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Temi caldi - Pace, terrorismo
La sfida del terrore: un salto di qualità dopo l'11 settembre 2011 Stampa E-mail
Quanto è grave la minaccia del terrorismo islamista? Quali le cause, gli obiettivi che si pone?
      Scritto da Francesco Cassani
04/02/05
Ultimo Aggiornamento: 08/09/11
Bush a caccia di Bin Laden...

Le nostre democrazie hanno certo la forza di affrontare e vincere la minaccia terrorista portata su scala mondiale dall’integralismo islamico (o islamista), senza subire ulteriori lutti inutili. Purché ci sia una consapevolezza comune del pericolo che si sta correndo, senza cercare di nascondere la testa sotto la sabbia.

Sembrerebbe un'ovvietà, ma purtroppo non è così. Esistono molti che sottovalutano il terrorismo o che, in qualche modo, addirittura lo giustificano. Sono quelli che dicono: "bisogna distinguere tra terrorismo e resistenza", oppure "dopotutto ce la siamo cercata". Sono quelli che, dopo la tragedia dell'11 settembre 2001 (l'abbattimento delle Torri Gemelle a New York), si sono detti sottovoce: "ben gli sta agli Americani!". Sono i giovani idioti che, dopo l'attentato a Londra del 7 luglio 2005, hanno mandato messaggini di approvazione all'emittente televisiva MTV.

Chiariamo subito un punto: un'analisi e una denuncia anche severa delle ingiustizie politiche ed economiche non può mai servire a giustificare una violenza cieca, indiscriminata e generale. Bisogna da un lato approfondire la natura delle ingiustizie (verificando quali sono vere e quali espressioni di ingiustificato vittimismo), trovare le cause reali, cercare le soluzioni conseguenti; dall'altro, contemporaneamente, combattere la violenza che usa l'alibi di presunte ingiustizie.

Per mettere a fuoco il problema è bene fissare alcuni punti fermi:

1) Esiste una guerra tra terrorismo e Occidente. Essere per la pace non significa far finta di non vedere le guerre che esistono; altrimenti si rinuncia a cercare la soluzione per porvi termine, o per evitare che si inaspriscano.

2) Questa guerra è stata dichiarata dal terrorismo. Le azioni militari intraprese dagli Stati Uniti, col supporto innanzitutto della Gran Bretagna, sono state una reazione ad un'aggressione subìta, che ha avuto il suo apice con gli attentati dell'11 settembre. Un'aggressione che aveva già avuto precedenti nel fallito attentato alle Torri gemelle del 1993 (organizzato dallo sceicco cieco Rahman), negli attentati stragisti contro le ambasciate americane. Il punto di partenza del terrorismo di matrice religiosa, forse, si può rinvenire nella rivoluzione iraniana del 1979. Ma il panarabismo aveva iniziato a far ricorso al terrorismo già alla fine degli anni 60.
Addentrarsi nelle teorie politico-economiche sull'Occidente "sfruttatore" è esercizio che non individua il nocciolo del problema: non dimentichiamo che nel Paese islamico più povero, la Mauritania, il terrorismo non ha attecchito; o che undici dei diciannove dirottatori dell'11 settembre venivano dalla ricca Arabia Saudita (altri erano studenti in Europa o figli di diplomatici). E in ogni caso non si può dimenticare da che parte è venuto l'attacco violento. Vedremo oltre se è possibile ritenere che la reazione sia stata equilibrata e proporzionata; ma era inevitabile che vi fosse una reazione.

3) Abbiamo di fronte un vero e proprio "terrorismo", i cui metodi non ammettono giustificazioni. Il "terrorismo" è quel fenomeno che non si pone limiti, che non reagisce ad aggressioni, che non ha per obiettivi principali quelli militari. Il progresso civile non si vede solo dalla spinta per l'eliminazione totale della guerra, ma anche dalla capacità di porre degli argini al modo in cui può essere combattuta. Chi dice "la guerra è sempre orribile, non ha senso fare distinzioni", finisce con l'assecondare le peggiori violenze (a volte, si sa, l'ottimo è nemico del bene). Le oltre duemila vittime civili dell'attacco a New York non sono state vittime indirette e indesiderate di un attacco militare: erano l'obiettivo diretto, perché il terrorismo - come dice la parola stessa - vuole generare terrore e distruzione. Così non ci sembra si possa dare giustificazione ragionevole alla bomba fatta esplodere a Bagdad intenzionalmente tra i bambini, massacrandone oltre trenta; né allo sterminio a freddo di altri trecento bambini a Beslan, in Ossezia (ricordate?); né alla decapitazione di  ostaggi civili: che minaccia rappresenta un prigioniero, quand'anche fosse una spia o un militare?
Tutti siamo potenziali bersagli del terrorismo, per il semplice fatto di essere cittadini occidentali: condividiamo tutti in ugual misura le "colpe" della nostra società? Questo non è bieco "razzismo"?
Alcuni segnalano che anche gli eserciti occidentali si macchiano talora di crimini: ebbene, se giustamente chiediamo che questi crimini siano puniti severamente, ciò significa che sappiamo riconoscerli, e che quindi possiamo combatterli anche e soprattutto quando si manifestano nella forma più selvaggia, con gli attacchi terroristici. Altrimenti si tratta di distinguo da azzeccagarbugli.

