PRIMA PAGINA
faq
Mappa del sito
Temi caldi
Temi caldi
Notizie
Attualità
Politica
Economia
In Europa
Nel Mondo
Contrappunti
Intorno a noi
Città e Quartieri
La Regione
Religione
Notizie e commenti
Cattolici e politica
Documenti ecclesiali
Link utili
Cultura
Libri
Cinema
Musica
Fumetti e Cartoni
Teatro
Arte ed eventi
Storia
Scienze e natura
Rubriche
Focus TV
Sport
Mangiar bene
Salute
Amore e Psiche
Soldi
Diritti
Viaggi e motori
Tecnologia
Buonumore
Login Utente
Username

Password

Ricordami
Dimenticata la password?
Indicizzazione
Convenzioni


Valori, laicità
Libertà vo cercando... Stampa E-mail
Il significato della libertà, l’importanza di difenderla in pienezza. La necessità di una morale
      Scritto da Giovanni Martino
23/02/09

“C’è una sorta di libertà corrotta il cui uso è comune agli animali come all’uomo, e che consiste nel fare tutto ciò che ci piace. Questa libertà soffre impazientemente qualsiasi regola, con essa noi diventiamo inferiori a noi stessi; ed essa è il nemico giurato della verità e della pace” (Alexis de Tocqueville)


Felicità è scegliere di usare la propria libertà per qualcosa di grande...Chiunque esalti il primato della persona umana (e noi siamo tra questi) ritiene che il valore della libertà sia un valore centrale. L'individuo viene prima della società.

Per difendere davvero questo valore, però, bisogna comprenderlo a fondo, commisurarlo ai fini cui è rivolto, favorirne il dispiegarsi in pienezza; se invece difendiamo la sua caricatura, la “libertà di fare quello che ci pare”, finiamo per ottenere effetti contrari a quelli desiderati.


L’illusione della libertà “assoluta”

La libertà umana “assoluta”, cioè “sciolta” da ogni regola e ogni scopo, fine a se stessa, si rivela inevitabilmente illusoria; degenera – in una sorta di “eterogenesi dei fini” - nel contrario di sé, in forme diverse di schiavitù.

Questo accade, innanzitutto, perché il ruolo della ragione si indebolisce, viene ad essere meramente descrittivo, chiamato a giustificare a posteriori tutte le espressioni di quella libertà (nel liberalismo filosofico assoluto); o è addirittura rifiutato, con esiti apertamente irrazionalisti.

Questa visione della libertà come esercizio slegato da ogni oggettività e finalità conduce - sul piano dell’esistenza concreta, dei comportamenti - al libertarismo (o libertinismo o radicalismo), cioè ad uno sfogo di istinti vitalistici, assunti come incondizionatamente buoni. Il male non è più visto nel loro cattivo uso (quello che la religione considera peccato), ma nella loro regolazione, considerata “repressione”. (Senza contare i problemi di convivenza sociale che questa visione estrema dell’esercizio della libertà comporta, come vedremo più avanti).

Viene dunque negata l’importanza delle regole morali: viene esaltata l’amoralità.

Se tradizionalmente la temperanza, la misura, la moderazione erano segni di maturità e di forza, nell’ottica libertaria l’uomo che si autolimita è un ‘represso’, un malato pericoloso per gli altri. Il criterio di giudizio non è più morale, ma medico-biologico; i valori morali diventano “tabù”, cioè malattie psichiche. Questo libertarismo è anche radicalismo, quindi, perché sovverte radicalmente la natura dell’uomo, esaltandone l'istintualità più che le caratteristiche di animale ragionevole.

