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America
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Alla scoperta degli Stati Uniti, come sono e come ci vengono raccontati
      Scritto da Domenico Martino
16/11/04
Ultimo Aggiornamento: 06/05/10

Che idea abbiamo degli Stati Uniti d’America?

Un’immagine diffusa, un po’ stereotipata, è quella del Paese dei cowboy e dei giustizieri della notte; il Paese delle metropoli illuminate e avvolte nella pubblicità, attraversate da automobili enormi, popolate da ricchi manager e poveri senzatetto; il Paese del denaro e delle multinazionali.

L’americano medio è visto spesso come una persona ossessionata dalla ricerca del guadagno e del successo, piuttosto rozza e ignorante, un po’ ingenua, dai modi spicci e a volte violenti. Per non parlare delle critiche più sprezzanti, anche sociali e politiche, cui fa ricorso l'antiamericanismo. A questo modello di americano farebbe da contraltare l’europeo medio: colto, raffinato, abituato alla buona tavola, sensibile ai temi sociali. Ritratti azzeccati o luoghi comuni?

Innanzitutto, bisogna avere sempre l’accortezza di non generalizzare: le società occidentali (sia in Europa, sia in America) hanno una forte identità comune, ma sono anche il luogo dove è nato il pluralismo filosofico, politico, sociale. Sono società ricche di sfumature, dove nessun uomo può essere racchiuso in uno schema. Se guardiamo i partecipanti a una nostra riunione di condominio, probabilmente non riconosciamo il ritratto dell’europeo colto e raffinato! A maggior ragione ciò vale per gli Stati Uniti, i quali più che una nazione sono un continente.

Hanno gusti differenti (e amano anche “beccarsi”) i gentlemen della East Coast, vicini ancora alla severa tradizione inglese, e gli esuberanti Californiani, amanti del sole, della forma fisica, delle nuove tendenze. E così bisogna distinguere i francofoni di New Orleans dagli ispanici degli Stati del Sud (in molte città americane lo spagnolo è la lingua più parlata!), dai mormoni dello Utah, e via dicendo. Come certo non corre buon sangue tra afroamericani e coreani immigrati. E poi l’America non è solo quella delle metropoli, ma anche quella della grande provincia, delle cittadine tranquille, delle comunità legate alle proprie tradizioni.

Insomma, esistono importanti diversità di zone geografiche, di gruppi etnici, di ceti sociali (seppure con una grande mobilità tra questi), le quali esprimono una notevole varietà di costumi e mentalità.

Ma la varietà e il pluralismo, dicevamo, non escludono la presenza di tratti comuni molto forti, decisi, che fondano l’identità civile del popolo americano (il motto originario degli Stati Uniti è “e pluribus unum”: dalla molteplicità, l’unità). Ebbene, anche questi tratti comuni possono spiazzare i nostri pregiudizî.

Il cittadino americano, è vero, non ama far gestire i proprî soldi allo Stato. Ma non per egoismo: l’America è un Paese dove beneficenza e volontariato sono diffusissimi, dove sulle donazioni private si reggono istituzioni religiose, filantropiche, culturali (fondazioni, università, musei, ecc. ) tra le più importanti al mondo. L’americano pretende tasse più basse, ma le paga tutte (gli evasori sono visti malissimo).

L’americano cambia spesso città di residenza, e di conseguenza ha un radicamento familiare meno forte di quello a cui siamo abituati. Ma non è un individualista isolato: ogni cittadino U.S.A. fa parte di club ed associazioni, cerca di inserirsi subito nella comunità in cui arriva, partecipa con fervore alle iniziative sociali (dalla festa di beneficenza della parrocchia alla sfilata del Giorno del Ringraziamento).

L’americano piccolo-borghese fa sacrifici ancor prima che i figli nascano, per mettere da parte i soldi che garantiscano a quei figli un’istruzione nei migliori college (anche se non mancano scuole ed Università pubbliche di ottima qualità). Le Università americane sono quelle che ‘sfornano’ quasi tutti i premî Nobel, e producono studî tra i più avanzati anche nelle discipline umanistiche: dalla lingua sumerica al diritto romano, dalla letteratura medievale all’arte indocinese.

L’americano medio pretende che nella vita pubblica sia rispettato un rigore morale e – anche – religioso (Tocqueville, nella sua opera La democrazia in America, ci ha spiegato che questa idea è all’origine della nazione americana). Qualcuno li prende in giro dicendo che sono puritani…
Tutti i presidenti americani, da George Washington in poi, hanno invocato l’aiuto di Dio per compiere il loro mandato (anche il neopresidente Obama ha evidenziato, in maniera più esplicita di quanto fosse abituale nella cultura liberal, l'esigenza di un rapporto tra religione e politica).
In America sono attivissimi, senza alcun complesso di inferiorità, i gruppi di sensibilizzazione in difesa della vita (pro life), contro l’aborto.
Insomma, gli Stati Uniti testimoniano che la religiosità di un popolo non è inversamente proporzionale al benessere, che la fede non è la consolazione dei disperati: gli States non sono oggi solo la nazione più ricca, ma anche la nazione più religiosa del mondo occidentale (il 59% degli statunitensi dichiara che la religione ha un ruolo centrale nella sua esistenza, contro l’11% dei francesi; gli Italiani? 27%...). Un fervore che convive con un notevole pluralismo sia di religioni (non solo cristiane), sia all’interno del cristianesimo stesso: cattolicesimo (oggi la confessione più numerosa: gli Stati Uniti, dopo l’Italia, sono il Paese al mondo che esprime più cardinali), chiese protestanti tradizionali, deismo massonico, nuove confessioni “protestanti” (evangelici, cristiani "rinati"), sette, ecc.

