Venerdì 28 agosto il Giornale diretto da Vittorio Feltri titolava a tutta pagina: “Il supermoralista condannato per molestie. Dino Boffo, alla guida del giornale dei vescovi italiani e impegnato nell’accesa campagna di stampa contro i peccati del premier, intimidiva la moglie dell’uomo con il quale aveva una relazione”.
L’attacco alla persona è presentato esplicitamente come attacco al giornale dei vescovi (Avvenire), e innesca una crisi politico-diplomatica: non serve ricordare, infatti, che il Giornale è il quotidiano di proprietà della famiglia Berlusconi.
Il giorno stesso il premier si “dissocia” dall’attacco del giornale di famiglia con questa dichiarazione: “Ho reagito con determinazione a quello che in questi mesi è stato fatto contro di me usando fantasiosi gossip che riguardavano la mia vita privata presentata in modo artefatto e inveritiero. Per le stesse ragioni di principio non posso assolutamente condividere ciò che pubblica il Giornale nei confronti del direttore di Avvenire e me ne dissocio”.
Nonostante la “dissociazione”, il Vaticano fa saltare l’incontro tra il segretario di Stato card. Bertone e il presidente del Consiglio italiano, previsto quella sera stessa alla festa della Perdonanza dell’Aquila.
La Conferenza episcopale italiana, editrice di Avvenire, dirama un comunicato in cui si rinnova “piena fiducia a Boffo, direttore di Avvenire, giornale da lui guidato con indiscussa capacità professionale, equilibrio e prudenza".
Il giorno dopo il card. Bagnasco, presidente della CEI, definisce l’attacco “un fatto disgustoso e molto grave”.
Le dimissioni di Boffo vengono respinte per due volte, perché sembrano un cedimento alle intimidazioni subìte. Ma Bagnasco deve infine accettarle il 3 settembre, quano sono presentate in forma irrevocabile.
Nuove nubi si addensano sui rapporti tra maggioranza di governo e Chiesa italiana.
Nel mondo politico e dell’informazione le reazioni all’iniziativa di Feltri sono state quasi tutte negative, anche all’interno del Pdl. Forse si potrebbe intuire una nascosta soddisfazione in coloro che non hanno denunciato con vigore l’episodio. Ma l’unica solidarietà esplicita autorevole è venuta – ci sembra – dal direttore di Libero (altra testata vicina al centrodestra), Belpietro.
Questi i fatti evidenti. Che suscitano una serie di domande su quale sia la verità nella vicenda Boffo, quale il significato dell’attacco di Feltri, quali i retroscena politici.
Il direttore di Avvenire è stato realmente coinvolto nelle vicende giudiziarie di cui parla il Giornale?
Di sicuro c’è un decreto penale (non una “sentenza”) del Tribunale di Terni del 2004, con cui Boffo è condannato a pagare un’ammenda di 516 euro per molestie.
Venerdì 28 agosto il Giornale può esibire solo una copia del certificato del casellario giudiziale di Boffo, in cui è menzionata una condanna per il “reato di molestia alle persone commesso nel gennaio 2002 in Terni”, oltre all’annotazione dell’avvenuto pagamento dell’ammenda.
Martedì 1 settembre il giudice per le indagini preliminari di Terni, Pierluigi Panariello, autorizza i cronisti a fare copia del decreto, vietando però un accesso indiscriminato agli atti del procedimento. Nel decreto si legge che Boffo è stato condannato perché, “effettuando ripetute chiamate sulle sue utenze telefoniche nel corso delle quali la ingiuriava anche alludendo ai rapporti sessuali con il suo compagno (condotta di reato per la quale è stata presentata remissione di querela), per petulanza e biasimevoli motivi recava molestia a ...omissis...”. Null’altro di ufficiale è emerso sulla vicenda.
Boffo ha inizialmente contestato l'attendibilità delle fonti usate da il Giornale.
Ha fornito la sua versione completa il 3 settembre, contestualmente alle dimissioni: le telefonate di molestia sarebbero sì provenute dal cellulare di Boffo, ma sarebbero state effettuate dal suo segretario. Da altre fonti è trapelato che questa persona era un giovane tossicodipendente, già in cura presso la Comunità Incontro di don Gelmini e che Boffo aveva assunto per aiutarlo. Boffo avrebbe rinunciato a presentare opposizione al decreto per mettere fine alla vicenda ed evitare al giovane (in seguito deceduto per overdose) una condanna che poteva portarlo in prigione.
