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Temi caldi - Eutanasia
Storia di Eluana Englaro Stampa E-mail
Uccisa con la privazione di cibo e acqua, usata come ‘caso’ politico per introdurre l’eutanasia
      Scritto da Giovanni Martino
23/03/09
Eluana Englaro, il padre Beppino, Marco Pannella
Eluana Englaro, il padre Beppino, Marco Pannella
Nel 1992 Eluana Englaro è una ragazza di 20 anni, allegra e piena di vita. Il 18 gennaio aveva pensato di restare a casa. Alcuni amici le propongono in extremis di uscire insieme. Lei prende la macchina di genitori, ma al ritorno slitta sulla strada gelata. Un incidente molto grave: entra subito in coma, ed ha inizio una dolorosa vicenda che diventerà ben presto di rilievo nazionale.

Eluana viene ricoverata nell’ospedale di Lecco. Nel 1993, dopo un anno di cure, i medici diagnosticano lo “stato vegetativo”, non lasciando ai genitori speranze di ripresa.


Eluana: una disabile assistita con amore

Prima di proseguire col nostro racconto, conviene chiarire subito che cosa sia lo “stato vegetativo”. La parola “vegetativo” può indurre in errore le persone non addette ai lavori: il malato che versa nel cosiddetto (la definizione è già discutibile) stato vegetativo persistente (SVP) non è un semplice vegetale, un malato "praticamente morto", con l'elettroencefalogramma piatto, o che necessita di ventilazione forzata per respirare, o che richiede costante rianimazione. Il malato in SVP, come spieghiamo più in dettaglio in un altro articolo, ha il tronco encefalico vivo (le lesioni riguardano la corteccia cerebrale, che pure riceve gli stimoli, anche se non si sa come vengano elaborati), funzioni vitali normali (respira da solo, ha un cuore che batte regolarmente), sorride e piange (anche se a volte non ne comprendiamo il perché), può seguire le persone con gli occhi e con il capo, alterna sonno e veglia, spesso ascolta e comprende, il suo stato non è con certezza irreversibile.

Eluana, insomma, è in uno stato di disabilità grave; ma vive una vita di per sé dignitosa, come quella di tutti i disabili. Non è attaccata a nessuna macchina che la tenesse in vita artificialmente: tutte le sue funzioni vitali erano autonome. Non bisogna “staccare nessuna spina”...

Nel 1994 viene trasferita nella casa di cura di Lecco “Beato L. Talamoni”. Le Suore Misericordine che gestiscono l’istituto l’assistono con amore: ogni giorno la sistemano su una sedia a rotelle e le fanno fare un giro nel giardino. La lavano, la accudiscono, le parlano. In quindici anni la sua pelle è restata fresca come quella di una ragazzina, senza conoscere una piaga da decubito.

Nei primi tempi, Eluana veniva nutrita dalla madre per bocca con alimenti liquidi, essendo in grado di deglutire. Poi viene scelta la via del sondino naso-gastrico - gestito autonomamente dalle suore - perché più semplice e veloce.

Certamente, possiamo immaginare che il suo volto non fosse più quello raggiante delle foto che abbiamo tutti visto. Il suo corpo, le sue smorfie, evidenziavano la sua malattia. 
La visione del volto attuale di Eluana (che il signor Englaro ha voluto giustamente evitare) avrebbe potuto risultare insopportabile a chi l’avesse paragonata a quella di una ragazza sana, ritenendo questo tipo di immagine l’unica “dignitosa”. Ma – a nostro avviso – può essere bellissimo e dignitosissimo anche il volto sofferente di un malato curato con amore.

Le speranze di “ripresa”, dunque, non si riferivano al ritorno alla vita (Eluana non doveva “risuscitare”), ma al ritorno ad una vita pienamente cosciente e seppur parzialmente autonoma. Queste speranze erano scarsissime, ma non nulle.
Anzi, il fisico di Eluana nel 2007 lancerà un segnale positivo: la ripresa del ciclo mestruale.


Un caso unico...

Che cosa succede, di norma, in questi casi angosciosi?

Succede che le famiglie del malato si fanno carico di assisterlo; con sofferenza, ma senza abbandonare mai la speranza. Denunciano la scarsa assistenza della sanità pubblica, ma non rinunciano a coltivare un rapporto di amore che forse si fa ancora più forte.
Quando le forze della famiglia non sono sufficienti, spesso sono supportate dal volontariato.

Può accadere che – dopo tanti anni – una famiglia abbandoni le speranze di una “piena ripresa” del loro caro. Può accadere che si rinunci a cure particolari, che sembrano sproporzionate e inutili (il cosiddetto “accanimento terapeutico”). Il dolore e la stanchezza di queste famiglie merita il massimo rispetto.

