Le principali forze politiche autonome dai maggiori partiti sono tre: Lega Nord, Unione di Centro, Italia dei Valori. In questa fase, quella maggiormente al centro dell’attenzione – e delle polemiche – sembra essere l’Udc, verso la quale i commenti di Pdl e Pd sono mutevoli: un giorno la corteggiano (anche in funzione delle alleanze per le elezioni regionali) e disegnano comuni progetti politici di ampio respiro; il giorno dopo la accusano di voler fare una “politica dei due forni”, cioè di scegliere le alleanze in base alla convenienza.
In quest’atteggiamento sembra esistere una contraddizione, perché se davvero si ritenesse l’Udc un partito inaffidabile, non si cercherebbero alleanze con esso... Cercheremo di capire meglio, più avanti, il significato di questa contraddizione.
Per ora esaminiamo il messaggio lanciato: “L’Udc deve scegliere una volta per tutte”.
Se guardiamo alla polemica – e, più in generale, alla vita politica – con l’occhio del cittadino che vuole la “semplicità” di due schieramenti, l’Unione di Centro – che vuole scompaginare questi schieramenti – appare un inciampo.
I “mazzieri” sono i due maggiori partiti, e chi non vuole “complicare” questo scenario immutabile dovrebbe semplicemente decidere da chi farsi assorbire.
A volte, però, la chiarezza – sempre necessaria – non fa rima con la semplificazione. Semplificare può voler dire banalizzare, e magari falsificare.
Dobbiamo quindi sforzarci di rispondere a tre domande:
1) Il tentativo dell’Udc di scompaginare l’attuale quadro politico può considerarsi una “colpa”?
2) Le scelta di alleanze variabili può essere letta solo come una scelta di opportunismo e di potere, o può esprimere l’autonomia di un progetto politico?
3) Anche a voler dar credito all’Udc di perseguire un progetto politico alto, le scelte concrete effettuate negli ultimi mesi possono essere considerate coerenti e funzionali a tale progetto?
Esaminiamo dunque le possibili risposte ai quesiti posti.
1) Il tentativo dell’Udc di scompaginare l’attuale quadro politico può considerarsi una “colpa”?
La risposta l’abbiamo già data in un precedente articolo: il bipartitismo non è il migliore dei sistemi possibili. Un sistema con due soli partiti-calderone contrapposti non consente agli elettori di esprimere un voto chiaro e consapevole, ma si presta al controllo opaco di gruppi di potere.
Del resto, tale sistema è presente solo negli USA, e con garanzie ben più stringenti di quelle immaginate dai bipartitisti nostrani.
Ben diverso sarebbe un quadro di bipolarismo pluralista e flessibile, in cui si confrontano alleanze di partiti che hanno contenuti chiari. Per cui l’elettore può scegliere non solo l’alleanza, ma anche – all’interno di essa – l’orientamento politico culturale cui vuole dare maggior peso.
Il tentativo di un partito – sia o meno l’Udc – di difendere uno scenario diverso da quello di un bipartitismo rigido, in cui siano salvaguardate le identità culturali delle forze politiche, non ci sembra quindi una “colpa”.
La nostra analisi può essere ovviamente discussa e criticata. Ma da qui a ritenere “inquinatori” della vita politica quanti esprimono riserve su una prospettiva politica bipartitica, che non esiste quasi in nessuna parte del mondo, il passo è lungo...
2) La scelta dell’Udc di alleanze variabili può essere letta solo come una scelta di opportunismo e di potere, o può esprimere l’autonomia di un progetto politico?
Se ammettiamo che possano esistere forze politiche non inglobate nei due partiti maggiori, quale dovrebbe essere la loro politica delle alleanze?
In linea di principio, se una forza politica è autonoma (non subalterna a quelle maggiori), la scelta delle alleanze non può essere precostituita.
Su quali basi, allora, scegliere l’alleanza?
L’obiettivo di costruire un’alleanza capace di vincere le elezioni e di governare non è un obiettivo spregevole: la politica è la ricerca del bene comune mediante la presenza nelle istituzioni, quindi mediante l’esercizio del potere.
Le polemiche contro il “desiderio di poltrone” sono polemiche di bassa lega, che di solito vengono da chi quelle poltrone le vuole tenere tutte per sé...
È ovvio, però, che la ricerca di un’alleanza forte e vincente ha senso – ed è moralmente accettabile - se è al servizio di un progetto politico. Altrimenti sarebbe ragionevole definire un tale atteggiamento come opportunista.
Bisogna quindi valutare il progetto politico. Un progetto che rifiuta schieramenti precostituiti, la dicotomia amico-nemico, ha senso se è un progetto basato sui contenuti. Quali?
