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Sinistra e potere
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La "questone morale" dei Democratici di Sinistra
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Riemerge l'accusa di rapporti poco limpidi col mondo dell'economia e della finanza
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      Scritto da Francesco Cassani
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14/09/05
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Ultimo Aggiornamento: 18/08/08
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"Le verità scomode prima sono ignorate, poi si aggrediscono, poi si dice che le si sapeva già" (A. Schopenauer) vignetta di Giannelli, dal Corriere della Sera Nello scontro di potere tra politica, magistratura e finanza è emerso anche il "caso" Unipol-BNL (la scalata alla Banca Nazionale del Lavoro da parte dell'assicurazione UNIPOL, espressione del mondo della cooperazione "rossa", tradizionalmente vicina ai DS). Il caso - di cui parliamo diffusamente in un altro articolo - sta nel pesante 'interessamento' dei DS alle vicende UNIPOL, nell'intreccio tra politica e finanza, nella diffusione delle intercettazioni telefoniche dei colloqui di Giovanni Consorte, presidente e amministratore delegato di UNIPOL, col segretario dei DS Fassino, col presidente D'Alema e col tesoriere Sposetti. Infine, sono emerse numerose irregolarità commesse da Consorte, per le quali è indagato dalla magistratura. Il caso UNIPOL è un nervo scoperto perché è solo la punta dell'iceberg del grande intreccio tra il partito dei DS (eredi del PCI) ed il mondo economico-finanziario; un nuovo tassello della "questione morale" che affligge la sinistra italiana. Quando si parla di conflitto d'interessi per Berlusconi (un "conflitto" relativo ad interessi che sono sotto gli occhi di tutti), forse sarebbe bene guardare anche ad altre sovrapposizioni di interessi, meno trasparenti. L'intreccio è innanzitutto col mondo della cooperazione "rossa". Per inciso, quando parliamo di "coop rosse" ci riferiamo essenzialmente all'universo di società riunite nella Lega delle cooperative, tradizionalmente legata alle sinistre. Si tenga conto che nel mondo della cooperazione esistono anche altre realtà associative (Confcooperative, UNCI, AGCI, UNICOOP), composte da cooperative più piccole, più ancorate all'ispirazione originaria, meno legate al mondo politico. Che differenza c'è tra una normale società di capitale ed una cooperativa? Nelle società di capitale chi detiene il maggior numero di quote-azioni rischia in proprio, quindi si assume la responsabilità delle decisioni e incassa la maggior parte degli utili (dividendi). Nelle cooperative, invece, una serie di piccoli soggetti si uniscono per mettere insieme il proprio capitale, oppure il proprio prodotto, il proprio lavoro, le proprie prestazioni professionali, una quota di consumi (esistono cooperative di produzione, di consumo, di lavoro, di servizi, ecc.). Non conta chi conferisce più capitale o più prestazioni: ogni persona ha sempre un voto, e gli utili non possono essere distribuiti, ma debbono essere reinvestiti nella cooperativa. Una formula molto bella, che aiuta i piccoli soggetti ad affrontare più uniti il mercato. Tant'è che la Costituzione della Repubblica tutela la cooperazione, e le leggi riconoscono al movimento cooperativo numerosi vantaggi (soprattutto fiscali). Ma che succede quando le cooperative non sono più piccole o medie realtà locali, ma grandi soggetti industriali? Il singolo socio (come il piccolo azionista delle Spa) non ha più poteri reali nel definire gli indirizzi. Comanda il management, che emerge per cooptazione dall'alto o per influenza degli ambienti politici 'vicini'. Lo scopo mutualistico passa in secondo piano: la società diventa un grande competitore industriale, che si ritrova a fare concorrenza 'scorretta' agli altri soggetti, avendo minori costi grazie alle agevolazioni fiscali. I soci lavoratori, che godono di minori diritti e retribuzioni rispetto ai lavoratori dipendenti, se non hanno un reale potere diventano lavoratori "sfruttati". Indirettamente, è anche il caso di UNIPOL. Non è una coop, ma una società per azioni; però è una società assicurativa "anomala", perché il cuore del suo azionariato è costituito da cooperative (per lo più "rosse"), che possono investire ingenti risorse in quel business grazie alle agevolazioni di cui godono. A queste degenerazioni si riferiva Parisi quando ha affermato che "l'ispirazione mutualistica che sta alla base dell'esperienza