Il problema dei mezzi con cui risalire al Gesù storico, la verifica se egli eventualmente sia anche - come suole dirsi - il Cristo della fede, l’analisi delle ben note ma scarne fonti extrabibliche che ne danno notizia comportano, com’è evidente, la messa in dubbio se i vangeli siano storicamente attendibili, se siano, cioè, dei documenti veraci e credibili o siano piuttosto intrisi di leggende, mitologia o stravolgimenti operati nella chiesa primitiva. È esistito uno iato tra il fine perseguito dai discepoli e quello perseguito da Gesù?
Il problema si pose con una certa gravosità a partire dagli anni dell’Illuminismo. Ad oggi si assiste, a causa della crisi di credibilità della Chiesa (1), da un lato ad una generica sfiducia che attraverso i vangeli (poiché redatti ed approvati dalla Chiesa stessa) si possa giungere a Gesù; dall’altro ad una rivalutazione (e non solo nella narrativa alla Dan Brown, ma talvolta anche a livello accademico) delle curiosità per i temi periferici dei quattro vangeli canonici, per gli apporti leggendari e per le dimostrazioni perentorie degli apocrifi.
A scatenare la buriana fu Samuel Reimarus (1694 – 1768) che, in alcuni frammenti postumi pubblicati da G. E. Lessing, sostenne che “i discepoli sono gli inventori della figura del Cristo” ed asserì che “storia e dogma sono due cose diverse” (2). Reimarus diede il la a svariatissime immagini tratteggiate nel secolo XIX, tutte invero determinate dalla personale opinione filosofica o psicologica dei loro autori: “I razionalisti descrivono Gesù come un moralista, gli idealisti come quintessenza dell’umanità, gli esteti lo lodano come l’artista geniale della parola, i socialisti come l’amico dei poveri e riformatore sociale, e gli innumerevoli pseudoscienziati ne fanno una figura da romanzo” (3). Dopo queste ed altre mitizzazioni, si è passati ad un’ulteriore teologia che ha asserito vigorosamente la sostanziale incongruenza tra il Gesù della storia e il Cristo della fede e conseguentemente ha rigettato la pretesa di storicità dei vangeli: è la cosiddetta “teologia del kèrigma”, che si concentra sull’annuncio di salvezza degli apostoli giudicandone irrilevante la rispondenza con gli avvenimenti della vita di Gesù e i suoi insegnamenti. Indiscusso maître à penser di questa teologia fu Rudolf Bultmann, che mise in dubbio la coscienza messianica di Gesù, associò il corso esterno della sua vita e del suo messaggio ad un classico e per nulla inedito movimento profetico-giudaico (che non direbbe nulla al cristianesimo) e ridusse l’insegnamento escatologico di Gesù a meramente etico. Bultmann negò radicalmente la storicità dei vangeli: e secondo il teologo tedesco anche la loro parte più significativa – la passione – “è stata sommersa nella leggenda” (4). Si è così diffusamente pensato che risalire fino a Gesù partendo dai vangeli fosse de facto impossibile: a causa delle “vesti mitiche” (5) fattegli indossare dalla Chiesa. La carenza di fonti storiche – si diceva – doveva far recedere dall’intraprendere la fatica di conoscere un Gesù privo della mitologia di cui sarebbe stato circonfuso. Nel 1926, nella sua opera cristologica, R. Bultmann scrisse: “Sul Gesù della storia noi non sappiamo quasi niente” (6).
Ma il cristianesimo può rinunciare ai fatti, alla storia, agli avvenimenti realmente accaduti che lo fondano e a cui lo stesso kèrigma apostolico continuamente si appella? Il kèrigma può fare a meno della didaché, cioè “la narrazione dell’azione di Gesù, della sua morte e risurrezione” (7)? La testimonianza di colui che, sbaragliando ogni previsione della sapienza umana, s’incarnò, predicò per sé “una rivendicazione di sovranità senza paragoni” (8), compì miracoli, usò misericordia ai peccatori, morì e risuscitò, è stata una produzione fantasiosa della Chiesa primitiva, una risposta a qualche ancestrale bisogno umano o piuttosto è rinvenibile in questa testimonianza un nucleo indissolubilmente ed autenticamente storico? S’è detto, a ragione, che i vangeli non siano una biografia o un’opera storica come già ne circolavano, nella medesima epoca, in ambito ellenistico: ma si può arrivare a dire che trascurino il factum historicum o che ne tramandino una versione accomodante e congeniale alla strutturazione istituzionale della Chiesa?
Se i vangeli non prendono le mosse da un accadimento storico e non lo raccontano fedelmente, quella che è stata chiamata la “pretesa assoluta” (9) di Gesù, cioè la sua figliolanza divina, può essere derubricata ad una successiva elaborazione ecclesiale; se invece si scopre un rilevante nucleo storico, la sua pretesa può essere decisiva per l’uomo di ogni età.
(1 di 3 - continua)
_____________________________
(1) Da una parte deturpata dalla “testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di lui” che “ha aperto la porta all’incredibilità” (JOSEPH RATZINGER, Conferenza a Subiaco, I aprile 2005); dall’altra volutamente “assalita nei suoi dogmi, nella sua disciplina, nelle sue istituzioni, nelle sue guide” (RENÉ LATOURELLE, Teologia scienza della salvezza, Cittadella Editrice, Assisi, 2005, p. 10).
(2) JOACHIM JEREMIAS, Il problema del Gesù storico, Paideia, Brescia, 1964, p. 11.
(3) Ibidem, p. 12.
(4) RUDOLF BULTMANN, Storia dei vangeli sinottici, Edizioni Dehoniane Bologna, 1969, p. 90.
(5) J. JEREMIAS, Il Problema del Gesù storico, cit., p. 16.
(6) IGNACE DE LA POTTERIE, Come impostare oggi il problema del Gesù storico?, La Civiltà Cattolica, 120, 1969, qu. 2855, p. 450.
(7) Ibidem, p. 23.
(8) Ibidem, p. 32.
(9) WALTER KASPER, Gesù il Cristo, Queriniana, Brescia, 2010, p. 138.