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Aborto, pillola Ru 486
Di Ru 486 si muore, e non si vuol saperlo Stampa E-mail
I pericoli della kill pill, la "pillola che uccide" (non solo il nascituro)
      Scritto da Assuntina Morresi
08/03/06
Ultimo Aggiornamento: 10/04/10

donna_RU486.jpg

Era ovvio che la comunità scientifica se ne occupasse, con tutta l’autorevolezza di una rivista come The New England Journal of Medicine (NEJM): quattro donne morte in meno di due anni solo in California, colpite dalla stessa, rara infezione da Clostridium Sordellii, dopo essersi sottoposte ad aborto chimico con la Ru 486. La spiegazione dei fatti è stata affidata a un articolo firmato da 13 esperti appartenenti ad importanti istituzioni mediche americane, mentre è di Michael F. Greene – editore associato della rivista e direttore della Harvard Medical School a Boston – un editoriale di cui hanno già dato notizia Eugenia Roccella e Nicoletta Tiliacos, sia su Avvenire  sia su Il Foglio.

La chiave di lettura dei dati è preoccupante: le morti da aborto chimico negli Usa sono 1 su 100.000, da confrontare con quelle per aborto chirurgico registrate nello stesso periodo della gravidanza: 0,1 su 100.000. Una mortalità dieci volte maggiore, quindi, nel caso della pillola abortiva. Si sottolinea poi che per l’approvazione del mifepristone (principio attivo della pillola abortiva) la Food and Drug Administration ha impiegato ben 54 mesi, mentre ce ne sono voluti meno di 16, in media, per le altre nuove molecole registrate lo stesso anno, il 2000, e che comunque fino ad ora per ben due volte si sono dovuti modificare i foglietti illustrativi della pillola, viste le morti e i pesanti effetti collaterali (del resto la vicenda dell'approvazione della Ru 486 ha avuto retroscena inquietanti, come abbiamo illustrato in un altro articolo. Ndr).

Questa sindrome mortale da shock tossico per Clostridium Sordellii è rara: oltre ai quattro casi registrati, e a un quinto in Canada nel 2001 ancora una volta dopo un aborto chimico, nella letteratura sono stati descritti solo altri nove casi della stessa, mortale infezione, non legati a procedure abortive. Simile la gran parte dei sintomi, soprattutto vomito e forti dolori addominali – normali nel caso di un aborto chimico – e quasi sempre senza febbre, il che impedisce di diagnosticare tempestivamente l’infezione in corso. Le donne morte avevano seguito lo stesso protocollo per l’aborto chimico: nella prima fase, 200 mg di mifepristone – che blocca il progesterone causando la morte dell’embrione – e poi 800 mg di misoprostol, che induce le contrazioni e ne permette l’espulsione. Il misoprostol può essere assunto oralmente oppure, come nel caso delle 4 donne statunitense e della canadese, per via vaginale, con effetti collaterali di minore intensità.

Sui legami fra pillola abortiva e infezione mortale nel New England Journal of Medicine non si formulano ipotesi, anche se si menziona quella del dottor Ralph Miech: l’interferenza del mifepristone con il sistema immunitario potrebbe depotenziare le difese naturali all’invasione del Clostridium Sordellii. Nei due contributi pubblicati dal NEJM non viene chiesto il ritiro dal commercio della pillola, ma si raccomanda particolare attenzione agli operatori del settore, ammonendoli a tener presente questa rara ma letale possibilità. «La mancanza di consapevolezza della gravità della situazione è pericolosa», scrive a proposito Didier Sicard in una lettera pubblicata nell’ultimo numero di The Annals of Pharmacotherapy. Ne ha parlato il Boston Globe, anche perché Didier Sicard, oltre ad essere il presidente del Comitato consultivo nazionale di etica in Francia, è il padre di Oriane Shevin, ultima vittima lo scorso giugno dell’aborto chimico. Scrive ancora Sicard: «La più recente raccomandazione da parte della FDA sottolinea la particolare attenzione che deve essere prestata per l’uso di questi farmaci prima della loro ampia diffusione e dell’uso generalizzato nei Paesi in via di sviluppo, dove il tasso di infezione batterica è molto alto. In Africa, l’elevata frequenza di infezioni genitali, insieme alle scarse cure mediche, può risultare in un significativo numero di morti se uso e applicazione di mifepristone e misoprostol non sono riesaminati. Questo è vero specialmente alla luce dell’aumento dell’uso in Africa degli spermicidi, che aumentano la carica batterica vaginale». Speriamo che ne abbia letto Silvio Viale, per il quale le polemiche sulla pericolosità del farmaco sono tutte «balle messe in giro dal movimento per la vita americano, che sfrutta cinque righe che la FDA ha ordinato di inserire nelle controindicazioni della Ru 486» e che ritiene che «prendere la pillola abortiva non è più pericoloso che fare un viaggio in auto: se le vetture avessero i bugiardini (foglio con le avvertenze, ndr) le loro controindicazioni sarebbero più numerose».

