<< Inizio - < Precedente
Il periodo 1924-1928 fu relativamente calmo. Con la "nuova politica economica" (NEP), i contadini non tornarono al livello di prosperità di prima della guerra, ma stettero meglio e l'industria russa fu ricostruita. Rimaneva tuttavia contrario a tutti i principi del partito social-comunista il fatto che continuasse ad esistere una massa di contadini liberi e di proprietari. Voci "moderate" in seno al partito, come quella di Bukharin, dicevano che l'agiatezza dei contadini andava "perseguitata a piacimento", ma che ci voleva cautela nel mettere sotto controllo il grosso dei contadini. Comunque, questa gente fu facilmente sconfitta da Stalin, che era appoggiato dalla grande maggioranza del partito ed era combattuto da alcuni oppositori, ma per altri motivi. Nel 1929 fu presa la decisione di eliminare i contadini che fossero anche proprietari (kulaki) e di costringere gli altri in fattorie collettive, dove sarebbero stati economicamente e fisicamente sotto il controllo dello Stato.
Un primo tentativo in questo senso, all'inizio del 1930, provocò centinaia di sollevazioni contadine. Le vittime di questa fase non sono note, ma certamente ammontano a decine di migliaia. Sennonché, i contadini reagirono non soltanto "con le fucilate", ma anche macellando la metà del bestiame della Russia. Il risultato fu che a marzo il fallimento di questa politica apparve chiaro, e il Governo vi rinunciò.
Alla fine del 1932, però, la collettivizzazione del grano delle proprietà agricole in Russia divenne un fatto compiuto, grazie a nuovi provvedimenti, nei quali violenza e disposizioni economiche si integravano molto meglio. La resistenza venne affrontata e stroncata in una maniera molto semplice. Se il contadino aveva prodotto soltanto quanto bastava per il suo mantenimento, e non aveva niente per lo Stato, le autorità locali rovesciavano la procedura: gli ultimi sacchi di grano venivano confiscati nei granai e destinati all'esportazione, mentre la carestia infieriva. Il burro era inviato all'estero, mentre i bambini ucraini morivano per mancanza di latte (24).
La responsabilità della carestia può essere addossata per intero a Stalin. Il raccolto nel 1932 fu di circa il 12 per cento inferiore alla media; però era ancora lontano da un livello di fame. Sennonché le confische dei prodotti alimentari dai contadini crebbero del 44 per cento. La conseguenza fu, e non poteva essere altrimenti, un'inedia su ampia scala. È forse l'unico caso nella storia di una carestia provocata dall'uomo; e non per errori politici, ma per deliberata sottrazione dei generi alimentari, che pure c'erano, nelle campagne.
Fu anche la carestia più grave, la cui stessa esistenza venisse ignorata o negata dalle autorità governative e in larga misura tenuta nascosta con successo all'opinione pubblica mondiale. Questo silenzio fu un fatto assai triste, che chiama in causa la responsabilità della democrazia occidentale. Come è ovvio, non era possibile nascondere completamente la carestia. Era ampiamente nota a Mosca, ed anche impiegati governativi di basso rango ne parlavano. Si ribatteva perciò che fossero dicerie false oppure (idea ancora più facile), che la carestia fosse molto esagerata. Il Governo socialista, però, non ammise nemmeno la seconda ipotesi. Ogni tanto, viaggiatori appositamente guidati (come, ad esempio, Sir John Maynard) venivano condotti in località preparate della zona colpita dalla carestia, e quindi al ritorno in Occidente minimizzavano. Qualche giornalista (come Walter Duranty) che sapeva bene come stavano le cose e in conversazioni private lo diceva, minimizzava in pubblico per non offendere il Governo socialista o finire col rimetterci il "visto" e la fama.