La sintesi offerta dall'ex direttore di Avvenire nella sua lettera di dimissioni è stata: "Se uno sbaglio ho fatto, è stato non quello che si pretende con ogni mezzo di farmi ammettere, ma il non aver dato il giusto peso ad un reato 'bagatellare' ".
È credibile la versione dei fatti che giustifica Boffo?
Il gip di Terni ha dichiarato che tale pista sul piano giudiziario non era stata "approfondita" perchè non "ritenuta attendibile da chi indagava". Ognuno giudicherà da sé.
Un indizio indiretto sulla bontà della tesi difensiva di Boffo potrebbe però venire da una considerazione: la difesa delle gerarchie ecclesiastiche non è sembrata una difesa d’ufficio.
La notizia della condanna di Boffo era già stata pubblicata qualche mese prima da Panorama.
Le voci sui retroscena di questa vicenda, lanciate per la prima volta da un blogger, circolavano già da qualche anno in alcuni ambienti della Curia e della CEI. Una lettera anonima che rilanciava il fatto fu inviata a tutti i vescovi tre mesi fa. Sembra logico che, prima di cestinarla come “spazzatura”, ai vertici della CEI sia stata effettuata una verifica della questione. Qualora fosse stato riscontrato un sia pur piccolo fondamento, probabilmente motivi di opportunità avrebbero indotto subito ad assegnare Boffo ad altro incarico meno esposto, anche se si fosse ritenuto che non veniva intaccata l’onorabilità della persona.
La patacca della “nota informativa”
Abbiamo detto le notizie “ufficiali” sulle motivazioni della condanna sono assai scarne. Ma questo si scopre con certezza solo il 31 agosto.
Il 28, infatti, il Giornale vuole lasciare intendere di avere queste notizie, riportando il contenuto di una presunta “nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio”.
In questa nota, secondo quanto riportato nell’articolo di Gabriele Villa, si legge che “Il Boffo è stato a suo tempo querelato da una signora di Terni destinataria di telefonate sconce e offensive e di pedinamenti volti a intimidirla, onde lasciasse libero il marito con il quale il Boffo, noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni, aveva una relazione. Rinviato a giudizio il Boffo chiedeva il patteggiamento e, in data 7 settembre del 2004, pagava un’ammenda di 516 euro, alternativa ai sei mesi di reclusione. Precedentemente il Boffo aveva tacitato con un notevole risarcimento finanziario la parte offesa che, per questo motivo, aveva ritirato la querela”.
Sempre secondo la nota, del reato commesso “sono indubbiamente a conoscenza il cardinale Camillo Ruini, il cardinale Dionigi Tettamanzi e monsignor Giuseppe Betori”. Con il che la Chiesa viene tirata in ballo espressamente.
Estratti della stessa nota sono ripresi da Feltri - nel suo articolo di fondo - come ciò che “risulta dal casellario giudiziale”.
La copia di questa fantomatica “nota informativa” verrà diffusa solo il 31 gennaio (per visionarla, clicca qui ). E si viene a scoprire che non si tratta di un atto del fascicolo procedimentale (come confermato dal gip di Terni, il quale aggiunge che non esiste nel fascicolo alcun elemento relativo ad una presunta omosessualità di Boffo), anche perché è un documento redatto con tutta evidenza dopo la chiusura del procedimento. Non è, quindi, come voleva far credere il Giornale, una “nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio” o ciò che “risulta dal casellario giudiziale”. Si tratta – leggendo l’intestazione – di un misterioso “Riscontro a richiesta di informativa di Sua Eccellenza”, non firmato. Chi lo ha redatto? Chi è l’Eccellenza che lo ha commissionato?
Il Ministro degli Interni Maroni attiva subito il Capo della Polizia e verifica che non esiste nessun fascicolo aperto su Dino Boffo.
Del resto, sarebbe clamoroso se un omosessuale fosse “attenzionato dalla Polizia” (ammesso e non concesso – lo ha negato il gip di Terni - che Boffo sia omosessuale).