4) Il terrorismo che abbiamo di fronte è un nemico irriducibile. Il terrorismo di matrice islamica (o, meglio, "islamista") coordinato da Al Qaeda, ma anche quello che si organizza in gruppi spontanei, non è purtroppo l'espressione di gruppi etnici o politici che fanno ricorso a metodi inaccettabili per raggiungere nuovi equilibri politici. Il loro obiettivo non è combattere lo "sfruttamento delle multinazionali" (anche perché i terroristi hanno studiato spesso in Occidente, sono di estrazione borghese, eseguono strategie disegnate in oligarchiche del potere politico-finanziario di alcuni Paesi islamici). I loro obiettivi sono radicali: conquistare la guida dei Paesi arabi e gestirne le risorse petrolifere; piegare l'Occidente e i suoi valori di democrazia e libertà, nel timore che vengano conosciuti e apprezzati dai popoli islamici; costruire una grande nazione islamica, un nuovo califfato, con pretese espansionistiche (eliminazione di Israele; strategia di penetrazione culturale in Europa, Africa, Oriente; riconquista - addirittura - di Spagna, Sicilia, Balcani, ecc.). Non si tratta di ipotesi allarmistiche, ma degli obiettivi proclamati dagli islamisti e finanziati generosamente da molti Paesi arabi. Obiettivi che, nella loro interezza, appaiono folli e irrealizzabili. Ma il sangue versato per inseguirli è molto reale.
Non stiamo facendo dietrologia; si tratta semplicemente del contenuto dei proclami di Bin Laden e compagni. Ricordiamo ad esempio cosa disse Al Zarqawi (il tagliatore di teste che era luogotenente di Bin Laden in Iraq) nell'appello contro il voto in Iraq: "La democrazia si basa sulla libertà di credo e di religione che permette a una persona di scegliere la fede che vuole; si basa sulla libertà di parola, qualsiasi forma essa abbia, anche se insulta la religione; si basa sulla separazione tra Stato e Chiesa che contraddice i principi dell’Islam; si basa sui partiti politici e sui gruppi, al di là della loro ideologia, sulla regola della maggioranza, anche se è corrotta, che permette all’infedeltà e alle pratiche sbagliate di moltiplicarsi. O musulmani! Non fate la pace con chi vuole la democrazia, con chi fa pace con voi solo a patto che rinunciate alla vostra religione e con chi a questa obbedisce".  La forza terribile di questo terrorismo è dimostrata dalla capacità di reclutare kamikaze, persone in cui il disprezzo per la vita è così forte da coinvolgere non solo quella degli altri, ma anche la propria. Il volantino di rivendicazione dell'attentato a Madrid dell'11 marzo 2004 (oltre duecento morti) così recitava: "noi vi sconfiggeremo, perché voi amate la vita, mentre noi amiamo la morte". (Piccolo promemoria per chi scambia i kamikaze per martiri coraggiosi: "martire" è una persona che ama la vita, disposto a sacrificare la propria solo se necessario, per salvare altre vite - e non per eliminarne - o per difendere la libertà, e solo subendo una violenza esterna, mai dandosi la morte intenzionalmente).
L'ideologia antioccidentale può attecchire perché nel mondo islamico si è sviluppato un clima d'intolleranza e un vittimismo che attribuisce all'Occidente il proprio sottosviluppo (mentre invece questo è dovuto all'incapacità di entrare nella modernità, che non consente neanche di capitalizzare la ricchezza prodotta dalle risorse petrolifere). Questo vittimismo è stato colpevolmente alimentato dalle classi dirigenti dei Paesi islamici (e soprattutto arabi): non dimentichiamo che in quei Paesi sono al governo solo regimi autoritari, più o meno rigidi, e che il miglior modo di ogni regime di distogliere l'attenzione dalle proprie responsabilità è quello di additare un "nemico esterno". Ora però il vittimismo è brodo di cultura degli integralisti, e rischia di ritorcersi contro le classi dirigenti più moderate. Il ruolo dell'Occidente dovrà quindi essere quello di difendere i regimi più disposti alla collaborazione e ad un'evoluzione democratica (Egitto, Marocco, Giordania, ecc.), evitando che ad essi subentri il male peggiore delle dittature integraliste (come quella iraniana, dove si possono votare solo i candidati 'approvati' dal Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione...)

