Il caso di Eluana Englaro ha innescato un imprevedibile risvolto di crisi istituzionale tra Governo e Presidenza della Repubblica.
Non era facilmente prevedibile il ricorso del governo Berlusconi ad un decreto-legge per bloccare l’esecuzione delle procedure che dovevano portare alla morte di Eluana per fame e per sete.
Né era prevedibile il rifiuto del presidente Napolitano di firmare il decreto.
L’imprevedibilità del decreto governativo non risiedeva nella sua illegittimità; ché anzi, come vedremo, si tratta di un provvedimento con pieno fondamento costituzionale.
L’imprevedibilità del decreto riposava piuttosto nel tradizionale atteggiamento della politica rispetto ai temi che dividono l’opinione pubblica: un atteggiamento pilatesco, che ha paura di prendere posizione, che si rifugia in dibattiti di anni, mossi non tanto dal desiderio di approfondire bene le questioni (desiderio di per sé ammirevole), quanto dal timore di assumere decisioni che possano scontentare parte dell’elettorato.
Che l’assenza di decisioni, il non scegliere, il “pilatismo”, costituiscano di per sé – come ha ricordato il ministro Sacconi – una scelta, si fa finta di non saperlo. Se poi tale assenza di decisioni sia foriera di gravi conseguenze sulla vita dei cittadini, beh, pazienza: astenersi dalle scelte espone di meno al fuoco delle polemiche, e questa sembra essere l’unica cosa che conta per molti politici.
Non era nemmeno prevedibile che un’eccezione a tale pilatismo venisse proprio dal Governo presieduto da Silvio Berlusconi, icasticamente definito l’Anarca (leader di un partito che lui stesso ha definito “anarchico sui valori”) da Giuliano Ferrara.
È vero che Berlusconi ha dato visibilità, nel suo movimento, a politici che difendono i “principî non negoziabili”. E che è attento ad avere buoni rapporti con la Santa Sede e la Conferenza Episcopale Italiana.
Ma l’atteggiamento di Berlusconi non si può certo spiegare con un “cedimento alle ingerenze vaticane”. Non bisogna dimenticare, infatti, che gli esponenti del cattolicesimo politico sono tenuti lontani dalle posizioni di potere (nelle alte cariche istituzionali, nel Governo e nel partito); o che alcune istanze tradizionali del cattolicesimo politico sono sembrate trascurate, in omaggio alla proclamata “anarchia sui valori”, e con rammarico della Chiesa (l’assenza di politiche familiari, ad esempio).
Cosicché questo decreto – si sussurra – ha sorpreso anche gli ambienti ecclesiastici.
Come si spiega, quindi, l’atteggiamento del premier? Qualche analista ‘insospettabile’, come Antonio Polito, ha ipotizzato che – semplicemente – Berlusconi si sia convinto dell’importanza di salvare la vita di Eluana; e che i sondaggi che consulta abitualmente gli abbiano fatto rilevare che questa convinzione si è diffusa nell’opinione pubblica man mano che questa veniva meglio informata, un po’ come era successo ai tempi del referendum sulla fecondazione artificiale.
In ogni caso, quali che siano le motivazioni che hanno mosso il Presidente del Consiglio, c’è da rilevare che la “sorpresa” è senz’altro positiva. E c’è da sperare che possa essere il segnale di una politica coerente.
Sorvoliamo sulle ricostruzioni propagandistiche della sinistra, secondo la quale Berlusconi ha intenzionalmente cercato lo scontro istituzionale. Lo scontro è stato innescato dall’atteggiamento del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il cui rifiuto di firmare il decreto del Governo è stato ancora più imprevedibile del decreto stesso.
Il rifiuto di Napolitano è stato imprevedibile anche perché il decreto-legge in questione appare costituzionalmente fondato.
Napolitano aveva fatto pervenire preventivamente al Governo una sua lettera, in cui preavvertiva della sua indisponibilità alla firma. E già questa è un’anomalia, un atto “irrituale” (come è stato definito da ambienti governativi).
Se si trattava di esercizio del “potere di persuasione”, infatti, esso non si esercita in modo formale.
Quanto al “potere di messaggio” del Capo dello Stato, esso è rigorosamente individuato dagli artt. 74 e 87 della Costituzione, e certamente non vi rientrano messaggi che forniscano un parere preventivo sugli atti la cui adozione è di competenza governativa; altrimenti, saremmo in una repubblica presidenziale!
