Il potere d’acquisto dei salari è precipitato; l'inflazione sale sempre di più; la pressione fiscale (anche con la boccata d’ossigeno dell’abolizione dell’ICI, per quanti ne hanno usufruito) resta insostenibile; le famiglie con figli sono alle soglie della povertà; lo sviluppo si è arrestato; la disoccupazione è tornata a salire… I problemi di un Italia alla deriva per anni, senza una guida politica coraggiosa, vengono al pettine.
Tra le emergenze nazionali non secondaria, certamente, è quella del conflitto tra una parte della magistratura e il ceto politico. Un conflitto che, anzi, ha condizionato proprio la capacità della politica di risolvere le altre emergenze che stanno a cuore agli Italiani. Ciò detto, non è ammissibile fare di una sola questione lo snodo centrale e paralizzante della vita pubblica. Soprattutto se tale questione è affrontata in maniera parziale e inefficace, come col ventilato provvedimento “sospendi-processi”…
Gli schieramenti in campo
Quali sono i termini della “questione giustizia”, dunque? Su questo tema si sono creati due partiti contrapposti, sordi alle reciproche ragioni.
Da una parte si schierano quanti sostengono che i problemi dell’Italia nascono dalla disonestà di alcuni politici (di un certo colore), o di tutti i politici; per cui, viva i magistrati che – con qualsiasi mezzo – si impegnino a condannare, o quantomeno a screditare, questi politici.
A questo schieramento – il “partito giustizialista” - appartenevano tradizionalmente gli ambienti della destra estrema, che reclamavano... “in galera!”. Il "dipietrismo", per certi versi, ne è l'edizione aggiornata.
Negli ultimi quindici anni, peraltro, la saldatura con alcuni ambienti della magistratura militante (e gli indubbi vantaggi ottenuti con l’eliminazione per via giudiziaria di DC e PSI, nonché con la pressione giudiziaria su Berlusconi) ha creato nella sinistra un vasto - e opportunistico - consenso con la linea giustizialista.
Dall’altra parte si schierano quanti ritengono che la politica è decisa democraticamente dai cittadini, mediante l’elezione dei loro rappresentanti. E che non dovrebbero esistere magistrati i quali, anziché esser soggetti alla legge, vogliono far politica sostituendosi ai cittadini e mettendo sotto scacco i politici che quei cittadini rappresentano. Questi giudici sarebbero soprattutto di sinistra, e vorrebbero avvantaggiare quella parte politica.
Questo schieramento – il “partito del primato della politica” – è guidato senza dubbio, in questo momento, da Silvio Berlusconi.
Dopo quindici anni di scontri che hanno paralizzato il sistema politico italiano, creando guelfi e ghibellini arroccati sulle loro posizioni (e che godono delle conseguenti rendite di potere…), comincia timidamente ad alzarsi qualche voce che cerca di distinguere torti e ragioni di entrambi gli schieramenti. Un terzo partito, del primato della politica onesta e trasparente, al quale vorremmo sommessamente iscriverci.
L'azione di "supplenza" svolta in Italia dalla magistratura
Perché, diciamolo francamente: la giustizia politicizzata è stata (e in parte ancora è) una realtà. Di fronte alla debolezza di un potere politico screditato, c'è stata la tentazione di una parte della magistratura di svolgere un'indebita azione di supplenza.
La pretestuosità e la tendenziosità politica di molti attacchi a politici della Prima Repubblica, soprattutto democristiani, risultati infine innocenti, è stata dimostrata da Carlo Giovanardi con il suo fondamentale Storie di ordinaria ingiustizia. Attacchi condotti da pubblici ministeri (i magistrati accusatori) più che da giudici, tant'è che l'esito finale dei processi era quasi sempre ben diverso dal castello di accuse dato in pasto alla stampa.
Non che la corruzione non esistesse (esiste ancora): ma per molti magistrati la corruzione era stata solo un pretesto per una rivoluzione politica che doveva avvantaggiare gli eredi del PCI, sulle cui collusioni con finanziamenti illeciti (in parte emerse successivamente) si sorvolava arbitrariamente. Già negli anni Settanta, del resto, alcuni esponenti di Magistratura Democratica (la corrente togata di sinistra) teorizzavano il cosiddetto "uso alternativo del diritto", cioè la pratica di una magistratura che non si limitasse ad applicare la legge, ma ne fornisse un'interpretazione ideologica, creando nuovo diritto (diritto "libero", ovvero - ovviamente - "rivoluzionario"). L’ispirazione marcatamente ideologica di certi magistrati è stata confessata coraggiosamente da uno di loro, Francesco Misiani, nel suo La toga rossa. Anche le saldature di certi magistrati con ambienti politici affini erano ben note.
Si tratta di un uso della giustizia inaccettabile, tipicamente giacobino e leninista, che da una parte si fonda sul moralismo, dall’altra cerca di aggirare la pochezza delle proprie argomentazioni politiche screditando l’avversario sul piano personale.
