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Aborto, pillola Ru 486
Aborto: che fare? Stampa E-mail
Il dilemma dei sostenitori della vita: abrogare la legge o battersi per una cultura della vita?
      Scritto da Giovanni Martino
16/06/08
Canada: manifestazione pro life
Abbiamo analizzato e contestato alcuni luoghi comuni sull’aborto. Un'analisi che ci ha portato a rifiutare la cultura dell'aborto, a negare che l'aborto in sé possa essere considerato "diritto".

Il diritto più importante è quello alla vita, alla tutela di una vita che già esiste (a meno che non vi siano gravi e reali problemi di salute della donna, per cui entrano in conflitto due interessi simili: allora, subentra il diritto della donna all’autotutela, la possibilità di ricorrere allo "stato di necessità"). Dunque: la pratica dell'aborto è sicuramente inammissibile dal punto di vista morale e del diritto naturale. E' in gioco un diritto umano fondamentale (il diritto alla vita), la cui tutela non può essere religiosa o culturale, ma deve essere giuridica.

Va anche detto, però, che l'approvazione (e l'applicazione) di una norma può incontrare serie difficoltà se non ha il carattere della positività-effettività, se cioè non è sentita come giusta e vincolante dai suoi destinatarî.
Ebbene, l'individuazione e la regolazione dei diritti che abbiamo delineato incontra notevoli resistenze nella cultura contemporanea. Un figlio non atteso (che non è comunque frutto del caso, ma di un rapporto sessuale libero e – si spera – consapevole) condiziona certamente la vita della donna che lo porta in grembo, oltre che dell’uomo che lo ha generato. Questa coppia, queste persone, dovrebbero avere la capacità di assumersi una grande responsabilità; dovrebbero avere anche la capacità di scoprire che un evento inatteso può portare più gioia di un evento programmato. Ma servirebbe una grande maturità, e una cultura dell’accoglienza che la sorregga. Una maturità e una cultura che si sono indebolite negli ultimi decenni, e che non possono essere ripristinate d'incanto per legge.
Inoltre, esistono casi in cui la donna è realmente abbandonata a se stessa, prigioniera di ricatti affettivi o lavorativi. Benché ciò non possa indurre a vedere nell'aborto una via d'uscita, è evidente che quei drammi non possono essere sciolti con una semplice affermazione di principio, ma con la costruzione di una sensibilità sociale capace di offrire vera solidarietà.
Un sano realismo, dunque, conduce ad un giudizio prudente sulle modalità per tradurre l'inammissibilità dell'aborto sul piano del diritto vigente.

D'altro canto, la "prudenza" non può significare la rinuncia a tradurre in norme giuridiche la doverosa tutela di diritti fondamentali della persona. Se attendessimo un consenso unanime sui diritti da tutelare, o la maturazione di una piena consapevolezza e di una spontanea adesione ai principî che fondano tali diritti... non ci sarebbe bisogno di norme giuridiche!
Inoltre, proprio le norme concorrono alla maturazione della consapevolezza culturale. Ogni legge non ha solo un valore prescrittivo, ma anche simbolico. Ciò che è prescritto o consentito viene normalmente percepito dai consociati come "giusto". Dunque, sancire legalmente l'ammissibilità dell'aborto significa - soprattutto agli occhi dei più giovani - promuoverlo concretamente come pratica ottimale.

Quali sono, dunque, i passi concreti da intraprendere per la difesa della vita?

La via più diretta è quella di una decisa battaglia volta all'abrogazione immediata e incondizionata delle leggi che ammettono l'aborto, ignorando le diffuse resistenze politiche e culturali esistenti.
Ma è una via che - nelle condizioni oggi date - rischia di uscire sconfitta, e di pregiudicare integralmente la difesa della vita che si propone. In effetti, le resistenze attuali al divieto assoluto dell'aborto non sono minoritarie (come può accadere per qualsiasi altra norma giuridica), ma maggioritarie (sono la sommatoria di un'esigua minoranza, quella dei fautori del "libero aborto", e di una maggioranza molto fluida, quella di quanti ammettono l'aborto "a determinate condizioni"). 

Una via più prudente e graduale è quella che cerca di promuovere una cultura della vita, di fare passi in avanti progressivi, sostenendo le realtà pubbliche e del volontariato che offrono un sostegno concreto alle madri.
Esistono margini d'azione anche con le legislazioni vigenti. Ogni legislazione che prevede la libertà di aborto è radicalmente ingiusta; in alcuni Paesi (come l'Italia), però, all'interno di tali legislazioni è prevista una serie di strumenti con i quali si vorrebbe - magari ipocritamente - rendere la scelta della donna più libera e consapevole; strumenti che si propongono esplicitamente di prevenire l’aborto.
La via che persegue la promozione della cultura della vita rischia di essere rinunciataria, rispetto all'obiettivo pieno, se non è perseguita con costanza e tenacia. Ma è anche quella che sembra avere le migliori possibilità di ottenere risultati concreti.

Nel Vangelo è Cristo stesso che ricorda l'importanza del realismo con la parabola del re prudente, che decide di ricorrere alla trattativa anziché alla guerra perché ha calcolato che le forze del nemico sono più numerose delle sue (Lc 14,28-32).
San Paolo e la Chiesa delle origini hanno scelto la strada di una paziente rivoluzione dei cuori per superare un fenomeno odioso come la schiavitù.
Giovanni Paolo II, nell'Evangelium Vitae, afferma che "quando non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una legge abortista, un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all'aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica" (EV 73).
Infine, è stato il cardinal Ruini, quale presidente della Conferenza Episcopale Italiana, a stimolare un'iniziativa per la promozione della vita che passasse innanzitutto per l'applicazione dei principi di prevenzione contenuti nella legge 194. Tale linea è stata sintetizzata in un'intervista concessa al TG5 il 31 dicembre 2007, con la quale si esprimeva sostegno all'iniziativa per una "moratoria" sull'aborto lanciata da Giuliano Ferrara: "si può sperare - ha dichiarato Ruini - che da questa moratoria venga anche uno stimolo per l’Italia, quantomeno per applicare integralmente la legge sull’aborto, che dice di essere legge che intende difendere la vita; quindi applicare questa legge in quelle parti che davvero possono essere di difesa della vita e forse, a trent'anni ormai dalla legge, aggiornarla al progresso scientifico che ad esempio ha fatto fare grandi passi avanti riguardo alla sopravvivenza dei bambini prematuri".

Anche una serie di possibili migliorie legislative costituisce uno strumento per la promozione della cultura della vita.

Le due vie delineate, al fine, non sono contrapposte, ma complementari.

Si può e si deve diffondere una cultura che sappia dire a se stessa: il fatto che l’aborto sia lecito in alcuni casi, non lo rende buono e giusto; anche quando l’aborto è lecito (legalmente consentito), evitiamo di banalizzarlo, cerchiamo una strada alternativa.

Lavorando perché, nell'immediato, i passi avanti nella consapevolezza culturale si traducano in migliorie della legislazione vigente. E perché, in un giorno non lontano, la maturazione culturale e sociale consenta di non vedere più contrapposizione tra la madre e il figlio che deve nascere, e di giungere ad una legislazione rispettosa degli equilibrî di principio che abbiamo disegnato.



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