E non sarebbero comprensibili alcuni strafalcioni: come quello del “rinvio a giudizio” (per la molestia ci cui all’art. 660 c.p. non è previsto il rinvio a giudizio del Gip, semmai la citazione diretta da parte del Pm); o come l’evocazione di “intercettazioni”, che non è possibile disporre per il reato di molestie (la magistratura aveva acquisito solo i tabulati; esiste agli atti una registrazione, non trascritta anche perché molto disturbata, effettuata da parte della signora molestata); né dagli atti risulta alcunché in ordine ad un presunto risarcimento per tacitare la parte offesa o alle tendenze sessuali di Boffo. Alcuni di questi strafalcioni, peraltro, sono stati fatti rilevare da un lettore intervenuto sul forum del sito internet de il Giornale. A testimonianza della buona fede della testata, il post del lettore è stato prontamente... rimosso (!), e a partire dal giorno 30 il quotidiano di Feltri ha smesso di tirare in ballo la nota informativa (senza però ammettere di averla utilizzata come fonte inquinante).
I casi sono due:
1. la “nota informativa” è un falso totale, un modo subdolo – benché maldestro - di dare una veste ‘ufficiale’ a una delazione anonima. E il Giornale non si è minimamente preoccupato di appurarne l’autenticità (così come non si è preoccupato di interpellare Boffo per avere la sua versione dei fatti);
2. oppure la “nota informativa” è ‘autentica’ solo in parte, nel senso che proviene realmente da qualche funzionario che si è illecitamente prestato a schedare un cittadino e a trasmettere una “velina” anonima. Ma non è autentico il contenuto, che unisce informazioni vere ad altre calunniose per screditare quel cittadino e le gerarchie cattoliche (nella nota, infatti, si sostiene anche che Boffo gode di “alte protezioni, correità e coperture in sede ecclesiastica”). E il Giornale non si è minimamente preoccupato di appurare l’origine e l’affidabilità di questo documento.
In entrambi i casi, si tratta di una ‘patacca’, di un documento non attendibile; e proprio perché non attendibile, l’articolo di Villa ha cercato di farlo passare per quello che non è (un atto del fascicolo giudiziario).
(Non è una valutazione nostra: dopo aver visionato gli atti, lo stesso Feltri, su il Giornale del 4 dicembre, ammetterà di essersi sbagliato: il contenuto del decreto di condanna ricavato dal casellario giudiziale di Boffo era “penalmente modesto”, la nota informativa fasulla; “si trattava di una bagattella e non di uno scandalo”. Insomma, la versione fornita da Boffo; 'riabilitato' come“giornalista prestigioso e apprezzato”.
Peccato si trattasse di elementi che, come erano evidenti a noi, avrebbero dovuto esserlo ancor più ad un giornalista di esperienza come Feltri, anche prima di aver accesso al fascicolo procedimentale...
Sulla base di queste evidenti considerazioni, l'Ordine dei giornalisti della Lombardia ha sospeso Feltri per sei mesi).
Ad ogni modo: la veridicità dei fatti attribuiti a Boffo, secondo noi, potrebbe essere un elemento che ha rilievo sull'opportunità che una persona esposta a certe critiche guidi una testata cattolica; anche se i fatti non fossero diventati pubblici. Ma non costituisce l’elemento essenziale di questa vicenda - la pubblicazione da parte de il Giornale - e dei suoi risvolti politici.
Che giudizio possiamo dare dell’iniziativa di Feltri?
Abbiamo visto che le reazioni all’iniziativa di Feltri sono state quasi unanimemente negative. Anche se con alcuni distinguo.
Alcuni simpatizzanti del centrodestra fanno capire che l’unica censura che può essere rivolta a Feltri è quella di un’indebita intromissione nella sfera privata, simile a quella effettuata negli scorsi mesi da altre testate nei confronti di Berlusconi (e con la scusa di difendere Boffo, si vuol difendere Berlusconi).
Altri, nel centrodestra, ricordano il clima di delegittimazione morale esistente da anni in Italia, ma non lo usano come alibi per Feltri. Questi critici più decisi li ritroviamo soprattutto in alcuni esponenti della Lega o del Pdl provenienti da Alleanza Nazionale (Fini ha parlato addirittura di killeraggio, meritandosi una lettera aperta di Feltri che gli lancia pesantissime accuse).
