Un tabù che si ripropone ai nostri giorni? Il sesso. Ma in forme opposte a quelle cui siamo abituati a pensare.
Fino agli anni Settanta di sesso quasi non si poteva parlare, se non per allusioni: era considerato argomento scabroso.
Oggi si può – si deve - parlare di sesso: come farne tanto, come farlo strano, come farlo con più persone possibile, ecc.
Ma è vietatissimo ragionare sul sesso: che significato ha nella vita di una persona, come renderlo un’esperienza che arricchisce, che rapporto ha con la dimensione affettiva e intellettuale; ed eventualmente – nessuno si stracci le vesti – ricordare che col sesso si genera la nuova vita.
Un tempo la verginità prima del matrimonio era un obbligo sociale. Oggi è un peso di cui liberarsi al più presto, una vergogna da tacere.
La pubblicità di ogni prodotto commerciale ha bisogno di ricorrere a richiami sessuali. Più espliciti quelli dei prodotti destinati agli uomini (donne seminude); più allusivi quelli dei prodotti destinati alle donne (“comprate così cosà, e sarete più sexy!”).
Un film che voglia fare buoni incassi non può esimersi da qualche scena erotica (un tempo bastava abbassare le luci). Se poi il regista vuole calcare la mano su questo versante, è sufficiente parlare di “erotismo d’autore” (anziché di pornografia) e l’orgoglio intellettuale dell’autore – e degli spettatori – è salvo.
Insomma: il sesso lo troviamo dappertutto, in una sorta di pansessualismo.
Libertà o dipendenza?
Ma, soprattutto, il sesso impone la sua legge. Tanto che la vera “patologia culturale” (qualche volta patologia psichica vera e propria…) legata al sesso, oggigiorno, non è la fobìa (“sessuofobia”), ma la manìa, la dipendenza, per cui parliamo di “sessuomania”.
La via di una scelta consapevole di come vivere la propria sessualità non sembra praticabile...
La parola d’ordine è: “scopare come ricci”.
Se qualcuno prova a ragionare sul fatto che forse non siamo ricci, allora si sprecano – tanto da parte del fine “intellettuale” quanto del “tronista” della De Filippi – i sorrisetti e i commenti sarcastici: “Ma che sei ‘sessuofobo’?” “Ma che sei bigotto?” “Ma che c’hai problemi ormonali?”, e via collezionando perle di saggezza.
Se qualcuno ci suggerisce come alimentarci correttamente, come guidare con prudenza, come investire oculatamente i nostri risparmi, come curare il mal di schiena, come far crescere un cactus sul Gran Paradiso, lo ascoltiamo attentamente.
Il discorso cambia se il tema è il sesso. In tal caso accettiamo solo consigli “tecnici”: come si corteggia, quali sono le posizioni del “Kamasutra del 2000”, ecc.
Se qualcuno però si permette di andare oltre, di affrontare il tabù di un discorso sul sesso, di darci suggerimenti psicologici o morali, allora protestiamo vivacemente: “attentato alla libertà sessuale!”
Insomma: in materia di sesso vige il più rigoroso dogmatismo: più sesso si fa, meglio è. È bandito ogni ragionamento.
L’amico lettore potrebbe commentare: “Che male c’è se uno vive la propria sessualità liberamente, senza violenza verso gli altri? Se poi non si sa gestire, peggio per lui”.
In realtà vorremmo proprio ragionare – sfidando il tabù! – su un fatto: la sessuomania da cui siamo avvolti ci induce a vivere la sessualità come dipendenza, in modo poco consapevole; quindi poco libero.
Cediamo per un momento la parola ad un attento – e certo non “bigotto” - osservatore di costumi qual era Pier Paolo Pasolini: “Oggi la libertà sessuale della maggioranza è in realtà una convenzione, un obbligo, un dovere sociale, un'ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore”.
Le forme di dogmatismo che abbiamo descritte sono proprio uno dei sintomi della scarsa libertà (effettiva) in materia di sesso. Il dogmatismo può raggiunge l’autolesionismo, come in tema di malattie a trasmissione sessuale (AIDS in primis).
