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La storia, come è stato detto, è la propaganda del vincitore. Una delle difficoltà che sorgono nell'affrontare la storia del social-comunismo deriva dal fatto che tutti noi, o la maggior parte di noi, abbiamo subito, per mezzo secolo, l'influenza di versioni intese più a presentare il quadro sovietico ufficiale che non a rivelare la verità. È vero, sì, che negli ultimi due decenni un impressionante numero di seri studiosi indipendenti si è interessato di questo settore. Però, nonostante la loro serietà e il loro prestigio, non sembra che gli studiosi siano riusciti a spazzar via per lo meno i residui di tante supposizioni infondate, penetrate nella coscienza liberale occidentale durante il periodo precedente.
Perché la vera condizione della Unione Sovietica, sotto questi riguardi, è rimasta a lungo nascosta a molti in Occidente. Ciò si deve, in parte, ovviamente, alle precauzioni delle autorità sovietiche, interessate a mantenere il più possibile la segretezza. Ma anche allora molti dati erano disponibili, grazie ai profughi, e in altre maniere. I Russi, e i loro sostenitori in tutto il mondo, negavano semplicemente la verità di tali denunzie. Pare davvero incredibile che un gran numero di queste verità, e delle prove che si confermavano a vicenda, sia stato respinto da tanta gente di buona volontà, in America e altrove. Sembra che questa gente sia stata ingannata fondamentalmente per aver accettato un quadro del mondo in cui i fatti veri non corrispondevano alla teoria, Alcuni di questi creduloni erano, in una forma o in un'altra, "socialisti", ai quali era stato detto che l'Unione Sovietica era uno Stato "socialista". Accuse o no, per questi individui era chiaro che l'URSS non era quello che essi odiavano di più, e cioè uno Stato "capitalista". Essi non avevano idea di altre possibilità. Per "socialismo" intendevano ciò che, in verità, risultava dalla stessa denominazione, vale a dire la scomparsa delle ingiustizie più gravi. Anche coloro fra di essi che acconsentivano volentieri all'uccisione di un certo numero di "capitalisti" o di fascisti, non credevano che in un regime socialista la gente potesse essere accusata, falsamente e pubblicamente, di fascismo. Né la loro immaginazione era abbastanza duttile per ammettere che uno Stato socialista volesse o potesse nascondere l'esistenza di campi di lavoro forzato, pieni di milioni di detenuti affamati. Il massimo che potevano ammettere era che un numero assai ridotto di "elementi antisociali" si stava "redimendo" con un lavoro produttivo in prigioni di un umanitarismo mai visto.
Con ciò, tuttavia, non si vuole lasciar credere neanche per un attimo che tutti i socialisti la pensassero così. C'erano molti nella sinistra, e anche all'estrema sinistra, che sapevano perfettamente come stavano le cose, e si rifiutavano di dire il contrario della verità. Ma fu tra i liberali moderati, che avevano subito il forte influsso di gente più fedele agli schemi sovietici, che si registrò il livello più alto di autoinganno.
Russia di ieri - Russia di oggi
Spesso, per tentar di giustificare il terrorismo socialista, si è detto che in pratica le cose in Russia andavano altrettanto male, e perfino peggio, nel precedente periodo zarista. Occorre subito dichiarare con fermezza che questo non è assolutamente vero. Fino al 1905, il regime zarista fu un'autocrazia nel più letterale senso della parola, e anche dopo quella data rimase il Governo più arretrato d'Europa. Tuttavia, stava facendo progressi e non c'era la fame diffusa. E, cosa ancora più importante, non aveva mai prodotto nulla che fosse anche lontanamente paragonabile al terrore del regime social-comunista.
Ad esempio, negli ultimi cinquant'anni di regime zarista, gli unici crimini passibili della pena di morte erano gli attentati alla vita dell'Imperatore, di sua moglie e dell'erede al trono, e alcune violazioni delle leggi sulla quarantena. Nel 1870 erano stati creati temporaneamente tribunali speciali contro i terroristi; ma per l'intero periodo fino al 1902 le sentenze capitali non furono più di qualche decina (eppure in quel periodo si ebbero trentanove assassinii, incluso quello dello Zar Alessandro II). Un documento confidenziale zarista parla di quarantotto esecuzioni, mentre una fonte socialista insospettabile, come la Piccola Enciclopedia, ne dà novantaquattro, dal 1866 al 1900.
L'assassinio politico prese poi sempre più piede, provocando millequattrocento morti nel 1906 e tremila nel 1907. Larghe zone della Russia vennero sottoposte a disposizioni speciali e le corti marziali giudicarono gli imputati di terrorismo e sovversione. Queste corti marziali funzionarono per pochi mesi, ma comminarono oltre mille condanne a morte (le fonti sovietiche danno millecentotrentanove esecuzioni nel 1907 e milletrecentoquaranta nel 1908, mentre parlano anche di seimila esecuzioni nel periodo 1908-1912 e di undicimila nel periodo "seguente alla rivoluzione del 1905-1907". La cifra più alta che si può ricavare da queste fonti è di circa quattordicimila vittime).
Altri crimini di cui lo zarismo può essere giustamente accusato, almeno in un senso generale, furono i pogroms contro gli ebrei, vale a dire i cittadini di religione ebraica, che ebbero inizio nella seconda metà del secolo scorso. (Paradossalmente, tali pogroms erano incoraggiati anche dai rivoluzionari dell'epoca, non per motivi razziali o religiosi, ma come una forma di terrorismo popolare contro gli "sfruttatori".) La burocrazia zarista, a vari livelli, si trovava spesso coinvolta in incitamenti a queste risse sanguinarie. Il numero degli uccisi durante l'intero periodo può aver superato il migliaio.
