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Temi caldi - Valori, laicitą
Il futuro del cattolicesimo politico Stampa E-mail
Polo conservatore, "lievito" negli schieramenti o... forza di centro?
      Scritto da Giovanni Martino
22/02/10

Il bipartitismo (cioè un sistema politico ricondotto alla contrapposizione di due partiti-calderone) presenta una lacuna di carattere generale, che abbiamo già analizzato in altro articolo: non salvaguarda le identità culturali delle forze politiche, e quindi la possibilità di una scelta degli elettori davvero consapevole.

Nello specifico, chi deve temere più di ogni altro un quadro politico in cui sono sacrificate le identità culturali?

A noi sembra evidente: deve temere il bipartitismo chi ha un patrimonio di valori e una cultura politica forte, dimostratasi vincente alla prova della storia, promotrice del bene comune (anche se osteggiata da chi al bene comune antepone il bene particolare o l'ideologia).
Deve temere il bipartitismo, insomma, il cattolicesimo politico.

A chi non è cattolico questo argomento, ovviamente, interessa poco.
Anzi: dobbiamo rammentare che è proprio il desiderio di ridimensionare la presenza pubblica del cattolicesimo l’argomento che induce gli anticristiani e anticlericali – come i radicali – a promuovere il “sistema anglosassone all’americana”.
Esistono nel nostro Paese élites ideologiche che hanno il vezzo di definirsi “anti-italiane”; che considerano l’Italia come una nazione “menomata” dalla tradizione cattolica e dalla forte presenza della Chiesa; che lamentano il mancato avvento di una “riforma protestante” che avrebbe dovuto renderci un “paese civile”.

Chi però non è accecato dal risentimento anticattolico, anche tra i non credenti, può riflettere sul fatto che forse esiste un’eccezione italiana positiva, e non negativa. Non ha senso privarsi – in nome di quel risentimento - del patrimonio culturale di ispirazione cristiana (parliamo di ispirazione perché si tratta di valori con dignità laica, condivisibili dai non credenti), come anche di quegli altri patrimonî culturali (liberale, socialdemocratico, nazionale, ecc.) che vogliano presentarsi con chiarezza.

In alcuni ambienti cattolici esiste la convinzione che la presenza politica dei cattolici possa essere garantita anche in un quadro bipartitico.

Alcuni immaginano uno schema con un partito conservatore di ispirazione cristiana che si contrapponga ad uno progressista.

Altri fanno attualmente affidamento su un secondo schema, in cui non esista un’espressione politica dei cattolici chiaramente identificabile, e i cattolici si limitino ad una presenza individuale, cercando di essere “lievito” negli schieramenti.
Questo secondo schema ispira, di recente, la visione di alcuni ambienti ecclesiastici. La Chiesa assume un ruolo attivo, una sorta di supplenza del laicato cattolico, dialogando direttamente con partiti anche non ispirati cristianamente.
La presenza in più partiti dei cattolici impegnati in politica è uno schema tradizionalmente proprio anche dei cattolici progressisti. I quali, peraltro, non solo negano l’opportunità di un’identità politica cattolica, ma anche di un’azione di supplenza delle gerarchie ecclesiastiche.

In questi scenarî, però, c’è il rischio di confondere i desiderî con i percorsi realmente percorribili.


Cattolici alla guida di un polo conservatore/moderato?

Il primo schema, quello della contrapposizione tra conservatori (o moderati)-cattolici (da un lato) e progressisti (dall’altro), è uno schema poco realistico e pericoloso.

Questo schema prende atto, ovviamente, dell’impossibilità di immaginare un confronto tra due partiti entrambi di matrice cristiana, magari uno con una spruzzata un po’ più conservatrice e l’altro un po’ più progressista. In società ormai ampiamente secolarizzate, qualcosa di simile non c’è più neanche in Polonia (forse, in parte, solo in Irlanda).
Si immagina, dunque, di “egemonizzare” lo schieramento conservatore, ammettendo che in quello progressista prevalga un’impronta laicista.

Si tratta però di uno schema poco realistico, perché i cattolici più consapevoli e motivati sono (anche comprendendo i “laici” più illuminati) una minoranza nel Paese. Tra le minoranze, certamente la componente più ampia e compatta; ma pur sempre una minoranza.

