Barack Obama, negli anni del suo mandato come senatore dell’Illinois, si era distinto per le posizioni chiaramente – e senza ambiguità – progressiste; per alcune coraggiose aperture sul tema dei rapporti tra religione e politica; ed anche - qualcuno dice sottovoce - per la spregiudicatezza dell'azione politica.
Nella campagna elettorale per le presidenziali, invece, ha cambiato registro.
Ha scelto di toccare le corde della retorica, di una “nuova era”. Ha valorizzato anche la sua appartenenza etnica come segno di cambiamento. Si è distinto per l’abilità oratoria, per il tono dei suoi discorsi (simili a suadenti prediche religiose), più che per la chiarezza dei contenuti.
È riuscito, insomma, a trasformare l’attesa del cambiamento nell’attesa del Messia.
Ora, ovviamente, devono tornare a parlare i fatti. Ma non sembra che i primi atti tengano fede alla retorica elettorale.
Il suo staff è composto in gran parte di 'clintoniani' (a partire da Hillary), che aveva aspramente criticato durante le primarie del partito democratico. Segno di pragmatismo e di intelligente desiderio di circondarsi di uomini d’esperienza? Forse.
O forse il segno dei primi compromessi con il potere...
Obama ha poi adottato subito un executive order per l’applicazione di un rigoroso codice etico nella scelta dei titolari di incarichi pubblici, al fine garantire trasparenza e assenza di conflitti di interessi.
Però, come candidato a numero due del Pentagono, ha scelto William Lynn, ex lobbista di un’industria di armi (la Raytheon), quindi una delle principali fornitrici del Ministero della Difesa. Per far passare questa candidatura il presidente della Commissione Forze armate del Senato, Carl Levin, ha chiesto un’eccezione al nuovo codice etico...
Infine, i finanziamenti alle organizzazioni abortiste.
Nel commentare la nomina di Obama, avevamo espresso la speranza che non imitasse Clinton, il quale all’atto dell’insediamento approvò per prima cosa un pacchetto di leggi che facilitavano l’aborto. Invece, il riflesso condizionato del politico di sinistra prigioniero delle lobbies liberal ha colpito ancora.
Sono stati ripristinati i finanziamenti pubblici alle organizzazioni non governative che propagandano l’aborto nei Paesi terzi, abrogando la cosiddetta Global Gag Rule che li vietava, adottata da Reagan nel 1984 (durante la Conferenza Onu sulla popolazione di Città del Messico, cosicché è detta anche Mexico City Policy), abrogata da Clinton nel 1993, ripristinata da Bush nel 2001.
Quindi: pessimo segnale agli elettori americani in generale, che all’80% (secondo un sondaggio di questi giorni) chiedono politiche più restrittive sull’aborto (anche se hanno votato Obama sull’onda della crisi finanziaria).
Pessimo segnale agli elettori cristiani in particolare, nonostante le belle parole su un nuovo dialogo tra religione e politica.
Pessimo segnale di decisionismo fuori luogo su un tema così delicato.
Obama ha dichiarato che “nelle prossime settimane la mia amministrazione comincerà una franca conversazione sulla pianificazione familiare, lavorando per trovare aree di un terreno comune in cui fare incontrare al meglio i bisogni delle donne e delle famiglie in America e nel mondo”. Nelle prossime settimane. Intanto, il preludio alla “franca conversazione” è un atto d’imperio.
Pessimo segnale ai Paesi del Terzo Mondo, che avranno buone ragioni a lamentare l’ “imperialismo culturale” americano.
Pessimo segnale alle donne dei Paesi poveri: continuano a non avere cibo, istruzione, cure sanitarie.
Ma su aborto e sterilizzazione, stiano tranquille, l’impegno di un certo Occidente non mancherà.