Un'interpretazione distorta di alcune teorie freudiane (che conoscono una diffusione volgarizzata e di massa proprio dopo che molto di Freud è stato messo in discussione nel mondo scientifico) ci ha convinti che le frustrazioni nascano dalla "repressione" degli impulsi - soprattutto sessuali -, dai "tabù". Per cui sarebbe importante dare briglia sciolta alle persone sin dall'infanzia, preoccuparsi solo di rafforzarne l'autostima.
Si tratta di teorie astratte, lontane da ogni serio riscontro scientifico: la frustrazione, in realtà, nasce in quelle persone abituate a credere che il mondo esiste per soddisfare i loro desiderî, impreparate ad accettare gli ostacoli e le delusioni che la vita, l'incontro con l'altro, inevitabilmente gli offrono. Proprio a queste conseguenze deleterie, nei giovani, ha portato la rinuncia della famiglia e della scuola ad esercitare la propria funzione educativa.
L'autostima di una persona, piuttosto, possiamo rafforzarla restandole vicini, aiutandola ad affrontare le regole e le prove.

Nel radicalismo la felicità non è più data dall’orgoglio di costruire qualcosa di solido e valido (nella famiglia, nel lavoro), ma dal piacere, dalla ricerca di nuove e incontrollate sensazioni. Le ‘esperienze’ non sono più filtrate attraverso un criterio di giudizio, affinché acquistino un senso e facciano maturare chi le vive; la parola d’ordine è, piuttosto, “sperimentare tutto”, senza preoccuparsi delle conseguenze, senza imparare dai proprî errori, rifiutando in blocco l’utilità dell’altrui esperienza (contenuta nella tradizione, nella morale, nel senso comune). L’irrazionalità tocca il vertice quando si sviluppa il gusto della ‘trasgressione’: si fa qualcosa (drogarsi, lanciare l’automobile contromano in autostrada, tatuarsi, ecc.) non perché può essere buono per sé, ma solo perché contraddice ciò che viene comunemente considerato buono, perché attira l’attenzione su di sé, perché consente di affermare un’identità altrimenti confusa. Il desiderio di sfuggire al conformismo, in questi termini, scade in una sorta di “conformismo dell’anticonformismo”, di schiavitù della trasgressione fine a se stessa.

Ci si appella alla "spontaneità" o all’ "istinto", dimenticando che queste attitudini, qualora siano il fattore primario che guida un comportamento, appaiono appropriate più ad un animale selvaggio che ad una persona civile.

La visione della libertà come esercizio slegato da ogni oggettività e finalità ha serie conseguenze anche sul piano della conoscenza. Ai fini della felicità, il problema della conoscenza della verità (tradizionalmente considerato la via della felicità), di una verità che sia capace di dare significato profondo agli atti liberi, si trova subordinato al problema della soddisfazione degli istinti; fonte di conoscenza sono le sensazioni individuali (sensismo), o una ragione soggettiva piegata alla volontà. Pertanto la libertà assoluta produce la sua verità, slegata dal principio di realtà: è vero ciò che desidero. Le verità diventano molteplici, relative, non condizionano in nessun modo l’esercizio della libertà. Il liberalismo diviene relativismo.


La vera libertà è per un fine

Per gli animali rispettare il proprio istinto, essere “spontanei”, è la condizione necessaria e sufficiente a sopravvivere nel rispetto delle leggi di natura.
L’uomo, però, non è solo istinto, ma anche ragione, sensibilità affinata, responsabilità, esperienza (individuale e collettiva); la sua natura ha caratteristiche proprie. La "spontaneità", quindi, non è sinonimo di "autenticità", perché non esaurisce la verità dell'uomo.

Siamo stati dotati dalla natura - da Dio - di istinti che hanno un fine ben preciso; regolarli significa garantirne un’autentica soddisfazione, disinibirli significa invece farne un uso irrazionale, fonte di frustrazioni. Chi richiama al corretto uso dei sensi non vuole avvilire la persona, ma difende una razionalità non strumentale.

La questione, ovviamente, non è solo quella di indirizzare correttamente gli istinti. Tratto distintivo della natura umana, accanto al bisogno di libertà, è l’intimo desiderio di cercare e abbracciare ciò che è buono; una libertà che reprima tale desiderio è una libertà disumanizzante.

L’uomo è un essere finito che ha bisogno di libertà perché ha sete d’infinito; ma rischia di non sapere come soddisfare questa sete. Su questa terra egli incontra inevitabilmente confini: nella limitatezza delle proprie capacità, nella scarsezza di beni materiali, nella necessità di assecondare la natura delle cose, oltre che nella libertà degli altri uomini.