Si sa – si dovrebbe sapere – che il preservativo non offre una protezione assolutamente sicura contro la trasmissione di tali malattie (così come non offre la garanzia di evitare un concepimento).
Per cui un discorso di prevenzione sanitaria obiettivo, razionale, scientifico, non moralistico, dovrebbe essere: “l’unica prevenzione sicura contro i rischi di contagio è l’astensione da rapporti sessuali a rischio (dunque l’astinenza, o la fedeltà a rapporti con un partner sicuro). Se non ci si vuole attenere a queste norme di comportamento, si cerchi almeno di ridurre il rischio utilizzando il preservativo”.
Se però qualcuno prova a formulare un discorso obiettivo, viene spesso aggredito come “oscurantista” o, addirittura, come colui che facilita il diffondersi di tali malattie.
È accaduto nel 1988 al ministro della Sanità di allora, Carlo Donat Cattin. Ed accade oggi al Papa, che segnala come la via d’uscita alla diffusione dell’AIDS in Africa non è nell’incentivazione all’uso del preservativo. I media gli si scagliano subito contro, anche con volgarità, dimenticando l’evidenza dei fatti: i progetti internazionali di prevenzione sanitaria che hanno ottenuto i migliori risultati nella lotta alle malattie a trasmissione sessuale sono proprio quelli di tipo “ABC” - “Abstinence”, “Be faithful”, “Condom” – che mettono al primo posto astinenza e fedeltà; cosicché un gruppo di epidemiologi, medici e psicanalisti su Le Monde ha potuto definire “realista” la posizione di Benedetto XVI.
La vera posizione moralista, a ben guardare, è quella dei paladini del preservativo. I quali partono da un dogma: la promiscuità sessuale non può in alcun modo essere discussa (discuterne, secondo loro, equivarrebbe a vietare...). Bisogna quindi rinunciare a combattere le malattie contagiose con mezzi che possano incrinare quel dogma, e accontentarsi di ridurre il danno (magari con qualche piccola bugia che magnifichi le capacità preventive dei profilattici).
Ma la questione della prevenzione dell’AIDS, benché esemplare, è tutto sommato marginale rispetto ai danni individuali e sociali cui conduce la sessuomania.
La frenesia sessuale non fa la felicità. Anzi, può far danni...
Bisognerebbe riflettere in modo non superficiale sul fatto che una dipendenza così profonda e potente è in grado di avvolgere tutta la vita dell’individuo, e danneggiarlo nel suo equilibrio emotivo, nella sfera familiare e relazionale.
Senza dimenticare che una diffusa incapacità a gestire la sessualità non danneggia solo il singolo, ma la società.
Analizziamo, ad esempio, il fenomeno del sesso pubblicizzato, ostentato e “guardato”: è un’innocua concessione all’occhio “che vuole la sua parte”? Il gradimento del pubblico verso l’uso commerciale del sesso va ascritto a comprensibili “debolezze” umane”?
Oppure questo pansessualismo ci fa spendere quantità enormi di denaro per i prodotti legati direttamente all’erotismo, o per i prodotti reclamizzati tramite l’erotismo, magari inutili o più scadenti di altri?
E quanto tempo sprechiamo – soprattutto nei casi di dipendenza più acuta – ad inseguire immagini e spettacoli a sfondo sessuale?
Questi rischi non li corriamo solo per i beni di consumo, né li corrono solo le persone meno istruite.
I direttori delle maggiori testate giornalistiche, anche le più “impegnate”, fanno sapere che c’è un’impennata nelle vendite quando in copertina c’è una foto osée o il richiamo all’ennesima “inchiesta” sul sesso.
L’impiego di donne avvenenti sembra una necessità non solo per il mestiere di modella e soubrette, ma anche per quello di giornalista televisiva (o di rappresentante politica…).
Tutte bravissime, per carità! Ma quelle brave e bruttine sembrano in via di estinzione...
E la qualità delle notizie – della nostra consapevolezza –, la qualità delle leggi che regolano la nostra vita, passa in secondo piano.
