1997, 3.4.6: AAS 89 (1997) 193. 196-197.
1097Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 11: AAS 91 (1999) 385.
1098Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1992, 4: AAS 84 (1992) 323-324.
1099Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1968: AAS 59 (1967) 1098.
1100Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 10: AAS 56 (1964) 102.
1101Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 11: AAS 57 (1965) 15.
1102La celebrazione eucaristica inizia con un saluto di pace, il saluto di Cristo ai discepoli. Il Gloria è una richiesta di pace per tutto il popolo di Dio sulla terra. La preghiera per la pace, nelle anafore della S. Messa, si articola in un appello per la pace e l'unità della Chiesa; per la pace per l'intera famiglia di Dio in questa vita; per il progresso della pace e la salvezza del mondo. Durante il rito della comunione, la Chiesa prega affinché il Signore dia « la pace nei nostri giorni » e ricorda il dono di Cristo che consiste nella Sua pace, invocando « la pace e l'unità » del Suo regno. L'Assemblea prega anche affinché l'Agnello di Dio tolga i peccati del mondo e « dia la pace ». Prima della comunione, tutta l'Assemblea si scambia un gesto di pace; la celebrazione eucaristica si conclude col congedo dell'Assemblea nella pace di Cristo. Molte sono le preghiere che, durante la S. Messa, invocano la pace nel mondo; in esse la pace è a volte associata alla giustizia, come ad esempio nel caso della preghiera di apertura dell'Ottava Domenica del Tempo Ordinario con la quale la Chiesa chiede a Dio che gli eventi di questo mondo si realizzino sempre nel segno della giustizia e della pace, secondo la Sua volontà.
1103Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1968: AAS 59 (1967) 1100.
1104Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1976: AAS 67 (1975) 671.
1105Cfr. Congregazione per il Clero, Direttorio generale per la catechesi, 18, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, p. 24.
1106Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 11: AAS 83 (1991)
259-260.
1107Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 5: AAS 83 (1991) 799.
1108Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 5: AAS 83 (1991) 799.
1109Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 22: AAS 58 (1966) 1043.
1110Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 52: AAS 83 (1991) 300; cfr. Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 20: AAS 68 (1976) 18-19.
1111Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 11: AAS 83 (1991) 259-260.
1112Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 35: AAS 81 (1989) 458.
1113Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 5: AAS 83 (1991) 800.
1114Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 11: AAS 83 (1991) 259.
1115Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 51: AAS 63 (1971) 440.
1116Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 57: AAS 83 (1991) 862.
1117Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 48: AAS 80 (1988) 583-584.
1118Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 76: AAS 58 (1966) 1099-1100.
1119Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 453; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 54: AAS 83 (1991) 859-860.
1120Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 265-266.
1121Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 60: AAS 81 (1989) 511.
1122Cfr. Congregazione per il Clero, Direttorio generale per la catechesi, 30, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, p. 33.
1123Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi tradendae, 18: AAS 71 (1979) 1291-1292.
1124Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi tradendae, 5: AAS 71 (1979) 1281.
1125Cfr. Congregazione per il Clero, Direttorio generale per la catechesi, 54, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, p. 56.
1126Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi tradendae, 29: AAS 71 (1979) 1301- 1302; cfr. anche Congregazione per il Clero, Direttorio generale per la catechesi, 17, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, p. 23.
1127Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, 8: AAS 58 (1966) 935.
1128Giovanni Paolo II, Lett. enc. Veritatis splendor, 107: AAS 85 (1993) 1217.
1129Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 81: AAS 59 (1967) 296-297.
1130Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 75: AAS 58 (1966) 1097-1099.
1131Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 75: AAS 58 (1966) 1098.
113230 dicembre 1988, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988.
1133Cfr. Concilio Vaticano II, Dich. Nostra aetate, 4: AAS 58 (1966) 742-743.
1134Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 32: AAS 80 (1988) 556-557.
113527 ottobre 1986; 24 gennaio 2002.
1136Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 2: AAS 83 (1991) 250.
1137Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 3: AAS 83 (1991) 795.
1138Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 3: AAS 83 (1991) 796.
1139Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 31: AAS 57 (1965) 37.
1140Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 31: AAS 57 (1965) 37.
1141Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 15: AAS 81 (1989) 415.
1142Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 24: AAS 81 (1989)
433-435.
1143Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 76: AAS 58 (1966) 1099.
1144Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 31: AAS 57 (1965) 37-38.
1145Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 59: AAS 81 (1989) 509.
1146Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1806.