cooperativa non può essere trasposta in una condizione e su una scala diversa, non ci si può trasformare in raider di Borsa con l'aiuto del fisco". L'accusa a UNIPOL di essere un raider ("razziatore") di Borsa, poi, è dovuta al fatto che eravamo di fronte al tentativo di acquistare una società (BNL) che ha una capitalizzazione quattro volte superiore, indebitandosi per trovare i soldi necessari: davvero poco a che vedere con lo spirito cooperativo! In sostanza, il motivo per cui la Banca d'Italia ha infine negato a UNIPOL l'autorizzazione ad effettuare l'Offerta pubblica di acquisto su BNL. Eppure i DS difendevano tenacemente il "diritto" del mondo cooperativo di entrare nella finanza... Quanto sono ramificati i collegamenti della sinistra con gli ambienti economici? Il gruppo UNIPOL, innanzitutto, controlla anche altre compagnie assicurative, come Meieaurora, Aurora, Linear, Quadrifoglio, Winterthur Italia, nonché una piccola banca (Unipol Banca) e le società di investimenti ad essa legate. Al vertice della catena di comando di UNIPOL c'è Holmo, la "cassaforte" di cui sono azioniste 38 cooperative; le stesse che hanno prestato le garanzie per la scalata finanziaria. I collegamenti col mondo finanziario passano anche per il Monte dei Paschi di Siena, la banca che è influenzata dagli ambienti dei DS senesi. La realtà della cooperazione "rossa", poi, non trova sbocco solo in UNIPOL: tra cooperative in senso stretto e società controllate, la presenza si estende a tutti i settori economici, dove troviamo anche veri e propri colossi: grande distribuzione (Coop - con i marchi Ipercoop, Incoop, Minicoop, Unicoop -, Conad, i negozi "Margherita", quelli di bricolage Brico Io, i discount Dico), servizi, turismo (Robintur , Planetario, Bonolatours, VCO), produzione a marchio (Coind, caffé Meseta), agro-alimentare, industria e costruzioni, gestione immobiliare (Igd, Fondo immobiliare Estense) e finanziaria (Simgest), credito al consumo, assistenza sociosanitaria, formazione… per un fatturato nel 2005 di oltre 45 miliardi di euro. Vi sembran pochi? Tra i grandi gruppi italiani, secondo la rivista specializzata Fortune, nel 2005 hanno avuto un fatturato maggiore solo Assicurazioni Generali (circa 64 mld. di €), Eni (57 mld.), Fiat (46 mld.)! A seguire, con un minor fatturato, Enel (43 mld), Telecom (30 mld.) e le principali banche. L' "impero" berlusconiano si ferma a 3,4 mld., oltre dieci volte di meno... Naturalmente sappiamo bene che stiamo paragonando realtà non omogenee: da una parte gruppi industriali con una precisa identità giuridico-economica, dall'altra un insieme di aziende - spesso tra loro indipendenti - legate da alleanze economiche o da vincoli più propriamente politico-associativi. Ma questo paragone ci dà un'idea, pensiamo, della gigantesca dimensione economica del fenomeno "cooperazione rossa". Quali legami ci sono tra queste realtà economiche e i DS? E' necessario anzitutto ricordare che l'attività politica ha grandi costi: più entrate ci sono, più è possibile rendere capillare la presenza nel territorio (sezioni di partito, funzionari) e potente la propaganda (manifestazioni, convegni, testate d'informazione, campagne pubblicitarie). Le fonti di finanziamento tradizionali per un partito sono il finanziamento pubblico ai partiti, le quote del tesseramento, le sottoscrizioni volontarie e il ricavato di iniziative come le feste di partito. Ma il PCI poteva contare anche su altre fonti. La prima era quella dei contributi segreti - e illeciti - ricevuti dall'Unione Sovietica (si veda il libro Oro da Mosca, di Valerio Riva). Tali contributi durarono fino all'inizio degli anni '80, ben dopo il finto "strappo" di Berlinguer. Questo perché il Partito Comunista Italiano era strategico nella politica dell'Unione Sovietica di destabilizzazione dell'Occidente. La seconda fonte di finanziamento era il monopolio che l'URSS assegnava, per gli scambi commerciali tra Italia e Paesi del Patto di Varsavia, alle società di import-export italiane legate al PCI: queste società potevano pretendere compensi più alti, rigirandone una quota al partito. Queste due fonti di finanziamento erano talmente ingenti, consentirono un radicamento del partito così forte, da costringere ben presto la DC (che era nata come partito "leggero", basato sul volontariato di matrice cattolica), sotto la segreteria Fanfani, a reagire e strutturarsi di conseguenza. Nacque l'epoca delle partecipazioni statali, che divennero lo strumento di finanziamento principale dei partiti di maggioranza, sommandosi a somme più esigue ricevute