Abituati agli agi e alla smodata corsa al consumismo che caratterizza la nostra società e la nostra condotta di vita, spesso perdiamo di vista le serie problematiche legate ai beni più elementari e, per così dire, scontati. L’acqua rappresenta infatti la risorsa primaria per garantire la nostra sopravvivenza, ma sovente viene utilizzata in modo improprio, sperperando e ritenendo garantito “in aeternum” l’approvvigionamento di un patrimonio che, in Italia come nel mondo, attraversa una situazione difficile.
Dati alla mano, si evince che la situazione in cui versa il sistema idrico italiano è emblematica di come la teoria possa divergere in modo evidente dalla pratica.
Il nostro Paese, infatti, è tra i più ricchi di risorse idriche; può vantare una disponibilità teorica annua pari a un volume pro-capite di 2.700 metri cubi, e giovarsi di maggiori precipitazioni atmosferiche rispetto alle vicine Francia e Germania.
Risulta esemplificativo confrontare la nostra situazione con i dati della Banca Mondiale relativi ai vicini Paesi che si affacciano sul fronte meridionale del mar Mediterraneo: qui l'acqua disponibile varia dai 1.200 metri cubi pro capite all'anno, fino a valori di appena 200 metri cubi annui (in paesi come la Giordania e la Cisgiordania).
La domanda sorge dunque spontanea: come mai, a fronte di dati del tutto incoraggianti, il nostro sistema idrico “fa acqua da tutte le parti”?
La natura del nostro problema la troviamo già all’interno di questo interrogativo.
Infatti, la considerevole diversità di situazioni climatiche, infrastrutturali, idrologiche e insediative ha portato allo sviluppo di sistemi idrici estremamente differenziati, incapaci di garantire una qualità uniforme, su tutto il territorio nazionale, dei servizi collegati alla distribuzione dell’acqua.
Risultato è proprio l’eccessiva frammentazione: per servire 8 mila comuni ci sono ben 13 mila acquedotti, spesso di piccole dimensioni (in media, ogni acquedotto distribuisce annualmente 600 mila metri cubi) e talvolta costruiti senza adeguate conoscenze tecnico-scientifiche.
Una frammentazione che è certamente tra le cause delle enormi dispersioni della rete di distribuzione idrica, che presenta, in media, perdite del 27 per cento prima di giungere all’utenza; percentuale a cui va poi sommato un altro 5 per cento provocato da inefficienze negli impianti domestici (con un risultato totale che causa l’indisponibilità di acqua per uno o più trimestri all’anno per il 37 per cento della popolazione totale e per ben il 70 per cento della popolazione del Sud).
Si calcola che per rendere efficiente il servizio sull’intero territorio nazionale sarebbe necessario ricostruire o, comunque, effettuare consistenti interventi di manutenzione su oltre un terzo dei 150 mila chilometri di condutture della rete idrica, riducendo il volume delle perdite a valori fisiologici del 10-15 per cento.
Sicuramente questa risulta essere la soluzione più difficile da praticare, causa anche gli enormi investimenti di denaro necessari per attuarla.
Esistono altre vie per affrontare una problematica del genere?
È doveroso evidenziare una questione di assoluta rilevanza: l’Italia ha infatti il più elevato livello di consumo per usi domestici dell'Unione Europea; dei 213 litri consumati ogni giorno, solo tre servono per bere; gli altri finiscono negli scarichi dei servizi igienici (circa il 30 per cento), nella lavatrice (30 per cento), nelle pulizia personale (30 per cento), mentre la percentuale rimanente serve per annaffiare e lavare auto o marciapiedi, ecc.
È singolare che il consumo domestico medio per abitante in Italia risulti assai più elevato di quello di Paesi aventi tenore di vita più alto.
Il clima, mediamente più caldo, e il maggiore afflusso turistico non riescono a giustificare tali dati.
Piuttosto, vanno rilevate da un lato la ridotta propensione al risparmio in questo campo in Italia, frutto di una insufficiente sensibilità maturata nei cosiddetti anni del benessere, e dall’altro le basse tariffe, le più basse di tutti i Paesi occidentali, le quali non incentivano certo un consumo più attento (il prezzo dell’acqua potabile italiana è circa un quinto di quello tedesco, un terzo di quello svedese e meno della metà di quello inglese).
Lo scarso valore monetario del bene è altresì causa di usi improprî (ad esempio l’innaffiamento dei giardini) e di limitato interesse alla manutenzione degli impianti interni e al controllo delle perdite.
Certo che rappresenterebbe un enorme controsenso augurarsi un innalzamento delle tariffe dell’acqua - proprio in un periodo ricco di rincari e di malumori legati all’aumento del costo della vita - per poter garantire una maggior moderazione nel suo utilizzo.
Per affrontare il problema degli sprechi (in una casa tipo italiana) basterebbe adottare semplici comportamenti idrosensibili ed una componentistica volta al risparmio, oltre che una buona dose di senso civico (il quale, purtroppo, dalle nostre parti risulta essere sempre più raro).