Ma non accade mai che si giunga a desiderare l’ “abbandono terapeutico” o la morte del familiare. Nei quasi tremila casi di malati in stato vegetativo esistenti in Italia, la famiglia Englaro (il padre in particolare, essendo la madre da anni malata e ripiegata nel suo dolore) è stata l’unica a formulare questo tipo di richiesta.

Il “caso Englaro”, insomma, è stato - e speriamo resti – un caso unico.

Innanzitutto, perché Beppino Englaro non ha chiesto per la figlia l’interruzione di cure speciali, ma dell’assistenza elementare (che altri – non lui – stavano prestando). Ha chiesto una forma di eutanasia passiva.
Il giudizio di principio di tutti noi dovrebbe essere netto: un genitore – un familiare, il tutore – è sì l’interlocutore principale nelle decisioni sulla salute di un malato non cosciente; ma non ha “diritto di vita e di morte” sul malato (come avevano i patrifamiliae romani). Il “rispetto del dolore” non può essere lo schermo che consenta a qualcuno di disporre della vita di terzi.  La tutela della vita, bisogna aggiungere, non è un tema “privato”, ma pubblico, perché è uno dei compiti primarî dello Stato.


Un ‘caso’ politico-culturale: Eluana come la “breccia di Porta Pia”

Ma, soprattutto, il “caso Englaro” è stato un caso unico perché è stato costruito come un caso politico-culturale dai suoi stessi protagonisti.

Beppino Englaro non si è accontentato di ottenere la morte di sua figlia. Si è prestato a fare di Eluana un cavallo di Troia per la legalizzazione dell’eutanasia in Italia.

Si è rivolto ai giudici, a suo dire, per “non agire nell’illegalità”. Ma questo significa, semplicemente, che era consapevole che interrompere l’alimentazione e l’idratazione era illegale. Egli voleva introdurre una nuova legalità.
Ha accettato la collaborazione (il supporto medico, il patrocinio legale, il sostegno politico) delle forze politico-culturali fautrici dell’eutanasia (radicali in primis), e ne è diventato il testimonial.
Ha portato il suo dolore “privato” sulle pagine di tutti i giornali, nelle trasmissioni di intrattenimento o approfondimento di tutti i canali televisivi, accettando ogni genere di intervista.
Non ha trovato la pace di cui parlava neanche dopo la morte di Eluana, continuando la sua “battaglia” per l’introduzione di una legge sul testamento biologico che si traduca in un sostanziale via libera all’eutanasia.

Eppure, ogni critica a queste iniziative marcatamente pubbliche e politiche veniva rigettata come “invasione della sfera privata”!

Gli obiettivi dei gruppi che hanno strumentalizzato la povera Eluana (e lo stesso padre) sono stati apertamente dichiarati da Maurizio Mori, docente di bioetica a Torino di area radicale: "... il caso di Eluana è importante per il suo significato simbolico. Da questo punto di vista è l'analogo del caso creatosi con la breccia di Porta Pia attraverso cui il 20 settembre 1870 i bersaglieri entrarono nella Roma papalina. Come Porta Pia è importante non tanto come azione militare, quanto come atto simbolico che ha posto fine al potere temporale dei papi e alla concezione sacrale del potere politico, così il caso Eluana apre una breccia che pone fine al potere (medico e religioso) sui corpi delle persone e (soprattutto) alla concezione sacrale della vita umana. Sospendere l'alimentazione e l'idratazione artificiali implica abbattere una concezione dell'umanità e cambiare l'idea di vita e di morte ricevuta dalla tradizione millenaria che affonda le radici nell'ippocratismo e anche prima nella visione dell'homo religiosus, per affermarne una nuova da costruire" (Il caso Eluana Englaro, Pendragon, 2009, pp. 11-12).

Questa iniziativa, va detto, è stata condotta attraverso una grande operazione di capovolgimento della realtà, che definiva “atto d’amore” l’atto eutanasico.


La vicenda giudiziaria e la reazione dell’opinione pubblica

Il “caso Englaro” come caso politico-culturale, dunque. Anzi: caso politico-giudiziario, perché i fautori dell’eutanasia hanno battuto la strada (già percorsa altre volte dai sostenitori della cultura della morte) di aggirare per via giudiziaria i vincoli posti dalla legge e dalla volontà popolare.
L’obiettivo finale era di creare uno stato di “fatto compiuto”, da fotografare con una nuova legge che - in sostanza – legalizzasse l’eutanasia.

Nel 1999 Beppino Englaro chiede una prima volta al tribunale di Lecco di poter interrompere  l’alimentazione e l’idratazione della figlia. Inizia un percorso tormentato, fatto di passaggi tra Tribunale, Corte d’Appello e Corte di Cassazione, di istanze respinte e ripresentate.
Sino alla svolta del 2007, quando la Cassazione apre alla possibilità di interrompere l’alimentazione. Applicando i principî introdotti dalla Suprema Corte, il 9 luglio 2008 la Corte d’appello di Milano autorizza con decreto la sospensione di alimentazione e idratazione ad Eluana.

