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Politica - Notizie e Commenti
Partiti "medi" con l’anima? Stampa E-mail
I giovani scelgono i partiti "identitari": Udc, Sinistra arcobaleno, Lega. A ragione?
      Scritto da Giovanni Martino
07/04/08

Lo scorso 27 febbraio è stato diffuso il risultato di un sondaggio condotto dalla ISPO sull’orientamento politico dei giovani che si recheranno per la prima volta al voto. I dati (letti con la cautela che si deve usare con ogni sondaggio) sono molto interessanti, anche perché significativamente diversi da quelli rapportati alla totalità della popolazione. Emerge che i giovani penalizzano i grandi partiti (Pd, dato al 31,4%, e soprattutto Pdl, al 21,7%) e privilegiano i partiti di media dimensione (Lega Nord e Sinistra Arcobaleno al 15%, Udc all’11%), che sono anche quelli con una più marcata identità politica.

Giovani ingenui e utopisti? O esigenti e non rassegnati?

I risultati di questo sondaggio ci offrono anche l’occasione per un’analisi più approfondita delle caratteristiche degli altri partiti che partecipano al confronto elettorale, dopo quella di Adornato – da noi ripresa – su identità e grandi partiti.

Diciamo subito che a noi la scelta identitaria di un partito, qualunque essa sia, piace, e la consideriamo un requisito di trasparenza verso gli elettori e – quindi - di democrazia. Proclamare la propria identità non significa declamare valori in astratto. Significa rendere noto anticipatamente in base a quale gerarchia di valori saranno assunte le decisioni concrete che l’azione di Governo e parlamentare renderà necessarie.

Il “programma” non può adempiere pienamente a questa funzione. Perché ci sono decisioni da assumere in situazioni inaspettate. E perché l’azione politica investe una tale mole di argomenti che – per esaurirli tutti – sarebbe necessario un programma enciclopedico che nessuno leggerebbe.
Tant’è che i programmi attuali sono brevi, contengono alcune proposte sufficientemente vaghe e attraenti (come i prodotti in promozione dei supermercati), e riservano alle decisioni delle oligarchie di partito tutte le altre future decisioni.

Intendiamoci. Un programma il più possibile dettagliato è molto importante, per evitare il rischio di identità fumose basate su ideali inconsistenti o antistorici. Ma non è sufficiente.

Difendere le identità significa difendere la frammentazione politica? Non necessariamente.

È vero che gli elettori tendono a premiare i partiti più grandi, al di là del merito delle loro proposte. Perché ciò dà l’idea che le proposte (se ci sono…) abbiano più forza; perché lo scenario politico sembra più semplice e facile da capire (anche se, magari, la litigiosità si sposta all’interno dei partiti); perché alla logica del “votare per” si sostituisce quella del “votare contro”, di evitare il “pericolo” che vinca l’avversario (o il Nemico). Ed anche perché i partiti più grandi – soprattutto in Italia – hanno una visibilità mediatica molto maggiore.
Ma a queste esigenze può essere sacrificata la trasparenza della proposta politica?

Nulla impedirebbe ai partiti più grandi, se volessero, di assumere un profilo chiaro, oltre il carisma del leader. O di darsi regole democratiche interne vere, che consentano la sintesi tra identità affini, seppure non uguali. Se volessero…

Poiché ad oggi l’identità politica sembra affermata con più chiarezza al di fuori dei grandi contenitori, veniamo ad analizzare il profilo dei partiti “identitarî” di medie dimensioni.


Udc (Unione di Centro)

Per consistenza elettorale costituisce, con la Sinistra Arcobaleno, la principale alternativa alla scelta bipartitica Pdl-Pd. Peraltro, la sua linea politica moderata gli conferisce un peso politico maggiore di quello dell’estrema sinistra.

La scelta identitaria dell’Udc è chiara? Senz’altro sì, sia quanto a valori (la dottrina sociale della Chiesa) sia quanto a visione economico-sociale (di tipo cattolico-liberale).
Eppure questa scelta identitaria non ha sin qui consentito all’Udc di divenire – come è nel suo progetto – il perno dei moderati italiani. E nemmeno di ottenere il consenso prevalente dei cattolici. Come mai?

Oltre ai fattori di ordine generale che abbiamo visto (l’inerzia dell’elettorato verso le forze maggiori), l’Udc ha sin qui pagato – ci sembra - due fattori.