Le autorità moscovite, per quanto si sappia, lasciarono filtrare soltanto un'ammissione incidentale: l'accusa fatta a membri del Commissariato del Popolo all'Agricoltura, allora sotto processo, "di aver provocato carestie nel Paese" (25). Il presidente dell'Ucraina, Petrovsky, disse ad un corrispondente occidentale che i morti per fame si contavano a milioni (26). Trent'anni più tardi, in un breve periodo di liberalizzazione della stampa socialista, si poté leggere un racconto di Ivan Stadnyuk (27), che così chiudeva: "Dapprima morirono gli uomini, poi i bambini, infine le donne".
Come sempre accade quando le autorità non vogliono fornire informazioni e non consentono di frugare negli archivi, non è facile calcolare le vittime.
Un esame attento di tutte le valutazioni e dei vari conteggi porta a concludere che la cifra più esatta si aggira intorno ai cinque milioni di morti, per fame e per malattie dovute all'inedia (28). Soltanto una carestia, ricordata nell'Enciclopedia Britannica (quella cinese del 1877-1878), ha avuto conseguenze più disastrose.
Già nel 1930 i menscevichi avevano citato le parole di un "social-comunista eminente", il quale aveva detto che, per portare il socialismo nelle campagne, "dobbiamo distruggere cinque milioni di persone" (29). La stima sembra sia risultata esatta, ma l'affermazione si riferiva alle perdite umane causate dalla carestia del 1921. Allora, però, le autorità non avevano nascosto nulla; anzi avevano salutato con entusiasmo il vasto programma occidentale di aiuti, varato per iniziativa di Herbert Hoover. Nel 1933, invece, tentativi di varie organizzazioni di carità di ripetere l'iniziativa furono semplicemente respinti.
Dei cinque milioni e più di persone che perirono oltre tre milioni morirono nella sola Ucraina. Anche il Kazakhistan, il Caucaso settentrionale e il Medio Volga soffrirono molto (30). Secondo le stesse cifre ufficiali, la popolazione ucraina scese, tra il 1926 e il 1939, dal trentuno ai vent'otto milioni di abitanti. Le cifre inviate dalla GPU a Stalin sembra che indicassero soltanto tre milioni, al massimo tre milioni e mezzo di vittime (31). Si dice che cifre ancora più alte siano state fornite da Skrypnik e Balitsky ad un social-comunista americano (32)
Alla carestia si accompagnava il terrore. Le disposizioni arbitrarie prese da squadracce del partito erano all'ordine del giorno. E, ad ogni modo, anche la normale applicazione della legge era draconiana. Un esempio: un decreto dell'agosto 1932 comminava la condanna a dieci anni di carcere per qualsiasi furto, anche piccolo, di grano. Quote di deportati vennero addirittura "previste" per le varie zone (33).
Le esecuzioni fecero la loro parte. Più tardi Stalin dirà a Churchill che il regime socialista aveva avuto a che fare con dieci milioni di kulaki, e che il grosso era stato annientato, mentre il resto era stato spedito in Siberia (34). Circa tre milioni di persone sembra siano finite nei campi di lavoro, che in quel periodo ebbero una nuova espansione. Tutto sommato, sarebbe difficile valutare i morti per fame e per deportazione a meno di sette milioni, ma potrebbe anche trattarsi di una cifra assai più alta.
Non c'è dubbio che l'obiettivo principale fosse la pura e semplice distruzione della massa contadina, da attuarsi ad ogni costo. Il secondo segretario del partito per l'Ucraina, Khatayevich, dichiarò che il raccolto del 1933 "fu la prova della nostra forza e della loro capacità di resistenza. C'era voluta la carestia per far loro capire chi era il padrone. Il costo è stato di milioni di vite umane, ma il sistema delle fattorie collettive ha resistito (35). Abbiamo vinto la guerra".