Non parliamo poi dei danni che il continuo bombardamento sessuale e la banalizzazione del sesso produce sui minori, sollecitati ad una pratica sessuale per la quale non hanno ancora la maturità psicologica.
Sino ad arrivare ad eccessi come il fenomeno delle baby-cubiste, o della prostituzione precoce in cambio di una ricarica del cellulare...
Un altro capitolo sarebbe quello dei danni psicologici che la continua proposizione di situazioni sessuali produce sulle persone più fragili (che, si badi bene, non sono una minoranza...).
Ragazze che inseguono il chirurgo plastico, o diete impossibili, perché messe a confronto con modelli di donna fuori dalla norma.
Ragazzi frustrati dal non poter accedere, nella vita quotidiana, a quella facilità di rapporti con donne bellissime che sembra a portata di mano. Un’attività sessuale frenetica e gratificante sembra quasi un “diritto” sociale; e qualcuno finisce anche per fare ricorso alla violenza, se gli sembra che questo “diritto” gli venga ingiustamente negato...
I consumatori di pornografia, poi, sono quasi sempre affetti da una vera e propria dipendenza patologica, con conseguenze anche gravi sulla salute.
Quanto al sesso praticato: è solo un esercizio della libertà? Una piacevole attività fisica?
Spesso è anche un’occasione di gratificazione e rassicurazione psicologica, di narcisismo, di dimostrazione di potere, di gratificazione affettiva (bisogno d’amore).
Ammettere la “libertà” materiale non significa rinunciare ad interrogarsi se si tratta di libertà davvero piena e consapevole, anche delle conseguenze.
Possiamo senz’altro ritenere che una persona sia “libera” di ricercare nel sesso solo piacere fisico. Ma questa equiparazione del sesso umano a quello animale non svilisce la ricchezza e la complessità che la sfera sessuale ha nell’uomo?
Possiamo ritenere, inoltre, che una persona sia “libera” di ricercare gratificazione psicologica e colmare le proprie insicurezze con una frenetica attività sessuale. Ma, anche senza scomodare i trattati di sessuologia, esercitando un minimo di capacità di osservazione: possiamo dire che una tale frenesia riesca a garantire quella gratificazione? Possiamo ridurre la sessualità a rimedio contro le insicurezze?
Possiamo poi ritenere che una persona sia “libera” di esercitare il proprio narcisismo collezionando partner sessuali. Ma possiamo dire che assecondare una nevrosi narcisista valga a curarla o a garantire equilibrio emotivo?
Possiamo altresì ritenere che una persona sia “libera” di fornire una dimostrazione di potere mediante l’esibizione di partner sessuali appariscenti e magari molto più giovani (o mediante la dimostrazione di saper esercitare la propria attrattiva sessuale conquistando un partner di prestigio). Ma possiamo far finta di non sapere che l’esercizio del potere è il risvolto dell’incapacità di costruire un rapporto affettivo? Possiamo dimenticare che in un rapporto di potere c’è sempre un dominatore (sia pure intimamente fragile) e un dominato (che accetta la sudditanza, e le umiliazioni che comporta, quale scorciatoia in una vita che ha timore di affrontare)?
Possiamo ritenere, ancora, che una persona sia “libera” di cercare di colmare le proprie carenze affettive cercando rapporti sessuali. Ma qualcuno si illude davvero che rapporti fugaci, precarî, fondati sull’attrazione fisica o sulla passione, possano essere scambiati per un amore vero, stabile, capace di riempire la vita di una persona?
Insomma: sono manifestazioni di libertà o di dipendenza?
Bisogna aggiungere che la promiscuità sessuale rende più difficile lo stabilirsi di un legame stabile.
Ogni relazione sessuale, infatti, costituisce un legame profondo, che resta impresso nella mente di ognuno: quel ricordo viene idealizzato, genera confronti con il nuovo rapporto e lo indebolisce.
Il mito del sesso libero, peraltro, rappresenta l’imposizione di un modello maschile.
I ragazzi si accontentano più facilmente di un piacere sessuale fine a se stesso (per quanto non si dovrebbe dimenticare che anch’essi sono danneggiati da un consumismo sessuale che ritarda la loro maturazione, il momento dell’assunzione di responsabilità verso l’altro).
