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Economia - Notizie e Commenti
Robin Hood Tax: togliere ai ricchi per dare ai poveri... e di nuovo ai ricchi? Stampa E-mail
Il rischio della "traslazione" dell’imposta, la necessità di maggiore concorrenza
      Scritto da Giovanni Martino
14/07/08

tremonti_robinhood.jpgTra i provvedimenti economici e fiscali approvati nella fase iniziale di attività, ce n’è uno su cui il Governo sembra puntare molto in termini di “immagine”, tanto che il ministro Tremonti ha pensato di battezzarlo con un nome che avesse un certo impatto sull’opinione pubblica: si tratta della “Robin Hood Tax”, cioè della tassa (o meglio: dell’imposta, un'addizionale Ires) con cui si vuol togliere ai “ricchi” (i petrolieri) per dare ai “poveri” (un fondo in favore dei più disagiati per l’acquisto di generi alimentari e il pagamento delle bollette).

In particolare, questa nuova imposta – contenuta nel decreto legge 112/2008 - è un’una tantum (un’imposta applicata una sola volta) che colpisce le aziende impegnate nella produzione e commercializzazione di idrocarburi ed energia elettrica. A quest’imposta si accompagna una serie di altri provvedimenti che vogliono accrescere stabilmente (aumentando la “base imponibile”) il carico fiscale su queste aziende ed anche su banche e assicurazioni.

In effetti, questi settori sono tra i pochi che hanno superato indenni la crisi economica degli ultimi anni, realizzando anzi un considerevole incremento dei profitti. Appare giusto, quindi, chiedere proprio ad essi un sacrificio.

La scelta adottata – aumentare le imposte – potrebbe apparire la più logica. Ma non è detto che sia così, a causa di un fenomeno che si chiama “traslazione” dell’imposta, e che consente alle imprese colpite di “scaricarne” il costo sui consumatori.

Infatti, se si aumentano tasse o imposte al lavoratore dipendente, questi non ha che un’unica scelta: pagare. Se invece si aumenta il carico fiscale su un soggetto che ha il potere di determinare il prezzo dei beni (produttore, commerciante), questi può aumentare in proporzione il prezzo di vendita dei beni: il suo profitto rimarrà invariato, mentre il costo dell’imposta sarà sostenuto – pagando un prezzo maggiorato – dall’acquirente finale del bene.

Di questo fenomeno è ben consapevole il legislatore, che nello stesso decreto (art. 81, comma 17) prescrive: “E' fatto divieto agli operatori economici dei settori richiamati al comma 16 di traslare l'onere della maggiorazione d'imposta sui prezzi al consumo. L'Autorità per l'energia elettrica e il gas vigila sulla puntuale osservanza della disposizione di cui al precedente periodo”. (Un controllo simile non è previsto per banche e assicurazioni, ma dovrebbe in ogni caso spettare all’Autorità garante della concorrenza e del mercato).

Ebbene, questa norma appare una “grida” manzoniana. Conosciamo tutti l’efficacia degli attuali provvedimenti delle nostre “Autorità”: le società petrolifere sono anni che fanno cartello tra loro, tenendo i prezzi (anche al netto delle tasse) artificiosamente più alti che nel resto d’Europa. Ugualmente, le banche se ne infischiano delle leggi sulla portabilità del mutuo. E le compagnie di telefonia mobile hanno risposto al decreto Bersani, che aboliva il costo fisso sulle schede ricaricabili, aumentando i piani tariffarî.

Morale? Il fenomeno della traslazione dell’imposta, e più in generale degli accordi di cartello, si può evitare solo in un regime di vera concorrenza.

Un operatore economico ha interesse a tenere i prezzi bassi se sa che può conquistare in tal modo nuove fette di mercato (o rischiare di perderne se mantiene i prezzi alti); e questo può accadere solo quando gli operatori sono sufficientemente numerosi (così che non siano possibili accordi), possano determinare liberamente i prezzi, siano obbligati a politiche contrattuali trasparenti verso i consumatori, nessuno di essi sia in posizione dominante.
Altrimenti, si crea quella che gli economisti definiscono “rendita del monopolista” (extraprofitto che non costituisce remunerazione degli investimenti e del rischio, e distorce la corretta allocazione delle risorse).

L’Italia è uno dei Paesi al mondo dove esistono maggiori ostacoli alla concorrenza.
Solo per restare al settore energetico, servirebbero più impianti di raffinazione, gestiti da società diverse da quelle petrolifere; servirebbero impianti di distribuzione gestiti da distributori indipendenti (ce ne sono già alcuni) o dalla grande distribuzione (però poi i benzinai scioperano...). In mancanza di ciò, le compagnie “trasleranno” l’imposta aumentando i prezzi; l'Autorità per l'energia elettrica e il gas farà una piccola multa, che sarà a sua volta “traslata” sotto le mentite spoglie di “costi produttivi e distributivi”...

Le nostre preoccupazioni sull’efficacia della Robin Tax sono eccessive? Ci rifugiamo nelle teorie economiche sulla concorrenza per coprire una critica preconcetta?
Beh, non deve essere così, se la stessa Autorità per l'energia elettrica e il gas ha adottato una delibera che impone una serie di adempimenti contabili alle società tassate, nella speranza di evitare la temuta traslazione. L’Autorità mette le mani avanti sull’efficacia della propria azione, riconoscendo che “i settori oggetto di vigilanza, pur essendo liberalizzati, non sono ancora caratterizzati da livelli di concorrenza tali da incidere adeguatamente sulla possibilità di traslare sui prezzi al consumo l'onere della maggiorazione d'imposta” (!). Una settimana dopo questa delibera, i vertici dell'Autorità sono stati 'epurati' dal Governo...

Le preoccupazioni nostre e dell’Autorità per l'energia elettrica e il gas sono state espresse anche dal Governatore della Banca d'Italia, Draghi. Ed erano maturate anche nel... Governo. Infatti, poiché il decreto legge doveva essere convertito in legge ordinaria, il presidente della Commissione Finanze di Montecitorio Gianfranco Conte aveva affermato che “il Governo è orientato a abolire la Robin Tax”; per poi correggersi, spiegando che l’abolizione era un’opzione, come anche eventuali “aggiustamenti tecnici” (evidentemente si è creato un dibattito interno al Governo, in cui Tremonti ha tenuto il punto e l'ha spuntata).

Intendiamoci: l’idea di queste nuove imposte costituisce un segnale politico importante - nella direzione di uno spostamento del carico fiscale - che va accolto positivamente. Però siamo ancora nel campo dei “segnali”, conditi da quel po’ di demagogia (il richiamo a Robin Hood) che ci saremmo aspettati piuttosto dalla sinistra...

Perché si passi dalle buone intenzioni (effimere) ai fatti (stabili), c’è bisogno di vere “liberalizzazioni” (non di quelle finte varate dal governo Prodi), che colpiscano rendite di posizione settoriali a vantaggio della collettività.


P.S.: C.V.D. (come volevasi dimostrare): nella Relazione al Parlamento del 24 gennaio 2013, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha evidenziato per gli anni 2009 e 2010 che la traslazione c'è stata, e per un ammontare di circa 7,8 miliardi di euro, a fronte di un ammontare del gettito dell'imposta pari 1,267 miliardi! La Robin Hood tax ha tolto ai poveri per dare ai ricchi...



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