Tra gli esponenti del Pdl provenienti da Forza Italia (e quindi più vicini a Berlusconi) ci sembra che l'unica presa di distanza chiara e lucida sia venuta da Cicchitto, il quale alla festa dell'UDEur di Telese ha affermato che "non ci si occupa della vita privata delle persone come ritorsione, dopo che ci si è occupati della vita privata di Berlusconi; (...) dare addosso ad un esponente cattolico come Boffo non ha fatto altro che allentare il rapporto tra Pdl e gli elettori cattolici, moderati e riformisti. Insomma è stata una cosa sbagliata in sé ed in termini politici”.
Altri ancora – soprattutto nelle opposizioni - parlano apertamente di intimidazione e attacco alla libertà di stampa e alla libertà di espressione della Chiesa cattolica.
L'ultima interpretazione ci sembra quella più veritiera.
In primo luogo, per il contenuto dell’attacco: Feltri non si è limitato a “pubblicare una notizia”, ma ha pubblicato una notizia senza verificare accuratamente le fonti, come deontologia imporrebbe.
(Che l'intento intimidatorio fosse prevalente sul "diritto di cronaca", nella linea editoriale di Feltri, lo conferma il successivo attacco a Fini: l'intimazione a "rientrare nei ranghi", per "non essere ridicolo", sarà accompagnata dalla minaccia di pubblicare un presunto vecchio dossier su vizi sessuali di dirigenti di Alleanza Nazionale. La notizia - se c'è - non viene pubblicata, ma viene ventilata...)
In secondo luogo, la natura di attacco alla libertà di stampa e di espressione emerge per gli scopi dichiarati con cui la notizia è stata pubblicata (e la questione è ancora più importante – come sottolineavamo - della veridicità della notizia): il Giornale stesso ha spiegato di voler smascherare gli altarini dei “moralisti” che hanno criticato Berlusconi.
Si badi bene: la colpa di Avvenire non sarebbe stata quella di aver diffamato il premier.
Intendiamoci: chiunque - anche Berlusconi - ha il diritto di difendersi dalle diffamazioni. Ma alle diffamazioni si risponde con le querele o le richieste di risarcimento danni, come quelle che Berlusconi ha presentato nei confronti de la Repubblica e l’Unità (anche le cause legali possono avere un intento intimidatorio, ma sorvoliamo); si risponde denunciando politicamente la bassezza degli attacchi ricevuti. Non si risponde sullo stesso terreno, se lo si considera riprovevole...
Ad ogni modo, al giornale dei vescovi non viene contestata alcuna diffamazione. Viene rimproverato di aver “fatto la morale” a Berlusconi, cioè di aver espresso opinioni!
Al riguardo, bisogna distinguere tra morale e moralismo (e capiamo che oggi come oggi non sono in molti a masticare la materia). Chi fa discorsi morali non deve essere necessariamente una persona immacolata. Mentre chi fa del moralismo, magari per trarne benefici (professionali o politici), ed è il caso di molti accusatori di Berlusconi (potremmo citare Grillo, Di Pietro, Franceschini), dovrebbe senz’altro badare che il suo pulpito sia più solido delle persone che accusa.
Nel merito: Dino Boffo non ci sembra assolutamente persona da iscrivere alla categoria dei moralisti. Sulla vicenda dei gossip su Berlusconi ha tenuto una linea editoriale basata sulla “prudenza” (come sottolinea la nota CEI in sua difesa), scontentando molti cattolici che avrebbero voluto prese di posizione più esplicite. Il direttore di Avvenire si è limitato in alcune occasioni, nella pagina delle lettere, a rispondere alle continue sollecitazioni che gli venivano dai lettori, prendendo le distanze senza alcuna enfasi dallo stile di vita del premier.
(Lo stesso Feltri, nella sua ammissione di errore, dichiarerà che i rilievi di Avvenire a Berlusconi erano “un paio di petardi. Niente di eccezionale”).
Ebbene: possiamo condividere o meno la campagna mediatica condotta (non da Avvenire) sulle frequentazioni del Cavaliere. Noi ne abbiamo parlato in un nostro precedente articolo.
Ma anche volendo sottolineare quanto di esagerato o infamante o ipocrita potesse esservi in quella campagna, non possiamo equiparare accuse volte a screditare un politico posto a capo di un Governo (gravi e censurabili nella misura in cui sono false o volgari) con le accuse – molto più gravi - volte a zittire la libera stampa (Avvenire, ma anche – indirettamente – tutti i media, al motto "colpirne uno per educarne cento") e le autorità morali (come la Chiesa) che avessero in animo di criticare il premier.