1147L'esercizio della prudenza comporta un itinerario formativo per acquisire le necessarie qualità: la « memoria » come capacità di ritenere le proprie esperienze passate in modo obiettivo, senza falsificazioni (cfr. San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 49, a. 1: Ed. Leon. 8, 367); la « docilitas » (docilità), che è capacità di lasciarsi istruire e di trarre vantaggio dall'esperienza altrui sulla base dell'autentico amore per la verità (cfr. San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 49, a. 3: Ed. Leon. 8, 368-369); la « solertia » (solerzia), cioè l'abilità nell'affrontare gli imprevisti agendo in modo obiettivo, per volgere ogni situazione al servizio del bene, vincendo le tentazioni di intemperanza, ingiustizia, viltà (cfr. San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 49, a. 4: Ed. Leon. 8, 369-370). Queste condizioni di tipo conoscitivo consentono di sviluppare i presupposti necessari al momento decisionale: la « providentia » (previdenza), che è capacità di valutare l'efficacia di un comportamento in vista del conseguimento del fine morale (cfr. San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 49, a. 6: Ed. Leon. 8, 371), e la « circumspectio » (circospezione) ovvero la capacità di valutazione delle circostanze che concorrono a costituire la situazione nella quale va effettuata l'azione (cfr. San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 49, a. 7: Ed. Leon. 8, 372). La prudenza si specifica, nell'ambito della vita sociale, in due forme particolari: la prudenza « regnativa », ovvero la capacità di ordinare ogni cosa al massimo bene della società (cfr. San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 50, a. 1: Ed. Leon. 8, 374), e la prudenza « politica » che porta il cittadino ad obbedire, eseguendo le indicazioni dell'autorità (cfr. San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 50, a. 2: Ed. Leon. 8, 375), senza compromettere la propria dignità di persona (cfr. San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, qq. 47-56: Ed. Leon. 8, 348-406).
1148Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 30: AAS 81 (1989)
446-448.
1149Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 62: AAS 81 (1989) 516-517.
1150Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 455.
1151Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 29: AAS 81 (1989) 443.
1152Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 76: AAS 58 (1966) 1099.
1153Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 454; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 57: AAS 83 (1991) 862-863.
1154Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 91: AAS 58 (1966) 1113.
1155Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 37: AAS 81 (1989) 460.
1156Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 218.
1157Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 218.
1158Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae (22 febbraio 1987): AAS 80 (1988) 70-102.
1159Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 39: AAS 81 (1989) 466.
1160Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 39: AAS 81 (1989) 466.
1161Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 42-48: AAS 74 (1982) 134-140.
1162Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 43: AAS 58 (1966) 1062.
1163Giovanni Paolo II, Discorso all'UNESCO (2 giugno 1980), 7: AAS 72 (1980) 738.
1164Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota Dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica (24 novembre 2002), 7, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, p. 15.
1165Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 59: AAS 58 (1966) 1079-1080.
1166Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 50: AAS 83 (1991) 856.
1167Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso all'UNESCO (2 giugno 1980), 11: AAS 72 (1980) 742.
1168Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 60: AAS 58 (1966) 1081.
1169Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 61: AAS 58 (1966) 1082.
1170Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 24: AAS 83 (1991) 822.
1171Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 24: AAS 83 (1991)
821-822.
1172Cfr. Concilio Vaticano II, Decr. Inter mirifica, 4: AAS 56 (1964) 146.
1173Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Fides et ratio, 36-48: AAS 91 (1999) 33-34.
1174Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 55: AAS 83 (1991) 861.
1175Giovanni Paolo II, Messaggio per la XXXIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 1999, 3: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXII, 1 (1999) 283.
1176Catechismo della Chiesa Cattolica, 2495.
1177Cfr. Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Etica nelle comunicazioni sociali (4 giugno 2000), 14, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000, pp. 16-17.
1178Cfr. Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Etica nelle comunicazioni sociali (4 giugno 2000), 33, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000, pp. 43-44.
1179Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota Dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica (24 novembre 2002), 3, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, p. 8.
1180Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 41: AAS 80 (1988) 570.
1181Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2000, 14: AAS 92 (2000) 366.
1182Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2000, 17: AAS 92 (2000) 367-368.
1183Cfr. Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 46: AAS 63 (1971) 433-436.
1184Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 36: AAS 80 (1988) 561-563.
1185Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota Dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica (24 novembre 2002), 6, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, p. 13.
1186Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 46: AAS 83 (1991) 850.
1187Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 74: AAS 58 (1966) 1095-1097.