Anche il desiderio di superare i proprî limiti è connesso alla naturale sete d’infinito. Ma si tratta di un desiderio che deve essere perseguito senza illudersi di poter snaturare la propria identità più profonda.
(Ci sia consentito un esempio elementare, solo apparentemente banale. L’uomo non è – per natura – fatto per volare. Ma ha il naturale e comprensibile desiderio di farlo. Ora, cercare di assecondare questo desiderio non è cosa “innaturale”, se l’uomo cerca di farlo – come ha effettivamente fatto – tenendo conto dei propri limiti biologici insuperabili, e valendosi della sua intelligenza per elaborare soluzioni tecnologiche adeguate: gli alianti, gli aeroplani. Gli uomini che invece hanno ignorato i proprî limiti, e hanno pensato di volare semplicemente attaccandosi alle braccia un paio d’ali posticce e agitandole prima di tuffarsi nel vuoto – ce ne sono stati! -, non hanno potuto raccontare l’esito di questo anelito di “libertà”...
O un esempio più legato alla vita quotidiana. È comprensibile il desiderio dei genitori di coltivare, anche durante l’impegnativo periodo della crescita dei figli, interessi professionali o personali. Questo desiderio può in parte essere assecondato con una migliore organizzazione del proprio tempo, ricorrendo ad aiuti familiari o sociali, portando avanti modalità lavorative part-time. Ma per quanti sforzi si possano fare, resta il dato immodificabile che i figli non hanno bisogno della sola “qualità” del tempo, ma anche di quantità di tempo non comprimibili. I figli non seguiti direttamente dai genitori, benché viziati e coccolati da nonni, istitutori, regali, subiranno una perdita non colmabile. E con essi il genitore, che avrà lasciato scivolar via l’esperienza e la responsabilità più bella della sua vita).

La ribellione contro le autorità morali (religiose e non) non ci è di nessun aiuto nel superare i nostri limiti, poiché essi non sono posti da quelle autorità, ma sono insiti nella natura.
Il ricorso al patrimonio di esperienza e di sapienza delle autorità morali può anzi essere di aiuto nell'evitare errori, nel riflettere con più facilità sulla nostra vocazione. Ognuno di noi è un nano, che però può guardare oltre l'orizzonte se ha l'umiltà di salire sulle spalle di un gigante... 

La libertà, dunque, è condizione necessaria ma non sufficiente per la promozione umana. Deve guardare alla realtà antropologica della persona, compresa la sua dimensione soprannaturale; deve sapersi misurare con i limiti delle capacità umane, altrimenti diviene incoscienza; dev’essere ‘intelligente e virtuosa’, cioè tendere al vero e al bene, altrimenti si risolve in uno spreco, nello sfogo banale - e davvero poco ‘adulto’ - di passioni animali.

L’uomo si trova continuamente di fronte all’esigenza di scegliere, dunque di rinunciare a qualcosa. Bisogna difendere la libertà umana di scegliere (sperabilmente per il meglio); ma questa non coincide con la “libertà di fare quello che mi pare”. La “libertà” di veder soddisfatto ogni desiderio, che alcuni definiscono “libertà di scelta”, consiste piuttosto in una pretesa di non scegliere, di non fare nessuna rinuncia; il che è concretamente irrealizzabile.

Le difficoltà vissute dai Paesi dell’Europa orientale, subito dopo la caduta del giogo comunista, sono in questo senso esemplari; le libertà politiche ed economiche, da sole, non garantiscono una democrazia autentica e il benessere: sono una condizione, un’opportunità, ma devono essere ‘riempite’ da un impegno intenso e responsabile.


Le azioni libere hanno conseguenze: la responsabilità.

La libertà ha un’esigenza interna: la responsabilità. Ogni nostra azione produce conseguenze, sulla nostra vita e su quella degli altri; di esse, anche quando vanno al di là delle nostre intenzioni - magari perché siamo stati superficiali - siamo inevitabilmente chiamati a ‘rispondere’. Le responsabilità non possono essere scaricate sulla società, sul “sistema”: ciò significa negare proprio la capacità dell’uomo di essere liberamente artefice (o, almeno, co-artefice) del proprio destino; e significa negare ancora che la radice del bene e del male è nell’animo umano.