La vita democratica ha bisogno di notizie, perché i cittadini possano formulare il loro giudizio libero e consapevole.
Se vengono pubblicate notizie private o delicate – ma vere – su un politico, bisogna bilanciare l’interesse pubblico a conoscere notizie su un rappresentante del popolo con il diritto della persona alla sua onorabilità.
Se vengono pubblicate notizie private o delicate – ancorché vere – su un giornalista, forse aggiungiamo una notizia di interesse pubblico. Ma sicuramente creiamo le condizioni perché ne siano censurate molte altre.
Infatti, minacciare giornalisti e direttori giornali (“Attenzione, se voi pubblicate notizie che ci sono sgradite, noi pubblichiamo dossier su di voi o sulle vostre famiglie, capaci di screditarvi”) significa condizionarli. Non solo perché è difficile trovare il giornalista “integerrimo” che non ha vissuto situazioni imbarazzanti nella sua vita personale o in quella dei proprî familiari. Ma anche perché può esser facile confezionare dossier patacca, che fondono notizie vere, verosimili e false e ottengono in ogni caso l’obiettivo di screditare una persona (alle smentite e alle riabilitazioni future l’opinione pubblica è meno attenta).
Questo caso è venuto alla luce. In quanti casi sono già scattate autocensure, perché è stato sufficiente che un dossier venisse sventolato sotto gli occhi di un giornalista da intimidire?
Un discorso simile, anche se non equivalente, può esser fatto per i tentativi di tacitare uomini di Chiesa, poiché una società libera ha bisogno anche del parere di autorità morali.
Ciò non significa che esistano categorie di “intoccabili”. Ma che l’interesse pubblico ad acquisire notizie compromettenti sulle persone dev’essere evidente, anche in funzione del ruolo che esercitano (questo interesse è più esteso per i politici); e che l’acquisizione di tali notizie dev’essere esercitata con la massima accuratezza.
Per inciso, Feltri si è giustificato anche sostenendo che su Boffo ha riportato un dato "pubblico" - un decreto penale -, mentre su Berlusconi sono state pubblicate vicende "private". Dovrebbe sapere che la legge sulla riservatezza considera i dati giudiziarî come dati "ultrasensibili", meritevoli della massima tutela.
Che significato politico possiamo attribuire all’iniziativa di Feltri? Berlusconi ne era davvero all’oscuro?
Questo attacco si inserisce in quadro di oggettiva insofferenza di Berlusconi verso i media a lui ostili: quelli che hanno diffuso le notizie sui suoi incontri galanti, come anche quelli che hanno enfatizzato la crisi economica. Pensiamo solo all’esternazione sulla necessità di “chiudere la bocca” a giornali e organismi internazionali.
Intendiamoci: a volte Berlusconi ha ragione, a volte le accuse rivoltegli sono petulanti e ridicole. Ma, finché non si integra il reato di diffamazione, la reazione ammissibile è quella di ribattere colpo su colpo, non di intimidire o invocare censure.
Questo quadro di insofferenza crea un clima in cui forse non è neppure necessario che Berlusconi dia indicazioni in prima persona. Se la volontà del leader è chiara, i suoi simpatizzanti sanno precederne i desiderî. E Berlusconi potrebbe recitare il gioco delle parti, “dissociandosi” e facendo pure la figura dell’editore liberale. Un ulteriore episodio è stato la segnalazione di presunte irregolarità fiscali del direttore de la Repubblica.
Alla logica del “sono tutti uguali” appartengono anche alcuni attacchi personali – usciti sempre su il Giornale - a politici dell’opposizione.
Nel caso Boffo, Berlusconi è stato il mandante?
Un indizio in tal senso potrebbe essere l'editoriale di saluto del direttore Mario Giordano (sostituito da Feltri): "nelle battaglie politiche non ci siamo certi tirati indietro (...) Ma quello che fanno le persone dentro le loro camere da letto (siano essi premier, direttori di giornali [il corsivo è nostro, ndr], editori, ingegneri, first lady, body guard o avvocati) riteniamo siano solo fatti loro. E siamo convinti che i lettori del Giornale non apprezzerebbero una battaglia politica che non riuscisse a fermare la barbarie e si trasformasse nel gioco dello sputtanamento sulle rispettive alcove".
Letto col senno di poi, appare inquietante... Giordano sembrerebbe lasciar intuire che è stato rimosso perché non si è prestato alla campagna che si andava orchestrando.
