La confusione nella scuola regna sovrana. Si sparge la voce che il ministro Fioroni abbia reintrodotto gli esami di riparazione. Scoppiano prontamente le proteste della solita minoranza di studenti lavativi (sì, diciamolo: lavativi). Si inizia a sproloquiare sulla necessità di nuove ripetizioni private, interrogandosi su “chi ci guadagna”. Si diffonde il panico di genitori e ragazzi: le “sacre” vacanze estive non saranno mica messe in pericolo?
Prima di spiegare cosa sta veramente succedendo, chiariamo una cosa: il Ministro della Pubblica Istruzione non ha (come vedremo) reintrodotto gli esami di riparazione.
Ma questi esami ci vorrebbero, eccome!
Per il bene degli studenti stessi, innanzitutto. E per il bene della società italiana, in secondo luogo, che ha bisogno di veder crescere una generazione di persone capaci, che trovano lavoro e danno un contributo al bene comune perché hanno competenza e professionalità; e non che lamentano di non trovare lavoro nonostante abbiano in mano “pezzi di carta” (titoli di studio) elargiti magnanimamente da un sistema dell’istruzione squalificato.
Guardiamo i fatti: negli ultimi quindici anni il livello di istruzione dei giovani italiani è precipitato (e non è una coincidenza che gli esami di riparazione siano stati aboliti nel 1994).
Ce lo dice la nostra percezione immediata: giovani che pensano che Dante Alighieri sia “il giudice di Forum” (facendo confusione con... Sante Licheri!); laureati che non sanno scrivere una lettera o una relazione.
Ce lo dice il confronto con gli altri Paesi: i test effettuati dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) sul rendimento scolastico tra gli studenti quindicenni di 41 paesi mostrano che i ragazzi italiani sono tra gli ultimi.
E dire che, fino a vent’anni fa, il livello di istruzione dei ragazzi italiani era di eccellenza.
“Bisogna investire di più nella scuola pubblica”, è la ricetta subito proposta da molti, senza sapere quello che dicono. Sempre l’OCSE ci indica che la spesa per studente in Italia è già una delle più alte del mondo: solo Stati Uniti, Svizzera e Austria spendono un po’ più di noi. La spesa cumulativa per studente (dai 6 ai 15 anni) è in Italia di 75.700 dollari equivalenti, mentre, ad esempio, in Francia è di soli 62.700, in Giappone 60.000, in Olanda 55.400, in Canada 59.800, in Finlandia 54.400, in Germania 49.100 (tutti Paesi che ci superano quanto a qualità della formazione). L’idea che “basta spendere” (meglio ancora se i soldi sono pubblici) per ottenere la qualità è un’idea tanto insulsa quanto dura a morire.
Certo, gli investimenti vanno fatti: ma non nel numero di insegnanti (il rapporto studenti/insegnanti che c’è in Italia è tra i più alti al mondo), bensì nella loro preparazione, nel loro aggiornamento, nella gratificazione dei più bravi, nella verifica della qualità dell’insegnamento (un passo indietro è stato l’abolizione del test obbligatorio dell'Invalsi, che permetteva di controllare il livello di apprendimento nei singoli istituti).
La qualità della spesa, inoltre, crescerebbe se fosse garantita una reale competizione tra istruzione statale e privata. Ma questo è un discorso che non faremo questa volta.
L’altro grande problema della scuola (oltre alla qualità dell’insegnamento) è la mancanza di severità, figlia indiretta di una più generale crisi dell’autorità (della figura paterna, delle autorità civili); e figlia anche del benessere diffuso, che genera l’illusione di esser raggiunto una volta per sempre, senza necessità di sacrifici per mantenerlo.
I ragazzi che protestano contro gli esami di riparazione (non tutti, per fortuna: ce ne sono molti con “la testa sulle spalle”) protestano contro se stessi. La voglia di “divertirsi”, di non studiare troppo, forse è comprensibile per ragazzi ancora immaturi, incapaci di capire appieno – nonostante una qualche arroganza adolescenziale - quali responsabilità devono assumersi per il proprio bene futuro. Ma l’idea che questa indolenza debba essere assecondata, che i ragazzi vadano “aiutati ad andare avanti” senza troppi sforzi, è un’idea delinquenziale se viene sostenuta dagli adulti.
Una scuola che non è esigente con i giovani è una scuola che non li aiuta a crescere, non li aiuta a capire che ogni traguardo, nella vita, si costruisce col sacrificio. È una scuola che li priva di un bene – l’istruzione di base, la capacità di orientarsi nel mondo della cultura e della conoscenza – che non avranno più l’occasione di recuperare nel corso della loro vita.