Ma la letteratura scientifica specializzata ha sempre indicato che l’aborto chimico oltre ad essere meno efficace di quello chirurgico presenta pesanti effetti collaterali.

Nel marzo del 2000, ad esempio, il NEJM passa in rassegna diverse sperimentazioni di aborto farmacologico, e a quelle eseguite con mifepristone e misoprostol assegna un’efficacia media del 95%, specificando che l’effetto collaterale più pesante è dato dalle abbondanti perdite di sangue, fino a quantità quasi doppie rispetto a quelle per aborto chirurgico. Pure la durata delle perdite è maggiore: si cita in particolare uno studio in cui il 9% delle donne ne ha per oltre trenta giorni, e l’1% per più di sessanta. Anche gli altri effetti collaterali – nausea, vomito, dolori addominali – sono di maggiore entità. Viene sottolineato che l’aborto medico può essere scelto solo se si ha facilmente accesso a centri specializzati in grado di intervenire chirurgicamente, visto che si potrebbe avere necessità di trasfusioni. Viene ripetuto che il metodo chirurgico è più efficace (99%).

Invece nella sperimentazione presentata da Spitz e dai suoi collaboratori, sempre nel NEJM ma due anni prima, l’efficacia media è del 92%. Il 75% delle donne espelle il "prodotto del concepimento" entro le 24 ore dalla somministrazione del misoprostol. Il 68% ha ricevuto antidolorifici e l’ospedalizzazione è stata necessaria nel 2% dei casi, per interventi chirurgici ma talvolta anche per l’eccessivo dolore e vomito. Il 4% ha avuto infezioni virali. I dati si riferiscono ad aborti fino al 49esimo giorno di gestazione, dopo il quale l’efficacia della procedura chimica diminuisce. Per seguire questa via bisogna quindi accertare con estrema precisione a che punto si è con la gravidanza; d’altra parte se si deve abortire entro le prime sette settimane non c’è molto tempo a disposizione per decidere e scegliere, mentre se ne ha abbastanza per pensarci durante la procedura: 3 giorni considerando la fase acuta – somministrazione di pillole ed espulsione –, 15 compresa la visita finale di controllo, necessaria per verificare che l’utero sia stato effettivamente svuotato, un numero imprecisato di giorni se si considera la possibilità di perdite di sangue molto prolungate.

Per chi non vuole ricorrere alla letteratura specialistica è sufficiente scorrere i tanti articoli dedicati alla vicenda dal New York Times. Da un’inchiesta pubblicata il 14 novembre del 2000 emerge che «molti medici nelle cliniche abortive dicono che consiglieranno le proprie pazienti di scegliere l’aborto chirurgico, perché pensano che sia un metodo migliore. La decisione di offrire mifepristone, dicono alcuni, è dettata più da ragioni di competizione che dalla convinzione che sia un metodo migliore per interrompere una gravidanza». La diffidenza è confermata anche dai dati più recenti, secondo i quali solo il 6% delle donne negli Usa sceglie di abortire con la pillola. Nel 1994, invece, vengono intervistate diverse donne che hanno seguito una procedura di aborto medico in Gran Bretagna, tra cui un’americana di 17 anni. «Mi sono sentita come se stessi morendo», ha dichiarato dopo l’espulsione del feto. Tutte le donne interpellate concordano: più difficile, più doloroso di quanto ci si aspettava. «Mi auguro ancora di trovare una qualche pillola magica che porti via subito tutto. Mi sono meravigliata di quanto facesse male».   E adesso la "pillola magica", attraverso strade le più strane, è arrivata in Italia.