Qualcuno sostiene che queste sentenze colmano un “vuoto legislativo”. In realtà la legge italiana regola già la materia: l’eutanasia è vietata.
Le ardite interpretazioni giurisprudenziali sulla vicenda Englaro creano però le condizioni per aggirare questo divieto
: alimentazione e idratazione tramite sondino naso-gastrico non sarebbero una forma di assistenza elementare, ma un “trattamento sanitario”, cui non potrebbe essere obbligato chi lo rifiuta.
Eluana non può rifiutare? La sua volontà può essere ricostruita in base al suo “stile di vita” (del contenuto assai discutibile e marcatamente “politico” di queste pronunce di tribunale, nonché degli altri passaggi giudiziarî – Corte costituzionale, Corte europea per i diritti dell'uomo – e dei principî etico-giuridici in ballo, parliamo in un altro articolo).

Il 14 luglio il direttore de il Foglio Giuliano Ferrara e il Movimento per la Vita invitano i cittadini a portare bottiglie di acqua sul sagrato del duomo di Milano, come forma di protesta contro il decreto che consente che Eluana possa morire di fame e di sete.

Vengono lanciati appelli contrapposti: quelli a “liberare” Eluana e quelli a lasciarla in vita.

Tra le voci più forti a difesa di Eluana si leva, ovviamente, quella della Chiesa.
Il fronte laicista ripete la solita litania: "Ingerenza! Vogliono imporre un dogma religioso!"
Eppure la gente percepisce che i principî affermati dai vescovi sono quelli proprî della cultura della vita: non imposizioni astratte, ma principî di ragionevolezza, posti a difesa dei più deboli, comuni a moltissimi non credenti (farà sensazione, tra le altre, un'intervista rilasciata da Enzo Jannacci).
La Chiesa parla anche con la voce delle Suore Misericordine, che rifuggono ogni ribalta, e diffondono solo una richiesta accorata: "Se c’è chi considera Eluana morta, lasciatela a noi che la sentiamo viva".

Nell’opinione pubblica inizia a salire un moto di ribellione rispetto all’iniziativa di chi vuole far morire la giovane donna.

Si ripete quanto successo nel 2005 con i referendum sulla fecondazione artificiale. Inizialmente i sondaggi davano una larga maggioranza favorevole ad abrogare la legge 40/2004, definita dai grandi media (vicini ai potenti interessi economici in ballo) “oscurantista e medievale, contraria alla laicità dello Stato”. E ciò incoraggiò i promotori dei referendum abrogativi.
Quando però la campagna referendaria entrò nel vivo, e si sviluppò dal basso (con incontri, convegni, messaggi) una grande opera di “controinformazione”, che svelò ai cittadini la vera posta in palio, si assistette ad un prodigioso capovolgimento dell’opinione pubblica, che decretò la “storica disfatta” (così la definì uno dei promotori, Daniele Capezzone) dei referendum.

Similmente, il caso di Eluana è stato presentato inizialmente come quello di una ragazza tenuta “artificialmente” in vita, preda di atroci sofferenze, cui bisognava “staccare la spina”. Cosicché i soliti sondaggi mirati erano vicini al “padre coraggio” e a chi lo sosteneva.
Quando però l’opinione pubblica si è resa conto che Eluana era viva, non era legata a nessuna macchina, era accudita amorevolmente, e che la si voleva far morire di fame e di sete, il vento è cambiato. Forse poteva ancora essere raggiunto l’obiettivo di farla morire imponendo la forza delle sentenze e dei decreti (come effettivamente è poi accaduto). Ma era fallito il piano di far seguire la legalizzazione dell’eutanasia.
Marco Pannella, nella sua conversazione settimanale su Radio Radicale dell’8 febbraio 2009, fotografa preoccupato questo passaggio (per lui – ovviamente – frutto di una “informazione goebbelsiana”); spingendosi addirittura a chiedere l’interruzione delle procedure che in quel momento erano già partite per condurre alla morte Eluana, poiché temeva un effetto politico boomerang.

Ma facciamo un passo indietro.

Beppino Englaro, dopo il decreto emanato nel luglio 2008 della Corte d’Appello di Milano, ha bisogno di una struttura sanitaria disposta ad applicare il “protocollo” per interrompere l’alimentazione e l’idratazione di Eluana, definito dalla Corte stessa.

La Regione Lombardia – seguita da numerose altre Regioni - dice di no.