Questo atteggiamento spietato aggravò la situazione nel partito. Bukharin diceva che durante la rivoluzione aveva visto "cose che non augurerei nemmeno ai miei nemici di vedere. E il 1919 non si può neanche paragonare con ciò che è accaduto tra il 1930 e il 1932. Nel 1919, combattevamo per le nostre stesse vite. Uccidevamo, sì, ma nel medesimo tempo rischiavamo le nostre vite nello scontro. Invece, nell'ultimo periodo, stavamo procedendo ad una distruzione in massa di uomini disarmati, insieme alle loro mogli e ai loro figli".
Ma Bukharin si mostrava ancor più colpito dai "profondi cambiamenti nella disposizione psicologica di quei social-comunisti che avevano preso parte a questa campagna e, invece di uscirne matti, erano divenuti burocrati di professione, per i quali il terrore era ormai un metodo normale di amministrazione e l'obbedienza a qualsiasi ordine venisse dall'alto, una grande virtù". Egli perciò parlava di una "effettiva disumanizzazione" (36).
Questo progressivo abbrutimento si manifestò nella fase successiva.
L'ondata di terrore contro i contadini non si era ancora conclusa quando si verificò un fatto che valse a segnare l'avvento di una nuova forma di terrore: il terrore rivolto contro tutta la popolazione, nel suo insieme, e in modo speciale contro lo stesso partito social-comunista. Il primo dicembre del 1934, Stalin organizzò l'assassinio, a Leningrado, del suo intimo amico e aiuto, Sergei Kirov. Seguì l'immediata esecuzione di un gran numero dì detenuti definiti antisovietici, a Leningrado, Mosca, Kiev. Poche settimane dopo, giovani social-comunisti del luogo furono giustiziati per l'assassinio di Kirov. E l'anno seguente fu imbastito un complotto allo scopo di coinvolgervi gli ex rivali di Stalin nella lotta per il potere nel partito.
Nel 1928, il caso dei cinquantatre ingegneri di Shakhty aveva inaugurato il sistema di chiedere a determinati detenuti di confessare in pieno tribunale, per ragioni di Stato, crimini immaginari.
Il processo si aprì nel pieno d'una campagna di stampa orchestrata sul motivo: "Morte ai sabotatori!". Il figlio dodicenne di uno degli imputati era tra quelli che avevano domandato la pena di morte per il proprio padre. Dieci dei detenuti avevano reso piene confessioni; altri sei, confessioni parziali. Non era stata esibita alcuna prova. Un piccolo intoppo si era verificato subito. Uno degli imputati non comparve in aula; il suo avvocato spiegò che era impazzito. Poi il pubblico ministero, Krylenko, "stralunando gli occhi e storcendo le labbra in un sogghigno" attaccò violentemente gli ingegneri. Un imputato, Benbenko, tentò di ritirare la confessione. Era rimasto per quasi un anno nelle mani della GPU "Non so bene che cosa ho firmato... Le minacce mi hanno condotto alla disperazione, perciò ho firmato…Ho tentato di ritirare la confessione prima del processo ma..."
Krylenko lo fissò bene e poi gli domandò, calmo: "Vorreste dire che siete stato intimidito, minacciato?" Benbenko, l'imputato, esitò per un attimo poi rispose: "No!" (37)
Un altro imputato, Skorutto. aveva negato le sue colpe fin dal principio. Una sera dissero che era troppo malato per presenziare alla seduta. La mattina dopo, ricomparve, con "una faccia cerea, tutto tremante" e disse che durante la notte aveva confessato le sue colpe e quelle degli altri. Si intese a quel punto, un grido di donna dai banchi del pubblico: "Kolya, caro, non mentire! Non mentire! Sai di essere innocente". Il detenuto, in lagrime, crollò su una sedia. Dopo un intervallo di dieci minuti, riportato in aula, disse che. sebbene avesse confessato, aveva ritirato la sua confessione prima della seduta di quella mattina, per reazione, Krylenko inasprì l'attacco. Intensamente tormentato, Skorutto, dichiarò che non aveva dormito per otto notti e che alla fine aveva mentito sul conto del suoi amici come questi avevano mentito sul suo conto. Aveva sperato che il tribunale si sarebbe mostrato più clemente, se si fosse confessato colpevole. Ma non era colpevole. (38)
La mattina dopo, Skorutto confermò la confessione, aggiungendo che era stato il grido della moglie a scuotere la sua decisione di ammettere la colpevolezza. Così il processo andò avanti. Un altro imputato non comparve più, e i poliziotti informarono che si era ucciso. Un americano che assisteva al processo osservò che questi lampi rivelatori (pazzia, suicidio, ritrattazioni e conferme di confessioni) facevano "intravedere una serie di orrori... Gente come Krylenko, che sogghigna e ringhia quando, è sotto lo sguardo del mondo, come si deve comportare quando non ci sono né testimoni né pubblico?" (39).
