Dan Brown, Il Codice da Vinci -
(riceviamo da Osvaldo Baldacci un contributo apparso come editoriale sul quotidiano Metro)
Un libro ben costruito e divertente, un film che si preannuncia avvincente. Il Codice da Vinci sbarca sugli schermi. Per divertirci come un fumettone. Se poi si volesse prolungare il buon umore, basterebbe dedicarsi a un gioco di sicuro successo: la caccia all’errore. Non a caso un tribunale inglese ha assolto Dan Brown dalle accuse di plagio perché «non ha né credenziali, né capacità come storico». Il romanzo colleziona una bestialità dopo l’altra, senza preconcetti: l’ignoranza spazia dall’arte alla religione, dai dati spacciati per veri all’incoerenza logica. Divertiamoci quindi, ma che sia chiaro che non c’è una parola che sia degna neppure di essere contestata: dalla storia della Maddalena ai quadri più famosi, dal femminino all’inesistente Priorato di Sion (gli stessi autori confessarono che i documenti erano falsi), da numeri del tutto sbagliati alle leggende nere su Chiesa, Opus Dei… La sua vera colpa è quella di dire che è tutto vero. Ma bisogna anche ringraziare il “povero” Brown: ci stimola ad andare a cercare la verità sull’arte che conosciamo troppo poco e sul cristianesimo che non abbiamo mai approfondito perdendone la più preziosa essenza.
Non voglio rovinare il gusto del fumettone, e ancor meno la soddisfazione di scoprire le corbellerie del fortunato autore. Mi limito a due appunti. Primo: una chiave di lettura del “pensiero” dell’autore. Brown attacca la Chiesa cattolica perché fa più audience, ma è chiaro che, cresciuto nel mondo protestante e ispirato a una confusa atmosfera new age, della Chiesa conosce poco, e ignora il ruolo centrale della Madonna, il culto dei santi (tra cui Santa Maddalena), l’autorità dei testi sacri e la chiara selezione tra autorevolezza storica dei Vangeli canonici e letteratura non credibile. Chiudiamo con il Graal. Niente a che vedere con il Sang Real. “Graal”, una leggenda eucaristica nata nel Medio Evo e basata sui Vangeli, viene dal latino “gradalis”, “coppa”, e indicava il calice in cui Gesù consacrò il vino nell’Ultima Cena. Una leggenda dal significato chiaro e semplice: solo i puri di cuore possono raggiungere il Sangue di Cristo. Cosa ancora valida: il Santo Graal di cui parla la leggenda e che porta alla vita eterna esiste tuttora, e si trova nel Tabernacolo di ogni chiesa cattolica, proprio sotto casa.
Vedi anche la recensione al romanzo scritta da Massimo Introvigne