Di storie di violenza sulle donne ne sentiamo molte. Ci sono periodi in cui il problema è più enfatizzato e altri in cui esso sembra non esistere a gli occhi di molti. Non è così, ma è l'informazione che passa per televisione, radio, internet e stampa che gioca un ruolo fondamentale sulla percezione che noi abbiamo del mondo esterno; un mondo che, a causa della nostra assuefazione ad alcuni fenomeni, a volte non vediamo più e forse neanche viviamo.
Dunque, violenza sulle donne: che fare?
Non dobbiamo certo alzare muri e accusare l'una o l'altra comunità di essere responsabile delle violenze.
Innanzitutto, dovremmo ricordare che - fino a prova contraria - non c’è una “predisposizione genetica” di etnie particolari a commettere atti di violenza.
Ci sono, piuttosto, fattori culturali. Ma possiamo ritenerli esclusivi di alcune culture? E – soprattutto – possiamo ritenere che la nostra cultura sia immune?
Dobbiamo quindi interrogarci su come la donna venga vista nella nostra società.
In Europa, nella storia, sono avvenuti molti cambiamenti.
Nell’antichità romana la donna è chiaramente soggetta all’uomo. Intendiamoci: alla donna libera sono riconosciuti diritti precisi, anche patrimoniali (è in grado di ereditare). Ma la capacità di agire non è equiparata a quella del paterfamilias, e inoltre la tutela è diversa a seconda che sia o meno sposata. Per vedove e nubili la vita può essere più difficile, soprattutto se non appartengono a un censo elevato.
La situazione peggiora con le invasioni barbariche: per le popolazioni di origine germanica la donna è pressoché equiparata ad un oggetto.
Rispetto a questo sostrato culturale molto radicato, spetterà al cristianesimo introdurre il concetto di uguaglianza tra uomo e donna (così come tra giudei e greci, liberi e schiavi: Gal 3,28). Alla maturazione di un nuovo concetto di dignità della donna contribuisce il culto di Maria, la canonizzazione di numerose donne, il prestigio dei monasteri femminili.
Va anche detto, però, che la mentalità di molti cristiani, ed anche di uomini di Chiesa, viene spesso “contaminata” dalla cultura profana diffusa, in cui alla donna non è riconosciuta pari dignità; per cui c’è anche chi vede nel sesso femminile una fonte di tentazione…
Dall'undicesimo secolo si sviluppa, in Provenza - regione meridionale dell'attuale Francia, allora indipendente da questa e sotto l’influenza della Chiesa - una cultura “cortese”, che canta, anche per opera dei giullari, i componimenti poetici e musicali dei “trovatori”. Il genere letterario di questi autori viene detto “amor cortese” perché definisce la misura dei sentimenti nell’ambiente delle corti medievali. Il termine “cortese” acquisirà il suo attuale significato – di misura, equilibrio, delicatezza - perché i trovatori cantano l'amore verso una donna, la castellana, inarrivabile se non dimostrandole i valori più alti del rispetto, della gentilezza, del valore e delle buone maniere.
La produzione originaria in lingua d'oc si estingue quando la Provenza viene annessa alla Francia settentrionale. I trovatori si disperdono in varie parti dell'Europa che, in parte, ignorano la lingua occitana. Alcuni compositori e giullari giungono in Italia settentrionale, dove trovano un clima favorevole e dove i componimenti vengono, appunto, tradotti per essere comprensibili alla gente del posto.
Il “dolce stil novo”, movimento artistico di cui faceva parte Dante Alighieri (e non solo), riprende, in parte, il tema dell'amore cortese, anche se non è più da intendersi “cortese” nell'accezione letterale “a corte”: nel periodo di Dante, nell’Italia centro-settentrionale, si vanno formando i comuni.
Anche dal punto di vista dei contenuti la donna viene descritta e percepita in modo nuovo, e Dante ne offre la dimostrazione con Beatrice. Questa viene considerata capace di far germogliare l'amore in ogni cuore, anche il più arido, e quindi di innalzare il livello spirituale dell'uomo. Beatrice è destinata a sedere al fianco del Cristo, il Dio incarnatosi per la nostra salvezza. Infatti nella Comédia (nome originario della Divina Commedia) la donna che fin dal primo incontro, a nove anni, fece innamorare Dante viene inserita nel Paradiso. La donna si riveste di spiritualità, diversamente della poetica precedente dove c'erano, nonostante tutto, tracce di sensualità.
Successivamente che cosa è accaduto? Non si pensi che con l'amor cortese e il dolce stil novo cambi totalmente la mentalità dell'epoca. Il tutto è delimitato nello spazio della letteratura, e delle coscienze di coloro che vi accedono.
I secoli successivi sono stati secoli in cui la donna ha lentamente conquistato un rispetto sempre maggiore, vedendo riconosciuto il suo ruolo centrale nella famiglia, all’interno di un sistema economico agricolo che si basava sul nucleo familiare. Certamente non si poteva parlare di “parità”: soprattutto nei contesti sociali di maggiore degrado, in cui non si diffondeva una cultura del rispetto, gli uomini più brutali potevano imporre la legge del più forte. In altri contesti, le donne hanno imparato a supplire al minore vigore fisico con le arti della scaltrezza e della seduzione.