Vennero pronunziate undici condanne a morte, sei delle quali furono commutate grazie alla "cooperazione" degli imputati.
Il processo di Shakhty fu seguito da una serie di altri spettacoli pubblici dello stesso tipo, ma con una regia sempre più accurata: in particolar modo il processo dei menscevichi, del 1931, e quello del Metro-Vic del 1933; fino ai tre grandi "processi di Mosca" contro gli oppositori o i troppo tiepidi sostenitori di Stalin nel partito.
Nell'agosto del 1936, si ebbe il primo di questi processi. Grigory Zinoviev, Lev Kamenev, i più intimi collaboratori di Lenin, ed altri quattordici imputati, ammisero pubblicamente di aver organizzato l'assassinio di Kirov e furono tutti giustiziati.
Nel gennaio del 1937, dopo che un membro eminente del Politburo, Sergio Ordzhonikidze, che si opponeva a tali sistemi, fu ucciso o costretto a uccidersi, si svolse un altro processo analogo. Yuri Pyatakov ed altri vennero uccisi per un complotto in cui sarebbe stato coinvolto il primo, che sarebbe andato in volo in Norvegia per ricevere istruzioni da Trotsky, allora residente a Oslo (Nel corso del processo fu, invece, provato che durante il mese del presunto incontro nessun aereo era atterrato ad Oslo o nei pressi).
Nel mese di giugno, il Maresciallo Tukhachevsky ed altri ufficiali superiori vennero fucilati al termine di un breve processo, in cui gli imputati erano stati accusati come agenti del fascismo. Il processo fu seguito da una vasta epurazione dell'Esercito, che investì circa la metà del Corpo degli ufficiali, specialmente i Generali, quasi tutti. Pare che la maggior parte di questi non abbia neanche subito un processo. Si dice, ad esempio, del Maresciallo Blyukher, che "i continui interrogatori avevano distrutto la salute di ferro di quest'uomo vigoroso"; ed egli era morto dopo tre settimane dall'arresto (40).
Nel marzo del 1938, un nuovo processo; quello di Nikolai Bukharin, definito da Lenin "il prediletto del partito", Alexei Rykov, già Primo Ministro dell'Unione Sovietica; ed altri. Furono accusati di tradimento, terrorismo, sabotaggio, spionaggio, e vari altri delitti. In particolare l'accusa sostenne che si fossero serviti di alcuni illustri medici di Mosca per far avvelenare varie personalità, fra le quali lo scrittore Maxim Gorky. Il dottor Pletnev, vanto della professione medica russa, non si lasciò indurre facilmente a confessare di aver assassinato uno dei suoi pazienti più illustri. Fu necessario arrestarlo un anno prima e giudicarlo in segreto per la falsa accusa di aver violentato una paziente, che in realtà era una agente provocatrice della NKVD. In questo caso, contrariamente al modo di procedere socialista per i delitti sessuali, si diede ampia pubblicità ai fatti e sul nome del medico fu riservata ogni contumelia immaginabile.
Successivo >