Il problema delle reazioni alle frasi di Benedetto XVI sull'Islam non riguarda, purtroppo, il contenuto di tali frasi. Non si tratta di vedere - come pure ci accingiamo a fare - quali siano le parole "incriminate", se possano costituire motivo d'offesa, e addirittura se giustifichino reazioni violente e generalizzate.
Il problema è nel pregiudizio antioccidentale (e anticristiano) che si è diffuso in larga parte del mondo islamico, e che coglie ogni pretesto per denunciare l'aggressione dei "crociati e dei sionisti". Un pregiudizio che in parte è frutto del vittimismo con cui si vorrebbero narcotizzare i problemi quotidiani delle masse; in parte dei disegni da "scontro di civiltà" che incontrano fautori sempre più numerosi nel mondo islamico (ne parla in maniera approfondita l'articolo La questione islamica).
La prova del pregiudizio? Ne abbiamo avuto un'anteprima con la vicenda delle vignette islamiche, montata ad arte parecchi mesi dopo che erano state pubblicate.
Ne abbiamo avuto una conferma con questa montatura sul discorso del Papa: una piccola estrapolazione delle sue parole ricavata dalla tv Al-Jazeera, alla quale è stato attribuito un significato capovolto, e che è stata poi rilanciata subito come scoop scandalistico. La cosa grave, appunto, è che lo scoop ha trovato terreno fertile in un clima di pregiudizio: folle in piazza a bruciare manichini del Papa, video più o meno deliranti di gruppi estremisti che minacciano la conquista di Roma.
Non si è trattato solo di reazioni minoritarie: i sondaggi dei giorni successivi confermano che la maggior parte delle popolazioni islamiche sono convinte di essere state offese nel loro sentimento religioso. E addirittura abbiamo assistito a passi diplomatici di Stati arabi cosiddetti "moderati" (per quello che di moderazione possiamo trovare in un un mondo dove non esistono democrazie..), fino alle incredibili dichiarazioni del premier della Turchia (il Paese che vorrebbe entrare nell'unione Europea e dove Benedetto XVI sta per recarsi in visita, e dove purtroppo si è già verificata qualche mese fa l'uccisione del mite sacerdote don Santoro): il primo ministro Erdogan, dunque, auspica che il Papa... si inginocchi davanti ai muezzin (!).
I veri moderati islamici, ne abbiamo una triste conferma, sono pochi, isolati, spaventati. (La paura ha fatto persino pronunciare parole di "dissociazione" dal Papa al Patriarca ortodosso di Costantinopoli e a quello della Chiesa Copta!).
Non si è trattato solo di reazioni "folkloristiche" (se possiamo definire e giustificare così pubbliche manifestazioni di odio): una suora missionaria, suor Leonella Sgorbati, che per trent'anni si era spesa per l'assistenza sanitaria delle popolazioni africane, è stata freddamente uccisa in Somalia da estremisti islamici che intendevevano "vendicare" l'onta (?) subìta.
Tutto questo (e se non avessimo descritto il clima di pregiudizio potrebbe sembrare cosa paradossale) senza che il discorso del Papa fosse ancora stato tradotto in arabo, senza che alcuno degli accusatori (per loro stessa ammissione) avesse ancora avuto modo di ascoltarlo o leggerlo!
Altro paradosso: è stato travisato proprio un discorso in cui il Papa lanciava una proposta di dialogo, ricercando strumenti concreti oltre la solita retorica inconcludente.
La retorica inconcludente di cui si nutrono anche alcuni relativisti occidentali, quelli che come il New York Times hanno accusato il Papa di aver detto parole "tragiche e pericolose"! Una manipolazione incredibile, frutto della solita pavida illusione che basti compiacere gli estremisti (anche tarpando la libertà d'espressione) per mettersi al riparo da scontri di civiltà. Il problema è che, compiacendo l'estremismo, lo si alimenta; il problema è che, senza confronto aperto... non c'è quel "dialogo" sincero di cui tanto si parla, che davvero servirebbe, e in direzione del quale Benedetto XVI ha fatto un tentativo. Sul livello del N.Y.T. andrebbero collocati anche i pavidi dei Governi occidentali che non hanno speso una parola in difesa del Papa (e della libertà di pensiero); e che magari, fra qualche decennio, gli rivolgeranno accuse simili a quelle rivolte a Pio XII: di non aver parlato abbastanza!
A dire il vero, l'enormità delle reazioni al discorso del Pontefice ha fatto sì - dicevamo - che solo alcuni relativisti abbiano avuto il coraggio di bacchettare l'aggredito (il Papa); il quale ha invece ricevuto, ad esempio, la solidarietà incondizionata di Zapatero.
Qualcuno ha maliziosamente evocato un improbabile rallentamento sulla via del dialogo aperta da Giovanni Paolo II. A costoro Benedetto XVI ha risposto, indirettamente, nel discorso del 25 settembre tenuto agli ambasciatori degli Stati islamici presso la Santa Sede e ad esponenti delle comunità musulmane in Italia. Il Papa, appellandosi alla volontà di dialogo che deve animare entrambe le parti, ha ricordato un passaggio del discorso tenuto da Giovanni Paolo II il 19 agosto 1985 ai giovani di Casablanca, in Marocco: "il rispetto e il dialogo richiedono la reciprocità in tutti i campi, soprattutto per quanto concerne le libertà fondamentali e più particolarmente la libertà religiosa. Essi favoriscono la pace e l'intesa tra i popoli".
Nelle settimane successive, alcune precisazioni del Papa, nonché una maggiore attenzione ai contenuti del suo discorso da parte degli accusatori meno prevenuti, hanno consentito il chiarimento di molti equivoci, e garantito ad esempio il successo del viaggio papale in Turchia.
