Ogni giovedì sera, su Rai Due, i profeti nel deserto Santoro e Vauro tengono le loro laiche prediche deplorando l’universo mondo (beninteso: da deplorare c’è e c’è molto, ma cum grano salis), la figura del politico in quanto tale, qualsiasi forma di potere; ghignando contro tutti come se tutti fossero babbei inebetiti, ed applicando a se stessi la formula evangelica, anche se riportata alla sfera sociale e politica: “io sono la verità, la via e la vita”.
Ora, fatta salva la sacrosanta libertà di espressione del pensiero sancita dall’art. 21 della Costituzione, e dunque il fermo diritto della redazione di Santoro a lavorare ed andare in onda, vorremmo fare un breve ragionamento sul comunista Vauro, il quale si atteggia a Pasquino, a buffone di corte che sbugiarda il potente e - ça va sans dire - a perseguitato politico per le sue idee osteggiate dalle "stanze dei bottoni".
Ebbene, egli reclama libertà per le sue vignette. E non solo per le vignette, ma anche per l’assassino Cesare Battisti, che non è il famoso patriota, ma un terrorista rosso: leader dei Proletari Armati per il Comunismo, viene condannato all'ergastolo con sentenza definitiva, oltre che per banda armata, rapine e gambizzazioni, anche per quattro omicidi. E' l'esecutore materiale del maresciallo Antonio Santoro, a Udine, il 6 giugno 1978; dell'agente Andrea Campagna, Milano, 19 aprile 1979. Fa da copertura al commando che uccide Lino Sabbadin, Mestre, 16 febbraio 1979, "reo" di aver reagito ad una rapina ed aver dunque violato la "giustizia proletaria". Ed è ideatore ed organizzatore dell'omicidio di Pierluigi Torreggiani, Milano, 16 febbraio 1979, "reo" anch'egli di aver reagito ad un "esproprio proletario". Durante l'omicidio rimane ferito il figlio di Torreggiani, Adriano, che rimarrà tutta la vita su una sedia a rotelle.
Nell'81 Battisti viene arrestato, ma ben presto evade e ripara in Messico, da dove andrà via nel 1990 per approdare in Francia, che gli promette asilo e libertà secondo la "dottrina Mitterand": ospitalità ai terroristi che non abbiano fatti di sangue alle spalle (non è il caso di Battisti) e che abbiano deciso di voltare pagina (non è il caso di Battisti, che non ha mai fatto mea culpa). Nel 2004 la Francia inaugura una fase di collaborazione con il governo italiano e lo arresta. Viene scarcerato dopo pochi giorni, ma fugge nuovamente: direzione Brasile, dove viene giustamente arrestato anche se, scandalosamente, riceve lo status di rifugiato politico e ne viene rifiutata l’estradizione in Italia.
Questo Battisti, dopo anni di ostriche e champagne e di corteggiamenti e frequentazioni dei salotti dell’intellighenzia francese (capeggiati dal noto romanziere Fred Vargas), dovrebbe tornare nelle patrie galere quantomeno come forma di rispetto per coloro che ancora piangono per la violenza crudele che Battisti applicava alle sue idee vergognose.
Ecco, Vauro Senesi, il 10 febbraio 2004, ha firmato un appello pubblico, sottoscritto anche da centinaia di pseudo intellettuali, che sosteneva: "protestiamo contro questo scandalo giuridico e umano (l'arresto, ndr) e chiediamo la liberazione di Battisti". Ci auguriamo che la sua firma sia finita lì per sbaglio, ma comunque ci vuole fegato a chiedere la liberazione di uno che prima ha ucciso per vendetta e disprezzo e poi, novello Voltaire, se l’è spassata tra i salotti della Parigi bene. E Vauro, di fegato, ne ha da vendere.
Per inciso (ecco cosa accade ad aprire gli armadi), quel manifesto è stato firmato da Roberto Saviano (sì, proprio quello di Gomorra) che, mentre invoca legalità per la sua Campania, chiede impunità per un assassino condannato all’ergastolo da un normale Tribunale di uno Stato democratico e non dalla Corte Marziale di uno Stato fascista o dittatoriale. En passant, citiamo tra i firmatari del suddetto appello Paolo Cento, ex sottosegretario all’Economia del Governo Prodi, e gli scrittori Massimo Carlotto e Pino Cacucci. Senza dimenticare l’ecumenico Erri De Luca, che su Le Monde ha chiesto pietà “per una generazione di vinti”, e il notissimo Daniel Pennac, che è arrivato a scrivere che l’arresto di Battisti "è un delitto allo Stato di diritto". Ma Pennac non si è perso d'animo e ha scritto una lettera A un perseguitato (dove il perseguitato è Battisti, sic) con la "speranza di vederlo presto libero".
Ricordiamo ancora la triste vicenda delle vignette su Maometto pubblicate da un giornale danese che hanno scatenato feroci polemiche ed anche dei morti tra alcuni manifestanti islamici. Lì Vauro fu chiaro: “io ogni giorno che passa penso che quelle vignette siano una tragica rappresentazione del cattivo gusto: quel Maometto brutto, barbuto, con la satira non c’entra niente. La satira è gioco, allegria...”. Cattivo gusto, diceva: come definire però le sue vignette che ritraggono Benedetto XVI vestito da nazista? Come definire le vignette in cui Gesù è rappresentato oscenamente? Come definire il suo libro Papeide, Piemme, 320 pagine di insulti a Giovanni Paolo II prima e a Benedetto XVI poi? Come definire codesto libro in cui a pagina 77 è contenuta una bestemmia?
Maometto è untouchable, contro Gesù e i papi si può vomitare qualunque cosa: questa è la coerenza in salsa vauriana. La satira è gioco, diceva. No, per lui, la satira è ideologia.
P.S.: L'appello pro Battisti è del 2004. Quest'anno che la vicenda Battisti è tornata sotto i riflettori, con il contenzioso tra il Brasile (che non lo vuole estradare) e l'Italia, alcuni firmatari - come Roberto Saviano - hanno fatto sapere di voler ritrirare la propria firma dall'appello. Vauro no.