Nella recensione del libro inchiesta sui musulmani che in Italia vogliono convertirsi al cristianesimo, abbiamo visto il dramma umano di persone che si sentono emarginate (o addirittura braccate) dalla loro comunità di origine, e non accolte in quella che dovrebbe essere la loro nuova comunità.
E' un dramma anche politico e civile, perché alcune persone non vengono tutelate in una delle libertà umane fondamentali, garantite anche dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dalle Nazioni Unite.
Ed è un dramma che diventa sconfortante leggendo l'intervista che monsignor Walter Ruspi, direttore dell'ufficio catechistico della Cei, ha rilasciato al mensile Jesus (giugno 2006). Alla domanda: "Sul delicato tema delle conversioni dall'islam ci sono indicazioni particolari?", monsignor Ruspi risponde: "Non è un fenomeno uniforme. In Italia non esistono dati certi, ma noi stimiamo in circa il 2-3 per cento gli adulti che chiedono il battesimo. Ci siamo dati linee di comportamento precise: se la persona, immigrata, pensa che la sua presenza nelle nostre realtà sarà provvisoria, gli consigliamo di soprassedere perché abbracciare la fede cristiana sarebbe pericoloso una volta rientrato in un Paese islamico".
"Gli consigliamo di soprassedere...". Dateci tutte le spiegazioni di questo mondo sulla "cautela", la "prudenza", il "rispetto" (di che cosa?): ma possono tradursi in un capovolgimento del più elementare spirito di accoglienza, oltre che del precetto evangelico: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19)? Oltre che buoni "consigli", non siamo in grado di offrire anche aiuto concreto?
Chi bussa alle nostre porte... le troverà sprangate.