*pubblicato su Avvenire del 16-9-2006
La televisione araba - scriveva di recente un giornalista satirico siriano - ha realizzato un exploit singolare: ha rovesciato la teoria di Darwin convertendo l’uomo in scimmia. Le antenne paraboliche che spuntano come funghi nei cieli delle città arabe, dalle bidonville di Casablanca alle periferie diseredate di Baghdad, la dicono lunga sul potere che esercitano le tivù satellitari, e più in generale la televisione, su milioni di persone.
I cittadini arabi trascorrono il 36 per cento del proprio tempo consumando programmi televisivi. Vai in un caffè e trovi i clienti raccolti davanti allo schermo, entri in una casa e trovi la casalinga assorbita dalla telenovela messicana. In uno studio pubblicato all’inizio di quest’anno su "Gli universitari tra la marea lunga del video e la marea bassa della lettura", un sociologo algerino afferma che persino tra i giovani colti predomina la volontà di tralasciare libri e giornali a vantaggio della tivù. "La televisione e Internet – scrive Sultan Belgaith – diffondono l’abbandono della lettura tra molte persone che non desiderano dapprincipio leggere articoli dettagliati e lunghi che richiedono una certa concentrazione e profondità. Quel che cercano sono delle sintesi con frasi cortissime, saltare continuamente da un canale all’altro, immagini che scorrono veloci, momenti di attenzione corti, un’eccitazione continua".
Secondo statistiche relative al 2000, il 90 per cento delle famiglie residenti nei Territori palestinesi possiede un apparecchio televisivo, al 45 per cento dotati di antenna parabolica.
Al primo posto, nella classifica dei telegiornali più seguiti, figura al-Jazeera, con il 78 per cento dello share. Questa percentuale si è sicuramente ridotta dopo la nascita della "rivale" al-Arabiya, non però in misura tale da soppiantare la tivù del Qatar. Un potere - una responsabilità, diremmo - immenso che, se esercitato senza alcun criterio, rischia di scavare ulteriori e inutili solchi non solo tra le due rive del Mediterraneo, ma anche tra islam e cristianesimo. E al-Jazeera ha alle spalle già un precedente «avvelenato» quando, all’elezione di Benedetto XVI, ha sottolineato come nel suo primo discorso avesse parlato dell’immensa eredità comune tra ebrei e cristiani "ignorando l’islam e i musulmani". Una scritta che in queste ore scorre in continuazione - "il papa critica l’islam e offende il suo profeta" - fornisce da sé quella breve "sintesi" che il cittadino arabo-musulmano chiede per pretendere di aver capito tutto. Senza nemmeno sobbarcarsi la fatica di andare a fondo dell’argomento leggendo, semplicemente leggendo.
Viene da sorridere - o forse da piangere - quando gli intellettuali musulmani cercano di stimolare i musulmani all’importanza della lettura nell’islam ricordando che la prima parola discesa su Maometto fu "Leggi!", in arabo Iqra, la quale ha dato origine alla parola Corano. "Siamo la nazione di Leggi!", si compiaceva a ripetere uno di loro, mentre un altro ricordava che Maometto liberava ogni prigioniero che accettasse di insegnare a leggere a dieci musulmani.
Oggi il mondo arabo spende meno di 4 milioni di dollari annui nell’acquisto di libri, una goccia nel mare dei 12 miliardi spesi nell’Unione europea. Nella sola Spagna si stampano ogni anno più libri di quanto il mondo arabo ha pubblicato dal IX secolo a oggi. La cultura, l’educazione, servono quanto il pane al mondo arabo-islamico. Ma c’è chi invece sulla tavola della tv mette polpette avvelenate.