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Tecnologia e Informatica - Informazioni
Il web 2.0 influenza molto le relazioni personali, poco la vita politico-culturale Stampa E-mail
I problemi di qualitą posti da forum, social network, youtube (ma anche dai siti tradizionali)
      Scritto da Giovanni Martino
11/07/11

Il recente successo dei referendum, con il raggiungimento del quorum per la validità, è stato da molti letto come un successo del cosiddetto “web 2.0”, il “nuovo” internet, non più unidirezionale (il "web 1.0", con contenuti inseriti dai gestori dei siti, mentre gli utenti si limitano a fruirne), ma fondato sulla partecipazione attiva degli utenti: commenti “postati” nei forum e nei social network (Facebook, Twitter), video prodotti autonomamente e caricati su youtube, ecc.

Questo successo rappresenterebbe l’affermazione non solo di una nuova tecnologia per la diffusione di informazioni, ma anche di una comunicazione “democratica”, “dal basso”, rispetto ad una vecchia informazione calata dall’alto (televisione, radio, giornali, ma anche i siti internet unidirezionali e con impronta editoriale).

Quanto c’è di vero in questa lettura dell’esito dei referendum e, più in generale, dell’importanza assunta dal web 2.0?

A noi pare che ci sia una notevole dose di esagerazione.

Consideriamo anzitutto che i mezzi di comunicazione – tanto quelli unidirezionali (media tradizionali e web 1.0) quanto quelli partecipativi (web 2.0) - hanno una capacità di incidenza sull’opinione pubblica sotto due profili: veicolare informazioni e diffondere opinioni (schematizziamo la differenza tra le due forme di comunicazione, anche se non è mai così rigida).


Il ruolo dei mezzi di comunicazione quali veicoli di informazione

Quanto all’incidenza nel veicolare informazioni, ci sembra che il grosso salto di qualità sia stato apportato già dall’avvento di internet, con i siti tradizionali del web 1.0, che ha rappresentato la più grande novità e possibilità di accedere a fonti informative dagli anni ’70, quelli della diffusione di televisioni e radio private.

I media radiotelevisivi privati, infatti, hanno accresciuto notevolmente il pluralismo, ma l’ampiezza di coloro che possono utilizzarli per veicolare notizie (e non solo) ha in ogni caso confini precisi: le frequenze via etere utilizzabili per le trasmissioni sono limitate, e soggette a concessione pubblica (e quindi a potenziali condizionamenti politici); c’è la necessità di un’organizzazione d’impresa per sostenere i costi rilevanti di impianti, personale, ecc.

Con i media tradizionali, inoltre, l’utente può utilizzare le informazioni solo quando gli vengono proposte e non quando ne ha bisogno, a meno di faticose ricerche di archivio.

L’avvento di internet ha realizzato un ulteriore, grande balzo in avanti, consentendo ad una platea indefinita di cittadini, con costi irrisorî, di veicolare notizie che ritengono utili al dibattito pubblico. Testate editoriali on line, blog, siti tematici hanno creato un’offerta enorme, capace di soddisfare quasi ogni esigenza.

Gli utenti, inoltre, hanno la possibilità di accedere a queste notizie in qualsiasi momento.

Rispetto al salto di qualità realizzato da internet, il web 2.0 non ha introdotto evoluzioni significative.

Si può esaltare il ruolo dell’informazione “democratica” e “dal basso”, quindi, solo se in tale concetto di si ricomprende l’informazione veicolata dai siti internet non interattivi (web 1.0).
Tenendo presente, però, che si tratta di una “novità” presente da più di dieci anni (e non dagli ultimi referendum…); e che i siti internet non interattivi sono basati su uno schema di comunicazione tradizionale, comune agli altri media: c’è un autore (un insieme di autori) che lancia/rilancia le notizie, dando al sito un’impronta editoriale e assumendosi la responsabilità (qualitativa, ma anche legale) di ciò che viene pubblicato; e c’è una platea di naviganti in internet che ne fruisce.

Peraltro, non è tutto oro quello che luccica: l’informazione su internet ha anch’essa limiti importanti.