Ma sono soprattutto le ragazze ad essere ferite dal veder soffocato il loro naturale desiderio di stabilire un rapporto affettivo stabile e costruire una famiglia.
Accade che la frenesia sessuale, la ricerca di “nuove esperienze”, non regali la felicità sperata? Che la realtà non corrisponda alle nostre aspirazioni?
Secondo alcuni… peggio per la realtà!
È il caso di chi vuole sovvertire la stessa identità della persona umana, sostituendo l’identità sessuale (maschio e femmina) con la cosiddetta “identità di genere” (etero, omo, trans, ecc.).
Sui rischi della frenesia sessuale potremmo continuare a lungo: pornografia, pedofilia, accesso precoce alla pratica sessuale, dipendenza psico-fisica (e non solo culturale) dal sesso, frustrazioni da senso di inadeguatezza, strumentalizzazione del corpo, svalutazione dei sentimenti, consumismo sessuale, rinuncia alla responsabilità della paternità/maternità.
Come liberarsi dai lacci della sessuomania? Come recuperare un approccio consapevole alla dimensione sessuale?
Non bisogna “reprimere” l’istinto sessuale, che ha una grande importanza per le persone (e l’umanità). Come per tutti gli istinti e desiderî che nella società odierna sembrano dominarci, però, la sfida è quella di comprendere il loro significato.
Bisogna trovare un equilibrio, un armonia tra la dimensione psichica-affettiva-culturale e il corpo. Senza questo equilibrio (il paragone con i disturbi del comportamento alimentare può essere istruttivo) danneggiamo corpo e psiche.
Bisogna riscoprire, insomma, perché il sesso è soprattutto l’occasione per donare (e non solo ricevere) amore, per costruire un progetto di vita…
Il significato della sessualità
Non vogliamo improvvisarci ‘scopritori’ del senso della sessualità. Tentiamo solo di recepire, al tempo stesso con umiltà e con attenzione critica (sia pure con la semplificazione che lo spazio ci impone), gli insegnamenti della biologia, della psicologia e della morale tradizionale (intesa come riflessione sul significato e sulle conseguenze dei comportamenti umani).
Dunque: che cos’è il sesso (inteso come attività sessuale)?
È l’insieme degli atti legati alla funzione riproduttiva. Il sesso, insomma, serve alla specie (non solo umana) per riprodursi.
La sessualità è certamente una sfera complessa. L’aspetto che nella cultura moderna sembra tornare a imporsi prepotentemente è quello fisico, in particolare il piacere collegato all’atto sessuale, come attesta l’ossessiva ricerca di tecniche per accrescere tale piacere.
Ebbene, se dovessimo analizzare questo aspetto in un’ottica puramente biologica-evoluzionista (e quindi senz’altro non moralista), dovremmo chiederci: perché si prova tanto piacere nell’attività sessuale? Perché gli esemplari di una specie che provano piacere nell’attività sessuale si sono riprodotti maggiormente, trasmettendo questo carattere genetico e rendendolo dominante.
Il legame con la riproduzione, quindi, resta ineludibile.
Nella specie umana, però, il sesso non è solo fisicità. L’uomo non è... un riccio, e nemmeno una zebra o un leone. La sessualità umana ha una dimensione psichica, affettiva e culturale molto più complessa.
Anche sotto questi profili, però, la sfera sessuale può essere compresa in pienezza solo a partire dalla sua radice più profonda, il legame con la procreazione. La semplice invocazione della “libertà” – che certo costituisce un requisito di ogni comportamento umano – non ci fornisce risposte alle domande di senso.
Possesso o dono?
Che rapporto si stabilisce tra due persone che si incontrano sessualmente solo per trarre godimento fisico, o rassicurazione psicologica, o gratificazione affettiva?
Un rapporto di possesso, di strumentalizzazione. L’altro è un oggetto, lo strumento che mi consente di soddisfare il mio ego. E così ci ritroviamo impropriamente a definire “amore” un sentimento che può facilmente divenire malato e violento.
