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Politica - Notizie e Commenti
La dignitą dell'astensione ai referendum sulla legge 40 Stampa E-mail
Una scelta costituzionale per impedire che una legge di civiltą fosse cancellata da una minoranza
      Scritto da Giovanni Martino
08/05/05
Ultimo Aggiornamento: 24/06/11

referendumlegge40_nonvoto_manifesto.gifLa propaganda dei sostenitori dei referendum, come quelli sulla procreazione assistita, utilizza anche slogan scorretti (e subdoli), del tipo: “Votate come credete, anche ‘no’, ma votate. Chi non vota manifesta scarso senso civico, disimpegno”.

Spiace che a volte anche cariche istituzionali sposino tali luoghi comuni...

A queste tesi abbiamo risposto con la massima chiarezza: non andare a votare è una scelta pienamente consapevole nonché un diritto costituzionale; è l’unico modo efficace per opporsi ai referendum (nel caso della legge 40, era l'unico modo per difendere una legge che tutela i soggetti deboli e per fare quindi - vista l’alta posta in palio - una vera scelta di civiltà).
Chi vota “no” (o scheda bianca) rischia solo di aiutare i “sì” a vincere.

Insomma: non andare a votare, in occasione dei referendum, non è necessariamente una scelta di disimpegno (come dovrebbe riconoscere chi ha letto i nostri articoli sui temi bioetici).

Vediamo subito perché è scorretto sostenere che astenendosi dal voto si viene meno ad un dovere civico.

L'articolo 48 della Costituzione precisa che l'esercizio del diritto di voto "è dovere civico". Si tratta di una locuzione che si riferisce al voto per l’elezione degli organi rappresentativi politici (Parlamento) e amministrativi (Consigli regionali, provinciali, comunali). La ratio della norma è evidente: votare, in questi casi, significa rispondere ad una “chiamata” che viene dalla Repubblica, per rinnovare organi necessarî al funzionamento della vita democratica; chi non vota “tradisce” questa chiamata e rinuncia totalmente ad essere rappresentato, ad avere voce in capitolo nelle scelte collettive.

Il richiamo dell’articolo 48 non si riferisce anche ai referendum abrogativi. In questi casi si tratta di un’opportunità supplementare, non necessaria, offerta a coloro che non fossero soddisfatti del lavoro già svolto dal Parlamento. Una circostanza eccezionale, altrimenti si avrebbe un'assurda sovrapposizione di democrazia diretta e indiretta. L'art. 75 della Costituzione, che disciplina questa materia, fissa un doppio quorum (percentuale minima), stabilendo che la proposta soggetta a referendum è approvata “se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi”, a condizione che abbia “partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto”. Dunque la Costituzione ammette che l'elettore possa legittimamente non partecipare a questo tipo di votazione. La chiamata al voto, in effetti, non viene dalla Repubblica, ma da una piccola parte del corpo elettorale, a cui spetta dunque l'onere di raggiungere il quorum, dimostrando che valeva la pena sottoporre a referendum quella legge.

Non votare ai referendum, dunque, non è solo un diritto costituzionale, ma può essere una scelta consapevole e mirata: significa essere in disaccordo col contenuto della proposta, oppure disapprovare per quella materia l’uso stesso dello strumento referendario (e l'ulteriore esborso di denaro pubblico che comporta), ritenendo che il Parlamento eletto abbia fatto un buon lavoro, o che solo in Parlamento si possa trovare una soluzione ragionevole. (Non dimentichiamo che la legge 40 è stata approvata in Parlamento con una larga maggioranza che comprendeva esponenti dei partiti al Governo e di quelli all’opposizione, credenti e non credenti.)

Max Weber osservò che “la votazione popolare, come mezzo (...) di legislazione ha limiti intrinseci che derivano dalle sue caratteristiche tecniche: essa risponde soltanto con un ‘sì’ o con un ‘no’ ”. Cioè, per sua natura l'istituto referendario non consente di scegliere tra una pluralità di soluzioni legislative articolate, cosa che invece è possibile in sede parlamentare. Evitare la drastica scelta tra “sì” e “no” e rinviare la questione a sedi più appropriate, soprattutto per materie complesse, può essere una scelta di responsabilità morale che si manifesta con l'astensione.

Come abbiamo premesso, gli slogan che richiamano al “dovere” di partecipare al voto sono subdoli e strumentali, oltre che scorretti. Subdoli perché coloro che invitano ad andare al voto sanno che ciò intende agevolare solo la vittoria dei “sì”.