Pubblicato su Avvenire.
L'attenzione che si è finalmente indirizzata sui pericoli della Ru486 sta facendo emergere - anche dopo la pubblicazione di questo articolo - nuovi casi. Le morti accertate solo in Europa e Nord America sono ormai sedici (mancano dati su Cina e India, dove il ricorso a questa pillola in maniera massiccia e con scarsa assistenza sanitaria fa temere cifre ancor più preoccupanti).
La stessa ditta produttrice, la Exelgyn, ammette 29 decessi, sia pure imputandone una parte all'uso dei farmaci prescritti insieme con la pillola per completare la procedura abortiva.
Sono più di 800 le testimonianze femminili, sul sito web della Danco (l’azienda che distribuisce il mifepristone in America), sui danni che la pillola provoca. Un'organizzazione abortista come il
British pregnancy advisory service ha calcolato addirittura al 10% il rapporto tra uso della pillola e infezioni.

Riferimenti bibliografici

AA.VV.
Ru-486. Dall'aborto chimico alla contraccezione d'emergenza.
Riflessioni biomediche, etiche e giuridiche.
Edizioni Art, Roma 2008

Gruppo Interdisciplinare Studio Aborto Medico (GISAM) costituito dalla società medico-scientifica interdisciplinare Promed Galileo
“Aborto farmacologico mediante mifepristone e misoprostol”
Pubblicato sull’Italian Journal of Gynæcology & Obstetrics, Organo ufficiale della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (vol.20, n.1, del gennaio-marzo 2008, pp. 43-68)
(è uno degli studî più approfonditi mai realizzati sino ad oggi, condotto su tutta la letteratura medica mondiale esistente.
Riportiamone le conclusioni:
“Le evidenze disponibili in letteratura indicano che l’interruzione di gravidanza farmacologica si caratterizza per un profilo di sicurezza inferiore rispetto al metodo chirurgico, con una mortalità almeno dieci volte maggiore, a parità di età gestazionale. Alcuni eventi avversi associati all’impiego dell’aborto medico esordiscono a distanza di tempo dalla procedura, insorgendo subdolamente e progredendo rapidamente verso l’exitus. Il complesso dei dati non indica per il metodo farmacologico rispetto a quello chirurgico un maggiore grado di tollerabilità. Il tasso di complicanze riportato in Inghilterra e Galles a seguito di aborto medico è tre volte maggiore rispetto a quello chirurgico e le complicanze che necessitano di ricovero ospedaliero sono significativamente più frequenti. Alcuni effetti collaterali quali: dolore addominale, sanguinamento, nausea, vomito, febbre, vertigini, si verificano con frequenza significativamente maggiore dopo aborto farmacologico, rispetto a quanto osservato dopo quello chirurgico. L’interruzione di gravidanza farmacologica si caratterizza per un’efficacia significativamente inferiore rispetto al metodo chirurgico, pertanto una percentuale sensibile di pazienti viene sottoposta ad una duplice procedura abortiva. La maggiore durata della procedura abortiva farmacologica, assieme all’elevato numero di pazienti persi al follow-up rende più problematico il controllo delle possibili complicanze. La bassa qualità degli studi, spesso caratterizzati per l’assenza di randomizzazione e la contraddittorietà dei risultati, rendono difficoltosa l’interpretazione dell’accettabilità del metodo, tuttavia l’espulsione dell’embrione al di fuori di strutture sanitarie protette sembra associarsi ad una ridotta accettabilità. L’incremento della propensione all’interruzione di gravidanza, misurato come rapporto di abortività, verificatosi dopo l’introduzione del mifepristone in Inghilterra e Galles, Scozia, Francia e Svezia, rende necessario procedere ad ulteriori indagini circa l’eventuale ruolo giocato dalla procedura abortiva farmacologica”).



Giudizio Utente: / 12

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