Un progetto basato su contenuti forti, autonomo da destra e sinistra (anche se disposto ad alleanze che consentano di dar forza ai contenuti), è proprio quello del cattolicesimo politico e del centrismo.
Non si tratta delle velleità di Pier Ferdinando Casini. Il centrismo, da Sturzo in poi (e non solo in Italia), rappresenta la storia e la natura stessa del cattolicesimo politico.
Non a caso, i più tenaci fautori del bipartitismo, oltre che tra i due maggiori partiti italiani (mossi da comprensibili ragioni di interesse), possono essere ritrovati tra le élites che avversano le forze politiche popolari, e il cattolicesimo politico in particolare.
Altra valutazione, casomai, è quella se l’Udc odierna sia all’altezza di esprimere con forza un moderno progetto centrista.
Quando una forza centrista deve scegliere un’alleanza, probabilmente guarderà al polo di attrazione – se non riesce essa stessa a divenire polo di attrazione - con il quale esistono maggiori affinità. In genere è quello moderato.
Ma un’alleanza non è mai scontata: è un accordo che implica un reciproco venirsi incontro su posizioni di “compromesso”.
Se una delle due parti rifiuta l’accordo (come il Pdl prima delle ultime elezioni politiche), è ovvio che l’altra - l’Udc – possa esplorare la possibilità di un’alleanza diversa.
Che non significa aderire supinamente alla politica dell’altro polo di attrazione (il Pd), ma cercare un accordo che valorizzi la propria proposta politica.
Un partito, dunque, non può essere giudicato solo per l’alleanza (“dimmi con chi vai…”, o quello che Sturzo definiva il "morbo della filìà: "sei filo-fascista o filo-socialista?"), ma anche per il profilo e i contenuti che riesce a dare a quell’alleanza.
3) Anche a voler dar credito all’Udc di perseguire un progetto politico alto, le scelte concrete effettuate negli ultimi mesi possono essere considerate coerenti e funzionali a tale progetto?
All’Udc, come ad ogni forza politica, ciascuno avrà senz’altro rilievi da muovere.
Bisogna però sgombrare il campo da due tipi di critiche.
Innanzitutto, quelle ipocrite e propagandistiche (“sono interessati alle poltrone”).
In secondo luogo, quelle che hanno come falso bersaglio l’Udc, e come vero bersaglio la possibilità di costruire e rafforzare un’esperienza centrista, popolare, e di ispirazione cristiana. Sono le critiche che rifiutano la possibilità stessa di autonomia nella scelta delle alleanze.
Posti questi punti fermi, è anche vero – come dicevamo – che è legittimo valutare se le scelte concrete effettuate all’Udc negli ultimi mesi possono essere considerate coerenti e funzionali ad un progetto centrista “alto”.
Innanzitutto: è coerente la posizione di distinzione da entrambi i maggiori schieramenti assunta dall’Udc a livello nazionale?
Beh, abbiamo poc’anzi ricordato che il centrismo di contenuti è divenuto anche centralità tra le forze politiche (con la separazione dal Pdl) più per necessità che per virtù. La scelta di separazione fu voluta da Berlusconi, che negò all’Udc l’alleanza concessa alla Lega.
Fatti due conti, grazie anche alla “vocazione maggioritaria” proclamata da Veltroni”, Berlusconi ritenne - a ragione – che per vincere le elezioni non aveva bisogno del partito di Casini.
Berlusconi, quindi, fece una – legittima – scelta di potere: dividere gli spazî di governo tra il minor numero di forze possibili.
Una critica politica - e non moralistica - a questa scelta, potrebbe essere che uno statista dovrebbe avere la lungimiranza di aggregare tutte le forze compatibili (come fece De Gasperi nell’immediato dopoguerra, pur avendo la DC la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari). Anche perché un alleato come l’Udc, pur “scomodo” (come tutti gli alleati che rivendicano autonomia), avrebbe potuto aiutarlo ad avere una sponda che tenesse a freno la Lega.
Oggi, in prossimità delle elezioni regionali, gli stessi motivi di convenienza che indussero Berlusconi a rompere con l’Udc lo inducono a cercarla di nuovo come alleato (il Cavaliere si schermisce dicendo che ha lasciato fare alle dirigenze locali, ma in Campania ha imposto l’accordo al coordinatore Cosentino che non lo voleva, dopo che l’avventatezza di Fitto aveva fatto saltare quello in Puglia).
Ad ogni modo, addebitare all’Udc le scelte di Berlusconi sarebbe paradossale.
Qualcuno potrebbe osservare: “se la posizione dell’Udc dipende da scelte altrui, vuol dire che non ha una vera strategia politica”.