La perdita del senso di responsabilità - e, ancor più, del senso del peccato - è più grave della colpa e del peccato stessi, perché ci priva della capacità di riconoscere e correggere i nostri errori. Il richiamo alla responsabilità, insomma, serve a ricordarci che è meglio orientare la nostra libertà verso azioni che producano conseguenze positive, anche quando ciò costa fatica. Forse è proprio la paura delle responsabilità che, qualche volta, rende incapaci di apprezzare pienamente la libertà, facendo preferire una più facile sudditanza (in politica succede quando si invoca “l’uomo forte”); richiamare al peso delle responsabilità, allora, non significa combattere la libertà, ma difenderla, potenziarla, impedendo che l’uomo, incapace di apprezzarla, vi rinunci.

Il rapporto libertà-responsabilità si dispiega anche nella fede. Dio, parlando alla nostra coscienza, ci chiede - e non ci impone - obbedienza alla Sua volontà; tale obbedienza non consiste in rinunce assurde, ma, semplicemente, nella risposta alla nostra vocazione più piena. Ciò ci consente una libertà consapevole, ci ricorda che le mete più alte non sono facili da raggiungere. Il cristiano è chiamato ad esercitare una libertà matura, che non può essere “un velo per coprire la malizia” (1 Pt 2,16), ma dev’essere animata dalla carità e tendere a Dio.


Le regole della libertà: la morale, i valori, la coscienza

Comprendere la realtà dell’uomo, lo scopo dei suoi istinti, i suoi limiti, la sua vocazione, significa scoprire la necessità che le sue azioni siano guidate da alcune regole: le regole morali. Potremmo meglio definire queste regole come criterî di consapevolezza, in quanto l’esercizio della responsabilità, se è relativo ad azioni che hanno immediata ricaduta sull’individuo, è affidato alla coscienza dell’individuo stesso, al suo “foro interno”, poiché è soprattutto lui che subisce le conseguenze di un uso distorto della propria libertà. Le regole morali che investono la dimensione personale, insomma, non possono essere oggetto di imposizione da parte di terzi.

Anche le scelte che potrebbero sembrare più personali e arbitrarie (come mi voglio nutrire, che tipo di professione intendo scegliere, che amicizie frequentare, ecc.) producono risultati che non sono indifferenti al mio bene (e spesso a quello di chi mi è più vicino). Ciò non significa, ovviamente, che esistano la pietanza, la professione, l'amicizia "moralmente sani", nettamente distinti dagli altri; ma significa che è importante usare criterî di consapevolezza in qualunque scelta. Non può esistere, dunque, una morale delle buone intenzioni, del "secondo me", irresponsabile...

Vogliamo così “uccidere la spontaneità”?

Un equivoco diffuso è quello di confondere la spontaneità con la sincerità.
Abbiamo già visto che la spontaneità non è sinonimo di "autenticità", perché non esaurisce la complessa verità dell'uomo. Quindi, ricordare che la spontaneità non può essere il faro dei comportamenti non significa elogiare l'ipocrisia o il moralismo (che è la caricatura della morale), in cui l'adesione alle regole è puramente esteriore. Significa piuttosto avere la maturità di coniugare la sincerità - che è amore della verità - col rispetto degli altri e di sé.

Con la morale vogliamo "mettere a tacere la coscienza"? "Conculcare la libertà"?

Potrebbe accadere solo con un sistema di norme morali minuzioso ed opprimente, che limiti troppo l'espressione della libertà individuale. Ne abbiamo anche conosciuti in passato.
Ma il rifiuto di queste deformazioni non può far dimenticare che – per le ragioni sin qui esposte - la morale esiste.

Essa è l'insieme di criterî che guidano l'uomo nel costruire la sua perfezione in quanto persona. Pertanto, investe tutti i campi in cui l'uomo agisce liberamente, ed ha una sua dimensione oggettiva, è cioè definita dal rapporto tra libertà e bene autentico dell'oggetto del nostro agire. Questo bene è identificato da un sistema di valori.

