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Temi caldi - Pace, terrorismo
"Che" Guevara: un mito da sfatare Stampa E-mail
Il vero volto di un uomo animato dall’odio
      Scritto da Domenico Martino
04/02/05

cheguevara_vogliadisimpson_vignetta.gifSino a qualche anno fa non era difficile vedere schiere di studenti e lavoratori marciare con fare sicuro, issando e sventolando bandiere con l'effige di aulici modelli di libertà e democrazia come Lenin o Stalin. Alcuni, i più buonisti, preferivano il faccione sorridente di Mao. Simpatici sterminatori e affamatori di popoli, ieri esaltati e che oggi non sembrano più andare di moda.

Dei tanti miti politici che il Novecento ci ha regalato uno solo resiste, seppure un po' in declino: il guerriero "Che" Guevara. Il primo a non esserne contento forse sarebbe proprio lui, visto che è ormai divenuto un'icona dei cortei pacifisti, del concerto del primo maggio e, al massimo, di quei "cattivoni" dei tifosi del Livorno.

Ernesto Guevara de la Serna, detto il "Che", è stato eletto da molti a simbolo della lotta coraggiosa contro le ingiustizie. I suoi ammiratori ne esaltano la sua scelta di abbandonare il futuro che, in Argentina, gli avrebbe garantito la sua famiglia borghese, per inseguire il sogno di una battaglia di liberazione degli oppressi.

Ma chi era davvero “Che” Guevara? Cosa si nascondeva dietro la sua guerra di “liberazione” degli oppressi?

Lasciamolo dire a lui, nei suoi Diari della motocicletta, (pubblicati in Italia anche col titolo di Latinoamericas; tit. orig. Notas de viaje: Diarios en motocicleta de la ruta por Latinoamerica) scritti prima di darsi alla Rivoluzione:

“Urlerò come un indemoniato, assalirò barricate e trincee, macchierò la mia arma di sangue e, consumato dalla rabbia, scannerò tutti i nemici su cui metterò la mano”.

E ancora, nel proclama Creare due, tre, molti Vietnam pubblicato sulla rivista Tricontinental due mesi prima di morire:

“I popoli dei tre continenti osservano e imparano la lezione del Vietnam: attaccare l’imperialismo duramente e ininterrottamente. (…) Amo l’odio, bisogna creare l’odio e l’intolleranza tra gli uomini, perché questo rende l’uomo un’efficace, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere”.

La ferocia disumana di queste affermazioni era il riassunto di ciò che il “Che” aveva cercato di realizzare nella sua vita. Anche a Cuba, quando la rivoluzione castrista aveva vinto e Guevara divenne Ministro dell’Industria. Fu lui a spingere decisamente Castro sulla via del comunismo marxista. Fu lui ad allestire i lager in cui furono rinchiusi e uccisi migliaia di avversari politici: quello di Guanaha, di Arco Iris, di Nueva Vida. Ed anche il lager di Capitolo, nella zona di Palos, dove vennero rinchiusi i bambini sotto i dieci anni, figli degli oppositori al regime, per essere “educati” ai principî della rivoluzione.

Dopo un po’ abbandonò il suo ruolo di ministro, per tornare alla vita di guerrigliero. Molti vi hanno visto un ulteriore esempio di coraggio, di “eroe romantico” che rinuncia agli agi del potere. Ma quell'abbandono dimostra solo il fallimento di Guevara, la sua fuga dalle responsabilità: uccidere è più facile che governare mantenendo le promesse.

Il regime cubano che lui e Castro hanno costruito è un regime dove mancano le più elementari libertà politiche, di pensiero, di religione (ne abbiamo parlato nell'articolo sulla visita di Giovanni Paolo II a Cuba). Dove la prostituzione è dilagante (alimentata vergognosamente da tanti “turisti del sesso” europei, con il regime che chiude un occhio perché ha bisogno di valuta pregiata). Dove si esaltano come "grandiose conquiste" - dopo cinquant'anni di regime - un sistema scolastico e sanitario che sono appena dignitosi, e in ogni caso più arretrati di altri nella stessa America latina. Dove l'economia ha continuo bisogno di essere assistita: dai rubli di Mosca prima, dal petrolio di Chavez ora.

“Che” Guevara era stato mosso dallo sdegno per la condizione dei poveri; ma questa spinta emotiva non lo può giustificare, se apriamo gli occhi sul contenuto della sua ideologia e delle sue azioni. La sua solidarietà con i poveri era solo intellettuale, astratta; non si curava se le sue teorie potevano portare reali benefici. Più che degli oppressi, si occupava degli oppressori (quelli veri o quelli che la sua ideologia gli faceva considerare tali). La sua unica “morale” era che bisogna essere disposti a uccidere ed essere uccisi per una causa.

Ernesto “Che” Guevara ha potuto diventare mito solo perché incarna le aspirazioni di chi mette la propria ideologia al di sopra di ogni cosa. Noi che invece al primo posto mettiamo la persona umana, guardiamo la miseria di quelle ragazze a Cuba, spogliate anche della propria dignità; e preghiamo che il futuro ci liberi da simili... 'liberatori'.


Riferimenti bibliografici

Il mito Che Guevara e il futuro della libertà
di Alvaro Vargas Llosa, ed. Lindau, Torino 2007

C’era una volta il Che. Ernesto Guevara, tutta un’altra storia
di Leonardo Facco, Simonelli editore, Milano 2008



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