L’ultima parola pronunciata dai giudici sulla vicenda di Eluana Englaro è una parola di morte. E’ stato respinto dalle sezioni unite della Cassazione, in quanto dichiarato inammissibile “per difetto di legittimazione all’impugnazione”, il ricorso della procura di Milano contro il decreto della Corte d’Appello che autorizzava a interrompere l’alimentazione e l’idratazione della donna in stato vegetativo da sedici anni, così come chiesto ripetutamente dalla famiglia.
Un vizio di procedura, quindi, rimette ormai inesorabilmente in moto un’altra, terribile procedura: quella che porterà alla morte per fame e per sete Eluana, alla quale sarà staccato il sondino che la nutre e la idrata, così come avvenne negli Stati Uniti per Terri Schiavo.
Nel 2005, quando la Schiavo fu lasciata morire perché suo marito giurava che lei avrebbe preferito così, in molti dicemmo che in Italia, con le nostre regole giuridiche, quella cosa sarebbe stata impossibile. Da ieri non è più vero.
Non è vero perché è stato confermato, attraverso una vicenda giudiziaria della quale ieri è stata scritta la pagina finale, che la volontà di una persona sulla propria vita e la propria morte possa essere desunta da dichiarazioni, ricordi e interpretazioni forniti da terzi (mentre le stesse interpretazioni non valgono per decidere del patrimonio della persona priva di coscienza; la vita è meno importante del denaro? Ndr).
Non è vero perché è stata confermata l’invenzione del testamento biologico presunto, che si accompagna all’invenzione di un altro inesistente “diritto a morire”, e al cosiddetto “accertamento” dell’irreversibilità dello stato vegetativo, quando ormai la comunità scientifica rifiuta di definire irreversibile e permanente una situazione come quella nella quale, in Italia, versano Eluana e altri tremila come lei. Preferisce piuttosto parlare di “persistenza”, senza dedurne l’irreversibilità. E, ammesso che sia irreversibile, lo stato vegetativo non è comunque una malattia che conduce alla morte: è una fortissima disabilità del tutto compatibile con la vita. Eluana vive non grazie ad accanimento terapeutico, ma perché è semplicemente nutrita e dissetata attraverso un sondino.
Il presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Cuccurullo, lo ha detto ieri con chiarezza: “Quando si sospendono idratazione e alimentazione il paziente muore di sete, e non di malattia”. Monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia Pro Vita, parlava ieri, dopo la notizia della sentenza, di “una sconfitta anche per il diritto. Questa sentenza va contro ogni forma di diritto. Il diritto, da quando esiste, difende la vita, non dà la morte. Mi sembra che in questa vicenda ci sia arroganza di interpretazione che esula dalle competenze specifiche dei giudici”, tutto in direzione dell’eutanasia. “E’ la prima volta che una cittadina italiana morirà per una sentenza”, ha detto il sottosegretario al Welfare, Eugenia Roccella. Da qualsiasi parte la si voglia guardare, la storia è proprio questa. A crollare rumorosamente, con l’ultima decisione della Cassazione, è una diga giuridica contro l’eutanasia, e a far detonare la carica di dinamite è stato il giudice civile.
Il giurista Alberto Gambino dice al Foglio che “fino all’ultimo abbiamo sperato che venisse riconosciuto l’evidente interesse pubblico e generale della vicenda di Eluana Englaro, a differenza di quanto sostenuto due giorni fa dal procuratore generale della Cassazione, Domenico Iannelli. Se non è pubblico e generale l’interesse relativo a un bene indisponibile come la vita di una persona, allora quale lo è? L’errore è stato commesso all’inizio. E’ stato quello di aver attribuito a un tutore il potere di mettere fine all’esistenza di una persona, mentre i poteri del tutore riguardano beni disponibili dell’incapace. E la vita non è un bene disponibile”. Ma la vera enormità, prosegue Gambino, “è che Eluana morirà per un problema di inammissibilità del ricorso, quindi un problema di procedura, evidenziato dal sostituto procuratore generale. Il quale, però, aveva anche detto che, nel merito, l’irreversibilità dello stato di Eluana non era stata sufficientemente accertata”.
Anche il grande penalista Giuliano Vassalli, presidente emerito della Corte Costituzionale, laico e libertario, aveva dichiarato al Foglio, in un’intervista di qualche mese fa, di non trovare “né nella decisione della Corte di Cassazione (si riferiva alla prima sentenza del novembre 2007, ndr) né nel decreto esecutivo della Corte civile d’appello di Milano, la base giuridica rispetto al diritto vigente”. Si riferiva allo stesso decreto che è stato ieri definitivamente ripristinato nella sua efficacia. E che, tra l’altro, autorizzandone la sospensione, suggerisce che l’idratazione e dell’alimentazione – solo nel caso di Eluana?– non siano semplici sostegni vitali, ma terapie. E già da ieri sera al Csm è stata formalizzata, e sottoscritta da tutti i gruppi dei togati, la richiesta di un intervento a tutela dei giudici della Cassazione che si sono pronunciati sul caso Englaro, “per difendere gli alti giudici dagli attacchi che si sono levati soprattutto dalla politica”.
Pubblicato su Il Foglio (le evidenziazioni in grassetto sono nostre).
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Lo speciale su Eluana Englaro di Avvenire