Negli ultimi anni ha acquistato sempre più importanza il ruolo delle cosiddette “Authority”, cioè delle Autorità amministrative indipendenti.
Si tratta di organi amministrativi che hanno come caratteristica principale quella dell’indipendenza, cioè di non essere funzionalmente collegati al Governo.
Nella tradizionale suddivisione dei poteri la funzione amministrativa è svolta dal potere “esecutivo”, ovvero dal Governo e dagli organi da esso dipendenti (i Ministeri e gli altri organi sottoposti alle direttive e al controllo governativi).
Questo collegamento consente di sottoporre gli atti amministrativi non solo ad un sindacato giurisdizionale (impugnabilità di fronte ai tribunali amministrativi), ma anche ad una responsabilità politica: l’azione amministrativa del Governo è soggetta al giudizio degli elettori.
L’esperienza amministrativa di altri Paesi, nonché l’accresciuta esigenza che siano rispettate regole di trasparenza ed efficienza in settori particolarmente delicati, o in cui lo Stato opera in “concorrenza” con soggetti privati, hanno suggerito l’introduzione di organismi “terzi” rispetto al potere esecutivo; o il conferimento di maggiore indipendenza ad organismi già esistenti.
Attualmente manca una disciplina generale di questi organi. Generalmente sono considerate Autorità amministrative “indipendenti”: l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Antitrust, AGCM), l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom), l’Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas (AEEG), il Garante per la Protezione dei Dati Personali (Garante della privacy), la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob), l’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni Private (ISVAP), la Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione (Covip), la Commissione di Garanzia dell'Attuazione della Legge sullo Sciopero nei Servizi Pubblici Essenziali (CGS), l’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture (AVCP).
Oggi che esiste un diffuso giudizio negativo verso la politica, si sente invocare con una certa facilità l’istituzione di nuove Autorità “indipendenti” dal Governo (e quindi dalla politica?), o l’espansione dei poteri di quelle esistenti.
Bisognerebbe però ricordare che creare un’Autorità amministrativa “indipendente” significa sottrarre la sua azione ad un giudizio di responsabilità politica.
In poche parole: chi controlla il controllore? Possiamo confidare che il loro operato sia in ogni caso apprezzabile perché meramente “tecnico”?
In realtà, la necessità di sottoporre l’azione amministrativa al controllo politico degli elettori resta un principio fondamentale di democrazia (sancito dalla nostra Costituzione, dove peraltro non si parla di queste “Autorità”…), ma anche di efficienza: se non c’è responsabilità, ogni attività degenera nello spreco e nella difesa di interessi particolaristici.
L’operato di queste Autorità, dunque, può essere considerato ammissibile solo se vengono rispettati alcuni requisiti ben precisi.
1) Delimitazione del contenuto dei poteri
Le scelte meramente “tecniche” non esistono: tutte le scelte si basano su una selezione e una gerarchia di interessi e di valori, come abbiamo ricordato a proposito dei valori comuni che devono animare il pluralismo sociale.
Laddove può esser necessaria l’adozione di provvedimenti che abbiano un contenuto marcatamente tecnico, bisogna che i limiti di questo contenuto siano ben definiti: i provvedimenti tecnici devono essere attuativi di altri provvedimenti, a carattere più generale (legislativo, regolamentare), che definiscono i valori di riferimento, effettuando le scelte “politiche”.
Anche nei settori nei quali operano le Autorità indipendenti, dunque, spetterà al Parlamento (con le leggi) o al Governo (con i regolamenti) effettuare le scelte di merito, definire gli indirizzi, assumendosene la responsabilità politica. Le Autorità dovranno agire nel rispetto di questi indirizzi.
Al riguardo, l’attuale situazione italiana lascia ampi margini di miglioramento, visto che le leggi istitutive delle Autorità indipendenti o le norme che regolano le materie di competenza presentano vistose lacune (non è questa la sede per analizzare le problematiche legate ad ogni singola Autorità).
2) Delimitazione dei settori di intervento
I settori di intervento dell’Autorità possono essere solo quelli in cui una figura “indipendente” possa risultare davvero utile:
a) settori nei quali è necessaria un’attività di controllo-regolazione soggetta a frequenti mutamenti, in funzione soprattutto dell’andamento economico. Ad esempio, la regolamentazione dei prezzi in settori di monopolio naturale, nei quali non funziona l’azione regolatrice del mercato (linee ferroviarie, telefoniche o energetiche, risorse idriche). In questi casi, l’esecutivo può e deve senz’altro fissare regolamenti di carattere generale e stabilire i criterî in base ai quali adottare i singoli e ripetuti provvedimenti regolatori; ma affidare ad organismi tecnici di diretta emanazione governativa anche l’adozione di tali provvedimenti, significherebbe non garantire una sufficiente capacità di resistere alle pressioni delle lobbies soggette alla regolazione;
b) settori particolarmente “delicati”, cioè nei quali gli interessi coinvolti assumono rilevanza strategica non solo rispetto alla definizione degli indirizzi, ma anche al’adozione di provvedimenti specifici: energia, risparmio, comunicazione, riservatezza, … In questi casi, le lesioni di diritti o le scelte inefficienti operate da organismi tecnici di diretta emanazione governativa assumerebbero particolare gravità, e sarebbero difficilmente rimediabili affidandosi solo alla responsabilità politica, che può non essere un rimedio pronto ed efficace;
c) settori nei quali enti pubblici economici sono attivi direttamente, in concorrenza con soggetti privati, per cui si pone il problema che la regolamentazione concreta della loro attività sia effettuata da un soggetto che risulti “terzo”.
Al riguardo, l’attuale situazione italiana sembra equilibrata; anche se – come detto – esistono sollecitazioni verso un’eccessiva proliferazione di Autorità in settori dove la loro presenza non è necessaria.
3) Effettiva garanzia di indipendenza
L’indipendenza delle Autorità in discussione deve essere effettiva. Se nell’adozione dei provvedimenti di competenza di un Autorità esistono condizionamenti anche indiretti da parte del potere esecutivo, allora quei provvedimenti sarebbero sottratti alla responsabilità politica in modo surrettizio.
Le concrete garanzie di indipendenza debbono essere fornite non solo dalla formale assenza di vincoli gerarchici rispetto agli organi di Governo, ma anche dal combinarsi di due elementi principali:
a) modalità di nomina. La nomina non dovrebbe essere governativa, né affidata ai Presidenti delle Camere (che nelle ultime legislature sono entrambi espressione della maggioranza). Si dovrebbe pensare ad una nomina parlamentare a maggioranza qualificata; o ad una nomina “mista”, cioè affidata - per i diversi membri dell’Autorità - ad organi diversi (come accade ad esempio per la Corte costituzionale);
b) durata della carica e non confermabilità. La durata dovrebbe superare quella di una legislatura, e quindi essere maggiore di cinque anni. I componenti dell’Autorità, inoltre, alla scadenza del mandato non dovrebbero poter essere confermati, né eletti al Parlamento o nominati ad altra Autorità per un determinato periodo.
Al riguardo, l’attuale situazione italiana è confusa: ogni Autorità ha modalità di composizione diverse, e rispetta solo alcuni degli elementi di indipendenza (e magari in forma incompleta).