Tutte le realtà naturali (scuola, lavoro, scienza, arte, ecc.), infatti, hanno leggi e valori proprî.
"Leggi" di funzionamento, da conoscere e applicare mediante le competenze tecniche. Ma anche "valori" (termine cui diamo una connotazione positiva, ancor più che "principio" o "ideale"), i quali sono espressione del ‘dover essere’ di quelle realtà, assicurandone la rispondenza al fine che è loro proprio.

Per garantire lo sviluppo di quelle realtà, i valori sono recepiti da codici professionali, regolamenti, dall’etica sociale, o addirittura della legge.
Ma anche quando operiamo in una dimensione più strettamente personale, quando ci sembra che le uniche conseguenze delle nostre azioni ricadano su di noi, agire in contraddizione con i valori significa votare al fallimento la nostra condotta. Esiste una morale individuale, che non è quella che ogni individuo si cuce su misura, bensì quella che investe direttamente la dimensione più intima della persona.
(Per inciso: anche nelle azioni che investono direttamente la nostra dimensione più intima, indirettamente è sempre investito anche il nostro prossimo. Se ci danneggiamo procuriamo un dolore a chi ci vuol bene, o un danno a chi dipende da noi; negare che siamo essenzialmente creature relazionali significa amputare e negare noi stessi. Per cui esiste una morale "individuale" solo in senso lato).

Per individuare i valori morali esiste un metodo ben preciso: ascoltare la coscienza individuale. Si badi bene, però: ascoltare la coscienza non significa “fare come ci pare”. Parliamo di “metodo”, perché ascoltare la coscienza significa interrogare se stessi, mettersi in discussione, cercare di distinguere il proprio bene reale e stabile da quello illusorio ed effimero.

Allora, oltre che un metodo, per individuare i valori serve trovare agli stessi un fondamento, qualcosa che attinga alla componente naturale (di verità) dei valori: potremmo individuarlo nell’eminente dignità dell’individuo, che chiama ogni uomo a realizzare pienamente se stesso   nelle sue componenti materiale, morale, spirituale – e a riconoscere la medesima dignità in tutti gli altri uomini.

La coscienza deve essere “rettamente formata”, per riconoscere i valori e potersi rapportare al bene autentico della persona. Altrimenti diviene solo l'alibi per coprire capricci e desiderî (il 30 aprile del 1945, poco prima di suicidarsi, Hitler salutava così gli altri rifugiati nel bunker di Berlino: “Non mi rammarico di avere sempre seguito la voce della coscienza”). Non a caso si dice spesso che "ognuno deve rispondere almeno al tribunale della propria coscienza": un tribunale è un organo che applica leggi, ma non può darsele da sé...

Le norme morali non comprimono la libertà personale, perché - come visto - la aiutano ad indirizzarsi al bene della persona.
Anzi, esaltano la libertà, perché esaltano la capacità della persona di autodeterminarsi responsabilmente, di uscire da una dimensione istintiva e inconsapevole.
Negare questa capacità significa sminuire la grandezza della persona, svilire l'impegno di tutti gli uomini e le donne che, in condizione di difficoltà e con grandi sacrifici, hanno saputo impegnarsi per costruire un mondo migliore.


La morale richiede "coerenza"?

La coerenza tra valori proclamati e comportamenti è certamente molto importante. Ma, se non è correttamente intesa, rischia di diventare la tomba della morale.

Secondo molti, infatti, alcune norme morali non aiutano l'uomo, ma generano frustrazione, perché sono troppo esigenti e lo condannano all'incoerenza. In quest'ottica, però, il bene autentico dell'uomo viene sacrificato alla sua percezione emotiva.

Innanzitutto, bisogna fare attenzione a non confondere le norme morali autentiche, capaci di sostenere l'uomo nella sua libera autodeterminazione, con precetti moralistici astratti e soffocanti.