Ma forse Feltri non ha ricevuto alcuna imbeccata. In primo luogo, perché ha il vezzo – la presunzione? – di presentarsi come battitore libero (anche se è difficile – e forse non è neanche ragionevole – aspettarsi che eserciti la sua “indipendenza” pubblicando inchieste che danneggino il ruolo pubblico di Berlusconi... ). In secondo luogo, perché il momento è stato senz’altro sbagliato: il giorno in cui era previsto l’incontro con il cardinal Bertone all’Aquila.
È indubitabile, però, che Feltri riteneva di fare un favore al leader politico di riferimento e fratello del suo editore, mettendo sul chi va là i critici del Cavaliere. Forse anche la creazione di un imbarazzo con la Chiesa costituisce, nell’ottica di Feltri, un “favore” al Presidente del Consiglio: questo imbarazzo dovrebbe rendere più facile la linea politica preferita dal direttore de il Giornale, meno vicino, sui temi etici, alla sensibilità cattolica.
Ma anche se Berlusconi non è il mandante, è - nelle intenzioni di Feltri - il beneficiario; o, come direbbe un suo avvocato, l' "utilizzatore finale". Non può dunque ritagliarsi, anche per i motivi visti (segnale di insofferenza verso i media lanciato ai suoi simpatizzanti), il ruolo di spettatore e di editore “liberale”.
Se è davvero indignato per la condotta de il Giornale, assuma le iniziative che può assumere un editore (o il fratello dell’editore). Come quando è stato dato il benservito a Mentana, che non gli faceva certo la guerra (semmai era meno 'pronto' ad un aperto sostegno politico) e che - in una logica puramente commerciale - faceva ottenere ottimi ascolti al Tg5.
Berlusconi non può beneficiare delle campagne stampa condotte da professionisti che hanno un inevitabile timore reverenziale verso il proprio datore di lavoro e i suoi familiari, e al tempo stesso pretendere di non esercitare alcuna responsabilità sul loro operato; limitandosi ad una "dissociazione" formale e strumentale, che gli serve a difendere se stesso nel momento in cui equipara l'attacco di Feltri a quelli ricevuti. Giuliano Ferrara ha icasticamente parlato di "un primo ministro sotto assedio, che ha deciso di rotolarsi nel fango con i suoi nemici".
Se invece considera sgradevole l'intervento di un politico-editore sulle testate dallo stesso controllate, affronti una buona volta il nodo del conflitto d’interessi, e venda i media di famiglia (ad un editore di destra, ovviamente, così non sarà oggetto di campagne diffamanti condizionate dall’ideologia).
I riflessi sulla politica italiana
Questo Governo, come quasi tutti i Governi (forse l’ultimo di Prodi è stata una singolare eccezione), cerca indubbiamente di avere buoni rapporti con la Chiesa. È un segno di responsabilità (l’attenzione alle autorità religiose e sociali particolarmente significative) e di realismo politico (se queste autorità godono di particolare prestigio e influenza).
Ma è indubbio che l’attuale Governo non può essere considerato espressione di una maggioranza naturaliter christiana, come forse alcuni cattolici speravano. Il segnale di una compagine ministeriale senza personaggi di formazione cattolica era abbastanza chiaro. Oggi si aggiunge la consapevolezza che esiste in molte componenti di Pdl e Lega il desiderio di delimitare la “sfera d’intervento” del mondo cattolico; e questo desiderio non si fa scrupolo di rivolgere alla Chiesa attacchi anche brutali (l’evocazione del clericalismo fatta da Fini, le minacce di mettere in discussione il concordato formulate da la Padania, ora l’intimidazione all’organo di stampa della CEI).
Ciò non significa che altrove sia pronta una coalizione con una migliore sensibilità rispetto al ruolo della Chiesa e ai temi che stanno a cuore ai credenti (non solo etici, ma anche sociali ed economici). Significa solo che i cattolici - i cattolici laici - devono prendere coscienza di non poter essere spettatori, di non poter delegare la propria rappresentanza a trattative diplomatiche condotte dai vertici ecclesiastici; ma devono saper essere protagonisti capaci di incidere sullo scenario politico.
