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Lettere
L'isolamento di chi denuncia il malaffare in Calabria Stampa E-mail
06/11/07

Francesco Saverio Alessio, con me autore di La società sparente, un libro sulla Calabria vinta dalla ’ndrangheta e dal clientelismo politico, è stato minacciato lo scorso 26 ottobre. Ha ricevuto a casa un biglietto non firmato. Lo abbiamo interpretato quale scherzo cattivo, per ora.

Come da copione, la notizia è stata data in Calabria solo da pochi organi di stampa, i quali da tempo seguono con grande sensibilità i temi forti in loco. La Rai regionale ha taciuto completamente, invece. E mi chiedo il perché di questo strano silenzio, costante, poi. Quindi, scarsa solidarietà in generale, a eccezione di amici e interessati al fermento per la legalità in Calabria, di cui Alessio e io siamo anche parte.

Nessun commento, non un gesto di vicinanza né voci d’appoggio da forze interne alla società civile, salvo l’immediato conforto di Giovanni Pecora, di "Per la Calabria", a nome di tutta la rete. Qualche blog su Internet s’è aggiunto con coraggio (http://giustizia-perseo.blogspot.com); poi nessuno, niente.

A me sembra che il dibattito sul dramma calabrese sia fermo all’occhio e all’eco della tv. Se la Calabria entra nel discorso sul sistema italiano come emblema della corruzione, ritengo che s’inquadri e divulghi nell’errore il suo problema: la malavita. Che è in primo luogo assenza, volontaria deresponsabilizzazione.

La questione, a mio avviso, è anzitutto culturale. Me ne rendo conto meditando sull’isolamento che con Alessio sto vivendo dall’uscita del libro.

Osservare i fenomeni legati alla criminalità, analizzarli e descriverli nel profondo non suscita condivisione e non è materia di confronto, sia in Calabria che presso gli intellettuali e i media italiani.

Sono in gioco interessi e poteri troppo grossi. E tanto basta, e come, perché il quarto potere si fermi con clangore solo su aspetti in emersione del problema calabrese; ignorando del tutto il fondale da cui originano.

Alessio e io abbiamo individuato nell’assistenzialismo a oltranza, voluto da Roma, e in movimenti elettoralistici fuori dello schema bipolare italiano alcune delle cause dell’espansione della ’ndrangheta.

Se la società non c’è, s’allarga il crimine organizzato. L’assistenza di Stato e la dipendenza prodotta dallo scambio di voti e dalla gestione degli elettori come matricole da sistemare sono il centro d’un carcinoma in metastasi. Per ciò, la Calabria si distingue dal resto del Sud e dell’Italia.

L’antropologo Francesco Mauro Minervino, che per ragioni professionali ben conosce la regione e la sua gente, parla della marginalità locale come impossibile da raccontare.

Lo scrittore Vittorio Messori, invitandomi alla cautela rispetto alla capacità propulsiva di Internet circa l’aggregazione dei calabresi reattivi, mi ha offerto uno spunto di riflessione. Per Messori, noi calabresi confermiamo il malaffare proprio quando i fatti ci impongono di combatterlo senza tregua. "Chi è causa del suo mal, pianga se stesso", verrebbe da chiosare.

Tutto il recente movimento per la giustizia e i diritti negati in Calabria non può limitarsi alla piazza. Né può continuare solo con un linguaggio di rumori e astrazioni, generalizzazioni, emozioni.

Ci vuole una rivoluzione culturale. Serve per moltiplicare le voci che chiedono libertà e aumentare la vigilanza critica su provvedimenti e fatti politici funzionali alla strategia della confusione, dell’abuso e dell’illegalità.

La brutta vicenda di De Magistris non è da limitare allo scontro sui media col guardasigilli Mastella. Lì a Catanzaro, in procura, ci sono apparentamenti noti e rapporti particolari di cui nessuno dice pubblicamente.

Oggettivamente, il punto vero è l’esistenza di "parentele" allargate, cui l’ex ministro Castelli ha fatto un piccolissimo accenno da Vespa, e l’uso di postazioni chiave per sbrogliare faccende molto ingombranti.

Che, in ordine a certe alleanze, si voglia parlare di massoneria, di ’ndrangheta tout court o di adeguate rappresentazioni geometriche dei rapporti in gioco, la sostanza non muta.

Guardando in trasparenza, questo è il male della Calabria: il fatto che viviamo sotto uno stesso tetto un po’ tutti. E quindi non possiamo sbilanciarci, non possiamo dissentire, non possiamo solidarizzare con chi i fatti ricostruisce, non possiamo denunciare.

Chi lo fa, è avvertito. Poi, non si sa. Ma si può immaginare.

Emiliano Morrone

 

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