5) Evidenziare la matrice ideologica - l'integralismo islamista - di questo terrorismo non significa alimentare guerre di religione.
Infatti, non si deve vedere nell'Islam una religione necessariamente fonte di violenza, dimenticando i contesti in cui ha saputo convivere pacificamente con altre fedi. Né si deve dimenticare che tra gli obiettivi dei terroristi quello centrale è la conquista del potere: l'integralismo religioso, oltre che essere una bandiera sventolata per reclutare le masse islamiche povere e insofferenti, ha una funzione di sostegno ideologico. L'Islam "puro e duro" è utilizzato, sul fronte interno, in chiave moralistica, per attaccare le classe dirigenti "corrotte e decadenti"; e, sul fronte esterno, per creare una contrapposizione con "sionisti e crociati", che torni a spostare sul nemico esterno i problemi irrisolti.
D'altra parte, non bisogna nascondersi la novità di questi ultimi anni: il sentimento genericamente antioccidentale, antiebraico e panarabo (da cui si distinguevano, ad esempio, nazioni non arabe come la Persia-Iran) si è tramutato in integralismo islamista inteso come ideologia totalitaria, che non si arresta di fronte a nulla. Un'ideologia che si ramifica, e rende più simili gruppi sunniti e sciiti (tradizionalmente rivali, ma che iniziano a competere nella corsa al radicalismo, per contendersi l'egemonia nella lotta contro il "nemico"): nel mondo arabo, le nuove organizzazioni palestinesi di matrice religiosa (Hamas, Jiahd islamica, Hezbollah, che stanno soppiantando la più "laica" OLP), Al Qaeda, la Gia algerina, i Fratelli Musulmani egiziani (organizzazione potentissima con ramificazioni economiche e culturali anche nelle comunità islamiche del mondo occidentale), i ricchi salafiti e wahhabiti in Arabia Saudita, ecc. Ed ancora, vanno assumendo questa connotazione ideologica i gruppi terroristi nazionalisti operanti in Asia (Afghanistan - talebani -, Cecenia, repubbliche ex-sovietiche, Kashmir, Indonesia, Filippine) e in Africa (Sudan, Nigeria, "Corti islamiche" in Somalia); con atteggiamenti intolleranti ora verso i cristiani, ora verso gli induisti o i buddisti, ora verso gli animisti, a dimostrazione che la "questione palestinese" (che era alla base del terrorismo degli anni '70) è ormai solo un tassello del problema. Si tratta di un'ideologia sostenuta e finanziata non solo da lobbies potenti, che godono dei proventi del petrolio, ma addirittura apertamente da uno Stato nazionale come l'Iran e, in maniera più 'ufficiosa', dalla Siria.