Cerchiamo di spiegarlo con un semplice esempio. Facendo pari a 100 i cittadini chiamati al voto in un qualsiasi referendum, per l’ammissibilità del quesito serve che si rechino a votare almeno in 51, e che voti “sì” almeno la maggioranza di questi. Ipotizziamo dunque una distribuzione degli orientamenti degli Italiani di questo tipo: 30 sono a favore dei referendum e dell’abrogazione della legge, e si recano a votare “sì”; 25 sono contrari al referendum (vorrebbero difendere la legge) e si recano a votare “no”; altri 45 sono contrari o disinteressati al referendum, e non si recano a votare. Ebbene, in questo caso si recherebbero a votare 55 Italiani su 100, ed il referendum raggiungerebbe il quorum di partecipanti; inoltre, di questi 55, la maggioranza relativa (30 contro 25) risulterebbe favorevole ai quesiti abrogativi, che verrebbero dunque approvati. Insomma, quella che in definitiva è una netta minoranza (30) potrebbe battere la stragrande maggioranza (70), se quest’ultima si presenta divisa, abrogando una legge votata da una larga maggioranza in Parlamento!!! Si capisce così perché è non solo giuridicamente e moralmente lecito, ma anche opportuno e necessario che il fronte di coloro che vogliono difendere la legge sia compatto sulla scelta di non votare.

I 25 del nostro esempio che si fossero recati alle urne votando “no” avrebbero sprecato il loro voto in maniera poco avveduta, perché così si aiuta a raggiungere il quorum e a vincere la minoranza del “sì” (e inoltre si consente ai promotori dei referendum di ricevere un bel finanziamento pubblico...).

Infine, c’è chi dice: “però con l’astensione chi è contrario ai referendum ‘si mischia’ con chi non vota per semplice disinteresse”. E allora? Chi è il Giudice supremo in grado di misurare il livello di interesse e di consapevolezza, in grado di distinguere i ‘buoni’ dai ‘cattivi’ con i quali non bisogna “mischiarsi”? Siamo sicuri che siano ‘consapevoli’, soprattutto in una materia tanto complessa come quella della fecondazione artificiale, quelli che si sono recati a votare? Abbiamo visto che esistono diversi motivi legittimi per contrastare i referendum: tutti questi motivi possono e debbono legittimamente sommarsi (e possono farlo solo con l’astensione), così come tra i fautori del “sì” si sommano motivazioni molto diverse tra loro. Il fatto che la compattezza tra i contrari al referendum si può realizzare solo con l’astensione è un ragionamento talmente evidente, che lo hanno fatto tutti coloro che negli ultimi anni si sono opposti alle domande referendarie, facendole fallire...

Tra coloro che fanno questi appelli moralistici al voto, non mancano incalliti laicisti che ricorrono al Vangelo (!) per indurre i cristiani a votare. Costoro, anziché manipolare confusi ricordi scolastici (richiami ad un presunto disimpegno "pilatesco", quando di disimpegno abbiamo visto che non si può parlare), potrebbero leggere passi come la parabola del re prudente, che decide di ricorrere alla trattativa anziché alla guerra perché ha calcolato che le forze del nemico sono più numerose delle sue (Lc 14,28-32). Dovere del buon cristiano, oltre che del cittadino avveduto, è scegliere la strada più efficace.

Non mancano perfino, tra i politici che votano "no", quelli che hanno lo scopo preciso di agevolare il "sì": parlano di "scelta coraggiosa", di "affrontare i referendum a viso aperto", quando sperano soltanto - loro sì furbescamente - di accontentare un po' tutti.

La riprova della malafede di certi inviti al voto la si può trovare esercitando appena la memoria: ricordiamo le campagne per l’astensionismo (alle elezioni, quando il voto è davvero “dovere civico”, ma anche ai referendum sulla scala mobile del 1985) dei radicali e di Pannella, gli sproloqui sul “partito del non voto”! In materia di referendum, poi, anche i partiti della sinistra si sono più volte espressi per l’astensione (da ultimo nel 2003 ai referendum sull'art.18 dello Statuto dei lavoratori; Rifondazione lo fece per quello sull'abrogazione della quota proporzionale nella legge elettorale).

Tra quanti denunciano la difficoltà emersa negli ultimi anni al raggiungimento del quorum per la validità dei referendum, non si possono quindi condividere le lamentele sull'astensione o le richieste di abolizione del quorum stesso, che consegnerebbero un potere eccessivo alle minoranze e innescherebbero - come visto - un pericoloso conflitto tra democrazia "diretta" e democrazia rappresentativa (in quasi tutti i Paesi in cui non è richiesto quorum, i referendum sono di tipo propositivo e non abrogativo).

L'unica osservazione ragionevole è quella che evidenzia il legame tra quorum referendario e legge elettorale. Chi evidenzia questo legame, infatti, lamenta il livello troppo alto del quorum, ricordando che fu fissato dai costituenti avendo presente un sistema elettorale di tipo proporzionale, in cui la maggioranza parlamentare era rappresentativa della maggioranza assoluta del Paese.
In un sistema maggioritario può accadere che una maggioranza parlamentare rappresenti una maggioranza non assoluta, ma solo relativa dell'elettorato: il 40/45%. Per cui un leggero abbassamento del quorum referendario (al 40%?) potrebbe consentire un contrappeso tra maggioranza parlamentare e maggioranza assoluta dei cittadini, senza creare inutili e paralizzanti contrapposizioni.

Concludendo: sarebbe bello che nelle campagne elettorali si usassero toni anche accesi, appassionati, ma senza ricorrere a bugie e ipocrisie. Non votare, allora, può essere una scelta di civiltà anche per far capire ai promotori dei referendum che gli Italiani amano essere trattati da cittadini adulti.

 



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