L’istruzione di base dev’essere completa. Possiamo ammettere che alcuni siano più portati in alcune materie e meno in altre, dove strappano solo con fatica la sufficienza (come i loro padri e i loro fratelli maggiori). Ma è inconcepibile che arrivino alla “maturità” (o all’ “esame di Stato”, o come lo volete chiamare) giovani assolutamente impreparati in due o tre materie, anche importanti.
Per rimediare, i corsi di recupero dovrebbero essere migliori? Anche. Ma il problema principale è che i ragazzi abbandonano deliberatamente per strada quelle materie, pensando: “tanto non mi bocciano”, “se faccio Ragioneria a che mi serve l’Italiano?”
I genitori incoscienti o prigionieri di sensi di colpa li assecondano. Gli insegnati subiscono pressioni enormi per promuovere: e si rassegnano.
La verità è una sola: i “debiti formativi” debbono essere recuperati. Anzi: non dovrebbero proprio esistere...
Vogliamo tanti bocciati o tanti ragazzi chini sui libri l’estate?
No, per il semplice fatto che la paura del brutto voto, della bocciatura, stimola tutti a studiare di più. Durante l’anno, possibilmente. Così non si spendono soldi per ripetizioni e d’estate ci si può godere un meritato (in questo caso sì) divertimento. Ma sia ben chiaro: le ripetizioni o un’estate di fatica sono un male molto minore rispetto ad un buco incolmabile nella formazione di un giovane.
Come la paura del brutto voto aiuta a migliorarsi, e non ad abbattersi, così la paura della sanzione “aiuta” molti ad essere onesti. È la natura dell’uomo, con le sue debolezze: presenti negli adulti, ancor più nei ragazzi.
La severità può portare ad abusi e prepotenze?
No, se si tratta di una severità inserita in un quadro di garanzie e di regole valide anche per i professori.
La severità procura “traumi psicologici”?
Capita raramente, quando non c’è la sensibilità per individuare e sostenere ragazzi particolarmente fragili. Ma questi ragazzi avranno - hanno - traumi ancora maggiori dalla severità della vita, se li si lascia impreparati ad affrontarla.
Piuttosto, una severità “dialogata”, progressiva, che accompagna la crescita e la formazione del carattere, è un antidoto ai traumi futuri.
Basta la severità a fare uno studente modello?
Ovviamente no. Servono – come dicevamo – insegnanti preparati, che sappiano suscitare la passione per lo studio. Servono anche strutture adeguate, benché l’articolo sui risultati dell’introduzione del PC nelle scuole ci insegna che l’importanza delle “strutture” non deve essere enfatizzata.
In ogni caso, se non vogliamo cadere nel “benaltrismo” (“ben altri sono i problemi...”: e non si affrontano mai!), dobbiamo ricordare che una giusta severità è insostituibile.
Bene aveva fatto il ministro Moratti, qualche anno fa, a reintrodurre il voto in condotta (anche se non può portare alla bocciatura), insensatamente abolito dal suo predecessore Berlinguer.
Bene ha fatto il nuovo ministro Fioroni a reintrodurre i “membri esterni” nelle commissioni degli esami di maturità, e a ripristinare l’ammissione agli esami stessi (anche se male ha fatto a consentire che siano ammessi, in deroga, coloro che non abbiano pagato tutti i “debiti formativi” contratti).
E veniamo agli esami di riparazione. Che ci vorrebbero, ma il ministro non li ha introdotti; anche perché non sarebbe bastato un decreto ministeriale, ma sarebbe servita una nuova legge.
Che cosa ha stabilito il ministro?
Che a giugno, per gli studenti che abbiano manifestato carenze in alcune materie, il giudizio viene sospeso e rinviato ad agosto, prolungando i corsi di recupero. Prima dell’inizio del nuovo anno scolastico sarà fatta una nuova verifica: ma se permangano insufficienze, la bocciatura non è automatica, perché la valutazione resta ‘complessiva’. Il debito, quindi, si può ancora trascinare, sia pure sopportando il peso di qualche corso in più da frequentare.
In questa scelta c’è un peggioramento rispetto a quanto stabilito precedentemente dalla Moratti, che consentiva di trascinarsi il debito per un solo anno. Al termine di ogni biennio, i debiti dovevano essere tutti saldati.
Caro ministro Fioroni: se vuole davvero ridare credibilità alla scuola, faccia un ulteriore passo avanti. Che, in questo caso, coincide con... un passo indietro!