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Si prediliga o meno l’utilizzo di criteri distinti o unificati, il loro uso conduce ad un inossidabile baricentro storico che si può così articolare:
a) le grandi linee del ministero di Gesù: gli inizi in Galilea, l’entusiasmo delle folle e degli apostoli in seguito ai prodigi compiuti, la crescente incomprensione, il ministero a Gerusalemme, il processo, la morte.
b) I grandi avvenimenti della sua vita: battesimo, tentazioni, trasfigurazione, l’invito alla conversione, le beatitudini, il Padre nostro, i miracoli, il tradimento di Giuda, l’istituzione dell’eucarestia, l’agonia, il processo, la crocifissione, la sepoltura, la resurrezione.
c) Le dispute religiose con scribi e farisei.
d) L’atteggiamento di compassione e di servizio a peccatori, poveri, oppressi.
e) Le formule di una cristologia implicita trascendente.
La scissione operata da Martin Kähler col suo libro Il cosiddetto Gesù storico e l’autentico Cristo biblico e poi divenuta celebre ha ancora ragion d’essere, ora che storia e fede, storia e dogma, dopo anni di guerra fredda e di dilatazioni ora fideistiche ora storicistiche, possono incontrarsi al tavolo della pace?
Ad oggi, stemperato un certo sospetto aprioristico, è l’inautenticità – e non l’autenticità - storica a dover essere dimostrata. Pare arrivato quel tempo in cui poter legittimamente dire che “l’interpretazione della figura di Gesù di Marco, Luca, Matteo e Giovanni è interamente fondata sul paradosso che il Cristo della fede delle comunità cristiane è proprio il Gesù terreno conosciuto dai suoi discepoli”[1]. Lo ha autorevolmente sostenuto Benedetto XVI nella premessa al primo volume del suo Gesù di Nazareth:
“Io sono convinto, e spero che se ne possa rendere conto anche il lettore, che questa figura è molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni. Io ritengo che proprio questo Gesù – quello dei Vangeli – sia una figura storicamente sensata e convincente”[2].
Similmente Fortuna propone di invertire i termini della vexata quaestio e di parlare di Cristo della storia e poi di Gesù della fede:
“Il primo dato di cui disponiamo, infatti, non è il cosiddetto Gesù della storia, ma il Cristo della storia, cioè i ricordi e le testimonianze neotestamentarie su di Lui, trasmesseci da parte di chi lo credeva il Cristo sin dalla fase pre-pasquale e lo ha identificato poi con il Signore Risorto. Per tale ragione noi proponiamo di usare in prima battuta la più adeguata espressione CRISTO DELLA STORIA, intendendo, così, l’impatto storico (e storicamente documentato) che la persona e l’attività di Gesù hanno esercitato sui suoi contemporanei”[3].
[1] GIORGIO JOSSA,
Il cristianesimo ha tradito Gesù?, Carocci editore, Roma, 2008, p. 49.
[2] JOSEPH RATZINGER,
Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano, 2007, p. 18.
[3] D. FORTUNA,
Il Figlio dell’Ascolto, cit., p. 96.