Napolitano ha citato, nella sua lettera, i rari precedenti in cui Presidenti della Repubblica hanno rifiutato la firma a decreti-legge. Non erano menzionati precedenti di “messaggi preventivi”...
Ma veniamo alle argomentazioni di merito che il Presidente della Repubblica ha posto a fondamento della sua decisione. E diciamo subito che nella sua lettera troviamo un “eccesso di argomentazioni”, dal quale emerge che ognuna di esse è troppo debole.
La lettera esordisce rilevando che i temi della disciplina della fine della vita sono caratterizzati da “complessità”, da “incidenza su diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti”, da “diversità di posizioni che si sono manifestate, trasversalmente rispetto agli schieramenti politici”; per cui “il ricorso al decreto legge - piuttosto che un rinnovato impegno del Parlamento ad adottare con legge ordinaria una disciplina organica - appare soluzione inappropriata”.
In questa argomentazione pensiamo di poter individuare il movente principale del comportamento del Capo dello Stato: la convinzione che su un tema delicato si debbano cercare le convergenze più ampie possibili, e non sia opportuno ricorrere a decisioni di maggioranza.
Si tratta di una convinzione sensata, alla quale bisogna però muovere due rilievi.
Innanzitutto, la ricerca di convergenze ampie non può tradursi nel potere di veto assegnato alle minoranze (soprattutto a quelle ideologizzate con le quali sarà ben difficile trovare un accordo, visto che vogliono imporre forme di eutanasia mascherata).
Ma, soprattutto, bisogna sottolineare che questa convinzione di Napolitano ha un rilievo di opportunità politica, e non un valore giuridico: in nessun modo può fondare il rifiuto di apporre la firma ad un decreto-legge, perché tale provvedimento rientra – per dottrina unanime – tra gli “atti formalmente presidenziali e sostanzialmente governativi”. L’art. 77 chiarisce che i decreti-legge sono adottati dal Governo “sotto la sua responsabilità”. Su tali atti il Presidente della Repubblica non può esercitare un sindacato politico, tant’è che gode della “irresponsabilità politica”.
Napolitano prosegue la sua lettera rilevando “che rispetto allo sviluppo della discussione parlamentare non è intervenuto nessun fatto nuovo che possa configurarsi come caso straordinario di necessità ed urgenza ai sensi dell'art. 77 della Costituzione se non l'impulso pur comprensibilmente suscitato dalla pubblicità e drammaticità di un singolo caso”.
Qui il Presidente (e chi lo ha consigliato) incorre in un clamoroso equivoco. Nella lettera si vuol lasciar intendere che una legge – o un atto avente forza di legge -, dovendo avere carattere generale ed astratto, non può occuparsi del “singolo caso”. In realtà, il decreto approvato dal Governo regolava la materia in termini assolutamente generali, applicabili alle migliaia di pazienti che si trovano o potranno trovarsi nelle condizioni di Eluana Englaro. Il “singolo caso” non caratterizza il contenuto del decreto-legge (per quanto non sarebbe stato il primo caso di “legge-provvedimento” o legge ad personam, come suol dirsi oggi); piuttosto, il singolo caso costituisce l’evento, la fattispecie concreta, che fa emergere l’urgenza del decreto.
Sono spesso i “singoli casi” – un incidente sul lavoro, un crimine efferato, una calamità che colpisce chi non ha adottato misure di sicurezza, ecc. – che inducono ad adottare misure legislative urgenti capaci di impedire il ripetersi di casi simili (nel caso odierno, misure capaci anche di impedire che una vita umana si spenga in maniera straziante: scusate se è poco). Se i funzionarî del Quirinale avessero cercato con attenzione tra le migliaia di decreti-legge adottati nella storia repubblicana, di precedenti simili ne avrebbero trovati a bizzeffe...
Più in generale, si pone la questione di stabilire se il Presidente della Repubblica abbia un ruolo nell’individuazione dei presupposti di necessità ed urgenza.
L'art. 77 della Costituzione pone questa questione sotto la responsabilità esclusiva del Governo. La storia repubblicana ha visto un gran numero di decreti-legge adottati – davvero – senza reale necessità ed urgenza, sino a diventare “una sorta di disegno di legge rinforzato ad urgenza garantita” (Predieri). Qualcuno ha segnalato esempî simili anche tra i decreti già approvati dall’attuale Governo e firmati da Napolitano...