Questo uso strumentale della giustizia si è però ritorto contro quella stessa parte politica che se ne voleva avvantaggiare: oggi si è creata una corrente ancora più estrema (Grillo, Santoro, Travaglio, gli ambienti “girotondini” e di Micromega, ecc.), che vuole perseguire una “palingenesi” giudiziaria anche a danno della sinistra istituzionale. C’è sempre un “puro ancora più puro che ti epura”, un Saint-Just ancora più implacabile…
Non dimentichiamo che il detonatore della caduta del Governo Prodi – già debole per le sue divisioni interne – è stato giudiziario, allorché contro Mastella è stato rivolto un attacco rivelatosi privo di fondamento, e lo stesso Mastella non ha avuto dalla sua maggioranza la solidarietà richiesta (si dice che quella solidarietà sia stata negata nella speranza – rivelatasi vana – di indurlo a non far cadere il Governo, accettando il referendum elettorale ammazza-partiti piccoli, sotto la spada di Damocle di elezioni anticipate da condurre con la gogna giudiziaria…).
Va riconosciuto, dunque, che le denunce verso la parzialità di alcuni (sottolineiamo alcuni) magistrati non sono infondate. Come non è un caso che i guai di Berlusconi con la giustizia sono iniziati proprio quando annunciò la sua “discesa in campo” politica.
Ma ciò detto, dobbiamo pensare che sia possibile garantire alla classe politica – o ad alcuni esponenti di essa – una tutela assoluta?
L'equilibrio tra i poteri
E’ vero che i politici sono eletti dal popolo. Ma è anche vero che il giudizio del popolo può cambiare se scopre altarini poco eleganti dei suoi rappresentanti…
E' vero che il potere appartiene al popolo sovrano, che lo esercita mediante i suoi rappresentanti eletti; e che la magistratura, costituzionalmente, è un "ordine", non un potere. Ma è anche vero che, in uno Stato di diritto, il potere del Parlamento non è assoluto (e men che mai quello del Governo), ma regolato all'interno di una serie di contrappesi costituzionali. I rappresentanti del popolo sono soggetti alla legge, altrimenti, torneremmo al princeps legibus solutus...
Insomma: la democrazia si fonda sull'investitura popolare ma non si esaurisce in essa. Non è ammissibile né l'idea di dare un colore politico ai poteri pubblici, né quella di sottrarre alcuni poteri ai controlli costituzionali .
Se l'equilibrio dei "poteri" (secondo l'impostazione montesquiviana) è stato rotto a favore della magistratura, dobbiamo ripristinarlo mediante una serie di riforme (alcune ingiustamente osteggiate dalla corporazione dei magistrati): separazione delle carriere (inquirente e giudicante) dei magistrati, innanzitutto; potenziamento della macchina giudiziaria (più lavoro dei magistrati, collegamento delle banche dati informatiche, effettività della pena) per rendere concretamente realizzabile l'obbligatorietà dell'azione penale, oggi affidata all'arbitrio delle singole procure (ma abolirla è rimedio peggiore del male); riforma dei meccanismi elettivi del Consiglio Superiore della Magistratura, per evitare che sia espressione di logiche correntizie (e quindi politiche).
Non bisogna però cedere alla tentazione di spostare l'equilibrio in senso opposto. Negli ultimi anni, infatti, molti esponenti della classe politica (e dell’intera classe dirigente italiana) si sono difesi dall’aggressione della magistratura senza dare risposte alle richieste di onestà e di trasparenza che venivano dai cittadini. La tutela della volontà democratica, dunque, non può significare impunità per una classe dirigente che - in tutti gli schieramenti - si sottrae sempre di più al giudizio degli elettori: abolendo le preferenze alle elezioni, creando un bipolarismo radicale che induce a scegliere il “meno peggio”.
I provvedimenti del nuovo Governo Berlusconi
Tornando all’attualità, se è vero che Berlusconi ha subìto una “persecuzione” giudiziaria che voleva ostacolarne l’azione politica, è anche vero che non può pretendere di essere al di sopra di ogni sospetto. Soprattutto, le sue legittime preoccupazioni personali non possono ostacolare l’azione del Governo.
Già la legislatura 2001-2006 fu un susseguirsi di leggine ad personam, che volevano essere a favore del Cavaliere o di Previti. In gran parte neutralizzate dall’opposizione parlamentare (o anche interna alla maggioranza: UDC); ma che ottennero il risultato di ritardare gravemente una riforma complessiva della giustizia, capace di risolvere tutti i gravi problemi del settore (lunghezza dei processi, impunità per molti reati), tra cui anche quello delle collusioni politiche. La – positiva - riforma Castelli arrivò al traguardo poco prima delle elezioni: troppo tardi per entrare in vigore, cosicché fu bloccata dal successivo Governo Prodi.
