Sarebbe bene che nelle discussioni politiche importanti non ci fosse posto per chi falsifica i termini delle questioni. Come invece fa, con mia sorpresa, il senatore Ignazio Marino scrivendo ieri su «Repubblica» che chi nutre dei dubbi sul decreto antiomofobia (lo chiamo così per capirci) votato l'altro giorno dal Senato non vuole «riconoscere come punibile la violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi, o fondati sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere». Come dire: libertà di pestaggio, o peggio, contro rom, gay e islamici. Ma vogliamo scherzare, senatore Marino? Lei sa benissimo che non è così. Non è affatto in questione, come lei disinvoltamente ripete, il «condannare la violenza di chi discrimina» (condanna sulla quale siamo tutti d'accordo), bensì di sanzionare un nuovo reato d'opinione (e di che se no?) consistente nel vago, indefinibile, «incitamento» a discriminare. Si misuri con i problemi veri, dunque, non cambi le carte in tavola.
Pubblicato sul Corriere della Sera nella rubrica "Calendario".
Ricordiamo che su una norma tanto grave non c’è stato nessun dibattito parlamentare: il Governo, con un colpo di mano dell’ultimo minuto, su pressione della sinistra estrema, ha inserito la norma “antiomofobia” nella legge di conversione del decreto “antiviolenza”, ponendo la fiducia! Viste le proteste di molti senatori della maggioranza, il Governo ha chiesto di votare ugualmente la fiducia (senza la quale sarebbe caduto), “promettendo” un successivo decreto che dovrebbe cancellare la norma!! L’unico parlamentare di maggioranza che non ha accettato questa pagliacciata (anche perché la sinistra già urlava che di cancellazioni non se ne parlava) è stata la senatrice Binetti.
Chi ha tolto le castagne dal fuoco al Governo è stato il presidente della Repubblica Napolitano, il quale ha fatto sapere di non essere disposto a firmare la pubblicazione di una legge inapplicabile, perché conteneva un erroneo riferimento ad un trattato internazionale. Il Governo è stato quindi costretto a ritirare il decreto.