la "bolla" immobiliare è... scoppiata
Si parla da fine 2007 di “crisi finanziaria mondiale”, originata dalla “bolla immobiliare” e dalla “crisi dei mutui subprime americani”. Che non si tratti di un fenomeno lontano, di scarso interesse per noi comuni “mortali”, abbiamo cominciato a percepirlo quando abbiamo visto in pericolo la solidità delle banche e, quindi, dei nostri risparmi.
Ma non è finita qui. Se gli interventi dei Governi sembrano – si spera – aver contenuto la crisi della finanza privata, scongiurando il rischio di fallimenti a catena degli istituti bancarî, ora la preoccupazione è rivolta alle sue conseguenze: la crisi della finanza pubblica (soprattutto in Europa) e quella dell’economia "reale", con la recessione (che ha provocato crollo dei redditi, dei consumi, disoccupazione).
Per capire la crisi nei suoi termini essenziali, forse, non è necessario essere economisti.
Chiariamo innanzitutto il significato dei termini “finanza” ed “economia”.
Con il termine finanza si individua, generalmente, l’attività per il reperimento dei mezzi (patrimonio, reddito, credito) necessarî all'esercizio di un’attività economica.
Con il termine economia si intende il complesso delle attività e dei rapporti legati alla produzione, alla distribuzione e al consumo di beni e servizî.
Insomma: l’ambito della finanza è quello in cui viene commercializzato il denaro stesso (con mutui, obbligazioni, azioni); l’ambito dell’economia c.d. "reale" è quello in cui il denaro (ottenuto anche grazie all’attività finanziaria) è impiegato per produrre o consumare i beni e i servizî (prestazioni sanitarie, trasporti, consulenze professionali, assicurazioni, ecc.) necessarî alla vita quotidiana.
La finanza, dunque, è strettamente legata all’economia.
Attingono alle risorse finanziarie le imprese, per trovare i capitali necessarî agli investimenti e alla produzione.
Attingono a risorse finanziarie i normali cittadini, quando hanno bisogno di un prestito o di un mutuo, quando stipulano un’assicurazione per coprire un rischio, quando vogliono investire i proprî risparmi.
Com’è nata la crisi finanziaria mondiale che stiamo vivendo?
Tutto ha avuto origine dalla crisi dei mutui subprime americani. I prestiti “subprime” sono prestiti concessi a soggetti con scarse garanzie di solvibilità, quindi con tassi più alti di quelli di mercato.
Per il soggetto creditore (la banca, la società finanziaria) sono prestiti più redditizî, ma anche più rischiosi, poiché si rischia di non vedersi restituita la somma erogata. Peraltro, questi mutui venivano concessi per un importo pari al 100% del valore dell'immobile, senza pretendere anticipi.
Per il soggetto debitore crescono sia i costi sia i rischi: si tratta infatti di un soggetto che avrebbe già difficoltà a sostenere le rate di un prestito accessibile, e in questi casi rischia di perdere il bene dato in garanzia (dopo aver sostenuto notevoli esborsi per pagare gli interessi sul debito).
I prestiti ad alto rischio sono stati concessi per l’acquisto di beni durevoli (le case, soprattutto), su cui l’istituto finanziario che erogava il mutuo contava per potersi rifare in caso di insolvenza, compensando così il rischio legato alla scarsa solvibilità del debitore. Sembrava la ricetta di un guadagno facile. Ma...
Il problema è che la facilità dell’acceso al credito ha aumentato notevolmente la richiesta di immobili, e fatto salire spaventosamente i prezzi. A questo aumento ha contribuito l'afflusso di capitali speculativi (non solo famiglie povere in cerca della prima casa, dunque) che hanno visto nel settore immobiliare quello che offriva i maggiori profitti. Il livello dei prezzi immobiliari è così diventato artificiosamente alto: un "bolla" immobiliare, appunto, destinata a scoppiare.
Quando sono iniziate le insolvenze per i mutui subprime, e sono state riversate sul mercato le case pignorate, i prezzi hanno iniziato a scendere. Il calo è stato accelerato dalla fuga dei capitali. E le banche si sono ritrovate con una “garanzia” che valeva ormai la metà della somma erogata...
Inoltre, le “sofferenze” bancarie sono accresciute dal fatto che gli immobili erano la garanzia anche dei prestiti al consumo (come nel '29 lo erano i guadagni azionarî). Il prossimo tassello del domino che potrebbe cadere è quello delle carte di credito, per le quali stanno crescendo le insolvenze.
