Già a metà degli anni ’60 alcuni teorici del controllo delle nascite (l’ambientalista e bioeticista americano Garrett Hardin in testa) sognavano il tempo in cui, oltre alla pillola contraccettiva, ne sarebbe stata scoperta una in grado di bloccare le gravidanze già in corso. Un sogno che si mescolava a quello dell’ideologia femminista radicale che vagheggiava il «controllo totale del proprio corpo da parte delle donne». Non stupisce perciò l’entusiasmo con cui fu accolta nel 1980 la notizia che un ricercatore francese dell’Istituto Nazionale della Sanità e della Ricerca Medica, Etienne-Emile Baulieu, aveva messo a punto una pillola abortiva in grado di provocare un aborto entro sette settimane dal concepimento. La pillola, originalmente etichettata come ZK 95.890, fu «acquistata» immediatamente dalla casa farmaceutica Roussel-Uclaf, sussidiaria francese del gigante farmaceutico tedesco Hoechst, e quindi rietichettata come Roussel-Uclaf 38486 (da cui l’abbreviazione RU-486).
Ma malgrado l’entusiasmo le cose non erano così semplici, perché le complicanze per la salute delle donne emersero subito chiaramente. Durante la sperimentazione si registrò anche il decesso certo di una donna, colpita da un attacco cardiaco. Secondo studi indipendenti, nel 50% dei casi osservati si erano registrate complicazioni fino ai 40 giorni successivi la somministrazione, dalla nausea alla emorragia. Per evitare i danni economici derivanti dalle possibili cause legali dei consumatori, la Roussel-Uclaf (che ufficialmente parlava di un 2% di effetti collaterali) nel 1988 decise di non procedere alla commercializzazione. Ma l’allora ministro francese della Sanità, Claude Evin, intervenne personalmente obbligando la Roussel-Uclaf a mettere la pillola sul mercato (nome commerciale Mifégyne) perché essa era ormai «proprietà morale delle donne». Peccato che molte donne, oltretutto femministe, non fossero affatto d’accordo.
Nel 1990 la Sesta Internazionale sulla Salute delle Donne, tenutasi nelle Filippine, approvò una risoluzione per opporsi alla introduzione della RU-486 soprattutto nei Paesi poveri. E lo stesso chiese la Conferenza internazionale del Finrrage (Feminist International Network of Resistance to Reproductive and Genetic Engineering). La battaglia si fa dura e tre scienziate femministe – Renate Klein, Lynette Dumble e Janice Raymond – nel 1991 scrissero addirittura un libro (RU-486: Misconceptions, Myths and Morals) per contrastare l’introduzione della pillola abortiva in nome della salute delle donne. Farmaco a rischio nei Paesi sviluppati, dicevano le tre scienziate, e tanto più nei Paesi in via di sviluppo.
Non stupisca la preoccupazione per le donne nei Paesi in via di sviluppo: da subito, infatti, l’obiettivo è quello di usare la RU-486 per le grandi campagne di controllo delle nascite. Ma per poter fare questo è necessario che la pillola abortiva venga approvata negli Stati Uniti, pena le accuse di colonialismo e di sperimentazione sui poveri di farmaci proibiti nei Paesi ricchi.
Così negli anni ’90 si scatena la battaglia per commercializzare la RU-486 negli Usa. Malgrado le forti pressioni delle grandi lobby abortiste, sostenute dall’amministrazione Clinton (1993-2000), la Hoechst si rifiuta di chiedere la licenza negli Usa ma alla fine (1994) accetta di cederla gratuitamente al Population Council, potente associazione fondata nel 1952 da John Rockefeller III per promuovere il controllo delle nascite nei Paesi in via di sviluppo. Il Population Council crea le strutture mediche e commerciali necessarie, incluso Danco Laboratories LLC, società farmaceutica il cui unico prodotto è tuttora il Mifeprex (nome commerciale negli Usa per il mifepristone). Ma la Danco ha difficoltà a trovare un’industria disponibile a produrre la pillola, sia negli Usa che all’estero. L’unico partner disponibile viene trovato in Cina, la Hua Lian Pharmaceutical Co., che già produce la RU-486 a sostegno del controllo delle nascite nel suo Paese. È così che il Mifeprex diventa il primo farmaco made in China commercializzato negli Usa. Già, perché nel frattempo – giugno 2000 – la Federal and Drug Administration (Fda - l'organismo preposto negli USA alla sorveglianza sui farmaci, ndr), cedendo alle forti pressioni e ai grandi interessi in ballo, concede l’autorizzazione pur con forti limiti dovuti alla pericolosità del farmaco.
I nodi vengono rapidamente al pettine: alla Fda vengono denunciati numerosi casi di infezioni, emorragie e anche una morte. La reazione è quantomeno curiosa: nel novembre 2004 la Fda ordina alla Danco di cambiare il "bugiardino" (foglio con le avvertenze, ndr) che accompagna le pillole, inserendo tra gli effetti indesiderati «gravi infezioni batteriche, sepsi, emorragie, morte». Così l’informazione dei consumatori è garantita e il Population Council può continuare il suo «lavoro» nei Paesi in via di sviluppo.
Per un'analisi più dettagliata degli effetti collaterali della pillola, dei casi di morte verificatisi, della letteratura medica che li attesta, clicca qui.
Per una riflessione sull’aspetto psicologico e culturale che spinge molti ad invocare l’aborto facile, come anche degli interessi (corporativi, politici) che hanno guidato la richiesta di introdurre la pillola anche in Italia, clicca qui.