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Lettere - Cina
La Cina sarą libera se divisa Stampa E-mail
07/04/08

articolo di riferimento: La Cina è un regime oppressivo e pericoloso per l'Occidente

Gentile direttore,

in riferimento al Suo pregevole articolo sulla Cina, mi permetto di consegnarLe una riflessione sul “che fare”, che mi sembra un interrogativo che emerga alla fine dello scritto.

Vorrei, in via prioritaria, spendere una parola di speranza: la Repubblica Popolare Cinese non è il primo paese nella storia in cui si violano i diritti umani, in cui i cittadini sono soggetti all’arbitrio di classi dirigenti violente, autoreferenziali, corrotte e sanguinarie, in cui l’esperienza nazionale tende ad essere esportata.

La storia insegna che questi regimi, con il tempo e purtroppo talvolta con il sangue, sono destinati ad implodere.
Chi come me (la mia generazione) ha avuto la fortuna di vivere il 1989 con la caduta del muro di Berlino e la successiva disgregazione dell’impero sovietico non può non aver imparato la lezione che alla fine, per quanto i regimi possano mostrare il loro volto oscuro, non possono esimersi dall’appuntamento con la libertà e la democrazia che sarà, per loro, mortale.
Per dirla con un motto che campeggia su un noto quotidiano: “le forze del male non prevarranno”.

Veniamo ora alla Repubblica Popolare Cinese.

La soluzione da adottare sarà simile (ed è bene che ci si attrezzi adeguatamente) a quella adottata con l’Unione Sovietica e la ex-Jugoslavia: una disgregazione controllata della Cina in una ventina di Stati grosso modo corrispondenti alle principali etnie che attualmente vi convivono.
Soluzione applicata, sostanzialmente, in maniera indolore con l’Unione Sovietica, purtroppo in maniera dolorosa con la ex-Jugoslavia.
A parità di metodologia, l’applicazione dipende da una variabilità di fattori specifici (capacità delle classi dirigenti locali, livello economico e culturale, importanza geopolitica nel traffico di approvvigionamento di materie prime per i Paesi occidentali, etc.).
In pratica si opera un depotenziamento delle organizzazioni dittatoriali attraverso una suddivisione territoriale su base etnica con il ridimensionamento delle etnie (nel particolare quella Han) che antecedentemente (generalmente con la violenza) avevano preso il sopravvento.

Non vi sono altre strategie; credere che una classe dirigente come quella cinese possa essere messa in crisi dalle risoluzioni delle Nazioni Unite, dalla pressione dell’opinione pubblica sui diritti umani o dal boicottaggio sull’acquisto di merci non ha nessuna aderenza con la realtà.
Non è decidendo se comprare o meno i prodotti cinesi che aiuteremo quelle popolazioni; piuttosto, è decidendo di dare a loro l’opportunità della libertà e della democrazia che imprimeremo una svolta decisiva ai loro e ai nostri destini.

Certo è elementare la constatazione delle difficoltà: si possono aprire scenari apocalittici o al contrario magnifiche opportunità; si potranno creare ottime democrazie o stati mafiosi; questo è un problema reale, le cui misure (l’esperienza dell'Unione Sovietica ed ex-jugoslavia è comunque preziosa) saranno prese (inevitabilmente) in corso d’opera, con i relativi errori che tutte le cose umane, quando si scende dalla teoria alla pratica, possono comportare.


Ci possiamo esimere dall’agire?
Possiamo lasciare tranquillamente due miliardi di persone in balia di quel modello di sviluppo?
Possiamo illuderci che questa realtà non tenti di modificare, insidiare, soggiogare le nostre società, il nostro modello di vita, i nostri comportamenti?

Non solo motivi di umana solidarietà ci invitano ad aiutare qualsiasi uomo la cui dignità venga violata, ma anche la consapevolezza che quei regimi che comprimono l’uomo per loro natura sono assoluti e non possono tollerare altre forme di espressione  e prima o poi (è solo questione di tempo) vorranno imporsi anche nelle nostre società.
Il nazismo o il comunismo, per citare due esperienze a noi vicine nel tempo, per loro natura non potevano sopravvivere se non esportandosi continuamente.

Nella speranza che classi dirigenti illuminate di umana carità prendano il sopravvento, dovremo decidere se vogliamo accettare un mondo basato sullo sfruttamento dell’individuo, sulla mancanza delle libertà personali, religiose ed economiche, o al contrario mantenere e sviluppare, invitando altri popoli ad aderire, un modello sociale basato sulle libertà che tanto ha dato, non senza sacrifici ed errori, alla nostra società occidentale.

Credo che non saremo tigri di carta e difenderemo le nostre ragioni dando contemporaneamente a molti popoli la possibilità di incamminarsi sulle strade (talvolta impervie) delle democrazie, delle libertà, del rispetto dell’individuo e dei suoi diritti.

Nella speranza di aver contribuito ai Suoi ragionamenti, La ringrazio per l’ospitalità.

Luigi Milanesi



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