1188Cfr. Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 8, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988, pp. 13-14.
1189Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota Dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica (24 novembre 2002), 7, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, p. 16.
1190Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 46: AAS 83 (1991)
850-851.
1191Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota Dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica (24 novembre 2002), 4, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, p. 9.
1192Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, 73: AAS 87 (1995)
486-487.
1193Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 39: AAS 81 (1989)
466-468.
1194Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 76: AAS 58 (1966) 1099-1100.
1195Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota Dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica (24 novembre 2002), 6, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, p. 11.
1196Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota Dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica (24 novembre 2002), 6, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, p. 12.
1197Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota Dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica (24 novembre 2002), 6, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, pp. 12-13.
1198Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomatico (12 gennaio 2004), 3: L'Osservatore Romano, 12-13 gennaio 2004, p. 5.
1199Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota Dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica (24 novembre 2002), 6, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, p. 14.
1200Cfr. Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 46: AAS 63 (1971) 433-435.
1201Cfr. Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 46: AAS 63 (1971) 433-435.
1202Cfr. Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 50: AAS 63 (1971) 439-440.
1203Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 4: AAS 63 (1971) 403-404.
1204Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 43: AAS 58 (1966) 1063.
1205Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 43: AAS 58 (1966) 1063.
1206Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 41: AAS 58 (1966) 1059.
1207Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 451.
1208Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 41: AAS 58 (1966) 1059.
1209Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 41: AAS 58 (1966)
1059-1060.
1210Pio XII, Lett. enc. Summi Pontificatus: AAS 31 (1939) 425.
1211Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 55: AAS 83 (1991) 860-861.
1212Giovanni Paolo II, Lett. enc. Veritatis splendor, 98: AAS 85 (1993) 1210; cfr. Id., Lett. enc. Centesimus annus, 24: AAS 83 (1991) 821-822.
1213Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 29: AAS 93 (2001) 285.
1214Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 47: AAS 80 (1988) 580.
1215Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 451.
1216Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 35: AAS 57 (1965) 40.
1217Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 10: AAS 83 (1991) 805-806.
1218Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 40: AAS 80 (1988) 568.
1219Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 38: AAS 58 (1966) 1055- 1056; cfr. Id., Cost. dogm. Lumen gentium, 42: AAS 57 (1965) 47-48; Catechismo della Chiesa Cattolica, 826.
1220Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1889.
1221Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 143; cfr. Benedetto XV, Lett. enc. Pacem Dei: AAS 12 (1920) 215.
1222Cfr. San Tommaso d'Aquino, QD De caritate, a. 9, c: San Tommaso d'Aquino, Le Questioni Disputate. Testo latino di S. Tommaso e traduzione italiana, v. Quinto; 1 - Le Virtù (De virtutibus in communi, De caritate, De correctione fraterna, De spe, De virtutibus cardinalibus) 2 - L'unione del Verbo incarnato (De unione Verbi incarnati), Introduzione di P. Abelardo Lobato, O.P., trad. di P. Pietro Lippini, O.P. (Le virtù) e P. Roberto Coggi, O.P. (L'unione del Verbo incarnato), Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2002, pp. 368-381; Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 206- 207; Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 410; Paolo VI, Discorso alla FAO (16 novembre 1970), 11: AAS 62 (1970) 837-838; Giovanni Paolo II, Discorso ai membri della Pontificia Commissione « Iustitia et Pax » (9 febbraio 1980), 7: AAS 72 (1980) 187.
1223Cfr. Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 46: AAS 63 (1971) 433-435.
1224Cfr. Concilio Vaticano II, Decr. Apostolicam actuositatem, 8: AAS 58 (1966) 844-845; Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 44: AAS 59 (1967) 279; Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 42: AAS 81 (1989) 472-476; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1939.
1225Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis, 15: AAS 71 (1979) 288.
1226Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dives in misericordia, 14: AAS 72 (1980) 1223.
1227Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 10: AAS 96 (2004) 121; cfr. Id., Lett. enc. Dives in misericordia, 14: AAS 72 (1980) 1224; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2212.
1228San Giovanni Crisostomo, Homilia De perfecta caritate, 1, 2: PG 56, 281-282.
1229Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 49-51: AAS 93 (2001) 302-304.
1230Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 5: AAS 83 (1991)
798-800.
1231Catechismo della Chiesa Cattolica, 1889.
1232Santa Teresa di Gesù Bambino, Atto di offerta all'Amore misericordioso: Preghiere: Opere complete, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, pp. 942-943, citato in Catechismo della Chiesa Cattolica, 2011.