Beh, queste critiche ricordano un po’ quei facili proclami dei tifosi di calcio, secondo i quali una squadra deve “imporre il proprio gioco”, essere “maschia”. Come se l’avversario stesse a guardare.
In politica (come in amore) bisogna fare i conti con gli interlocutori, con gli spazî di manovra possibili. C’è la strategia, ma c’è anche la tattica. Ci si fa la guerra, magari perché si spera di ottenere le migliori condizioni di pace. Si esce con un’altra ragazza, sperando di far ingelosire quella di cui si è innamorati.
L’Udc si è mossa nelle circostanze date, scegliendo un’opposizione non pregiudiziale al Governo, assumendo posizioni (su economia, giustizia, temi etici, ecc.) “caso per caso”. Ognuno, poi, giudicherà il merito di queste scelte.
Inoltre, va detto che la separazione dal Pdl sembra essersi tradotta da stato di necessità iniziale a scelta convinta, almeno nell’attuale contingenza politica, visto l’atteggiamento più spregiudicato assunto da Berlusconi nell’ultimo biennio.
Se oggi il partito di Casini è tornato al centro (è il caso di dirlo...) delle polemiche, è anche perché ha saputo conquistare un ruolo di rilievo politico.
Prima delle prossime elezioni politiche mancano tre anni, che serviranno all’Udc per esplorare le condizioni di una futura alleanza nazionale. È evidente che i centristi utilizzeranno questo periodo per cercare di rafforzarsi: al momento di stringere la prossima alleanza, otterranno le migliori condizioni (anche programmatiche) in funzione del peso acquisito. In politica, si è visto, nessuno regala niente…
Gli elettori giudicheranno se il profilo dell’alleanza scelta esprimerà coerenza con l’insieme dei valori professati.
E veniamo all’attualità delle elezioni regionali.
E’ legittimo stringere alleanze diverse nelle singole regioni? O si tratta di “politica dei due forni”?
La risposta può essere ricostruita anche in base alle considerazioni sin qui espresse.
Una forza di centro che rivendica la sua autonomia la esercita scegliendo di volta in volta l’alleanza ritenuta migliore. Questa legittimità di scelta ha tanto maggior valore in una competizione amministrativa, e in un quadro che da molti viene definito “federale”.
Quali criterî di scelta possono essere considerati apprezzabili?
Anche qui, c’è in parte un criterio di necessità.
La Lega Nord ha posto un veto nel Nord Italia. Bossi ha dichiarato (il 18 gennaio): “Se Casini vuole fare accordi con la Lega al di sopra del Po, per lui non c’è spazio”.
Per cui l’invito di alcuni esponenti del Pdl all’Udc, affinché accettasse un’alleanza omogenea in tutta Italia, appare incomprensibile…
Speculare la posizione del Pd. Ignora totalmente l’Udc dove si sente forte (Emilia, Toscana), anche per non dover scendere a patti in regioni che considera proprio feudo. E - prigioniero delle proprie lotte intestine - non riesce a proporre un candidato moderato in Puglia, Calabria, Lazio.
La necessità, come detto, è anche madre della convinzione: gli atteggiamenti aggressivi subìti in alcune regioni hanno rafforzato la determinazione dell’Udc a promuovere, in quelle stesse regioni, un’alternativa.
Nelle scelte dell’Unione di Centro c’è ovviamente anche un criterio di convenienza. La scelta delle coalizioni potenzialmente vincenti non è di per sé un criterio esecrabile (in politica non c’è nessuno che vi si sottragga). Sia perché ci si candida per governare; sia perché l’Udc ha la ricordata necessità di rafforzarsi anche in chiave nazionale; sia perché è l’Udc stessa che sembra in grado di far pendere in un senso o nell’altro la bilancia dei risultati.
Peraltro, quanto al “desiderio di poltrone” dei centristi, bisognerebbe ricordare che l’Udc è attualmente all’opposizione al governo nazionale e in quasi tutti gli enti locali; che alle prossime regionali nessuna alleanza sostiene un candidato Presidente centrista; e che in numerose regioni – pari al 60% del territorio nazionale - l’Udc si candida da sola.
Come ricordavamo innanzi, ovviamente, la scelta di una coalizione potenzialmente vincente ha però senso se è al servizio della politica. Quindi, se l’alleanza esprime un candidato Presidente valido e un programma rispettoso dei valori di cui ci si fa portatori.
Qui non c’è lo spazio di esaminare, regione per regione, se le scelte dell’Udc siano state le migliori possibili, se i programmi elaborati con i candidati siano capaci di garantire i valori professati.