Il 16 dicembre 2008 il ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, Maurizio Sacconi, emana un atto d'indirizzo che vieta l'interruzione dell'idratazione e dell'alimentazione sia alle strutture sanitarie pubbliche sia e quelle private convenzionate (che rischierebbero, in caso contrario, di vedersi revocata la convenzione).
Lo “staff” che affianca Beppino Englaro, però, non demorde, e continua a cercare contatti con diverse strutture sanitarie. Finché non si trova quella “giusta”: la clinica “La Quiete” di Udine.


L’epilogo

Il 3 febbraio 2009, nel cuore della notte, Eluana viene trasferita nel luogo dove trascorrerà i suoi ultimi giorni. La clinica mette i suoi locali a disposizione dell’associazione di medici e infermieri volontarî “Per Eluana”, appositamente costituitasi per portare a compimento “l’interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale”  (è questa la nuova frontiera del volontariato?).

Resterà memorabile la sfrontatezza con cui il responsabile di questa équipe, l’anestesista Amato De Monte, dichiara alle telecamere Rai: ''Eluana non soffrirà, perché Eluana è morta 17 anni fa” (“non soffrirà”: in ‘lieve’ contraddizione con il protocollo che lui stesso è chiamato ad applicare, meticolosamente definito per alleviare ogni sofferenza; “è morta 17 anni fa”: in ‘lieve’ contraddizione con ogni evidenza medica e razionale, nonché con Beppino Englaro, che aveva dichiarato che avrebbe avuto pace solo quando la figlia sarebbe morta...).

Di fronte alla clinica si creano capannelli di persone con opposte motivazioni: chi manifesta invocando la “liberazione” definitiva di Eluana, chi prega per la sua vita.

La mattina del 6 febbraio l’équipe medica annuncia l'avvio della progressiva riduzione dell'alimentazione. Nella stessa giornata il caso Englaro diventa anche conflitto istituzionale tra il Governo e la Presidenza della Repubblica. Il governo Berlusconi approva un decreto legge per fermare la procedura che sta portando alla morte della Englaro; il presidente Napolitano si rifiuta di firmare tale decreto, con una decisone che – come abbiamo dettagliatamente illustrato  – è apparsa sorprendente e fuori dai binarî costituzionali.

La sera stessa il Governo approva un disegno di legge con i medesimi contenuti del decreto bloccato. I Presidenti delle Camere definiscono un iter d’urgenza per la sua approvazione.

Ma Eluana resiste meno a lungo di Terri Schiavo (la giovane americana che ha conosciuto lo stesso amaro destino): si spegne - ma non era già morta da 17 anni? - alle 19,35 del 9 febbraio per un arresto cardiaco derivante da disidratazione, come appurerà l’esame autoptico.

E’ la prima volta, nella storia della Repubblica italiana, che una persona muore per una sentenza (o un decreto) di un tribunale.

In Parlamento viene interrotta la discussione del disegno di legge contenete le norme urgenti per evitare l’interruzione di alimentazione e l’idratazione di pazienti, e si inizia a preparare un nuovo e più ampio disegno di legge sul c.d. testamento biologico (o "Dichiarazioni anticipate di trattamento").
Non per colmare un “vuoto legislativo” che – come visto - non c’è.
Neanche per introdurre l’eutanasia sotto mentite spoglie (quella di cambiar nome alle cose è un vizietto dei portabandiera della cultura della morte), qual era l’intenzione iniziale di chi ha montato il caso Englaro e sponsorizzato il “testamento biologico”.

Piuttosto, il mutato sentire dell’opinione pubblica ha consentito il formarsi di una maggioranza parlamentare – con Pdl, Udc, Lega e alcuni esponenti del Pd – orientata ad una legge che ribadisca il principio di intangibilità della vita umana e il divieto dell’eutanasia, chiarendo che questa non è ammissibile neanche nella forma odiosa dell’interruzione di alimentazione e idratazione. Senza più margini per interpretazioni arbitrarie della magistratura.


P.S.: Quelli che hanno festeggiato la morte di Eluana

Pannella – politico spregiudicato, ma lucido – aveva compreso che il disegno politico era saltato, chiedendo l’interruzione del protocollo per la morte di Eluana.

Altri, meno lucidi del leader radicale, si erano invece calati sin troppo nella ‘missione’ di porre termine a quella vita umana.

Il 12 febbraio il quotidiano Avvenire dà notizia che l'avv. Campeis, legale udinese della famiglia Englaro, ha organizzato presso la sua villa seicentesca nelle campagne fuori Udine un ricevimento con i giornalisti delle testate che più si erano impegnate nella campagna per la morte di Eluana. Un ricevimento durato fino all'alba, allietato da un "ricco catering [con] camerieri in guanti bianchi e i migliori vini friulani”.

Cin cin.



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