Sei milioni di morti. Un numero che ci hanno insegnato ad associare all’olocausto. Sei milioni di persone rischiano di spegnersi nell’impressionante breve periodo di un paio di mesi in Etiopia a causa di una grave carestia. La disperata richiesta di aiuto è giunta schiacciata in pochi secondi o poche righe su quelle emittenti o organi di stampa che hanno deciso sciaguratamente di riportare una notizia così fastidiosa, rischiando di sottrarre spazio alle notizie sugli ultimi veleni del campionato o sui milioni di dollari per i quali è stato assicurato questo mese il sedere di Jennifer Lopez. C’è una renitenza diabolica nel non voler prendere in seria considerazione questo banale (non c’è aggettivo che qualifichi meglio il male e la sua manifestazione nella psiche umana) fatto.
Volendo continuare schematicamente il parallelo con la vicenda tedesca del secolo scorso, si può notare come buona parte delle risposte che Hitler dava alle angosce di una Germania sconfitta e provata dalla crisi del ’29 erano di natura populista. In Italia abbiamo un termine più bello: qualunquismo. Il termine deriva dal partito di Guglielmo Giannini, L’Uomo qualunque, che alle elezioni del 1946 per la costituente ottenne il 5,3 per cento dei voti. Tale pensiero si basa sulla convinzione di una classe politica corrotta contrapposta al popolo puro e sfruttato. I leitmotiv sono le tasse troppo alte e qualsiasi altra situazione nella quale il singolo in modo evidente deve dare qualcosa alla res publica. La vera politica necessita di misure e ponderazioni, di calcoli; e però la tendenziale avversione del popolo alla misura astratta porta alla sostanza del populismo: il suo legame con la materia, con la materialità dell’esistenza nella sua forma più elementare.
Nel mondo, il movimento antropologico politico che si fa portavoce di questa “conversione” alla materia, di questa riscoperta del “corporeo” che è anche conversione alla propria storia e passato è chiamato primordialismo. Esso è andato affermandosi di pari passo con le tendenze globalizzanti. Quest’atteggiamento ha indebolito la credibilità, anche dal punto di vista scientifico, di proposte “universali” (basti pensare al recente imporsi di partiti nazionalisti che frenano sul futuro transnazionale europeo), e ha rafforzato il movimento delle diverse culture verso il recupero della propria storia, reale o immaginata, verso la propria primordialità. Hitler, come è noto, radicalizzò - stravolgendole anche - alcune di queste posizioni; ma è innegabile che abbia attecchito sul fertile terreno dell’incertezza di quella Germania.
Ci si fida solo di ciò che “mi è vicino” che “capisco subito”. L’utopia populista presume una coincidenza tra la volontà generale e la volontà di ciascuno, una società dove si farebbe contenti tutti senza scelte laceranti. “La politica non mi rompa le scatole!” diceva Giannini. La politica che rompe è quella che obbliga a scelte dolorose, talvolta eroiche. Ed invece: “Risolviamo prima i nostri problemi”;“I poveri li abbiamo anche qui”; più o meno questo l’approccio che si ha al problema del Terzo mondo, chiuderci in casa nostra, lamentarci degli stranieri, e cercare una politica che assecondi queste nostre tendenze. I problemi di popolazioni lontane da noi sono i problemi di tutti gli uomini, la grave inerzia nel risolverli è la principale causa di instabilità e di tensione attuali. Preoccuparci solo di migliorare il nostro livello di benessere è attività limitante, immorale, frustrante, senza fine.
“Più che far aumentare il piacere, lo Stato diminuisca la sofferenza” osservava Russell. L’olocausto fu una strage nascosta alla quasi totalità della popolazione tedesca; quale sarà il giudizio della storia sulle nostre generazioni che hanno permesso e che permettono da anni la morte per fame - e deve far rabbrividire la banale causa di morte, più banale sicuramente dei percorsi nevrotico-xenofobi dell’ex imbianchino -, tenendo soprattutto conto della natura manifesta di questo fenomeno (uno sterminio del quale abbiamo le immagini in diretta)?
Ci siamo ripromessi che una simile tragedia non doveva più ripetersi, ci siamo detti convinti di aver imparato a valutare tutti gli uomini portatori di uguali diritti; ma poi di fatto esiste un’umanità di serie C che non arriva alla dignità delle bestie domestiche. “Anche i vostri cani mangiano meglio di noi”, il commento (riportato dal Padre Generale dell’Ordine dei Caracciolini) di un seminarista congolese in Italia, sarcastico dopo aver visto in TV la pubblicità del cibo per cani. Come si può essere contro la fame nel mondo e poi avversare programmi politici a lungo termine perché non ci assicurano un tornaconto immediato, perché ci chiedono sacrifici?
Troppo spesso la classe politica si piega ad assecondare traguardi minimi per paura di rendersi impopolare. Tacitiamo le coscienze con esilaranti aiuti economici che il più delle volte foraggiano le casse del dittatore di turno, quando lo sforzo può e deve essere solo politico, per una globalizzazione della democrazia, dell’istruzione e dello sviluppo economico: la più difficile, la sola con un futuro. Il nostro istinto di conservazione dell’opulenza sta uccidendo esseri umani. Scriveva Carmelo Bene: “Fratellanza – Governo – Solidarietà – Tolleranza – Pacifismo – ecc.! Mai nessun altro tempo fu, come questo, così paradossalmente etico! E perciò risibilmente amorale!”