Vignetta di Vincino, da Il Foglio
Mino Martinazzoli è stato l’ultimo segretario della Democrazia Cristiana, nel 1992-1994. Considerato politico di assoluta integrità, fu chiamato al capezzale di una DC in cui si poneva con forza la questione morale.
La sua azione non fu però sufficiente a salvare il partito.
Per una debolezza oggettiva della DC: il degrado di un potere che, in molti esponenti democristiani, alimentava solo se stesso.
Per una debolezza di reazione degli uomini validi - la grande maggioranza - che in quel partito militavano: non ci fu la forza di denunciare che Tangentopoli veniva utilizzata anche strumentalmente, travolgendo innocenti e risparmiando il PDS (erede del PCI), che era coinvolto allo stesso modo di DC e PSI nel sistema delle tangenti.
Per gli errori dello stesso Martinazzoli, che decise frettolosamente (senza neanche convocare il Consiglio nazionale, come chiedevano i “neocentristi” che poi fondarono il CCD) di sciogliere la DC e fondare un PPI affidato agli uomini della vecchia sinistra democristiana (Castagnetti, Bindi, Bodrato, Mancino, Bianchi). Questa dirigenza collocò il nuovo partito su un versante ufficialmente “centrista”, ma che in realtà strizzava l’occhio al PDS, lasciando sguarnito il panorama politico da un’alternativa chiara alle sinistre. Questo spostamento di linea politica consentirà l’ascesa elettorale di Forza Italia, Lega Nord, MSI (poi AN).
Il crollo della DC significò anche la fine dell’unità politica dei cattolici. Iniziò una fase – che perdura – in cui i cattolici italiani non hanno un’espressione politica chiaramente identificabile (se escludiamo il tentativo dell’UDC), ma scelgono, tra le forze politiche presenti, quella che si avvicina di più ad alcuni valori che le singole persone (in base anche alla sensibilità personale) ritengono centrali.
Questa eclissi del cattolicesimo politico era un preciso disegno dei “cattolici-democratici” che hanno sempre manifestato una subalternità alla sinistra (come dimostra la loro attuale confluenza nel PD); non era però un disegno di Martinazzoli; che commise, appunto, l’errore di affidarsi a quella classe dirigente.
Nel 2002 il politico bresciano non condivise lo scioglimento del Partito Popolare nella Margherita. Per un breve periodo collaborò con l’UDEur, prima di lasciare la politica attiva.
Pubblichiamo di seguito alcuni stralci di un’intervista rilasciata a Il Foglio, nella quale Martinazzoli formula, da un punto di vista privilegiato, le sue considerazioni sull’evoluzione del rapporto tra cattolici e politica. Il suo è il punto di vista di un protagonista, in grado di rivelare alcuni retroscena, ma anche di un analista politico di cui è sempre stata riconosciuta la lucidità (le evidenziazioni in grassetto sono nostre).
(...) Venire a trovare Mino Martinazzoli nello studio d’avvocato che ancora tiene a Brescia, non è un gioco della nostalgia, ma l’occasione per gettare uno sguardo - intelligente, eccentrico - sulla “temperie attuale” del rapporto tra cattolici e politica, tornato burrascoso nelle ultime settimane, e problematico su entrambi i fronti del bradisismico sistema politico italiano.
“La mia convinzione, per dirla alla maniera di Spadolini, è che il Tevere sia un po’ più largo”. Si aggiusta sulla poltrona e prosegue, come se sondasse una palude: “Vorrei cercare di chiarirle il punto di vista che vado maturando, e che va oltre questa vicenda. Sta entrando in crisi quella che è stata la bussola di questi quindici anni dopo la fine della Dc: la possibilità di sperimentare una valenza del cattolicesimo politico, indipendentemente dalla presenza sul terreno di un partito politico cattolico, decifrabile in quanto tale. A me pare che la chiusura di questo ciclo, di questo esperimento, stia determinando, come suo risultato, un fatto: che i rapporti tra cattolicesimo e politica in Italia sono sempre più rapporti ‘tra potenza e potenza’. Ma che sempre più manchi sul campo un soggetto in grado di proporre e realizzare una visione politica”.