Gli elettori coinvolti sapranno fare le loro valutazioni (anche se in alcune regioni la scelta appare ovvia e sacrosanta: vedi nel Lazio la sfida Polverini-Bonino).
Forse vale la pena di spendere due parole in più sul sostegno alla candidatura Bresso, in Piemonte.
Non sappiamo se è un sostegno che può avere rilevanza nazionale; è difficile immaginare che un elettore della Puglia voti guardando al Piemonte (o un elettore del Piemonte guardando alla Campania).
Ad ogni modo - forse perché a un partito che proclama un’ispirazione cristiana si guarda con maggiore occhio critico - si tratta di un’alleanza che ha suscitato polemiche in alcuni ambienti cattolici.
Dunque. Mercedes Bresso è un’esponente del Pd, non di un partito estremista. Ed ha saputo assumere posizioni di moderazione, come il sostegno all’alta velocità.
Però è una persona dai tratti fortemente laicisti. L’Udc l’ha fortemente avversata nella passata consiliatura (la Bresso è il Presidente uscente), e ha cercato con insistenza di convincere il Pd ad esprimere una candidatura diversa. Senza riuscirci.
D’altra parte, il centro-destra candida Roberto Cota. Un esponente di quel partito – la Lega Nord – che ha nel suo DNA numerosi punti di contrasto, al di là dei toni da crociata, con una visione politica di ispirazione cristiana. Un esponente di quel partito – la Lega Nord – che ha, come visto, “espulso” l’Udc dal Nord. Un esponente di quel partito – la Lega Nord – che ha ottenuto anche la candidatura (e la quasi certa vittoria) in Veneto.
Una vittoria della Lega anche in Piemonte, dunque, consegnerebbe il Nord Italia alla Lega, frammentando ulteriormente il Paese, e precludendo ogni possibilità di crescita ad un progetto politico di riaggregazione dei moderati.
A questo punto, il partito di Casini si trovava di fronte a un bivio: scegliere di non “sporcarsi le mani” con nessuno dei due candidati, affermando i proprî valori con una petizione di principio (e favorendo indirettamente, con ogni probabilità, una vittoria della Lega).
Oppure, scegliere – come ha fatto - quello dei due candidati (la Bresso) che ha cercato l’alleanza, e che ha accettato di escludere dagli accordi di governo la sinistra radicale e di elaborare un programma di compromesso (sulla pillola Ru 486, ad esempio, si è convenuto di applicare fedelmente la normativa nazionale).
Nei calcoli dell’Udc la vittoria della Bresso, sbarrando la strada alla Lega, dovrebbe consentire di riaprire i giochi nel Nord Italia e nella politica nazionale.
La scelta effettuata, insomma, è stata una scelta, secondo la dirigenza dell’Udc, del "male" minore.
Una scelta condivisibile?
Oppure bisognava considerare “male” minore l’affermazione di Cota (favorita anche con la neutralità), assumendo come criterio di scelta solo i temi eticamente sensibili, e dimostrandosi intransigenti solo con le passate posizioni della Bresso?
Anche qui, il giudizio finale spetta all’elettore.
Bisogna solo aggiungere che forse nemmeno il parametro dei temi eticamente sensibili avrebbe offerto un orientamento sicuro. La giunta piemontese che precedette quella Bresso (guidata dal forzista Ghigo) fu quella che iniziò la sperimentazione della pillola Ru 486… Il presidente Pdl del Friuli, Tondo, è colui che si è premurato di trovare la clinica in cui si potesse far morire Eluana Englaro…
Concludendo. Le valutazioni in base alle quali gli elettori possono esprimere gradimento ai diversi partiti – ed anche all’Unione di Centro – sono molteplici.
Possono influire la strategia nazionale, la posizione rispetto ad un tema che sta particolarmente a cuore, la qualità dei candidati, il programma elettorale, la voglia di affidarsi ad un partito più o meno “forte”, ecc.
È però importante che i partiti (come l’Udc di Casini, su cui ci siamo soffermati in quest’articolo) siano criticati – se necessario – per i loro torti, e non per le loro ragioni.
Chi ha a cuore la visibilità di un progetto culturale e politico d’ispirazione cristiana (moderno e condivisibile anche dai non credenti) deve segnalare le critiche tendenziose che investono il senso stesso di quel progetto e vogliono sbarrare la strada anche ad altri che volessero intraprenderlo.
Aggiungendo la speranza, come abbiamo fatto delineando il futuro del cattolicesimo politico, che sempre più cittadini sappiano uscire dall’alveo della mera critica, sappiano spogliarsi delle vesti di meri spettatori-elettori, e percorrere il cammino di una maggiore consapevolezza politica e di un’assunzione di responsabilità.