Nella sua lettera Napolitano richiama “il potere del Presidente della Repubblica di rifiutare la sottoscrizione di provvedimenti di urgenza manifestamente privi dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza previsti dall'art. 77 della Costituzione o per altro verso manifestamente lesivi di norme e principi costituzionali”, fondandolo su “più precedenti”.
Innanzitutto, notiamo una sottile deformazione del testo costituzionale, il quale parla di “casi straordinarî [cioè al di fuori dell’ordinario] di necessità e d'urgenza”, e non di “requisiti di straordinaria necessità e urgenza”... Non è la stessa cosa: la necessità e l’urgenza non devono avere caratteristiche di straordinarietà.
In secondo luogo, i precedenti citati da Napolitano sono davvero eccezionali. Al Capo dello Stato viene riconosciuta, dalla dottrina prevalente e dalla prassi costante, la facoltà di formulare osservazioni al Governo (non di rifiutare la firma) qualora i presupposti di necessità ed urgenza manchino “palesemente ed oggettivamente” (Martines), o “manifestamente” (come riconosce lo stesso Napolitano). Possiamo ravvisare questa mancanza palese ed oggettiva nel decreto in questione?
Nella lettera di Napolitano leggiamo ancora che “il fondamentale principio della distinzione e del reciproco rispetto tra poteri e organi dello Stato non consente di disattendere la soluzione che per esso è stata individuata da una decisione giudiziaria definitiva sulla base dei principi, anche costituzionali, desumibili dall'ordinamento giuridico vigente”.
Sulla base della “distinzione tra poteri e organi dello Stato”, dunque, non sarebbe possibile legiferare (e i decreti-legge, ricordiamolo, sono atti con valore e forza di legge) su materie nell’ambito delle quali è stato emesso un decreto nel corso di un procedimento di volontaria giurisdizione, quello che ha consentito – ma non imposto – l’interruzione dell’alimentazione ad Eluana (si badi bene: decreto di tribunale, non sentenza passata in giudicato); altrimenti, si avrebbe un'invasione della sfera di competenza della magistratura.
Si tratta di una tesi che - a quanto ci risulta – è del tutto nuova. Una simile fattispecie non è contemplata tra quelle che, ai sensi della legge 400/88, precludono l’adozione di decreti-legge.
La questione, casomai, si potrebbe porre quanto all'applicabilità del decreto-legge al caso di specie (caso Englaro), non quanto alla possibilità di adottare il decreto.
Peraltro, il decreto-legge del Governo non produceva effetti irreversibili, ma si limitava a sospendere l’efficacia del decreto del tribunale invocato dal padre - e tutore - di Eluana. Decorsi i termini senza conversione in legge, l’esecuzione del decreto giurisdizionale avrebbe potuto essere ripresa.
Con riguardo all'applicabilità del decreto-legge (o di una futura legge ordinaria) al caso di specie, nel nostro ordinamento il dogma dell’intangibilità del “giudicato” è stato superato, ad esempio in materia penalistica (mediante la possibilità di applicare il favor rei in sede di esecuzione). Senza dimenticare che nel caso Englaro, ribadiamolo, non abbiamo un giudicato, ma un decreto; un decreto che per di più ha applicato un principio di diritto desunto in via interpretativa in una situazione ritenuta di vuoto normativo.
(Anche se, a nostro avviso, vuoto normativo non c'era: l'eutanasia è vietata nel nostro ordinamento, e solo con acrobazie logiche nutrizione e idratazione possono essere considerate "trattamenti sanitarî" che è possibile interrompere. Una nuova legge fornirebbe casomai una più corretta interpretazione di principî già presenti nell'ordinamento).
L'applicazione al caso di specie, peraltro, sembra non solo ammessa, ma addirittura suggerita dalla Corte costituzionale, nell'ordinanza n. 334 dell’8 ottobre 2008 con la quale ha rigettato i ricorsi dei rami del Parlamento per conflitto di attribuzione contro le pronunce di Cassazione e Corte d'Appello di Milano sul caso Englaro.