Non bisogna certo ignorare che i valori di ispirazione cristiana sono valori genuinamente popolari, che costituiscono la trama di fondo del sentire degli Italiani, per cui possono essere favorevolmente recepiti se calati in una proposta politica seria e forte. Ma questa “trama di fondo” non si traduce in un elettorato compatto.
Esiste un’ampia fascia di elettorato mobile, moderato, di cattolicesimo meno identitario e non militante, che si orienta soprattutto in base a motivazioni economiche contingenti , o in base a sensibilità che risentono dei tempi, e che deve ogni volta essere motivato a riscoprire i valori popolari.

In un quadro bipartitico un partito conservatore deve avere la maggioranza assoluta. Cosicché non può affidarsi esclusivamente al voto cattolico militante.

Del resto, laddove si è prodotta una spinta da un sistema multipolare - o bipolare flessibile - ad uno schema bipolare rigido (anche se non necessariamente bipartitico), si è indebolita o è scomparsa la presenza politica dei cattolici.
Esempio classico, oltre all’Italia del 1994, è quello della Francia, col passaggio dalla Quarta alla Quinta Repubblica. Anche in Spagna il Partito Popolare ha posizioni sempre più “laiche”.

Lo schema della contrapposizione tra conservatori-cattolici (da un lato) e progressisti (dall’altro), oltre che poco realistico, è anche pericoloso.

Si dimentica, infatti, che un modello di contrapposizione bipartitica è anche un modello di possibile alternanza secca. Anzi, un’alternanza è pressoché certa, in mancanza di fattori d’impedimento come la guerra fredda. Per quanta fiducia si possa avere nel progetto politico di uno schieramento conservatore, non si può pensare che riesca a governare in eterno, senza mai scontentare la fascia di elettorato mobile (del resto, anche ai cattolici dovrebbe esser data la possibilità di punire un Governo poco rispettoso degli impegni presi, senza il timore che “i cosacchi abbeverino i cavalli in Vaticano”).

Ebbene, se i valori del cattolicesimo politico – anche quelli “non negoziabili”, su cui dovrebbe formarsi il sentire comune di un popolo – sono rappresentati solo da una parte, c’è il rischio che l’alternanza comporti anche uno spoils system dei valori.
C’è il rischio, insomma, che lo schieramento progressista, sapendo di non poter chiedere il voto dei cattolici, sia egemonizzato da posizioni fortemente laiciste, “zapateriste”. E il giorno che vincesse, lo schieramento progressista si impegnerebbe in una distruttiva opera di ingegneria sociale, dalla quale sarebbe arduo tornare indietro – senza grandi lacerazioni – con la successiva alternanza.


Cattolici “lievito” negli schieramenti (e ci pensa la Chiesa)?

Di questo pericolo è ben consapevole la Chiesa italiana, che negli ultimi anni ha seguìto un secondo schema: favorire la presenza di cattolici in schieramenti anche non ispirati cristianamente, cercando un’interlocuzione diretta con i Governi.

Non si tratta però di uno schema frutto di un disegno consapevole, bensì di uno schema subìto, frutto di un adeguamento alla situazione reale, dopo aver invocato invano – nei primi anni ’90 -  l’unità politica dei cattolici.
È uno schema che ha molti difetti: espone la gerarchia ecclesiale all’accusa di “ingerenza”; deresponsabilizza il laicato cattolico; riduce le opzioni di scelta chiara degli elettori; toglie visibilità al cattolicesimo politico e, quindi, produce un arretramento culturale nella società italiana.

Esistono anche alcuni cattolici – soprattutto di matrice progressista – che rifiutano l’idea stessa di un’espressione politica dei cattolici chiaramente identificabile, suggerendo – con una suggestione evangelica - che i cattolici debbano essere “lievito” in tutti gli schieramenti. Questi stessi cattolici progressisti rifiutano, al tempo stesso, ogni supplenza ed intervento diretto delle gerarchie ecclesiastiche.

Citazione per citazione, si dovrebbe ricordare a costoro che si può essere lievito se non si nasconde “la fiaccola sotto il moggio”, cioè se si annuncia con chiarezza e coraggio la Parola.
Infatti, anche se il messaggio evangelico non è un messaggio politico, è un messaggio che investe l’uomo nella sua totalità, cosicché ha un’inevitabile ricaduta politica. Esiste, e va promossa, una cultura dei valori di ispirazione cristiana che, elaborata nei termini di una sana laicità, può offrire un decisivo contributo al bene comune.

La verità – sia detto senza infingimenti – è che i cattolici di matrice progressista rifiutano una chiara espressione politica dei cattolici perché questa metterebbe in crisi la loro sudditanza culturale alla sinistra.