Si pone anzitutto il problema dell’eccesso di offerta: di fronte ad un mare di informazioni, non abbiamo il tempo di vagliarle tutte e selezionare quelle che riteniamo più interessanti e affidabili.

I media tradizionali (giornali, radio, tv), invece, si assumono la responsabilità non solo di trasmettere le notizie, ma anche di selezionarle. Il lettore (o ascoltatore o spettatore) comune, che ha un tempo limitato per informarsi, stabilisce un rapporto di fiducia con alcuni di tali media (sperabilmente più di uno…), confidando: che questi gli consentano di accedere alla maggior parte delle notizie rilevanti; che queste notizie siano evidenziate (mediante la foliazione, l’impaginazione, la titolazione) secondo una gerarchia di importanza; che siano tralasciate le notizie scarsamente significative.

Neanche con internet è possibile rinunciare a questo rapporto fiduciario: o ci si affida agli algoritmi di Google (!?) o si individuano alcuni siti internet cui viene riconosciuta autorevolezza.

Con internet si pone anche il problema della qualità dell’offerta.

I media tradizionali non solo selezionano e trasmettono le notizie, ma le producono anche. La necessità di un’organizzazione d’impresa comporta – come ricordavamo – costi che riducono notevolmente il novero dei possibili editori. Sostenere tali costi, però, significa poter retribuire giornalisti qualificati e una struttura redazionale: c’è così la possibilità di ricercare le notizie, verificare le fonti, ecc. (un lavoro che i media non sempre svolgono con diligenza; ma questo è un altro discorso).

Lo spontaneismo – collegato alla tendenziale gratuità - di internet, invece, non consente di norma questa capacità di produrre notizie, se facciamo eccezione per le versioni on line dei media tradizionali.

I siti internet gestiti da piccoli editori, o i blog gestiti da singole persone, non possono quindi pretendere di sostituire giornali, radio e televisioni.

Possono produrre autonomamente le notizie di nicchia (locali, di settore) che rientrano nell’accessibilità diretta dei gestori e dei collaboratori dei siti.
Oppure possono rilanciare notizie cui i media tradizionali hanno dato scarso risalto, perché considerate di nicchia (o “censurate”).
O ancora possono effettuare analisi e approfondimenti.
Sono – per così dire – media di secondo livello.

Se queste attività sono effettuate con cura e competenza reali, alcuni siti internet possono guadagnare autorevolezza e costituire un fondamentale ampliamento di fonti informative, una validissima integrazione – ma non sostituzione - dei media tradizionali.

La qualità, però, non è sempre facile da trovare nella rete ad accesso gratuito: la libertà di informare è una risorsa preziosa e insostituibile, ma da sola non garantisce la qualità.

Si tratta di una difficoltà che investe molti siti del web 1.0. Ma, soprattutto, gli spazî del web 2.0.
Laddove c’è una partecipazione confusa, infatti, non si può stabilire un rapporto fiduciario col sito che ospita i commenti: il post con informazioni di qualità si alterna a molti altri approssimativi. Leggerli tutti porta via troppo tempo, e spesso non si hanno gli strumenti per valutare autonomamente l’attendibilità della notizia (l’autore di un commento, spesso nascosto da un nickname, può infiocchettare solenni fesserie con paroloni vuoti, citazioni inappropriate e cifre confuse).
Possono fare eccezione, in positivo, i forum specialistici (tecnologia, collezionismo, ecc.), in cui si confrontano cultori della materia. Ma non è certo il caso di temi più vasti, come quelli sociali e politici.


Il ruolo dei mezzi di comunicazione quali diffusori di opinioni

Il secondo profilo sotto il quale i diversi mezzi di comunicazione hanno una capacità di incidenza sull’opinione pubblica è quello della diffusione di opinioni.

Lo scambio di opinioni è il terreno su cui il web 2.0 ha avuto effettivamente un effetto moltiplicatore (anche se non bisognerebbe dimenticare che già le talk radio, con gli interventi in diretta degli ascoltatori, hanno introdotto una forma di partecipazione diffusa al dibattito socio-culturale).