Non mancano le prese di posizioni dei laicisti irriducibili, che cercano di ritorcere contro la Chiesa anche gli attacchi di cui è vittima. Costoro paventano che Berlusconi, per ricucire i rapporti incrinati, possa spingere per l’approvazione di una legge sul “testamento biologico” confacente ai desiderata ecclesiastici. Di questa legge è stato già approvato, in prima lettura al Senato, un testo giudicato equilibrato da quanti hanno a cuore la difesa della vita; e non c’era nessun rapporto da “ricucire”.
In ogni caso, dimostrerebbe davvero scarsa considerazione per tutto il mondo cattolico chi pensasse che sostegno ed accondiscendenza possano essere comprati con il piatto di lenticchie di uno/due provvedimenti graditi.
Le posizioni all’interno della Chiesa
Nell’attuale scenario politico, la Chiesa ritiene che i principali attori non siano sufficientemente sensibili alle proprie istanze. Ma proprio in questo scenario alla Chiesa è richiesta ulteriore prudenza. Accogliere con grande favore provvedimenti giudicati positivi può attirare l’accusa di eccessiva condiscendenza rispetto ad un’azione di governo che contiene anche provvedimenti negativi; o, al contrario, l’enfasi nel condannare provvedimenti negativi può indurre a credere che non vengano abbastanza apprezzati quelli positivi.
La prudenza nei giudizî politici, peraltro, non può mai significare abdicazione al dovere della Chiesa di ribadire le norme morali, quando possa sorgere confusione su di esse.
In particolare, quanto all’atteggiamento della Chiesa italiana rispetto al Governo Berlusconi, qualcuno ha scorto toni leggermente diversi tra la Segreteria di Stato vaticana (guidata dal card. Bertone) e la Conferenza Episcopale Italiana (guidata dal card. Bagnasco). Più conciliante la prima, sia pure senza aperture di credito illimitate; più controllata la seconda, sia pure senza critiche dirette e di carattere generale. Questa diversità di toni sarebbe emersa dal diverso atteggiamento de L’Osservatore romano (il cui direttore Giovanni Maria Vian, nominato dalla Segreteria di Stato, ha rivendicato in un'intervista - a qualcuno apparsa improvvida - la sua maggiore “prudenza”) e di Avvenire (il cui direttore è nominato dalla CEI).
I vertici della Chiesa negano diversità significative, attribuendo le differenti linee editoriali di quelle testate alla loro diversa natura: L’Osservatore romano, organo della Santa Sede, è chiamato a maggiore prudenza istituzionale e ha una prospettiva internazionale; Avvenire è chiamato ad occuparsi più direttamente delle vicende – anche politiche – italiane.
Differenziazioni (se non divergenze) tra Segreteria di Stato e CEI potrebbero esservene non solo sui rapporti con il Governo, ma più in generale sui rapporti con la politica italiana.
A partire dal Concilio Vaticano II, i rapporti con la politica dei diversi Paesi sono normalmente tenuti, in prima battuta, dalle conferenze episcopali nazionali. Per quanto riguarda l'Italia, era proseguita la tradizione per cui la guida spettava direttamente alla Segreteria di Stato vaticana: il Papa è Primate d'Italia, Paolo VI era italiano. Durante gli anni del pontificato di Wojtyla, quando era segretario d Stato Sodano, le redini di questi rapporti furono assunte dalla CEI, guidata con energia da Camillo Ruini.
Con il nuovo pontificato sembra si voglia tornare all'antico: il nuovo segretario di Stato Bertone scrisse il 25 marzo del 2007 al cardinale Bagnasco, in occasione della nomina di questi a presidente della CEI, un lettera nella quale offriva "la rispettosa guida della Santa Sede, nonché mia personale [...] per quanto concerne i rapporti con le istituzioni politiche".
Qualcuno ha osservato che Feltri ha semplicemente rilanciato una voce che già circolava; se la delazione era stata fatta già pervenire ai vescovi, ciò sembra la testimonianza di una manovra “interna” ad ambienti del cattolicesimo.
(In un'intervista rilasciata a Il Foglio il 30 gennaio 2010, Feltri affermerà proprio di aver ricevuto l'imbeccata da ambienti ecclesiastici. Anzi, da "una personalità della Chiesa della quale ci si deve fidare istituzionalmente". E' la verità? Un depistaggio?