Qual è l’alternativa al possesso? L’amore?
Non l’amore com’è inteso comunemente oggi.
L’amore come semplice passione, attrazione fisica, che si infiamma e si spegne.
Oppure l’amore come innamoramento sentimentale, che vede nell’altro la proiezione dei proprî desiderî, ed è pronto a crollare quando l’altro dimostra di avere una sua personalità autonoma.
L’amore davvero alternativo al possesso è l’amore come accoglienza e dono. Amore come desiderio del bene dell’altro. L’amore come atto; che non si “sente”, ma si dimostra.
Questo amore non è una forma di eroismo moralistico e astratto.
L’amore come dono si nutre certamente anche della passione, del desiderio dell’altro (eros), per raggiungere la propria unità nell’unione di due diversità (maschio-femmina) che si completano e si arricchiscono. Ma la passione deve essere alimentata, guidata, non subìta.
L’unione intima dei corpi, infatti, esprime un’appartenenza reciproca e un donarsi totale. E questo è possibile solo con l’accoglienza dell’altro e della sua autenticità (nel possesso non c’è autenticità); è possibile solo con l’amore fedele – sono solo tuo/a –, più grande e più vero di quello infedele; è possibile solo con l’amore “per sempre”, più grande e più vero di quello precario; è possibile solo con l’amore che vuole costruire un progetto di vita comune, più concreto di quello che vive solo di gioie effimere (viaggi, cene con amici...).
L’amore come dono, poi, si nutre certamente anche di sentimento. Ma al sentimento affianca la ragione, il realismo, la capacità di affrontare i momenti difficili.
L’amore aperto alla vita è accoglienza e dono in senso pieno: accolgo una nuova vita da amare e di cui essere responsabile; ti dono tuo/a figlio/a, mi rendo disponibile a crescerlo insieme.
A questo punto, è quasi inevitabile sentirsi porre una domanda retorica (propria di chi è già perplesso e pronto a ridicolizzare il legame tra sessualità e procreazione): “E allora che vuol dire: che nella vita bisogna far sesso solo quelle poche volte in cui si vogliono far figli? Che il sesso non può essere libero?”
No. Stiamo ragionando sul significato pieno e profondo della sessualità, non sulla liceità dei singoli atti sessuali.
Una domanda retorica come quella che abbiamo immaginato porre è, nella sua banalità (ci perdoni il lettore che la sente propria), un’espressione del “pensiero unico” imposto dalla sessuomania. Un pensiero che di fronte a ciò che non comprende cerca di esorcizzarlo con il sarcasmo, rifiutando il ragionamento e le evidenze delle vita reale (gli studî scientifici - ma non ce ne dovrebbe essere bisogno - ci ricordano che il 'segreto' della felicità è in una famiglia con molti figli).
L’importante, allora, non è che da ogni singolo rapporto nasca un bebè. L’importante è – sarebbe - che i rapporti sessuali non siano puramente fisici, ma siano espressione di una relazione affettiva profonda e duratura, basata sul dono e, quindi, aperta anche alla nuova vita.
Se vogliamo mantenere il filo di un ragionamento coerente, il contesto in cui si offre la migliore accoglienza alla nuova vita è quello del rapporto matrimoniale, cioè dell’impegno sancito da un vincolo pubblico.
Sentiamo già una nuova domanda retorica: “E allora che vuol dire: che si può fare sesso solo nel matrimonio? Ma questo lo dice solo la Chiesa!”
Beh, in chiave morale l’insegnamento della Chiesa cattolica non ci sembra trascurabile. La Chiesa, “esperta in umanità”, non offre in materia “dogmi”, ma riflessioni ben argomentate (e particolarmente preziose nell’odierna confusione culturale), che anche il non credente potrà liberamente apprezzare o respingere.
Al di là della posizione del magistero cattolico, è la stessa legislazione degli Stati a riconoscere particolare tutela alla famiglia fondata su quel vincolo stabile e ufficiale che è il matrimonio (civile o religioso che sia), perché solo questa famiglia è in grado di svolgere insostituibili funzioni sociali e crescere in maniera sana i futuri cittadini.
