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Notizie - Attualità e Costume
La fu "Sapienza" Stampa E-mail
Riflettendo sulla censura a Benedetto XVI
      Scritto da Gabriele Vecchione
28/01/08

manifesti_protesta.jpg“Alla riscossa, stupidi, ché i fiumi sono in piena: potete stare a galla” (Franco Battiato)


Quando il Papa Benedetto XV condannò la prima guerra mondiale (“apparisce sempre più come una inutile strage”), un manipolo di massoni si accalcò in Piazza San Pietro al grido di: “Satana regna in Vaticano”. La contestazione era a priori; contestavano ciò che il Papa aveva detto, solo perché era il Papa, solo perché esisteva. Ad oggi, data la protesta contro la visita di Benedetto XVI a La Sapienza, ex luogo di cultura e studio fondato da Bonifacio VIII nel 1303 e ridotto a luogo di incultura, dei collettivi di sinistra degli studenti (quegli stessi studenti la cui voglia di studiare diminuisce di giorno in giorno) e di 67 professori più saccenti che sapienti, le cose appaiono immutate. E ci dimostrano che il ’68, cesura della storia contemporanea, con i suoi eccessi, i suoi slanci dogmatici, in Italia, non è mai finito.

Voltaire, maestro della tolleranza, era un mercante di schiavi: metafora della doppia faccia dell’Illuminismo, a parole “tollerante” ma de facto intollerante. Lo pseudo-volterriano “non condivido le tue idee, ma sono pronto a dare la vita perché tu le possa esprimere” è così diventato, se si parla di papi e cristianità, “non condivido le tue idee, ma, purché non sia cattolico, sono pronto a dare la vita perché tu le possa esprimere”. Nessuno si può bere la balla che la censura sia avvenuta, come ha detto uno dei 67 saccenti, perché il Papa è un capo di Stato: la censura c’è stata perché il Papa è cattolico. Perché oggi la dittatura del politicamente corretto ha privato di libertà di parola i cattolici. Michelle Bachelet, capo di stato cileno, ha inaugurato l’anno accademico a Roma Tre e logicamente nessuno si è mai sognato di contestarla. Così nessuno ha mai contestato le lauree ad honorem impartite a personaggi che certo non si segnalano per il prestigio culturale (meno che mai scientifica) del calibro di Vasco Rossi e Valentino Rossi.

La laicità, l’essere laico, non è sinonimo di ateismo. Laico è chi non ha ricevuto l’ordinatio in sacris; la laicità, storicamente, nasce cristiana, nasce dai papi ed è l’indipendenza dei primi cristiani dall’imperatore e dal culto che di lui si faceva. Codesti studenti e professori asini si reclamano laici, ergo tolleranti e forse pluralisti, ma non lo possono essere perché sono annebbiati dal laicismo più gretto, più basso, più fumoso. Oggi costoro dimostrano che sembra non esistere l’etica laica, la morale laica, la cultura laica, considerato anche che quasi nessun pensatore “laico” ha preso le distanze da loro. La cultura laica - meglio, laicista - si serve solo della contrapposizione frontale e strumentale a ciò che scrive o dice la Chiesa, si appoggia all’ateismo da salotto, galleggia sui fiumi in piena, si nutre di ingannevole Spirito del Tempo: siamo ridotti alla lectio magistralis di Andrea Rivera (chi è costui?), ai sermoni di Dario Fo, ai predicozzi di Piergiorgio Odifreddi, la cui unica e sola Weltanschauung è dire il contrario di quello che afferma il Papa.

Giacché per lo più questi nerboruti vetero-sessantottardi fuori tempo massimo non hanno una benché minima nozione di filosofia e scienza in testa, non sapranno che il loro ideale di “libero pensatore”, tirato appositamente fuori dal cilindro scientista per l’occasione, ovverosia Galileo Galilei, era cattolico osservante, credeva nell’Eucarestia ed era devoto alle gerarchie ecclesiastiche. Peraltro, senza scomodare il più modesto contemporaneo Antonino Zichichi, egli dimostrò la perfetta conciliabilità tra scienza e fede (“l’una ci dice come si va in cielo, l’altra come va il cielo”). Galileo, inoltre, soleva definire “piccionaia” i suoi colleghi che reclamavano la laicità della conoscenza (dal nome del loro mentore Ludovico delle Colombe).

Alla protesta di questi studenti, come abbiamo già scritto, si è unita la protesta di guareschiani trinariciuti professori di fisica (c’è da metterci la mano sul fuoco che dietro di loro vi sia la longa manus massonica): ma come, egregi e sommi professori, un uomo di cultura, un filosofo citato in tutti i manuali di filosofia, il più grande teologo vivente, Joseph Ratzinger, tiene una lectio magistralis nel luogo proprio della cultura, delle teorie, della scienza, delle astrazioni, e voi volete impedirla e tappargli la bocca perché la Chiesa, nel ’600, costrinse Galilei alla recita quotidiana del salmo 23? Siete intolleranti e ricordate quei professori che in forme plebiscitarie, nel 1931, giurarono fedeltà al regime fascista: cos’è impedire o voler impedire una lezione di un uomo solo perché non ha le stesse proprie idee? È fascismo e tornano in mente le parole del grande storico Renzo De Felice: “il più grande danno del fascismo è stato di aver contagiato l’antifascismo di fascismo”.

L’università è nata cristiana; monaci amanuensi, preti, uomini di Dio le hanno conservate ed hanno conservato le loro biblioteche con i loro volumi. Lì è stato custodito il sapere universale, l’universitas. Poveri noi, studenti romani, se oggi siamo ridotti a sentire che “il Papa è contro l’università”, che “il sapere non ha bisogni di preti e di padri”, che “la scienza è laica”. Il Papa non può mettere piede in territorio italiano (e a Roma, la capitale del Cattolicesimo e sua diocesi): questa sarà una vittoria della laicità, dei laici, degli intellettuali a favore dei Di.co. e dell’aborto che piegano tutto il loro pensiero all’opportunità politica di turno. Sì, di quella stessa laicità arrogante, faziosa, opportunista, anticlericale contro cui, oggi, è primario combattere “la buona battaglia”.


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