Inoltre, la debolezza oggettiva dell'uomo non va certo ignorata. Ma proprio questa debolezza richiede il sostegno di una riflessione morale comune, non la rinuncia ad ogni traguardo di elevazione umana. L'integrità morale è come la salute: non si è mai sicuri di poterla conseguire in pieno, ma non per questo si rinuncia a perseguirla.

Di fronte ad obiettivi morali che appaiono esigenti, abbiamo due strade.

La prima è quella di confidare nella capacità dell’uomo di elevarsi ad una grandezza degna della sua dignità. In quest’ottica, accettare i limiti dell’uomo significa accettare la sua “incoerenza”, nobilitata però dal continuo sforzo di colmarla.

La seconda strada è quella della cosiddetta “etica del risentimento”. La frustrazione per l’incoerenza rispetto a valori che sembrano troppo esigenti induce a risentimento verso quei valori. Per cui l’autostima della persona sarebbe salvaguardata abbassando i valori allo standard ritenuto raggiungibile dall’individuo. Ad una “coerenza” autoingannatoria viene sacrificato ogni altro valore.


Dal piano personale a quello socio-culturale e politico-giuridico

Soffermarsi sul corretto uso della libertà sembrerebbe una questione di morale meramente personale; invece si tratta di un problema che ha anche importanti ricadute sociali.

La libertà ha evidenti vincoli esterni: la libertà e i diritti delle altre persone. Deve essere rispettosa dell’altrui libertà e dignità, altrimenti diviene arbitrio e sopraffazione. Perfettamente “spontaneo” potrebbe essere solo (a suo rischio e pericolo…) chi vivesse completamente isolato.

L'uomo è soprattutto un “animale” sociale e culturale. La necessità di regole deriva sia dalle necessità della convivenza, sia dalla necessità di sviluppare in pienezza la dimensione relazionale della persona. E ciò vale in particolar modo per le azioni di una persona che investono direttamente (e non solo indirettamente) il suo prossimo.

Non bastano, evidentemente, le regole giuridiche. Esistono regole morali, non coattive, ma il cui rispetto gli altri si aspettano da noi (e noi dagli altri): sincerità, correttezza, fedeltà, ecc. La morale, insomma, non è solo una scala di valori personale e interiore. Esistono valori morali che costituiscono anche un codice sociale, come spieghiamo nell'articolo che analizza l’importanza dei valori comuni per il pluralismo sociale.

In alcuni casi, poi, i valori in discussione sono così importanti che non è possibile demandarne il rispetto al libero consenso della morale personale o sociale: i valori fondano la Carta costituzionale, le regole si fanno legge, la libertà si esercita col metodo del consenso democratico, il fondamento è quello del diritto naturale.

Le limitazioni della libertà poste da leggi, e quindi vincolanti, dovrebbero essere il più limitate possibile, e con caratteristiche ben precise:

  • norme poste a tutela della libertà altrui;
  • norme poste a salvaguardia delle condizioni stesse della libertà, come quelle che vietano gli atti che produrrebbero conseguenze irreversibili e quindi pregiudizievoli della libertà futura (ad esempio, gli atti contro la vita);
  • norme che tutelano l'esercizio consapevole della libertà (obblighi informativi, clausole contrattuali predefinite, ecc.);
  • norme che tutelano l'esercizio della libertà non meramente formale, quindi privo di condizionamenti (divieto di far sottoscrivere alle donne in età fertile lettere preventive di dimissioni, ecc.); 
  • norme che tutelano valori socialmente rilevanti (salute, famiglia, ordine pubblico), quando non entra in contrasto con essi la libertà di autodeterminazione, ma il mero esercizio di una facoltà materiale (obbligo della cintura e del casco, obblighi familiari non modificabili contrattualmente, divieto di indossare abiti o accessori che impediscano l'identificazione, ecc.).

Anche una norma obbligante, dunque, può proteggere l'esercizio della libertà...


Il contributo dell’antropologia cristiana

La perdita della libertà interna, del distacco dalle cose, conduce inevitabilmente a perdere anche la libertà esterna. Ci si mette al servizio di chi (persona, partito politico, ecc.) può garantire una raccomandazione, un momento di notorietà, qualche favore, la vendetta contro un nemico; troppo tardi ci si accorge che è difficile tornare indietro, riappropriarsi della libertà sacrificata.