Cattolici  forza di “centro”

Il cattolicesimo politico – e, più in generale, il cristianesimo democratico, comprendendo i Paesi a tradizione protestante - ha conosciuto nobilissime e felici interpretazioni in Europa e nel Mondo: in Italia, il Partito Popolare di don Sturzo e la Democrazia Cristiana di De Gasperi; in Francia, l’MPR di Bidault e Schuman; in Germania, il Zentrum di monsignor von Kettler e la CDU di Adenauer e Kohl; in Austria, il Partito Popolare; in Belgio, il Partito Cristiano Sociale; in America latina, numerosi partiti Democratico-Cristiani.

Ebbene: tutte le esperienze del cattolicesimo politico e del cristianesimo democratico sono sempre state esperienze di “centro”. Non a caso, l’Internazionale Democratico-Cristiana (che federa tutti quei partiti) è stata recentemente ridenominata Internazionale Democratica Centrista.

E’ vero che, negli ultimi anni, sotto l’egida del Partito Popolare Europeo (fondato dai partiti democratici-cristiani) e dell’Internazionale Democratica Centrista si sono riuniti anche movimenti conservatori, di matrice non direttamente cristiana. Ma questo allargamento, che si traduce in un certo “spostamento a destra”, è stato determinato da un indebolimento dei partiti espressione del cristianesimo democratico; indebolimento tanto maggiore, come visto, dove lo scenario è mutato in direzione marcatamente bipolare. L’allargamento, quindi, è coinciso, proprio a conferma di quanto andiamo dicendo, con un affievolimento dell’ispirazione cristiana di queste aggregazioni, con una maggiore timidezza rispetto ai valori tradizionalmente difesi.


Che cosa significa essere una forza di “centro”?

Ma che cos’è il “centro”? Senz’altro, non è un luogo geometrico.

“Il ‘centrismo’ non è equidistanza” tra destra e sinistra: lo proclamava con forza don Luigi Sturzo, che dell’esperienza centrista fu uno dei pionieri. Ed ancor più vero oggi, in un’epoca in cui avrebbe ancor meno senso rapportarsi alla “destra” e alla “sinistra”, visto che quei termini vanno perdendo di spessore e significato politico.

Il centrismo si basa sui contenuti.
È un progetto politico basato su valori chiari (la centralità della persona, la libertà, la sussidiarietà tra Stato e corpi sociali, la solidarietà), che vuole essere autenticamente popolare.
Un progetto lontano dalle ideologie astratte, in quanto saldamente ancorato al principio di realtà.
Un progetto improntato alla moderazione e al dialogo nell’elaborazione delle proposte e nella ricerca del consenso, rifiutando ogni massimalismo, ogni violenza, ogni menzogna.

Un progetto politico è di “centro”, insomma, perché ha la sua cifra nell’equilibrio e nella ricerca del bene comune, non di una parte. Ma equilibrio non significa equilibrismo, non significa rinuncia a proporre una visione chiara e coerente.

Avere un progetto politico basato su contenuti concreti non preclude la possibilità di stringere alleanze con chi, di volta in volta, possa contribuire a realizzare quei contenuti.
Le alleanze potranno essere più stabili con alcune forze politiche più affini, o meno lontane. Ma - proprio perché basate sui contenuti - non potranno mai essere rigide, se il centro vuole essere davvero autonomo.

Chi immagina un centro rigidamente inserito in uno schieramento ne immagina un ruolo di sudditanza. Chi giudica il centro non per il contenuto delle sue battaglie, ma in base alle alleanze, è affetto da quello che Sturzo chiamava il morbo della filìa (all’epoca, giudicare i popolari solo perché considerati di volta in volta filo-fascisti o filo-socialisti).

Si può escludere che l’equilibrio si trasformi in equilibrismo, che la scelta delle alleanze sia dettata dall’opportunismo anziché dalla difesa dei contenuti? No. Ma questo è un giudizio che deve essere dato volta per volta, sulla base di elementi concreti.

Certamente, per quanto si è detto, esprime un pregiudizio chi considera a priori la mutevolezza delle alleanze come segno di opportunismo.

E costituisce altresì un pregiudizio l’accusa rivolta al centro – come a qualsiasi forza politica – di essere interessato solo ad occupare spazî di potere.

Non dimentichiamo che la politica non è discussione accademica, conversazione al club della pipa.

