Abbiamo sempre sostenuto che il Partito Democratico non poteva avere futuro se non risolveva il nodo della sua identità, la fusione tra due tradizioni culturali per molti versi inconciliabili: post-comunismo e cattolicesimo democratico.
Veltroni (e il suo epigono Franceschini) hanno cercato di aggirare questo nodo, puntando sulla retorica maggioritaria, sul giustizialismo e l'antiberlusconismo. Ignazio Marino, candidandosi per parte sua alle primarie, ha fatto emergere una prospettiva diversa: che il partito abbandonasse la propria ragione sociale, abbracciando una nuova identità, il radicalismo libertario.
Bersani sembrava l'unica persona che potesse dare corpo alla speranza di salvare il progetto originale del PD, approdando ad un moderno riformismo. Ma si rivela privo di coraggio nel contrastare le opposizioni interne che boicottano il suo progetto, come spiega Giuliano Ferrara in questo fondo apparso su Il Foglio con il titolo Il caro Bersani non è adatto alla guida del Pd. Vedi il caso Bonino.
Bersani non ci sa fare. E’ proprio una cara persona, e molto competente in fatto di piastrelle e distretti e amministrazione locale, ma come segretario di partito non ci sa fare. Lo dimostra tra le altre cose l’orripilante, umiliante caso Bonino. D’altra parte nella sua lunga storia e tradizione politica, il Pci non aveva mai dato il potere di decisione politica agli emiliani, gente seria e operosa, capace di costruire modelli sociali e fare quattrini, capace di irrobustire organizzazioni territoriali, di stabilire un rapporto di fiducia molto forte con la popolazione urbana e delle campagne, di innovare l’economia a partire dal terzo settore cooperativo, buona scuola di governo locale e poi nazionale, ma inetti nella manovra, nella guerra, nella comunicazione politica. I segretari del Pci venivano tutti dal Regno sardo-piemontese, Torino o Genova o Sardegna, e non era una superstizione antropologica. Ai bolognesi ai modenesi ai reggiani e ai piacentini toccavano gli onori della parata, e grandi incarichi riservati, ma non il posto di guida. Mai. E questo nonostante fossero il pezzo più forte, pregiato e ricco del Partito comunista.
I cattolici democratici sono malleabili, friabili, flosci (almeno quelli che non hanno già annunciato la loro fuoriuscita dal PD, ndr). Non meritano scomuniche, roba che non si usa più, ma la dimenticanza della storia. Il loro orgoglio è a pezzi, né sopravviverà loro una qualche idea di umiltà e di servizio, le parole che prediligono e per le quali si sdilinquiscono ipocritamente dalla mattina alla sera. Bindi-Bonino è il giusto esito di una catastrofe spirituale e culturale. Accettano la candidatura Bonino, una che era contro la 194 e ha votato per la sua abrogazione: voleva una legge abortista meno impacciata da considerazioni di “tutela della maternità”, considera l’aborto il testimonial della sua esistenza di libertaria, lo vorrebbe praticato, questa negazione di ogni diritto e di ogni umanità, a ogni angolo di strada, liberamente e per liberare le donne, come un diritto civile, beata lei e la sua abissale coscienza. E’ pro eutanasia. Anche i vecchi e i malati vuole liberare. Venera la pillola abortiva, il techno-prezzemolo che smentisce tutte le cure e le remore solo apparenti che hanno circondato la scelta strategica di tipo omicida fatta trent’anni fa e confermata come elemento di sordità morale e di selezione eugenetica spietata.
Metto da parte per un attimo un’avversione personale assoluta, per il carattere, la fisionomia civile, la vanità fanatica e la disperante tristezza della persona. Mi limito, se possibile, a un giudizio di natura politica, su un fatto politico. Sia chiaro: ho sempre pensato che il Pd debba essere un assemblaggio di forze diverse, un partito iperpluralista, non mi sogno di contestare alla Bonino il posto che è suo nel nuovo partito, quello di una lobbista laicista con il proprio carico di idee e la più ampia facoltà di farsi largo. Ma questa è una cooptazione di nomenclatura sotto ricatto: è un’altra cosa. Un partito robusto, il principale dell’opposizione, prende la sua bandiera e, su perentoria richiesta, la affida come portavoce, a Roma e nel Lazio, all’araldo marciante di una cultura che nega tutta la sua storia sia postcomunista sia postdemocristiana, che divide il suo elettorato, che lo separa da forze popolari importanti. La affida alle mani di una sopravvissuta in Parlamento nel listino dei ripescati del Pd, la quale ricatta il partito che l’ha salvata: O ci stai o ciccia. Non lo capisce, Bersani che con questo sì sbadato e sonnacchioso a una candidatura impostagli dal furbo Pannella, geniale nichilista del potere eterno ed eternamente retore dell’opposizione e della resistenza, sia che vinca sia che perda ha portato all’ammasso dell’irrilevanza il suo Partito democratico?
Può essere naturalmente che mi sbagli. Sicuramente sbaglio i toni, che dovrebbero essere abbassati. Sbaglio etichetta e comportamento. Forse sbaglio anche la previsione. Sarà alla fine una genialata, i vescovi e i parroci accorreranno anche loro festosi, sotto le tonache dei vari Marini, Fioroni, Letta, Bindi e altra gente di Santa Fede, per sostenere la Bonino alla guida della sanità, della bioetica, della coscienza morale pubblica della città di Roma. Sarà un’altra entusiasmante battaglia di liberazione civile e culturale dai ceppi dell’oscurantismo. E il Partito democratico guadagnerà una patente di laicismo per lui preziosa. Può darsi. In tal caso, molti auguri.