Il governo italiano e la gerarchia della Chiesa, eventualmente il Vaticano. Potenze asimmetriche. E in mezzo uno spazio tutt’al più presidiato da un personale politico che - al massimo - si sente rappresentante di un interesse, di una parte. O viceversa autonomo rispetto a quegli stessi interessi.
“Invece io credo che il cattolicesimo politico sia stato importante quando si è voluto porre non come la rappresentanza del soggetto cattolico, ma come la presenza del cattolicesimo nella vicenda democratica in Italia”. Non è semplice, ma ha sottomano l’epistolario Sturzo-Salvemini. La citazione che ne cava è però da una lettera di Giuseppe Donati a Salvemini, in cui il giovane direttore del Popolo rivendica per se stesso la coesistenza pacifica di “credente e cittadino”, “due termini che non voglio scompagnare affatto, e che nella mia coscienza o si fanno uno solo o non sono”. Intende dire che oggi quei due termini si sono scompagnati? “Le vicende recentissime danno conto di questo, così la Chiesa sarà sempre più costretta a parlare ‘da potenza a potenza’. Ma la responsabilità di questa condizione non la imputo neanche per un millimetro alla Chiesa. Bensì ai laici che non hanno saputo ricostruire né da una parte né dall’altra una presenza di politici cattolici”.
E questo, nella sua visione, deriva dal fatto che “non si è voluto indagare sul perché sia finita la Dc. Molti si sono affrettati a rimuovere e basta; altri hanno anzi considerato la fine di quell’esperienza come un fatto liberatorio. Mi riferisco ai cattolici democratici come Scoppola che hanno salutato quel fatto come l’inizio di una nuova fase”. Ma tra i discepoli di Scoppola c’è anche Romano Prodi, l’inventore dell’Ulivo. “Sì, e il guaio è stato che l’unico leader che i cattolici abbiano avuto dopo la Dc ha preso proprio questa posizione”.
Così oggi servirebbero cattolici-cittadini, e invece abbiamo politici che si accontentano di rappresentare una parte, e altri che si sono di fatto persi nella ricerca della propria autonomia. Ma c’è anche chi quella storia continua a rivendicarla. “A Casini riconosco volentieri alcune cose, ad esempio il voto contrario al federalismo fiscale, mentre dai miei amici passati nel Pd si è avuta una benevola astensione. Ma quando sento Casini che si assume ‘il compito di difendere le radici cattoliche in Italia… De Gaulle direbbe ‘vaste programme’, tanto vasto da non essere cifrabile politicamente. A me, più che i valori che pretendi di rappresentare, interessa quello che riesci a fare. Quel che proponi sulla famiglia, la scuola. So benissimo che il mio è poco più che un rimpianto, e che il rimpianto non alimenta speranze. Ma continuo a ritenere che su queste cose occorrerebbe riflettere, perché se non hai consapevolezza del passato è impossibile poter elaborare una proposta per il presente e anche immaginare il futuro”.
(...) In questi quindici anni abbiamo avuto una chiesa - “la chiesa di Ruini” si dice comunemente - che non ha avuto difficoltà, o riluttanza, a interpretare un ruolo diretto, di arbitro, nella politica, distribuendo consensi e in molti casi dettando l’agenda. In questi giorni, e anche prima del caso Boffo, il refrain più alla moda recita che quel periodo è concluso, che quel tipo di rapporto è destinato a un rapido superamento. Soprattutto, è il sottinteso, è entrato in crisi il rapporto tra cattolici e centrodestra. E’ davvero così? “Quanto al rapporto con Berlusconi, non è nelle mani dei politici stabilire se e quando finirà. Non è nella loro disponibilità, la chiave sta Oltretevere. Io non posso che riportare delle sensazioni. Mi pare che la vicenda scoppiata intorno all’Avvenire dia conto non dico di un epilogo, ma quantomeno dell’esigenza di un ripensamento”.