Per valutare l’incidenza del mezzo, però, dobbiamo porci una domanda: le opinioni scambiate su internet hanno maggiore incidenza, sulla formazione di un’opinione personale (e quindi, esponenzialmente, sulla formazione dell’opinione pubblica), di quelle trasmesse in via unidirezionale (da media tradizionali e siti internet con impronta editoriale)?

Anche qui, ci sembra che l’incidenza del web 2.0, benché reale, sia largamente sopravvalutata.

Il ruolo di media tradizionali e siti internet con impronta editoriale non può ritenersi esaurito, perché si tratta di mezzi caratterizzati da autorevolezza non solo nella diffusione di informazioni, ma anche di opinioni.

Le persone che invece navigano nel web 2.0 riconoscono alle opinioni “postate” in fretta da altri utenti un grado di autorevolezza ovviamente inferiore a quello riconosciuto ad articoli o servizi attentamente elaborati e pubblicati su altre fonti, normalmente ritenute più attendibili. A meno che i commenti non si basino proprio su link a quegli articoli e servizi…

Si aggiunga che l’effetto moltiplicatore ottenuto dallo scambio di opinioni virtuale, rispetto al passaparola della vita quotidiana, ha dimensioni contenute: il tempo disponibile per "postare" opinioni e leggere quelle di altri utenti non è infinito…

Casomai, il formarsi di una certa opinione può essere agevolato dal vederla ripetuta diffusamente: si crea un effetto di “onda emotiva” (come quello che autorevoli analisti hanno riscontrato nei recenti referendum).
Ma possiamo ritenere che questa suggestione - “se la pensano tutti così ci dev’essere qualcosa di vero” – sia un valido esempio di comunicazione “democratica” e “dal basso”?

Si tenga conto, inoltre, che il confronto sui forum politici o sui social network è molto più selettivo di quello che si verifica nella vita reale (nel gruppo di amici o colleghi universitarî, in ufficio, al bar).
Le persone tendono a frequentare comunità virtuali – gruppi di discussione - in cui c’è gente che condivide le stesse idee. Per cui non ci si forma un’opinione nuova, ma si rafforzano a vicenda quelle di partenza
Chi ha avuto occasione di frequentare tali spazî avrà anche notato la violenza verbale con cui è subito intercettato chi tenti di portare un contributo di pensiero originale. Esistono infatti utenti ansiosi di preservare la “purezza” (secondo la loro visione) dello spazio di discussione, contro le “tentazioni” indotte da opinioni non allineate; questi utenti – disinibiti anche dalla mancanza di interazione fisica - intervengono subito a deridere o insultare il contradditore “non ortodosso”, che deve essere messo a disagio e indotto ad abbandonare il dibattito.


Concludendo.
Se è vera la nostra analisi, per cui deve essere ridimensionata l’incidenza del web 2.0 sulla formazione del pensiero politico-culturale, come si spiega l’enfasi con cui – come ricordavamo all’inizio – molti hanno sottolineato l’importanza di questi nuovi mezzi di comunicazione?

Per un verso, c’è il gusto un po’ provinciale di cercare a tutti i costi segni di novità “epocali” in ogni avvenimento cui assistiamo.

Alcuni, poi, osservano la diffusa incidenza che i social network hanno sulla vita di relazione degli iscritti, e sono tentati di estendere tale incidenza - indebitamente - alla formazione delle opinioni socio-politiche.

In altri analisti c’è l’ansia di sembrare aggiornati, enfatizzando il ruolo di mezzi tecnici che non conoscono bene.

Altri ancora, tra coloro che hanno esaltato il web 2.0, sono quelli che ne fanno un uso molto intenso. Costoro possono commettere l’errore di considerarsi (con autocompiacimento) “protagonisti” di una nuova tendenza; e di generalizzare un’esperienza personale in realtà circoscritta, o almeno non vissuta da altri con le stesse modalità (immersione a tempo pieno nel dibattito politico virtuale). Pensano che tutto il mondo si racchiuda nel loro mondo…

Ci viene in mente, al riguardo, il celebre esempio di Pauline Kael, la critica cinematografica del New Yorker (la rivista di riferimento dei liberal, cioè della sinistra radical-chic americana), la quale nel 1972 commentò: "Non capisco come abbia fatto Nixon a vincere. Io non conosco nessuno che ha votato per lui".



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