Il Foglio ipotizza che il 'mandante' sia la Segreteria di Stato vaticana, per il tramite del direttore dell'Osservatore romano. Circostanza però successivamente smentita da Feltri, e che in ogni caso appare inverosimile: la segreteria di Stato, se davvero avesse voluto, avrebbe potuto ottenere la rimozione di Boffo senza ricorrere a simili sotterfugi. Il 9 febbraio un comunicato ufficiale della Santa Sede - sembra al termine di accertamenti interni -, condiviso dalla CEI, definisce con decisione "falsità" le accuse a Vian e Bertone).
Ad ogni modo, se l’attacco a Boffo voleva acuire divergenze vere o presunte, colpendo la testata meno accondiscendente con il Governo, forse ha ottenuto l’effetto opposto, quello di ‘ricompattare i ranghi’.
Se si vuole pensare a contrasti nel mondo cattolico, come origine delle maldicenze su Boffo, se ne possono scorgere altri (probabilmente più realistici di un conflitto ai "vertici"): quello tra la Chiesa istituzionale (magistero e larga parte dei fedeli) e il residuo manipolo di “cattolici adulti”; oppure quello tra cattolici "politici" e cattolici vicini alla CEI, nell'amministrazione dell'Istituto Giuseppe Toniolo (che controlla l'Università Cattolica del Sacro Cuore).
Quanto alla prima ipotesi, gli ambienti che hanno predisposto la nota potrebbero anche essere ambienti del cattolicesimo “progressista” (ovviamente la diffusione sarebbe stata opera non degli esponenti più in vista di quest'area, ma di qualche loro simpatizzante privo di scrupoli).
In questo caso, ad essere colpito non doveva essere il Boffo “antiberlusconiano”, ma il Boffo alfiere del “ruinismo”, cioè del protagonismo culturale della Chiesa sui valori non negoziabili. Per semplificare rozzamente: un attacco da sinistra, che ha preceduto quello da destra.
In questa chiave, Feltri avrebbe involontariamente rafforzato quei disegni progressisti (avrebbe fatto il "lavoro sporco" per conto della sinistra): indebolendo o dando l'impressione che sia indebolito il "ruinismo"; offrendo alla sinistra l'occasione di porsi come paladina dei diritti della Chiesa (in realtà sempre attaccati); rafforzando la posizione dei cattolici progressisti contrarî ad ogni dialogo col centrodestra, i quali avranno buon gioco a dire: "Ecco, questa è la moneta con cui è ripagato chi è troppo morbido nelle critiche a Berlusconi".
Oppure, la nota diffamatoria potrebbe essere espressione di un'altra divisione nel mondo cattolico.
In particolare - come ha suggerito il Corriere della Sera - potrebbe essere nata nell'ambiente dei cattolici "politici" (in particolare, "cattolici democratici" di orientamento progressista), i quali, nell'amministrazione dell'Istituto Toniolo, volevano mantenere una linea autonoma dalla CEI, e avrebbero inteso colpire in Boffo il componente del Comitato permanente di controllo, nominato da Ruini, che aveva fatto pendere la maggioranza del Comitato stesso dalla parte dei cattolici vicini alla CEI.
Concludendo.
La Chiesa non ha mancato di prudenza – ci sembra - nell’intervenire nella vita pubblica italiana. Ma forse ha mancato di prudenza nel gestire le prime avvisaglie di questa vicenda, che le ha indubbiamente recato un danno d’immagine.
Al termine di questo lungo articolo, infatti, qualcuno potrà forse riflettere sulle ragioni e i torti. Ma nella pubblica opinione, in quanti non hanno tempo e voglia di diradare la coltre di fango, il messaggio di Feltri avrà attecchito: “sono tutti uguali, anche i critici di Berlusconi; e pure gli uomini di Chiesa” (con la dubbia morale che ne deriva: ognuno continui a fare il suo comodo).
Sorge dunque il dubbio che questo danno d’immagine poteva essere evitato prima, quando erano emerse, nei corridoi vaticani, le prime voci sulla vicenda. Abbiamo ricordato inizialmente che un’indiretta conferma della buona fede di Boffo potrebbe venire dalla fiducia confermatagli in quell’occasione dai vertici ecclesiastici. Ma forse lo spostamento di Boffo da direttore di Avvenire ad altro ruolo meno esposto (anche a ricatti) doveva essere disposto anche se c’era convinzione della sua piena innocenza. I danni d’immagine, infatti, vengono anche da accuse prive di fondamento.
E forse si sarebbe evitata una dolorosa umiliazione personale allo stesso Boffo.