da Confindustria e - alla fine degli anni '50 - dagli Stati Uniti. Le due fonti di finanziamento "alternativo" del PCI, naturalmente, sono venute meno con la crisi dell'URSS negli anni '80. Un'ulteriore fonte erano - e continuano ad essere anche per i DS - i contributi erogati al partito dalle realtà economiche 'vicine': contributi finanziari diretti e indiretti (pubblicità alle Feste dell'Unità o sulle testate giornalistiche, concessione e allestimento gratuito di spazi per convegni e manifestazioni, servizi, ecc.). A questi contributi si aggiungono anche 'favori' per dirigenti e iscritti: il posto di lavoro nella cooperativa, l'alloggio nell'immobile di proprietà, la consulenza, ecc. Affinché le realtà economiche parallele al partito siano in grado di sostenere questi sforzi, è necessario che abbiano una notevole robustezza economica: a questo ha sempre mirato il grande sostegno dei militanti (che in passato, quando il Partito era una sorta di chiesa, era molto più consistente e disinteressato): ogni buon militante comunista ha sempre fatto di tutto per sostenere anche economicamente la sua realtà: si preoccupava di leggere L'Unità, scegliere l'UNIPOL per l'assicurazione della macchina, fare la spesa alla Coop, metter su casa con la cooperativa edilizia indicata dal partito, ecc. Ma molto più importante è l'impegno del partito nelle sedi istituzionali (governo di enti locali, amministrazione di enti pubblici, contrattazione consociativa col Governo nazionale) per "garantire la parità dei diritti" dei soggetti economici amici. L'impegno per concedere agevolazioni legislative al mondo della cooperazione, innanzitutto (ne è un ultimo esempio il decreto del luglio 2006 sulle cosiddette "liberalizzazioni" ). L'impegno per snellire le pratiche (ne parla con schiettezza in un'intervista l'ex amministratore della grande - e poi fallita - Coopcostruttori). Abbiamo assistito anche al fenomeno della cosiddetta "lottizzazione", per cui i diversi partiti si preoccupavano che quote di appalti predeterminate andassero ad aziende ad essi vicine. Un vero e proprio sistema di potere, che diventa egemonico in molte Regioni amministrate dal centro-sinistra e, in particolare, nelle Regioni rosse: qui si assiste da decenni ad un quasi monopolio dell'imprenditoria rossa (in provincia di Modena, Coop e Conad occupano circa il 75% del mercato!), che soffoca le altre realtà imprenditoriali e politiche. Dove sta la "questione morale"? Beh, per certi versi si potrebbe parlare - addirittura - di questione giudiziaria. In passato molti dei finanziamenti ricevuti erano illeciti. Non dimentichiamo che Tangentopoli colpì soltanto reati commessi dopo il 1989. Per il periodo precedente il Parlamento aveva votato un'amnistia, col consenso anche del PCI. Lo stesso Di Pietro, nel processo sui fondi neri della Montedison, si rammaricò di non poter procedere anche contro il PCI per reati a suo dire commessi poco prima dell'amnistia. Ed anche per il periodo successivo ci sono stati numerosi esponenti del PDS colpiti dalla magistratura, sebbene la "gestione" mediatica della sinistra sia stata molto più abile (si pensi solo che la quasi totalità degli esponenti democristiani finiti sulla gogna per un semplice avviso di garanzia sono poi stati assolti, come dimostra il libro Storie di ordinaria ingiustizia, di Carlo Giovanardi). Ad ogni buon conto, il 29 luglio 2006 i DS hanno votato l'indulto, che garantisce tre anni di sconto di pena anche per i reati finanziari, svuotando molti processi (Consorte & C. ringraziano). Lo hanno votato, va ricordato, d'intesa con l'opposizione: Previti non se ne è ramamricato... Esistono comportamenti illeciti ancora oggi? Nella condotta di Consorte (indagato per associazione a delinquere, appropriazione indebita, ricettazione, aggiotaggio, manipolazione del mercato e ostacolo all’autorità di vigilanza, con oltre 50 milioni di euro trovati sui suoi conti correnti bancari) pare di sì. E nei rapporti tra Unipol (e più in generale tra le coop rosse) e i DS? Questo non lo possiamo dire con certezza, naturalmente. Ricordiamo sempre che l'amministratore di un ente pubblico o l'eletto nelle istituzioni amministrano i soldi di noi tutti: se fosse dimostrato che favorisce un'azienda amica, e che in cambio ne vengono vantaggi a lui o al partito, questo sarebbe un reato (anzi, sarebbe un comportamento che integra diverse fattispecie di reato, tra cui quelle delle cosiddette "tangenti"). Ma gli amministratori pubblici e gli eletti di sinistra hanno sempre negato che la loro 'difesa' delle cooperative e delle imprese