Soprattutto, il popolo americano ha conservato quattro caratteristiche che hanno fondato il progresso della società occidentale, e che forse in Europa si sono un po’ perse: il rispetto assoluto della libertà personale, fondata sulla fiducia nelle capacità dell’uomo comune (il “common man”); la capacità di riconoscere e premiare il merito dell’individuo (motivo per cui i nostri migliori cervelli emigrano là); la voglia di inseguire sempre la novità; la capacità di accettare il rischio per difendere i proprî valori. Caratteristiche che fanno degli Stati Uniti, fondamentalmente, un Paese giovane (anche con le ‘debolezze’ della gioventù), ricco di opportunità per tutti (anche un uomo di colore - molti stentavano a crederlo - può diventare Segretario di Stato, giudice della Corte Suprema, Presidente degli Stati Uniti...), che guarda al domani, che cerca ancora una “Nuova Frontiera”. Dall’America, d’altronde, viene quasi tutto ciò che segnerà anche la nostra vita: le tendenze musicali, le tecnologie, le mode, le nuove teorie sociali e culturali (anche la contestazione giovanile nacque nei college americani). Queste caratteristiche denotano in pieno come l’America sia figlia della cultura occidentale, con la centralità della persona umana e la visone dinamica e progressiva della storia. Si badi bene: negli USA guardare avanti non significa rinnegare le proprie radici - pur giovani -, di cui gli Americani sono anzi orgogliosissimi: il Giorno dell'Indipendenza e quello del Ringraziamento sono feste sentitissime; o, per fare un esempio - apparentemente - più banale, è facile trovare edifici che hanno superato i cinquant'anni... considerati monumenti!

Dalla forte carica morale che segna l'appartenenza civile degli Americani ne consegue che essi non considerano l'America solo una nazione, ma anche un ideale, da rispettare ed esportare; ritengono di avere una missione da compiere.

L’Europa, invece, sta invecchiando (anche demograficamente), è ossessionata dalle sue paure e dalle ansie di sicurezza sociale, incapace di pagare un prezzo per fare riforme e progettare il futuro delle nuove generazioni. Incapace di pensare in grande: gli eventi grandiosi e spettacolari sono sprezzantemente definiti “americanate”. Rinnegando le sue radici, non sa su quali basi costruire il futuro. E così la crescita economica europea è ormai a rimorchio della locomotiva americana; ed anche la sicurezza (dall’Unione Sovietica ieri, dal terrorismo oggi) è delegata agli Stati Uniti.

Intendiamoci. Non vogliamo capovolgere lo schema iniziale, arrivando a dipingere un quadro dell’America come paradiso terrestre contrapposta ad un Europa decrepita. Molti problemi degli Stati Uniti sono reali e gravi: una certa pretesa di autoreferenzialità, di non avere difetti ed essere la soluzione a tutti i problemi; la tentazione di un uso facile della forza (nei rapporti interni ed internazionali); la diffusione eccessiva delle armi; la crisi della famiglia; una mentalità eccessivamente produttivistica e la forza del denaro che tende a imporsi anche ai valori americani tradizionali; un sistema di protezione sociale troppo debole.

A proposito delle disuguaglianze sociali, bisogna però fare alcune precisazioni. Quando si parla di oltre trenta milioni di "poveri", bisogna tener conto che il livello di povertà è misurato in senso "relativo", cioè rapportato al reddito medio (che negli USA è molto alto); molti dei "poveri" sono ben oltre il livello di sussistenza, in condizioni magari migliori dei ceti medi di altri Paesi. Il fenomeno, insomma, è probabilmente troppo esteso per un Paese dalle grandi risorse come gli Stati Uniti, ma non ha le dimensioni catastrofiche che spesso si vogliono tratteggiare.

Un'altra esagerazione riguarda la presunta mancanza di assistenza sanitaria per oltre quaranta milioni di americani. In realtà tale cifra si riferisce ai cittadini che non hanno un'assicurazione privata. Molto spesso questo accade non perché siano privi dei soldi, ma perché preferiscono risparmiarli servendosi delle strutture convenzionate con lo stato, che esistono, sono di buona qualità e offrono una copertura a costi minimi (anche se non gratuita e completa come in Italia) in tutti i casi che non rientrano nelle emergenze (per le quali, invece, l'assistenza si riceve in tutte le strutture). Insomma, è una leggenda metropolitana quella secondo la quale in America, se finisci in ospedale, ti cacciano via se non paghi o non dimostri di avere un'assicurazione...
(E in ogni caso, con la presidenza Obama, è stata approvata una riforma che garantisce una copertura assicurativa universale,)

Quanto all'interventismo militare americano, bisognerebbe piuttosto ricordare la tradizione "isolazionista" degli Americani - soprattutto dei Repubblicani -, intervenuti in armi quando trascinati per i capelli (dall'espansionismo nazista, giapponese, comunista; dal terrorismo islamista). Non si possono certo negare gli errori o gli abusi di politica internazionale, ai quali può spingere la tentazione di servirsi della propria forza: "quando si ha un martello, tutti i problemi possono sembrare chiodi", recita un vecchio proverbio inglese. Ma quegli abusi nulla hanno a che vedere con una presunta - inesistente - necessità del sistema economico americano di reggersi sullo sfruttamento di altri Paesi. Gli USA, in questo, vengono contestati prevalentemente perché considerati simbolo del capitalismo, sulla base di un pregiudizio ideologico che fonda l'antiamericanismo.

In conclusione, non volevamo negare i problemi degli Stati Uniti, ma piuttosto tratteggiare un quadro più completo, che ci consentisse di formulare un augurio: Europa e Stati Uniti, eredi di una grande cultura comune, più che guardarsi dietro la lente del preconcetto dovrebbero sapersi scambiare gli aspetti positivi.



Giudizio Utente: / 10

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