Ma veniamo dunque ai brani del discorso che sono stati occasione della polemica (i brani sono in corsivo, intercalati dal nostro commento; le evidenziazioni in neretto sono nostre).
Ci troviamo nell'Università di Ratisbona. Il Papa tiene un discorso-lectio magistralis ad una platea di accademici. Benedetto XVI, subito dopo la sua introduzione in cui rievoca gli anni del suo insegnamento universitario, spiega di voler riprendere alcune citazioni da un
«dialogo che il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo, forse durante i quartieri d'inverno del 1391 presso Ankara, ebbe con un persiano colto su cristianesimo e islam e sulla verità di ambedue. Fu poi presumibilmente l'imperatore stesso ad annotare, durante l'assedio di Costantinopoli tra il 1394 e il 1402 (pochi decenni dopo i Turchi conquistarono la città, ponendo fine all'Impero bizantino, ndr), questo dialogo; si spiega così perché i suoi ragionamenti siano riportati in modo molto più dettagliato che non quelli del suo interlocutore persiano. (...) l'imperatore tocca il tema della jihād, della guerra santa. Sicuramente l'imperatore sapeva che nella sura 2, 256 si legge: "Nessuna costrizione nelle cose di fede". È una delle sure del periodo iniziale, dicono gli esperti, in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l'imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa. Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento tra coloro che possiedono il "Libro" e gli "increduli", egli, in modo sorprendentemente brusco che ci stupisce, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava". L'imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue - egli dice -, non agire secondo ragione, „σὺν λόγω”, è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell'anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un'anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…".
L'affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. L'editore, Theodore Khoury, commenta: per l'imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest'affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza. In questo contesto Khoury cita un'opera del noto islamista francese R. Arnaldez, il quale rileva che Ibn Hazn si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l'uomo dovrebbe praticare anche l'idolatria.
A questo puntosi apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso?»
Il Papa prosegue sostenendo che questo pensiero vale sempre. Anche per la fede cristiana, in cui il Vangelo di Giovanni inizia con l'evocazione del Logos (Ragione e Parola); fede che pure ha conosciuto (da Duns Scoto alla teologia liberale moderna) tentativi di "deellenizzazione", cioè di rifiuto della ragione speculativa in nome della voluntas o di una ragione empirica che si autolimita.
Il messaggio di fondo che Benedetto XVI vuole lanciare è che le religioni - tutte le religioni: l'appello non è rivolto contro qualcuno in particolare - possono esprimere pienamente se stesse e trovare la via del dialogo se si sposano con la ragione; e che di una ragione realmente aperta, libera, senza pregiudizi antireligiosi, ha bisogno anche la cultura moderna dell'Occidente secolarizzato.
Le reazioni irragionevoli che il discorso ha suscitato... ci sembrano confermarne la validità!
Ma che cosa c'è, nelle parole pronunciate, di "scandaloso" per i musulmani?
Innanzitutto, i passi contestati (dai pochi che li hanno letti) sono citazioni, che non esprimono il parere del Papa. Anzi, abbiamo evidenziato in neretto come egli abbia commentato alcune dichiarazioni dell'imperatore Manuele II, sottolineando che quello si stava esprimendo "in modo sorprendentemente brusco", "in modo così pesante". Anche se, dopotutto, l'imperatore non faceva altro che descrivere un fatto storico: in quel momento (e per parecchi secoli fino ad allora e dopo di allora) l'islam si era caratterizzato per un'imposizione violenta della fede. Il Papa ha voluto però uguamente "dissociarsi" da parte di quelle espressioni: per andare incontro alla sensibilità dell'uditore (o del lettore) musulmano; ed anche per non impelagarsi nella disputa storica (che piacerebbe tanto ai relativisti) su quante volte anche regni cristiani abbiano fatto uso della forza per diffondere la fede.
Il problema che sta a cuore al Papa non è storico, ma attuale: a che punto sono oggi le religioni nell'aprirsi alla ragione, sulla via del dialogo reciproco? E a che punto è il pensiero secolarizzato occidentale nell'aprirsi ad una ragione piena, non autolimitata, non ostile alla realtà - anche spirituale - nella sua pienezza, sulla via del dialogo con le religioni?
Ciò che ha dato davvero fastidio ad alcuni - anzi, purtroppo, a molti - musulmani è un'altra cosa: non il contenuto del discorso, ma il fatto stesso che un non musulmano osi esprimere opinioni critico-teologiche sulla loro fede. Anche perché l'idea di un giudizio critico-interpretativo sul Corano è rifiutato dalla maggior parte degli stessi musulmani.
Ciò che sicuramente può aver destato irritazione - anche se non lo si ammette - è l'aver ricordato (sia pure indirettamente) che le sure del Corano presentano contraddizioni tra di loro, anche perché sono state scritte da Maometto in momenti diversi della sua vita. Per cui sarebbe necessario un lavoro di interpretazione storico-critica, di studio esegetico, come da secoli i cristiani hanno imparato a fare sulla Bibbia. Lavoro che viene assolutamente rifiutato dagli integralisti, che proclamano il Corano come "increato" (eterno come Dio); timorosi che possano emergere aggiunte o interpolazioni, o che sia difficile scegliersi a piacimento il versetto per tranquillizzare gli "esterni" o per aizzare gli animi all'interno.
Volere davvero il dialogo, significa interrogarsi - ed interrogare sinceramente l'altro - sulle vie per percorrerlo. Scambiarsi convenevoli superficiali, astenersi da ogni giudizio, è invece la via ipocrita di una convivenza basata sul reciproco ignorarsi.
Chi vuole, al di là della nostra interpretazione e delle polemiche su parti specifiche, può gustarsi per intero il discorso del Papa.