Alla coerenza sui valori non ha sempre corrisposto altrettanta coerenza sulle politiche economico-sociali: l’atteggiamento verso le liberalizzazioni (seppure temperate dall’esigenza di salvaguardare il bene comune), durante l’esperienza di Governo, è stato troppo timido. Su questo hanno fatto autocritica Casini e Tabacci. Probabilmente ha prevalso il timore di scontentare fasce di cittadini che temono di perdere protezione sociale; o il timore di sacrificare piccole clientele. Fatto sta che ciò ha prodotto un appannamento rispetto al voto d’opinione.

Il secondo fattore che ha penalizzato l’Udc è stato la qualità a volte non elevata della classe dirigente, sia quanto a moralità sia quanto a spessore politico. L’impressione è che, da alcuni, i “valori” vengano difesi più per rispondere ad aspettative della Chiesa, che non per autonoma capacità di condividerli e di sviluppare su di essi un progetto politico. La conseguenza è che il messaggio trasmesso risulta spesso declamatorio e poco comprensibile, poco legato ad alcuni problemi concreti, poco nitido nella sua laicità.
È anche vero che la qualità della classe dirigente degli altri partiti non è migliore. E che l’Udc è stato sin qui l’unico partito a difendere il voto di preferenza (proposta ora raccolta anche da Grillo), quale unica modalità per restituire agli elettori (togliendola alle oligarchie) la scelta del personale politico. Ma gli elettori di un partito che professa la sua ispirazione cristiana hanno aspettative maggiori di altri. È il rimprovero fatto da Famiglia Cristiana, quando ha denunciato “poco coraggio” nelle scelte dei candidati. A questo rimprovero lo stesso Casini non ha risposto stizzito, ma ha promesso un impegno in questa direzione con la prossima “costituente” dell’Unione di Centro, che dovrà trasformarsi da lista elettorale (che riunisce vecchia Udc, Rosa bianca, frammenti di Popolari, ecc.) in nuovo movimento. Vedremo.

In futuro c’è un ulteriore elemento di incertezza per le fortune dell’Udc. Casini aveva sempre tenuto ferma la barra di una collocazione nello schieramento alternativo alla sinistra, pur con le riserve sulla leadership di Berlusconi. Ora l’Udc si trova ad agire come “terzo polo”, anche per l’ingresso nella nuova formazione di personaggi più convintamente “terzisti” come Pezzotta e De Mita (per i quali l’alternativa alla sinistra può essere unitaria solo se cambia l’attuale leadership della destra).
Questa incertezza di scenario viene percepita da alcuni elettori come incertezza d’identità. E bisognerà vedere se per l’Udc sarà maggiore il premio da parte di quanti si avvicineranno, e che prima erano lontani perché mal sopportavano l’alleanza con Berlusconi; oppure la penalizzazione da parte di coloro che riterranno prevalente l’esigenza della “diga” contro la sinistra, e si sposteranno sulla forza più consistente del fronte dei moderati.

Noi ci limitiamo a suggerire la rilettura di un insostituibile articolo di don Sturzo: l’identità di un partito non può essere definita sulla base di fattori esterni, della sola politica delle alleanze (quella che Sturzo definiva la filìa: sei filo-fascista o filo-socialista?). Le alleanze sono la conseguenza della proposta politica, non la premessa.


Sinistra Arcobaleno

Il “quarto polo” dello schieramento politico è quello della sinistra estrema, che riunisce Rifondazione Comunista, Verdi, Partito dei Comunisti Italiani.

L’identità “comunista” è un po’ appannata, anche se riemerge periodicamente con atteggiamenti indulgenti verso alcune dittature, o col sostegno ad iniziative poco rispettose dei diritti dei cittadini (occupazioni, soldi pubblici per pagare sprechi e assistenzialismo, accondiscendenza con le proteste violente, ecc.).
Persiste una chiara identità “laburista”, di sostegno al lavoro dipendente. Aggiornata con l’apertura al “politicamente corretto”: la difesa delle minoranze organizzate in lobbies, la proclamazione dei “diritti civili”, l’antagonismo verso la religione e la Chiesa cattolica.