amiche sia un favoritismo, sostenendo che è solo una battaglia per difendere lo spazio vitale di imprese che rischiano di essere emarginate dai politici di altro colore. Gli amministratori di cooperative e imprese legate ai DS, dal canto loro, hanno sempre negato che i loro aiuti al partito siano il corrispettivo di favori ricevuti, sostenendo che sono semplicemente modi di farsi pubblicità o di contribuire liberamente ad un progetto politico ritenuto valido. Spetta ai giudici dimostrare se c'è un legame diretto tra i due fenomeni, e nel caso perseguirlo. Ma il giudizio morale su questi legami possiamo darlo tutti. L'invocazione di Bassanini - "bisogna evitare di schierarsi per quelle imprese amministrate da dirigenti vicini al proprio partito" - non sembra molto rispettata... Pensando di agire per un bene "superiore", di non perseguire (almeno di norma) arricchimenti personali, gli ambienti della sinistra finanziaria si autoforniscono una sorte di alibi morale, per comportamenti che in chiunque altro sarebbero decisamente condannati. La spregiudicatezza di certi rapporti è ricostruita da Ivan Cicconi (un ingegnere insospettabile di pregiudizio contro la sinistra: è stato a capo della segretaria tecnica dell'ex ministro - di sinistra - Nerio Nesi) nel suo libro La storia del futuro di Tangentopoli; nel quale si ricorda anche come furono esponenti di Rifondazione Comunista, in un convegno seguito all'assassinio di Falcone, a chiedere "che le cooperative interrompano immediatamente i numerosi rapporti societari e di affari con le imprese colluse con la mafia e con la camorra". Non possiamo certo guardare al mondo della cooperazione solo per i suoi legami con la politica: si tratta in ogni caso di una realtà vitale e importante per il Paese. Ma siamo sicuri che quei legami particolari consentano alla Pubblica Amministrazione di svolgere il suo ruolo in maniera sempre imparziale, spendendo in maniera oculata i soldi dei cittadini, premiando - senza guardare l'appartenenza - gli attori economici più efficienti e meritevoli, capaci di far crescere l'economia e il benessere sociale? E siamo sicuri che quei legami consentano di emergere, nei partiti, ai dirigenti più onesti e più capaci di dar voce alle istanze politiche dei cittadini, anziché a quelli più abili nelle alchimie economiche? Non sempre, poi, queste coop sono esempio di buona amministrazione e trasparenza verso i soci: vedi il caso Coopcostruttori... Soprattutto, appare espressione di un moralismo autoassolutorio e inconsistente l'affermazione di Fassino secondo cui "non accettiamo lezioni morali noi che siamo gli eredi di Enrico Berlinguer". Berlinguer era il leader che parlò della "diversità" morale dei comunisti. Una "diversità" che, come abbiamo visto, non ha mai trovato riscontro nei fatti; e che sembrava piuttosto il pretesto per deviare il dibattito dalla debolezza della proposta politica comunista, come anche dai comportamenti illeciti che quel partito teneva. Il fatto che Berlinguer non abbia accumulato ricchezze personali non rende meno gravi i comportamenti 'disinvolti' miranti ad affermare il suo partito: il fine non giustifica i mezzi (anche se Lenin, e con lui Berlinguer, la pensava diversamente). Ciò che rende debole la difesa di Fassino è proprio la brutalità con cui i DS, da anni, hanno scelto la via giustizialista - e moralista - della denigrazione personale dell'avversario quale metodo di lotta politica (anche se dobbiamo dare atto all'attuale segretario dei DS di essere stato uno dei meno accaniti su questo versante). Non vogliamo arrivare a sostenere, naturalmente, che il malcostume politico si identifichi con i DS. Ma se questi cominciassero ad essere più rigorosi in casa propria, se cercassero di confrontarsi su programmi concreti, avrebbero più credibilità anche per parlare di questioni morali. P.S. Il PCI prima, e i DS poi, non hanno coltivato solo i legami con il mondo economico e finanziario, ma anche con il sindacato, l'università, la magistratura, l'editoria, lo spettacolo, l'associazionismo ricreativo, l'ambientalismo, i settori professionali. Ma questa è una storia che andrà raccontata in un'altra sede. Riferimenti bibliografici
Sergio Bertelli, Francesco Bigazzi Pci, la storia dimenticata Mondadori, 2001 Gianni Cervetti L’oro di Mosca Baldini & Castoldi, 1993 Valerio Riva Oro da Mosca. I finanziamenti sovietici al Pci dalla Rivoluzione d’Ottobre al crollo dell’Urss Mondadori, 1999 Nella pagina delle lettere il commento di un lettore a quest'articolo.
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