I primi passi del ministro della Pubblica Istruzione Fioroni (che - per inciso - ci sembra uno dei più validi della compagine governativa) appaiono alquanto... altalenanti.
Da un lato, riafferma l'importanza di mettere gli studenti al centro della scuola: il resto del personale e della struttura è al loro servizio, e a servizio della qualità dell'istruzione nel nostro Paese. Così, spiegando che questo principio mal si concilia col buonismo delle promozioni facili (anche la paura della bocciatura aiuta un ragazzo a studiare...), cerca di restituire severità agli esami di maturità. Infatti, erano praticamente spariti - per motivi di risparmio - i membri esterni dalle commissioni: restava solo il presidente, che si faceva spesso carico di tutte le commissioni (e le classi) di un istituto! Una presenza, evidentemente, pro forma. E che interesse possono avere i membri interni a bocciare i ragazzi che hanno portato fino a quel punto? Sarebbe gettare discredito sul proprio lavoro... Quindi, durante l'anno, briglia sciolta, tanto all'esame...
Il ministro Fioroni, invece, ha annunciato di voler reintrodurre per ogni commissione almeno la metà di membri esterni, aumentando nel contempo il "peso", nel voto finale, del curriculum scolastico: esame più serio, ma senza lo spauracchio di veder disconosciuto il lavoro fatto.
Tutto bene?
L'esame, però, è l'approdo finale di un meccanismo che - se non funziona - non può dare buoni esiti. Se gli insegnanti non accettano di entrare in questa logica, e di mettersi (tutti, non solo quelli animati da buona volontà) al servizio dello studente, rinunciando a privilegi sindacal-corporativi... Ricordiamo che la corporazione degli insegnanti è la più numerosa e potente d'Italia: un milione!
Ebbene, lo stesso ministro sembra contraddire la propria volontà di qualificare l'insegnamento, cedendo alle pressioni della categoria degli insegnanti per non essere soggetti a reali valutazioni. Lo capiamo da un estratto del fondo di Avvenire del 14-9-2006, scritto da Giuseppe Savagnone.
"A far temere che il ministro non si voglia far carico del faticoso e logorante compito di sollecitare una svolta è anche la sua decisione di eliminare il test obbligatorio dell'Invalsi, che permetteva di controllare il livello di apprendimento, nei singoli istituti, in italiano, matematica e scienze, sostituendolo con uno campionario su base puramente volontaria. Per quanto ci riguarda, non abbiamo alcuna simpatia per una valutazione esclusivamente basata su test. Ma, invece di cercare nuove modalità, capaci di integrarla e arricchirla, il ministro Fioroni ha eliminato, nella sostanza, il controllo in quanto tale. Questo non ci sembra richiesto dal regime dell'autonomia, anzi rischia di accentuarne le già evidenti derive verso una sorta di feudalesimo scolastico, in cui ogni istituto fa quel che gli pare, senza doverne rispondere.
Si potrà obiettare che qualcuno a cui rispondere le scuole ce l'hanno, e sono i genitori e gli alunni che potrebbero non chiedere più l'iscrizione in quelle meno qualificate. Il problema è che l'utenza (ci scusiamo, ma questo è il termine ufficiale) non è in grado di conoscere esattamente la situazione. Rischia, così, di rimanere abbagliata dal numero di attività extracurricolari, dai viaggi, dai gemellaggi, dagli stage, mettendo in secondo piano il fattore decisivo, che è quello dell'effettiva crescita intellettuale e umana che si deve realizzare nelle attività curricolari. Anche prima del resto, i risultati dei test rimanevano segreti al pubblico che, di conseguenza, non poteva regolarsi su di essi per le proprie scelte.
C'è da chiedersi a chi giovasse questo riserbo sugli esiti del controllo e a chi giovi, adesso, l'abolizione, addirittura, del controllo stesso. Forse non si vuole rischiare di pubblicizzare errori e fragilità di singoli professori. Ma allora bisognerebbe trovare il modo di intervenire, in qualche modo, per sollecitare i più carenti, assicurandosi che alla radice del problema non vi sia una mancanza di impegno e di preparazione, e gratificando i più validi. La scuola che livella tutto e tutti in un comodo "buonismo" garantisce il quieto vivere, ma non aiuta nessuno a crescere, nemmeno gli insegnanti."