Per farla breve, se parliamo di comportamenti umani non possiamo liquidare il discorso con l’invocazione della “libertà”; possiamo formulare anche un giudizio psicologico, affettivo, culturale, che si riassume in un giudizio morale. Che non è un freno irrazionale alla libertà, ma è un criterio di consapevolezza, suggerisce il miglior uso della libertà, individua il rapporto tra libertà e bene autentico della persona. D’altronde, se il sesso è anche fenomeno culturale, un giudizio sulle diverse manifestazioni di questo fenomeno è legittimo e inevitabile.
Un’ultima domanda, meno retorica e più sensata, potrebbe essere: “Com’è possibile porre un modello di relazione sessuale e affettiva così esigente, sapendo che in pochi riescono a rispettarlo?”
Certamente, dominare gli impulsi, soprattutto se gli stimoli esterni vanno nella direzione opposta, non è facile. Non sapremmo però fare statistiche: quelli che silenziosamente cercano di vivere una sessualità nel suo significato più profondo, senza ostentare le proprie scelte, potrebbero essere più di quanto si creda.
In ogni caso, come abbiamo già spiegato nell’articolo su libertà e morale, le difficoltà concrete non rendono meno importante porre un obiettivo da raggiungere.
Le cause della sessuomania
Il sesso è un potente istinto naturale. Il rischio di farsene dominare appartiene da sempre all’umana fragilità.
Quali sono, però, gli elementi che nella società moderna hanno trasformato la fragilità individuale in fragilità sociale? Quali le cause del pansessualismo e della sessuomania?
Le cause principali sono comuni alla più generale riaffermazione del dominio dei sensi e dei desiderî: il progresso economico e tecnologico che ha intaccato il senso del limite; il Sessantotto come movimento che, pur fallendo come rivoluzione politica, si è imposto come rivoluzione di costume (che è stata anche rivoluzione sessuale).
Una causa particolare è costituita dalla grande influenza rivestita nel XX secolo dal pensiero di Sigmund Freud, non solo nel campo specifico della psicoterapia, ma anche in quello più vasto della cultura (metapsicologia).
Freud aveva assegnato un primato assoluto alle pulsioni sessuali nello sviluppo della personalità, e alla “repressione” di tali pulsioni quale causa di nevrosi. Con il sottinteso - a volte esplicitato - che bisognasse "liberarsi" da tali inibizioni.
Questo primato del sesso è stato alla base dei dissidî con i suoi maggiori allievi (Jung, Adler), ed è stato ridimensionato anche dagli analisti che al giorno d'oggi hanno raccolto più direttamente l'eredità freudiana (c.d. "neofreudiani").
Ciò nondimeno, si è trattato di una teoria che ha avuto vasta incidenza nell'immaginario collettivo e nell'evoluzione dei costumi.
La società moderna sembra priva di quegli anticorpi che le consentano di dare il giusto peso alla dimensione sessuale e al suo libero esercizio.
Manca quella piena consapevolezza culturale che sola può consentire un effettivo esercizio della libertà. Per “consapevolezza culturale” non si intende, ovviamente, la conoscenza, la semplice possibilità di accesso alle informazioni (peraltro limitate a “tecniche” sessuali e presidî sanitarî per la prevenzione di malattie). Consapevolezza culturale, piuttosto, è la capacità – individuale e sociale – di elaborare le informazioni possedute, di inserirle in un quadro di maturazione psicologica e coscienza morale.
L’idea per cui dalla semplice conoscenza deriverebbero comportamenti responsabili è un mito illuminista, che produce effetti contrarî a quelli desiderati. In tema di sessualità, gli studî sociali hanno evidenziato che le campagne sul “sesso sicuro” (lezioni, distributori di profilattici nelle scuole, ecc.) generano false certezze e incoraggiano la promiscuità dei giovani; procurando, paradossalmente, un aumento delle gravidanze indesiderate e del contagio da HIV (si vedano gli studî del 2004 dell’Università di Nottingham sulla campagna sul “sesso sicuro” del governo inglese; i dati su distribuzione di preservativi da parte dell’USAID e incremento della diffusione dell’HIV/AIDS dal 1984 al 2003; ecc.).