Bisogna però considerare che l'ideologia dell'integralismo islamista, pur non identificandosi nella religione islamica, trova in questa numerosi elementi di ambiguità che lo caratterizzano e lo rafforzano. Ciò emerge chiaramente, come visto, dal proclama di Al Zarqawi. (Su questo tema, e sui progetti di islamizzazione dell'Occidente, vedi anche l'articolo La questione islamica).
Fondamentalmente, il tema della convivenza dell'Islam con la democrazia pluralista e la laicità dello Stato è un tema ancora irrisolto; anzi, ancora non elaborato in quella cultura, visto che il concetto di laicità è nato proprio nell'Occidente cristiano ("Date a Cesare..."). Per cui, dove gli islamici sono maggioranza, un potere oppressivo può trovare fondamento nella necessità di applicare la sharia; dove sono minoranza (come nei Paesi europei), la stessa necessità può portare a costituire minoranze isolate dal resto della società, zone franche con le proprie leggi. Nei rapporti internazionali, la jiahd è il facile alibi per le politiche aggressive. La connotazione di "infedeli" data agli avversari giustifica il ricorso ad ogni tipo di violenza, compresa quella terrorista.  La pretesa di interpretazione letterale del Corano - a quasi 1.400 anni dalla sua stesura... - consente di soffocare il dibattito culturale. E così via.
Inoltre, l'appello degli estremisti all'elemento religioso consente di ottenere una solidarietà di fondo anche nei musulmani che non ne condividono i metodi brutali, convinti in ogni caso di appartenere ad uno stesso popolo mondiale, la umma. Cosicché nelle moschee - e nei centri culturali ad esse annessi - non riesce ad emergere un progetto ideologico-culturale alternativo a quello estremista.
Ancora: è irrisolto il rapporto della cultura islamica con la modernità. La concezione della modernità come fonte di corruzione ha portato a immobilismo e arretratezza. Ed il confronto con l'impetuoso sviluppo dell'Occidente - senza comprendere che le cause di questa diversità nulla hanno a che vedere con "crociate" e sfruttamento - ha prodotto frustrazione e risentimento.
Non dimentichiamo, infine, che l'attacco è sì all'Occidente, in quanto portatore di valori liberal-democratici. Ma l'attacco è anche - gli integralisti ne sono ben consapevoli - alla matrice cristiana di tali valori. L'attacco è anche alle comunità cristiane che vivono al di fuori dei Paesi occidentali (Sudan, Pakistan, Filippine, Timor Est, Nigeria ...). La guerra di civiltà è in parte anche guerra di religione: dobbiamo esserne consapevoli, anche se dobbiamo cercare di smorzare il più possibile - come cerca di fare la Chiesa - questo fronte.
Capire la matrice ideologico-religiosa del terrorismo significa capire anche quali sono le direttrici di un'azione politica e culturale di prevenzione del terrorismo.

6) La minaccia terroristica è rivolta anche contro l'Italia? Purtroppo sì. Lo hanno detto a chiare lettere Bin Laden e compagni. Siamo un obiettivo, e non perché abbiamo partecipato all'azione di pacificazione in Iraq. Lo eravamo già prima, in quanto portatori di quella cultura occidentale che i terroristi combattono. Da anni esistono in Italia cellule occulte. In molte moschee (soprattutto quelle finanziate dai Waabiti sauditi) si incita alla violenza. Esistono centri di reclutamento dei kamikaze. Succede anche in altri Paesi europei: la Francia che ha osteggiato l'intervento americano è bersagliata per la legge sul velo islamico; l'Olanda "multiculturale" ha visto decapitato nel centro di Amsterdam il regista Theo Van Gogh, 'colpevole' di aver girato un documentario di condanna delle violenze subite dalle donne islamiche.
La sottovalutazione del terrorismo ha essenzialmente due motivazioni: la paura, la difficoltà ad ammettere che c'è un prezzo da pagare per difendere le libertà. Oppure un miope calcolo politico, il timore che una ferma presa di posizione contro il terrorismo possa essere strumentalizzata dagli avversari politici (così la sinistra italiana ha tardato ad accettare l'esistenza di un terrorismo comunista; e le nuove correnti 'terzomondiste' hanno difficoltà ad accettare che non si regge in piedi lo schema per cui le "colpe" sono sempre tutte dell'Occidente). A livello internazionale, poi, si sommano cinici calcoli d'interesse, come quelli che abbiamo visto causare la divisione dell'Europa (Francia e Germania contro gli altri Paesi) in occasione del conflitto iracheno.

Già negli anni Settanta abbiamo conosciuto l'imperdonabile sottovalutazione del pericolo terrorista, soprattutto quello rosso. Era il periodo in cui non si poteva parlare di "opposti estremismi" (il terrorismo era solo nero e di Stato); in cui le Brigate Rosse che rivendicavano gli attentati erano "sedicenti"; in cui c'erano solo "compagni che sbagliano"; in cui qualcuno diceva "né con lo Stato né con le BR". Tutto questo nonostante un lungo periodo (quasi dieci anni) di violenze di piazza, gambizzazioni, rapimenti, omicidi. Finché la morte di qualche coraggioso sindacalista come Guido Rossa non ha aperto gli occhi a tutti, creando una vera unità nazionale contro quell'attacco alla democrazia.

Ebbene, bisogna assolutamente che paure, timori, calcoli siano messi da parte, in Italia e in Europa. Di fronte al terrorismo non si può tergiversare, né fuggire (come purtroppo ha fatto in maniera sciagurata la Spagna di Zapatero), perché si finisce solo per incoraggiarlo ed alimentarlo. Bisogna prendere coscienza del fenomeno, e combatterlo: con intelligenza, con civiltà, ma anche con la massima risolutezza (culturale, innanzitutto). Bisogna sapere che dialogo non significa rinunciare a proclamare le proprie ragioni; e bisogna anche sapere che la libertà e la difesa del diritto possono comportare, a volte, un prezzo da pagare.



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