*docente di Politica Economica e Storia Economica presso l’ Università di Roma “La Sapienza” di Roma
La sua efficacia può essere dimostrata, oltre che sul piano analitico, come cercheremo di fare più oltre, anche sul piano storico, dei fatti, visto che il sistema politico tedesco si è finora dimostrato molto stabile ma anche molto duttile (cioè capace di adattarsi, come avvenuto recentemente con l’alleanza tra democristiani e socialdemocratici, per garantire un solido governo al Paese). Ciò naturalmente può essere dovuto non solo al sistema elettorale (che comunque conta molto di più di quanto non credano superficiali commentatori politici), ma anche all’impianto del sistema costituzionale tedesco in senso lato (e ad esso faremo qualche breve essenziale riferimento) e forse anche al carattere ed allo spirito del popolo germanico, così diverso dal nostro (in questo caso probabilmente in meglio).
Prendiamo le mosse dalla descrizione delle caratteristiche tecniche del sistema tedesco. Ci riferiremo, come in genere sempre si fa in queste analisi, al sistema con il quale viene eletto il Bundestag, ossia l’equivalente germanico della nostra Camera dei Deputati. Il Senato tedesco è infatti eletto in modo molto diverso, ed è espressione della realtà federale della repubblica di Germania, dove i Laender sono realtà di ben più forte rilievo politico delle nostre Regioni.
Salvo una particolarità che vedremo più oltre, il Bundestag si compone di 598 deputati, ma i collegi nei quali è diviso il territorio germanico sono 299. Ogni elettore dispone di due voti, in tedesco Zwei Stimmen. Con il primo voto, lo Erststimme, l’elettore indica quale, tra i candidati che si presentano nel collegio, egli preferisca. Viene eletto il candidato che riceve il maggior numero di voti, anche se non raggiunge la maggioranza assoluta. In questo il sistema tedesco imita il maggioritario secco all’inglese. Di conseguenza, i 299 collegi in cui si divide il territorio elettorale sono assegnati ad altrettanti eletti, scelti direttamente dal popolo, in gara tra di loro. Questa assegnazione di seggi non è più modificabile.
Il sistema tedesco non è però un sistema uninominale secco, né un sistema bipolare, come si afferma superficialmente. