Salvatore Crisafulli assistito dal fratello (Ansa)
Salvatore Crisafulli - il 38enne catanese rimasto in stato vegetativo per poco più due anni, dopo che il suo motorino si era scontrato con un furgone mentre andava al lavoro - si è risvegliato. «I medici dicevano che non ero cosciente, ma io capivo tutto - dice Crisafulli, intervistato da Tgcom - e piangevo perchè non riuscivo a farmi capire». Dell'incidente l'uomo non ricorda nulla, ma di tutto quello che accadde dopo quel maledetto 11 settembre 2003 sì. «Sentivo mio fratello che diceva che secondo lui invece capivo tutto - racconta Crisafulli - e lo sentivo urlare perchè non gli credevano. Ma io non potevo parlare, non potevo muovermi, non potevo far nulla per fargli capire che c'ero, che li sentivo. Così piangevo». Dopo un periodo di ricovero in un centro di Arezzo, dove, a distanza di un anno e mezzo dall'incidente, ha ricevuto le prime vere cure, era stato trasferito in Sicilia, a casa della madre. «Dal ministero della Salute ci hanno assicurato - riferisce il fratello Pietro Crisafulli - che sarebbero venuti a casa ogni giorno degli specialisti per seguirlo. E infatti lo stanno curando benissimo. Negli ultimi tempi abbiamo anche fatto arrivare un macchinario che gli permette di stare in piedi e che ha migliorato la postura del tronco e del corpo. Ora riesce a girare la testa a sinistra e, grazie alla fisioterapia, muove il braccio destro. Ma che parlasse, questo nessuno di noi se lo sarebbe mai aspettato».
Pubblicato sul Corriere della Sera del 4 ottobre 2005
In altre interviste il fratello di Crisafulli ha raccontato il calvario di quei due anni. I medici avevano diagnosticato uno stato vegetativo persistente, spiegando che equivaleva già alla morte, che era irreversibile; lasciando quindi intendere che era inutile insistere con cure. La storia di Salvatore, e le iniziative prese dai suoi familiari per sensibilizzare l'opinione pubblica sul suo caso, si trovano su www.salvatorecrisafulli.it .
In Italia l'eutanasia non è ammessa, ma quante volte silenziosamente praticata?
Il caso Crisafulli non è unico: ricordiamo quello di Sarah Scantlin, ragazza del Kansans che si è risvegliata dal coma dopo 20 anni anche grazie alle continue terapie riabilitative che gli sono state praticate, e il 12 gennaio 2005 ha ripreso a parlare. Non solo: ha anche riferito di ricordare i principali fatti di cronaca di quegli anni, appresi seguendo la TV!
O il caso di Patricia White Bull, donna pellerossa (Sioux) del South Dakota, che la vigilia di Natale del 2000 si risvegliata dopo 16 anni di coma trascorsi in un ospedale del New Mexico, rimproverando l'infermiera: «Non è questo il modo di aggiustare le coperte!».
O il caso di Massimiliano Tresoldi, di Carugate, che nel 1991 si era schiantato con l’auto ed era entrato in stato vegetativo. I medici avevano sconsigliato di curarlo, definendolo un "tronco morto". Per quasi 10 anni la madre lo ha nutrito pazientemente, lo ha fatto viaggiare, ogni sera gli ha preso il braccio e fatto fare il segno della croce. Finché il giorno di Natale del 2000, stanca, ha avuto un momento di sconforto, come lei stesa racconta: “Mi sono sfogata. Gli ho proprio detto: ‘Adesso basta, questa sera non ce la faccio. Se vuoi farti il segno della croce, te lo fai da solo!’ Era una frase buttata lì, rivolta più a me stessa che a lui. Ma improvvisamente Massimiliano ha alzato la mano, si è fatto il segno della croce e mi ha abbracciato. Stentavo a crederci, si era risvegliato”. Massimiliano ha fatto capire che durante la malattia sentiva quello che veniva detto intorno a lui. Da lì è iniziato una lunga riabilitazione, con una logopedista che oggi gli sta reinsegnando a scrivere e parlare.
Alcuni medici dicono che questi casi, se il malato si è ripreso, non erano veri casi di stato vegetativo: c'è stata una diagnosi errata.
Non è detto che sia così, perché le più recenti risultanze della letteratura medica dicono che nello "stato vegetativo" ci può essere coscienza, e che se ne può uscire.
Ma anche se ci trovassimo di fronte ad errori di diagnosi, ciò non cambia il giudizio sulla necessità di assistere questi malati. Quante cose ancora non sappiamo della vita umana? Vogliamo arrogarci il diritto di negare la più elementare assistenza sulla base di diagnosi che possono essere errate? La voglia di abbandonare i malati a se stessi è così forte da renderci ciechi di fronte alle loro reazioni, etichettate con faciloneria come "semplici riflessi"? Erano "riflessi" anche le reazioni di Terri Schindler Schiavo?