Nella sua motivazione il Giudice delle leggi rileva che “la vicenda processuale che ha originato il presente giudizio non appare ancora esaurita, e (...), d'altra parte, il Parlamento può in qualsiasi momento adottare una specifica normativa della materia, fondata su adeguati punti di equilibrio fra i fondamentali beni costituzionali coinvolti” (!).
Si pone poi la questione di stabilire il ruolo del Presidente della Repubblica, in questo caso nella valutazione di legittimità costituzionale.
Ebbene, bisogna ricordare che tale ruolo, rispetto ai decreti-legge, è ancor più circoscritto che non rispetto alle leggi ordinarie. Infatti, se dopo la promulgazione del Capo dello Stato le leggi diventano esecutive (e quindi rinviarle alle Camere è l’ultimo rimedio possibile, almeno sino all’eventuale sindacato della Corte Costituzionale), i decreti-legge devono essere convertiti in legge dal Parlamento, cui spetta effettuare tutte le valutazioni di legittimità oltre che di merito.
Nello specifico del caso Englaro, ravvisare una “manifesta” invasione della sfera di competenza dell’ordine giudiziario sembra davvero un’enormità.
Inoltre (e qui la contraddizione è palese): si ha “invasione” della sfera di competenza dell’ordine giudiziario con un decreto-legge, e non la si avrebbe con la legge ordinaria, che Napolitano stesso ha più volte invocato?!
Una somma di argomentazioni deboli, insomma, non fa un’argomentazione forte.
Stupisce anche – ma non troppo – che tutti i tradizionali difensori della Costituzione, i nemici giurati della repubblica presidenziale, abbiano difeso (sia pure arrampicandosi sugli specchi) questo esercizio sproporzionato dei poteri presidenziali.
Ma si sa: più dei principî possono le battaglie politiche (l’avversione per il Governo) o ideologiche (la battaglia contro la vita, nella quale il caso Englaro è stato utilizzato come cavallo di Troia per tentare di introdurre l’eutanasia).
Concludendo.
In passato avevamo elogiato l’equilibrio del presidente Napolitano, che aveva saputo esercitare un ruolo non notarile, ma nel limite rigoroso delle sue prerogative (a costo di essere accusato dagli oppositori del Governo di “silenzio omertoso”).
Oggi quello stesso presidente Napolitano ha prepotentemente deciso di passare dal ruolo di arbitro a quello di giocatore (o meglio, dal ruolo di garante al ruolo di parte politica).
Un comportamento indubbiamente sorprendente.
Un comportamento che abbiamo cercato di spiegare con la convinzione di Napolitano – manifestata però con modalità improprie - che su un tema delicato si debbano cercare le convergenze più ampie possibili.
Forse ha pesato anche la sua formazione culturale, che lo rende meno sensibile a determinati valori.
Forse hanno pesato le fortissime pressioni – queste non vogliamo chiamarle “ingerenze”? – che venivano dagli ambienti laicisti.
Forse è stato commesso un errore di valutazione, sottovalutando – per i motivi che abbiamo ricordato inizialmente - la determinazione del Governo a procedere su questa materia, e i conseguenti rischi di scontro istituzionale.
Speriamo che questo scontro sia presto disinnescato.
Ma, soprattutto, speriamo che a farne le spese non sia Eluana.
P.S.: Eluana non ce l'ha fatta.
Vedi anche i nostri articoli sul "caso Englaro" come caso giudiziario (con l'analisi delle pronunce di Cassazione e Corte d'Appello di Milano) e caso politico-culturale.
P.P.S.: Napolitano ha poi clamorosamente smentito se stesso - le argomentazioni con cui ha rifiutato di controfirmare il decreto salva-Eluana - allorché ha controfirmato il decreto legge n.207 del 3-12-2012, il cosiddetto "decreto Ilva", adottato dal governo Monti per salvare dalla chiusura - disposta dalla Procura del Tribunale di Taranto - il grande stabilimento siderurgico che dà lavoro a migliaia di lavoratori (ma che ha anche prodotto un grande inquinamento).
Anche qui: avevamo un evidente "singolo caso" all'origine del decreto legge e avevamo la caducazione degli effetti di un provvedimento giurisdizionale (questa volta pensale); elementi che hanno indotto la Procura del Tribunale di Taranto a proporre ricorso per conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale e il giudice del Tribunale a sollevare questione di legittimità costituzionale (ricorso e questione di legittimità rigettati dalla Consulta).