La libertà, che doveva espandersi con la disobbedienza a Dio, si svuota di significato: l’autorità negata a Dio finisce con l’essere accordata ad altri uomini (leaders carismatici, nomenklature di partito, intellettuali, opinion makers nell’informazione di massa, ‘tecnici’), con una delega di potere spesso assoluta.

Dio si rivela il vero garante della libertà dell’uomo. Ogni singolo uomo, se è figlio di Dio, è portatore di una dignità e di una libertà che non possono essere calpestate; esiste un Tribunale Supremo a cui rispondere di ogni sopruso. Ogni uomo, se è aperto a Dio, può relativizzare le realtà spesso ammalianti di questo mondo (denaro, sesso, potere, fama), restare psicologicamente libero di fronte ad esse, senza farne idoli, oggetti di desiderî incontrollati. “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; siate dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5,1): la schiavitù del peccato, degli idoli di questo mondo.

Sul tema della libertà, insomma, l’antropologia cristiana offre un prezioso contributo di riflessione anche al non credente.

La rivelazione che l’uomo è stato creato a “immagine e somiglianza” di Dio (Gen 1,26), nonché chiamato a divenire “conforme all’immagine del Figlio Suo” (Rm 8,29), ricorda la dignità assoluta dell’essere umano, che fonda la sua libertà. Questa stessa grandezza evidenzia la vocazione all’infinito, la quale impegna la libertà.

La dottrina del peccato originale, poi, ricorda all’uomo di non avere solo una grandezza inestimabile, ma anche limiti (natura lapsa) che gli impediscono di sentirsi onnipotente. Come ricorda Giovanni Paolo II, “questa dottrina [del peccato originale] non solo è parte integrante della rivelazione cristiana, ma ha anche un grande valore ermeneutico, in quanto aiuta a comprendere la realtà umana.” (Centesimus Annus, 25).

Cristo ricorda che solo la Verità libera l’uomo (Gv 8,32), perché nessuna scelta può essere davvero libera se non è consapevole. La libertà più profonda, infatti, non risiede semplicemente nello "scegliere tra questo e quello" in maniera superficiale. La libertà più profonda è nel determinare se stessi, la propria vita; ma perché ciò sia possibile, bisogna conoscere la verità della propria vita.

Dio ha posto anche leggi morali che siano di guida al corretto esercizio della libertà. Ma il cristianesimo non è un sistema etico, bensì l'incontro con una Persona che salva. La legge è al servizio del cuore convertito e della coscienza rettamente formata (sulla natura della morale cristiana, v. la nota in fondo all'articolo Il pluralismo sociale è fondato sui valori comuni).

Criticare libertarismo e radicalismo, insomma, non significa in nessun modo mostrare indulgenza verso ideologie o sistemi che in qualsiasi maniera limitino la libertà, ma significa promuoverla nella sua interezza. In quest’ottica, è quanto mai errato contrapporre libertà e precetti della fede. Come la fede richiede una libera adesione, così la libertà, a sua volta, è arricchita dalla fede o dall’attenzione al messaggio cristiano.



Giudizio Utente: / 14

ScarsoOttimo 




Ricerca Avanzata
Aggiungi questo sito ai tuoi preferitiPreferiti
Imposta questa pagina come la tua home pageHomepage
Agorà
Lettere e Forum
Segnalazioni
Associazionismo
Comunicati
Formazione
Dagli Atenei
Orientamento
Lavoro
Concorsi
Orientamento
Impresa oggi
Link utili
Informazione
Associazionismo
Tempo libero
Utilità varie
Link consigliati
Zenit.org
La nuova Bussola
   Quotidiana
Storia libera
Scienza e fede
Il Timone
Google
Bing
YouTube
meteo
mappe e itinerari
Google Maps e
  Street View
TuttoCittà Street
  View



Questo sito utilizza Mambo, un software libero rilasciato su licenza Gnu/Gpl.
© Miro International Pty Ltd 2000 - 2005