Le premesse per una svolta nel rapporto tra i sessi sono state poste dalla rivoluzione industriale.
La vita nelle fabbriche non si basava sulla differenza tra i ruoli, ma sull’omologazione dei ritmi di vita.
Questa omologazione viene considerata da alcuni il primo passo sulla strada della "parità". A torto, perché parità e uguaglianza significano trattare allo stesso modo persone che si trovano nelle medesime condizioni; tenendo conto delle specificità di chi si trova in condizioni diverse.
L’omologazione della società industriale era basata su modelli maschili: efficientismo, fatica fisica.
Nell’arco di un secolo e mezzo, soprattutto nel secondo dopoguerra, la diffusione del modello industriale - e post-industriale - ha condotto ad un grande incremento di produttività e di benessere. La diffusione del benessere - e dell’istruzione - ha consentito alla donna, finalmente, di rivendicare in pieno i suoi diritti: nella sfera privata e, soprattutto, nella sfera pubblica, mediante l’accesso a tutte le professioni e cariche pubbliche. La donna ha potuto raggiungere una "parità" nell'accezione migliore del termine, almeno sotto l'aspetto giuridico.
La parità giuridica poteva essere declinata, dal punto di vista culturale e sociale, in diverse maniere.
Il femminismo del Sessantotto l’ha declinata nel senso dell’egualitarismo assoluto: la donna non solo può fare tutto ciò che fa il maschio, ma deve farlo, e con le stesse modalità. I valori maschili – potere, denaro, successo – diventano valori di cui appropriarsi senza senso critico. Anche la “libertà sessuale” viene rivendicata con un approccio consumistico tipicamente maschile, scardinando quelle forme di controllo sociale poste proprio a tutela della donna.
All’omologazione dei ritmi di vita, dunque, segue un’omologazione culturale, ancora basata sul modello maschile, e ancora stimolata dal sistema produttivo: la società dei consumi, per crescere, ha bisogno di stimolare continuamente la domanda, indurre nuovi bisogni. Un’omologazione che non riguarda più l’Europa e l’Occidente – di cui abbiamo tratteggiato l’evoluzione – ma la cosiddetta società “globalizzata”.
In effetti, il femminismo del Sessantotto si è prestato ad una ribellione di costume borghese, destinata semplicemente a garantire una maggiore flessibilità degli assetti sociali rispetto a quelli produttivi.
L’uguaglianza dei sessi ha portato la donna a diventare “preda” del mercato. Cosa resta della specificità femminile? Solo quegli elementi sfruttabili commercialmente, come le doti seduttive, visto che anche il sesso viene considerato oggetto di consumo (o come elemento subliminale per stimolare i consumi).
Così nelle pubblicità, accanto a prodotti di consumo, si vedono ragazze parzialmente nude in grado di suscitare sensazioni di perfezione, bellezza ed efficienza.
Nella moda il genere femminile è usato come un manichino, e quindi deve sottostare a regole riguardanti la struttura fisica: bisogna avere certe caratteristiche per indossare abiti di alto livello. Un modello astratto che produce anoressia e bulimia nelle più giovani.
La maternità è stata strappata dall’orizzonte femminile come “schiavitù biologica”, come qualcosa che ostacola divertimento e carriera. Viene incoraggiato l’aborto, che è anche una violenza sulla donna. E quando la donna sente scattare il cosiddetto “orologio biologico”, quando sente che i figli possono essere davvero la sua realizzazione, allora cerca con angoscia una maternità tardiva, ricorrendo magari alla fecondazione artificiale.
Questa immagine deformata della donna, ridotta ad “oggetto” di consumo sessuale, ha alterato la percezione di molti uomini. Ciò non solo ai livelli bassi e meno istruiti della popolazione, ma anche – forse soprattutto… - ai livelli più alti. Se la donna è oggetto di consumo sessuale, si possono concedere favori (o, addirittura, riconoscere diritti) in cambio di prestazioni sessuali o di altri rapporti del tipo padrone-servo. Si tratta di rapporti fondati su una violenza intrinseca, che diventa figurativa nella pornografia e – in alcuni casi – violenza diretta. Se questa società mi suggerisce che è un mio “diritto” consumare sesso con giovani attraenti, e non ho la capacità di resistere a tali suggestioni, esercito questo “diritto” con la forza. D’altronde, la forza, l’aggressività, non è un valore maschile che viene suggerito anche alle donne?
Queste considerazioni sono diventate patrimonio di alcune correnti del femminismo più recente, che al posto della cultura dell’egualitarismo invocano una "parità" reale, basata sulla cultura della differenza, della specificità femminile: la cultura dell’accoglienza, della solidarietà, dei valori non esclusivamente materiali.
Insomma: gli uomini (o meglio: quegli uomini meno consapevoli e attenti) hanno cercato di ingabbiare le donne in un modello maschile. Eppure scoprono che manca loro qualcosa, sentono la frustrazione di un fallimento, si riducono a usare violenza – in diverse forme – verso l’altro sesso.
Per molti secoli, il governo è stato in mano agli uomini, che non hanno saputo sottrarsi a peccati quali lussuria e avarizia, mettendo così a rischio il bene comune. La donna è in grado di essere immune da questi peccati? Se vista con gli occhi degli stilnovisti, e non di modelli androgini, la risposta è sicuramente sì.