Parlando in generale, se poniamo un limite di venticinquemila per tutte le esecuzioni, le vittime dei pogroms e i decessi in carcere nel periodo dal 1867 al 1917, possiamo essere tranquilli. Il massimo dei detenuti, nel 1912, fu di circa centottantaquattromila. È assurdo, perciò, voler paragonare queste cifre con quelle del periodo socialista, nell'intento di legittimare le ultime con le prime.
Nei primi cinquant'anni di regime socialista, le esecuzioni sono state almeno cinquanta volte più numerose di quelle verificatesi durante l'ultimo mezzo secolo di governo zarista, mentre il numero dei detenuti ha superato di ben settanta volte quello dei detenuti zaristi in egual periodo di tempo.
Inoltre, sotto qualsiasi profilo, il trattamento riservato ai prigionieri è notevolmente peggiorato. Al tempo degli Zar, la tortura era una rara eccezione, che destava scandalo, mentre era del tutto sconosciuto il sistema degli ostaggi. Lo stesso Lenin, il più intransigente fra gli oppositori del regime zarista, dovette subire l'esilio in un villaggio dove era libero di lavorare, riceveva lettere, otteneva permessi, poteva incontrare amici, andava a caccia, e così via. Invece, nel periodo più recente, l'amico dell'amico di qualche modesto propalatore di una barzelletta contro il regime veniva spedito in un campo, dove doveva lavorare con una alimentazione da fame, e senza speranze di rilascio.
Naturalmente, si dice questo non per sostenere che il passato della Russia non c'entri per niente. Il Paese ha sempre conosciuto, soprattutto a partire dal XIII secolo, cicli di violenza spaventosa. Il vero fondatore dello Stato russo, unificato ed espansionistico, Ivan il Terribile, soleva far massacrare tutta la popolazione delle città che davano segno di indipendenza, come Pskov e Novgorod. Ivan, che destava l'ammirazione di Stalin e fu da lui riabilitato, fu anche il creatore della prima organizzazione terroristica o, meglio, polizia segreta: la Oprichnina. La sua morte fu subito seguita da un periodo di tumulti, durante i quali eserciti di pretendenti e di stranieri devastarono nuovamente il Paese, ed elementi criminali, del permanente sottosuolo, ora noti come blatniye, vennero su con le loro leggi e coi loro costumi.
La restaurazione dello Stato per opera dei Romanov condusse all'immobilismo. Ne sorse, a dire il vero, un sistema feudale: quanto dire che non ci fu un codice di diritti e di doveri che legasse il popolo, i ceti privilegiati e la Corona. Sotto gli Zar, e in ispecial modo dopo che, nel secolo XVIII, il sistema si stabilizzò pienamente, non esistevano diritti, neanche in teoria: ognuno era, per principio, nient'altro che il servo dell'autocrate. L'"ammodernamento" realizzato da Pietro il Grande e da Caterina la Grande fu soltanto una razionalizzazione del sistema, attuata mediante l'adozione di metodi tecnici, militari ed amministrativi dell'Occidente; ma niente dei contenuti civici e politici occidentali penetrò in Russia. Al principio del XIX secolo, la maggior parte della popolazione era "serva" (questa parola è, peraltro, assai ingannevole: la parola comune russa rob significa schiavo, e infatti il servo russo aveva, in generale, meno diritti degli schiavi d'America).
La Russia ha conosciuto, dunque, pesanti e profonde violenze: al vertice per l'irresponsabilità del potere assoluto; alla base, per l'assenza di responsabilità sociali e di diritti.
Nel secolo scorso, tuttavia, già si cominciavano a vedere i segni di un cambiamento radicale. Idee occidentali erano penetrate in Russia col rientro degli ufficiali che avevano sconfitto Napoleone. Lo zar Alessandro II emancipò i servi nel 1861; mentre lungo il secolo era sorta una classe media istruita.
Negli anni che precedettero la rivoluzione, i principi di una vita civile genuina avevano cominciato a mettere radici, seppure ancor poco profonde in paragone all'Occidente. Anche in campo politico l'autocrazia appariva sostanzialmente modificata dalle concessioni fatte dopo la rivoluzione del 1905. Intanto, stava emergendo una massa contadina indipendente, attaccata veramente alla terra.
D'altra parte, i rivoluzionari più vecchi, che avevano adottato idee radicali occidentali alla fine del secolo scorso e vi erano pervenuti senza una qualsiasi esperienza politica e civica, arrivavano a fanatismi astratti. Quando la rivoluzione bolscevica scoppiò nel 1917, sul piano umano ciò rappresentò la ascesa al potere di un gruppo di uomini, i quali pensavano che tutti coloro che non condividevano le loro vedute fossero esponenti di un male senza rimedio e sostenevano apertamente l'idea del terrore come arma politica. Questa gente assunse il controllo di uno Stato dove un'intera storia di brutalità irresponsabile e arcaica era stata appena superficialmente corrosa, ed era pronta a scoppiare. Per di più, negli anni seguenti, proprio la classe in cui le virtù civili avevano messo radici autentiche venne distrutta, e non solo alla lettera, ma anche attraverso l'emigrazione, appena scoppiata la guerra civile, di milioni di russi. (Lo stesso Lenin in qualche modo lo disse, quando notò che la cultura dei ceti medi russi era "trascurabile, scadente", ma anche così era "in ogni caso migliore di quella dei nostri responsabili social-comunisti").
Finora, comunque, non si può negare che l'enorme prezzo in vite umane non ha portato a quella società più giusta e più umana che era stata promessa. Se qualche cambiamento c'è stato, almeno in questo campo, si è trattato di un regresso.
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