Una causa più specifica della rivoluzione sessuale è stata la diffusione della pillola anticoncezionale, la quale ha separato l’atto sessuale dalla sua conseguenza procreativa; lo ha privato di quello che, come visto, è il suo significato più profondo; ha reso meno concreta la responsabilità morale dei comportamenti sessuali.
Poco importa che, nel vissuto quotidiano delle persone, questa separazione tra sesso e procreazione non possa essere pienamente effettiva: perché la pillola anticoncezionale non è sempre efficace, o perché non è sempre usata (se il sesso è “libero”, non si può lasciar scappare un’occasione solo perché non ci si è cautelati!). Per cui all’introduzione della pillola ha dovuto far seguito la legalizzazione dell’aborto…
Poco importa, altresì, che non possano essere facilmente eliminate – con una pillola – le implicazioni emotive e psicologiche di un rapporto sessuale.
Ciò che importa è che, nell’immaginario collettivo, si sia affermata l’idea – l’illusione – che non esista relazione tra sesso e generazione della vita.
Se la pillola anticoncezionale ha introdotto l’illusione della separazione tra atto sessuale e procreazione, nel senso che il primo può essere consumato senza condurre necessariamente alla seconda, questa illusione è stata completata dalla fecondazione artificiale: la procreazione può avvenire senza bisogno dell’unione sessuale.
Illusione foriera di nuovi desiderî faustiani: quelli dell’ingegneria genetica applicata all’uomo, dell’eugenetica, della programmazione e fabbricazione di bambini.
Un’ultima, determinante, pervasiva causa della sessuomania è l'unione col denaro. Il denaro ha una capacità corruttiva senza confini; se poi questa capacità corruttiva si sposa con uno degli istinti più potenti e meno facilmente controllabili dell’uomo…
Ma questa commistione, nella società del benessere, non avviene solo nella forma già conosciuta di mercificazione dei rapporti sessuali. Avviene nella nuova forma del consumismo sessuale: il sesso si fa industria, i bisogni sessuali vengono non solo soddisfatti, ma indotti.
Interi settori commerciali si alimentano con il consumismo sessuale: pornografia, industria dei divorzî, edilizia e consumi energetici incrementati per la frammentazione dei nuclei familiari, consulenze e terapie sessuali, industria farmaceutica (anticoncezionali) e clinica (aborti, chirurgia plastica, ecc.).
Non solo: la "disinibizione" nei comportamenti sessuali si associa alla più generale sfrenatezza nei consumi, non a caso propagandati con ammiccamenti sensuali. La parsimonia diventa un peso quanto la castità. Il pansessualismo alimenta il consumismo, ed è quindi è incoraggiato dall'industria produttiva.
Cedendo ancora la parola a Pasolini: “Questa libertà del coito della ‘coppia’ così com'è concepita dalla maggioranza - questa meravigliosa permissività nei suoi riguardi - da chi è stata tacitamente voluta, tacitamente promulgata e tacitamente fatta entrare, in modo ormai irreversibile, nelle abitudini? Dal potere dei consumi, dal nuovo fascismo. (…) Oggi la libertà sessuale della maggioranza è in realtà una convenzione, un obbligo, un dovere sociale, un'ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore”.
Le cause esposte ci fanno capire che i rimedî non sono facili.
Non è possibile – e non è sensato – spostare indietro le lancette del progresso tecnologico, pensare di far sparire la pillola anticoncezionale, limitare la libertà imprenditoriale o di espressione.
Intendiamoci: “divieti” legali sono necessarî nella misura in cui servono a tutelare la sensibilità comune e l’incolumità – fisica e psicologica - dei minori e dei soggetti deboli. O nella misura in cui servono a prevenire atti che manipolano l’identità dell’uomo (alcune forme di fecondazione artificiale).
Ma, più in generale, una piena consapevolezza culturale - che sola può consentire un effettivo esercizio della libertà - può essere recuperata soltanto con una chiara e coraggiosa "battaglia" culturale.