Quanto invece al ruolo del cardinale Ruini nella vicenda politica italiana, ci tiene a precisare: “Se penso la mia esperienza del 1993-’94, non negherò mai la circostanza che il cardinal Ruini, allora presidente della Cei, ha sempre guardato con simpatia e interesse fino in fondo, fino alla conclusione drammatica, al tentativo del Ppi. Lo dico per spiegare che quanto è accaduto dopo, la linea che la Cei ha seguito, è stata determinata dai fatti, non dalla volontà di Ruini. Si è arrivati all’accettazione del pluralismo, c’è stato il ‘progetto culturale’ indicato come punto di riferimento per tutti. E’ stata una responsabilità dei laici.
Anche se mi pare che oggi qualche riflessione verrà fatta anche in campo ecclesiastico. Il caso Boffo, se la mettiamo in termini di vittoria e sconfitta, è stata una sconfitta. E non mi pare rassicurante che la sconfitta sarà ripagata in altro modo: con la legge sul testamento biologico, eccetera. Mi rifiuterei di accettarlo. Inoltre, leggo che domenica il Papa ha invitato i cattolici a stare in politica, e mi pare non abbia detto ‘a rappresentare i nostri interessi’, ma a seguire il Vangelo. Se il Papa invita a creare qualcosa d’altro è perché forse oggi ci sono più detriti del vecchio che non semi del nuovo. Oggi, se mi posso permettere, mi sembra che quello che manca sia la voglia di dare inizio. Perché la Dc non è vero che ‘l’ha fatta Montini’ come oggi qualcuno vuol lasciare intendere. No, Montini incoraggiò, ma la Dc la fece De Gasperi".
(...) C’è anche un altro aspetto che complica la vita ai cattolici del Pd: la questione bioetica. Rosy Bindi e Prodi furono mandati a casa sui Dico, ci fu una sorta di “ritiro della delega” da parte delle gerarchie e di molta parte dell’elettorato cattolico. Se vogliono tornare a governare, è chiaro che va ricucito questo strappo. Secondo Lei ce la possono fare? “Mi pare di capire che il senso della cosa sfoci in una contraddizione insuperabile”, affonda il bisturi Martinazzoli. “Oltretutto, è evidente che su questi temi la maggioranza dei cattolici si sente più rappresentata e garantita dall’altra parte. Detto ciò, mi pare vi sia un’ulteriore grave contraddizione, e lo dico senza voler apparire un antimoderno: il complesso di ‘poteri’ che sono determinanti in queste materie, la scienza e l’industria biomedica, sono oggettivamente più contigui e rappresentati dalla destra che non dalla sinistra. E’ una contraddizione, ma il problema è che la sinistra di oggi è diventata radicale, quale non era certo ai tempi del Pci”.
(...) Su questi temi i cattolici si sentono più garantiti dalla linea espressa dall’attuale governo. “Appunto. Ma mi pare anche che quella parola d’ordine l' 'unità sui valori' tenuta come bussola da Ruini si rivela anche qui troppo poco, troppo debole. Non basta a sorreggere una prospettiva complessiva”.
E si torna alla fine del ciclo, e all’ipotesi accarezzata da Rocco Buttiglione: dopo la “revoca di delega” al Pdl bisogna fare un partito nuovo, non democristiano ma “sturziano”. “Mi è un po’ difficile credere…”, si acciglia Martinazzoli. “Buttiglione l’aveva l’idea del partito sturziano, ma poi ha fatto altro. Prima hanno coltivato l’idea che si potesse trasformare Berlusconi nella nuova Dc. Adesso tornano a Sturzo. Ma non credo sia un processo che si può fare in fretta, che si possa buttare una cosa e passare all’incasso subito con un’altra. Io mi attengo a una frase di un grande sacerdote bresciano, Giulio Bevilacqua: ‘Le idee valgono per quello che costano, non per quello che rendono’. Tornare ipso facto a Sturzo, ancora una volta, è un ‘vaste programme’ ”.