La politica ha senz’altro bisogno di una profonda elaborazione culturale, di una capacità di “pensare politicamente”; ma l’azione politica è la capacità di risolvere i problemi della comunità mediante la presenza nelle istituzioni.
La politica in sé è legata all’esercizio del potere.

A chiunque accusa altri di “essere interessati alle poltrone”, si potrebbe rispondere: “Se considera le ‘poltrone’ così sgradevoli, perché non ci rinuncia? Forse perché le vuole tutte per sé?”

Anche l’idea di “andare da soli”, di condurre una “battaglia di testimonianza”, in omaggio ad un’astratta coerenza con i proprî valori, è un’idea antipolitica, che si risolverebbe in una concreta diserzione dalle proprie responsabilità.
Un’idea professata da alcuni con ingenuità, suggerita da altri in malafede (cioè da coloro che vorrebbero “neutralizzare” la forza dei centristi, congelandola e rendendola irrilevante).
La coerenza con i valori va misurata sulla qualità dei compromessi programmatici che si riesce a costruire in un'alleanza (resta salva, ovviamente, la possibilità che una battaglia solitaria sia resa necessaria dall'impossibilità di raggiungere accordi accettabili).

Fare una politica centrista, dunque, significa sì contenuti forti, ma anche spazî di agibilità politica per rendere quei contenuti realizzabili.
Non caso, come ricordavamo innanzi, nei sistemi bipartitici – in cui tali spazî si sono ridotti, e l’autonomia del centro è stata condizionate dalla necessità di alleanze rigide - l’eclissi del cattolicesimo politico è stata molto più rapida.

I cattolici possono essere una forza decisiva - giacché hanno un progetto politico chiaro e si collocano al centro dello schieramento politico - se operano in un sistema non rigido, in cui hanno margini di manovra e li esercitano. In questo quadro possono condizionare anche lo schieramento di cui non fanno parte, garantendo alternative “morbide” almeno sul piano dei valori sociali fondamentali.

Peraltro, una politica di centro dovrebbe rifuggire l'idolatria del potere. Ma non nel senso di delegarlo a terzi, bensì nel senso di impegnarsi a costruire uno Stato che - sulla base del principio di sussidiarietà - non sia invadente, non opprima cittadini e corpi sociali, e al tempo stesso li protegga dall'oppressione subdola di potentati economici.


Come si possono schierare i “centristi”?

Il rifiuto di una visione rigida come quella bipartitica non significa immaginarne una, altrettanto rigida, come quella tripartita, in cui il centrismo cattolico sarebbe l’ago della bilancia tra destra e sinistra.
Questa è senz’altro una possibilità (che non ha nulla di riprovevole). Un centrismo dei contenuti di ispirazione cristiana sarebbe così anche centro “geometrico”.

Ma potrebbe esserci un contesto, diverso, in cui una forza di ispirazione cristiana dimostri grande capacità di aggregazione, riuscendo a costruire uno schieramento che costituisca uno dei poli principali.
In questo contesto, il centrismo dei contenuti di ispirazione cristiana non è centro geometrico, pur cercando di agire in una logica non di contrapposizione con lo schieramento opposto.
Il centro geometrico, in tale scenario, potrebbe essere occupato da forze che hanno diversa ispirazione ideale (come i liberali in Germania).

Quando il centrismo politico cattolico presiede uno dei poli principali, o si schiera in bipolarismo flessibile, è più facile che tale schieramento sia quello moderato, opposto a quello progressista.

Sarebbe lungo soffermarsi sulle ragioni che conducono a questa scelta.

È innanzitutto da rilevare che questo tipo di assetto è quello storicamente prevalente.
Il fatto è che il “progressismo”, in epoca moderna, si è posto essenzialmente non come elevazione e sviluppo delle condizioni sociali, ma come superamento dei valori fondanti le società occidentali; valori che sono di matrice cristiana.
A destra, viceversa, si possono trovare forze che quei valori sclerotizzano (“conservandoli” rigidamente) o strumentalizzano. Ma c’è un terreno di confronto più ampio con il centrismo.

Non è esclusa però l’ipotesi opposta, cioè di alleanze a sinistra contro uno schieramento di destra. Se ne sono avuti esempî in più Paesi, anche in Italia (il primo governo di unità nazionale guidato da De Gasperi nel Secondo Dopoguerra, in cui il fronte antifascista comprendeva socialisti e comunisti).


La situazione attuale in Italia

Ai giorni nostri, la presenza dei cattolici nello scacchiere politico è frammentata. Convivono tutte le posizioni sin qui descritte.