Stesso impatto negativo ha avuto l’indulto (accettato dalla sinistra per coprire alcuni suoi uomini che cominciavano ad essere coinvolti negli scandali finanziari).
I problemi della giustizia vanno risolti con una riforma complessiva - nella direzione sopra ricordata - che deve essere discussa subito, senza queste lungaggini.
Intendiamoci: i più fieri oppositori di questa riforma si trovano a sinistra. O perché qualcuno coltiva ancora illusioni di collateralismo con la magistratura; o perché si temono ritorsioni (e quindi abbiamo una politica sotto ricatto); o perché l'arma giudiziaria contro Berlusconi sembra l'unica risorsa di una sinistra priva di idee.
Ormai, però, le accuse dei magistrati si prestano facilmente ad essere tacciate come "politiche" (anche quando magari non lo sono), e quindi screditate presso molti cittadini. Anche una sinistra che avesse un vero progetto politico avrebbe tutto l'interesse a sgombrare il campo da questi equivoci.
Detto delle responsabilità attuali della sinistra, Berlusconi e il centrodestra non devono - a nostro avviso - cedere alla tentazione di intraprendere scorciatoie pericolose.
La norma “sospendi-processi” sembrerebbe una di queste. Non è ad personam in senso stretto, nel senso che non è pensata per un singolo processo; ma lo è perché coinvolge – negativamente – tanti processi penali (tutti quelli riferiti a fatti accaduti prima del 30 giugno 2002 per delitti punibili nel massimo della pena con meno di dieci anni di reclusione) al fine di stopparne uno che sta a cuore a Berlusconi (la presunta corruzione del testimone Mills), e dar tempo di approvare le norme a tutela delle alte cariche istituzionali.
Diciamolo chiaramente: sospendere alcuni processi, al di là dei profili di incostituzionalità, è una fesseria. Si prolunga l’impunità dei colpevoli di alcuni reati, che non si capisce perché debbano essere definiti “meno gravi” (non era proprio il centro-destra a criticare la sottovalutazione della “microcriminalità” fatta tradizionalmente dalla sinistra?). Se invece gli imputati sono innocenti, se ne allontana la riabilitazione sociale. Si stoppano proprio i processi più vecchi (perché vi rientra quello che interessa Berlusconi), che avrebbero più urgenza di essere conclusi…
Invece, la norma che vorrebbe sospendere i procedimenti contro le più alte cariche istituzionali, il cosiddetto "lodo Alfano" (variante del precedente “lodo Schifani” che fu bocciato dalla Corte Costituzionale), è più diretta e – proprio per questo – più sensata. Si dia a Berlusconi – eletto dagli Italiani - la possibilità di governare senza grancassa giudiziaria.
Ma questa “protezione” non sia trasferibile da un mandato all’altro, in coerenza con quanto abbiamo detto poc'anzi sul fatto che la democrazia non si esaurisce nell'investitura popolare.
In concreto: per Berlusconi (o per chi gli succederà nella sua carica) l'immunità duri solo lo spazio del suo mandato come Presidente del Consiglio, e non quello del suo eventuale successivo settennato come Presidente della Repubblica.
Infatti, è interesse generale che il Berlusconi capo del Governo possa realizzare la sua politica in rappresentanza di chi lo ha eletto, per tentare di risolvere i problemi del Paese. Ma un Berlusconi presidente della Repubblica non sarebbe eletto dai cittadini per realizzare una linea politica, ma dal Parlamento come garante delle istituzioni. Per tale ruolo, non si giustifica un’immunità vita natural durante…
P.S.: il 23 luglio, in sede di conversione in legge del decreto sicurezza, la norma "sospendi-processi" è stata sostanzialmente modificata: rendendo la sospensione solo discrezionale, ampliandola ai reati commessi fino al 2 maggio 2006, offrendo anche all'imputato la possibilità di non avvalersene. Tutto bene, dunque?
Il fatto è che il Governo ha verificato la possibilità di accelerare l'approvazione del "lodo Alfano": cosicché la norma "sospendi-processi", ai fini dello stop al processo Mills, è divenuta inutile... C.V.D.
P.P.S.: il 7 ottobre 2009 la Corte Costituzionale dichiara l'illegittimità del "lodo Alfano", asserendo che per introdurre le immunità in esso previste sarebbe necessaria una legge costituzionale.
La maggioranza approva allora nel febbraio 2010 una diversa forma di tutela processuale, il "legittimo impedimento", il quale consente che il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri possano invocare l'impossibilità a comparire in un'udienza penale, qualora imputati, in caso di concomitante esercizio di impegni di Governo.
Tale norma è stata giudicata legittima dalla Corte Costituzionale nel gennaio 2011, con una sentenza interpretativa che ne ha però ridotto l'applicazione, demandano in sostanza al giudice la responsabilità di valutare la fondatezza dell'impedimento invocato.