Questa identità, però, è chiara anche… nei suoi limiti; e si rivela spesso respingente.
La sinistra estrema, infatti, non ha ancora sviluppato una cultura di governo, della mediazione tra diversi interessi. Difendendo una sola categoria, scegliendo lo scontro, si candida ad essere mero pungolo – dall’opposizione - per decisioni la cui responsabilità si devono assumere altri.
Le nostalgie comuniste, poi, emergono perché il fallimento di quell’ideologia non è stato elaborato, non ci si è interrogati sulle sue cause.
Infine, la verniciata di modernità del “politicamente corretto” non fa che introdurre nuovi conflitti sociali.

Va anche detto che il mondo dell’estrema sinistra è quello dove residua una più ampia partecipazione democratica: militanza, congressi, votazioni interne. Che però non riesce a divenire motivo di attrazione. Il fatto è che il gioco democratico, in quest’area, è spesso visto non come un valore in sé, da coltivare sempre, ma come metodo per acquisire la supremazia. Raggiunta la quale, si “espelle” la minoranza interna (Ferrando o Turigliatto da Rifondazione, Ripa di Meana dai Verdi, Cossutta dai Comunisti Italiani), rinverdendo l’eterno “frazionismo” che affligge la sinistra.
Per non parlare poi degli “esterni”: con i non comunisti la democrazia non si applica, visto che sono tutti un po’ fascisti…


Lega Nord

La Lega Nord si è sempre contraddistinta per il linguaggio duro, a tratti provocatorio. La difesa identitaria ne ha sempre costituito il tratto distintivo, anche a costo di creare identità in po’ posticce come quella “padana” (che viene difesa anche a discapito di identità locali storicamente più radicate, come quella veneta).
Resta in ogni caso il merito di aver segnalato l’esistenza di interessi locali da tenere in considerazione, l’importanza del decentramento e di avvicinare i poteri ai cittadini, la necessità dello Stato di render conto di come spende i soldi pubblici.
Un altro merito è quello di aver scosso alcuni tabù: l’immigrazione incontrollata, il meridionalismo come copertura dell’assistenzialismo.

Il problema della Lega è che difende un’identità etnico-localistica, non politica. Quindi incapace di cercare mediazioni esterne (con le altre regioni italiane) ma anche interne (tra categorie sociali).
Un tentativo era stato fatto sposando un’ideologia liberista. La quale, però, subisce periodiche ‘deroghe’ ogni qual volta l’interesse locale lo richieda. Per cui ci si dichiara contro l’invadenza dello Stato in economia; ma si difende la partecipazione degli enti locali nelle fondazioni che controllano molte banche popolari. Si contesta la burocrazia pubblica; ma si difende un’istituzione come la Provincia che serve quasi solo a creare piccoli centri di potere. Si contesta lo sperpero di denaro pubblico, l’imposizione di legacci al libero mercato; ma si difende l’idea che i soldi dei cittadini servano a finanziare a fondo perduto l’aeroporto di Malpensa, compresi quei voli internazionali che il libero mercato dimostra di non saper utilizzare.

Il rischio, peraltro, è che dietro l’ “identità”, dietro la proclamazione di voler difendere gli interessi della comunità locale, si celino ben più prosaici interessi di piccoli gruppi economici. Il leaderismo di questo movimento (la volontà del Capo – e dei suoi colonnelli – non si discute), strozzando il dibattito interno, non fa che aumentare tale rischio.

Inoltre, l’esigenza di cavalcare la protesta popolare, di restare fedeli a parole d’ordine forti, fa sconfinare spesso nella demagogia, nell’estremismo e nell’intolleranza: opporsi all’immigrazione incontrollata diventa avversione verso l’immigrato; la critica al meridionalismo eterno e inconcludente diventa negazione dell’esistenza di una questione meridionale.


Concludendo: l’affermazione di un’identità consente di avere una visione migliore (per quanto non completa) di pregi e difetti di un partito politico.
Ciò non significa che si possa dire: “votate un partito identitario purchessia” (come non si può dire “votate un partito grande purchessia”). Esistono identità che sono più concrete di altre, più adatte a rispondere ai problemi di una società moderna, più moderate e capaci di non entrare in conflitto. Ed esistono politici che difendono con più coerenza e credibilità di altri la propria identità.

Come cittadini abbiamo diverse possibilità.
Quella di lamentarci e non votare (o votare per il politico che protegge il nostro piccolo interesse di bottega).
Quella di scegliere – da semplici elettori – una delle proposte offerte dal “mercato” della politica.
Ma anche quella di concorrere attivamente a definire proposte e identità politiche. Se abbiamo la libertà e la forza di farcene carico.



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