Questa crisi di liquidità delle banche erogatrici dei mutui immobiliari si è riversata su tutti i loro creditori (i risparmiatori). Ma anche su coloro che avevano acquistato obbligazioni “strutturate” (composte anche da crediti immobiliarî): le altre banche, e – ancora – obbligazionisti e risparmiatorî.
Descritta sommariamente la genesi immediata della crisi attuale, l’analisi delle cause profonde e delle responsabilità potrebbe essere molto lunga:
i capitali generati dalle “bolle” speculative precedenti, che si sono riversati sul mercato immobiliare (e che adesso si riverseranno su qualche nuovo mercato: quello delle “tecnologie ecologiche”?);
l’
invecchiamento della popolazione, che ha generato masse ingenti di risparmi da investire in prodotti a rischio, in assenza di opportunità produttive sufficientemente redditizie per garantire le pensioni desiderate;
il disavanzo commerciale dei Paesi occidentali, e in particolare negli USA, rispetto a Cina e Paesi produttori di materie prime; squilibrio che ha creato una separazione geopolitica tra investitori-consumatori (da una parte) e risparmiatori-finanziatori (dall’altra), e un conseguente tentativo dei Paesi occidentali di recuperare almeno parzialmente la titolarità dei proprî beni produttivi (svalutando le quote possedute da Paesi esteri);
la mancanza di regole precise in merito alle attività finanziarie, che ha generato scarsa trasparenza dei prodotti finanziarî (c.d. "strutturati"), superficialità delle valutazioni fornite dalle agenzie di rating (quelle che certificano l’affidabilità delle società);
la
cultura del debito che ha permeato l’azione degli Stati, degli operatori finanziarî, ma anche dei comuni cittadini;
gli strumenti finanziarî e le politiche economiche legati alla cultura del debito, come l’eccesso di “leva finanziaria” concesso agli operatori (nei c.d. prodotti "derivati"), o una politica dei tassi d’interesse – soprattutto americani - troppo bassi, quindi capaci di stimolare l’indebitamento;
l’ingordigia degli operatori finanziarî (che hanno guardato solo agli utili immediati), il venir meno della responsabilità nell'azione finanziaria ed economica, una più generale
crisi morale in queste attività.
L’intervento degli Stati per evitare i fallimenti bancarî costituisce una ricetta facile e indolore? No di certo. La “liquidità” fornita alle banche per far fronte ai debiti ed evitare il fallimento è una liquidità finanziata – quando non vengono definiti rigorosamente i suoi termini - con... maggiori imposte. Per cui, se si salva il cittadino risparmiatore, ci rimette il cittadino-contribuente.
Inoltre, questa crisi finanziaria ha avuto inevitabili ripercussioni sulla cosiddetta “economia reale”.
Più tasse, innanzitutto, significa freno allo sviluppo.
Nella politica del credito delle banche, inoltre, il contraccolpo di un’eccessiva disinvoltura nel dare prestiti è stato quello di condizionare l’erogazione di nuovi a criterî eccessivamente restrittivi. Negare il credito alle imprese, però, significa frenare gli investimenti, e avvitare definitivamente l’economia in una spirale recessiva: meno investimenti, meno produzione, meno reddito, meno occupazione, meno consumi, ancora meno produzione...
La speranza è che la crisi economica sia una semplice – per quanto amara - recessione, e non una drammatica depressione; la speranza è che non si ripeta l’esperienza di ottant’anni fa, quando alla crisi finanziaria del ’29 seguì la Grande Depressione che si protrasse per tutti gli anni Trenta.
La soluzione a fenomeni così complessi non risiede mai in una ricetta semplicistica. Ma confidiamo almeno che questa crisi si riveli per certi versi salutare, facendo pulizia dei cattivi comportamenti; e che l’esperienza del passato aiuti ad applicare le ricette adeguate.
Servono senz’altro nuove regole. Non per ingessare la libera iniziativa economica e finanziaria, ma per garantire la trasparenza e il corretto funzionamento dei mercati.
Servono – soprattutto in Italia - riforme del sistema produttivo, per renderlo capace di reagire alla crisi, ed evitare che alle cause esterne si sommino cause interne.
Serve infine una rivoluzione culturale, che - senza disconoscere l’importanza dell’attività finanziaria nel fornire capitali per lo sviluppo – superi la cultura del debito e ritrovi il primato del lavoro (anche imprenditoriale, ovviamente) nella produzione della ricchezza.