Molti cattolici militano nel Popolo della Libertà, ritenendo che possa essere il più vicino ai (o il meno lontano dai) valori professati.

Ma, qualunque giudizio si voglia dare sul grado di rispondenza tra iniziativa politica del Pdl e valori cristiani, è certo che non si tratta di un partito espressione piena e coerente della cultura politica cattolica. Piuttosto, si tratta di un partito che - al di là del carisma del leader - unisce sensibilità diverse (anche cattoliche), e contratta col mondo cattolico il consenso su alcuni valori forti.
Per i ragionamenti sin qui condotti, quindi, il Pdl non può essere ritenuto una scelta ottimale e “strategica”, ma una scelta di opportunità contingente. 

E' inevitabile che un grande partito abbia anime diverse? Sì, in un'ottica bipartitica, che però - ribadiamolo - offre una proposta politica più opaca all'elettore, soprattutto con i limiti del bipartitismo italiano. Scegliere solo alcuni valori forti per attrarre l'elettorato cattolico rischia di essere una scelta di valori-civetta, una riedizione del Patto Gentiloni del 1913, superato proprio dall'avvento del popolarismo sturziano.
(Peraltro, è attualmente difficile pensare di rafforzare nel Pdl la presenza cattolica, poiché si tratta di un partito plasmato su una leadership carismatica inattaccabile).

Altri cattolici militano nel Partito Democratico. Non soltanto i cattolici progressisti, di cui abbiamo sottolineato la sudditanza culturale alla sinistra. Ma anche cattolici che fanno proprî i valori del cattolicesimo politico, i quali hanno scommesso sulla possibilità di costruire con il Pd qualcosa di “nuovo”, in cui possano trovare cittadinanza quei valori.
Eppure, già le premesse su cui doveva nascere questa nuova casa erano molto fragili. Le ultime scelte (candidatura Bonino alle elezioni regionali del Lazio, candidatura Vendola in Puglia), poi, sembrano aver disilluso molti di questi cattolici, di cui è iniziata la fuoriuscita (Rutelli, Lusetti, Carra, Binetti, Bianchi, ecc.).

Ha ripreso infine vigore, negli ultimi anni, un partito che afferma espressamente la propria ispirazione cristiana, e ha anche adottato (vuoi per convinzione, vuoi per necessità) una linea d’azione decisamente centrista. Si tratta, naturalmente, dell’Unione di Centro.

Questo partito risponde in larga misura ai requisiti di identità e contenuti che abbiamo sin qui evocato, e dunque raccoglie molti dei cattolici che con più decisione portano avanti un progetto dichiaratamente cristiano.

Ma non ha sin qui intercettato la fascia di elettorato mobile, di cattolici non identitarî, per motivi diversi e complessi. 
Parte di questo elettorato non ritiene lo spessore della dirigenza dell’Udc e le sue mosse tattiche all'altezza del progetto proclamato. Altra parte di questo elettorato fa una scelta di opportunità, essendo attratto da partiti di maggiori dimensioni, che danno maggiore sicurezza; oppure prende atto che l'egemonia di Berlusconi sul fronte moderato rende difficile all'Udc offrire nell'immediato una prospettiva non solo di "testimonianza", ma anche di governo. Altri ancora manifestano il dubbio che la politica dell'Unione di centro non possa essere realmente definita centrista, ma piuttosto "opportunista"
Bisogna peraltro tenere in conto che tali critiche spesso vengono suggerite da avversarî politici (e culturali), e mascherano un attacco al cattolicesimo politico.

La situazione è in evoluzione.

Il nostro semplice augurio è che le libere scelte degli elettori non siano condizionate dalla propaganda delle élites anticristiane (che perseguono i proprî interessi), ma da una coraggioso investimento nel futuro del cattolicesimo politico “centrista”.
Benedetto XVI ha affermato di recente che "c'è bisogno di una nuova generazione di cristiani impegnati nel lavoro, nell'economia, nella politica". Non si riferiva, quindi, ai politici di professione. Faceva appello alla responsabilità di tutti i laici cristiani, chiamati a costruire - ognuno nel suo piccolo - una nuova presenza culturale e politica della cultura cristiana.
Sarebbe ora, insomma, che i cattolici la smettessero di dare pagelle di maggiore o minore coerenza cristiana ai partiti presenti sullo scenario italiano, ma si rimboccassero le mani in prima persona...



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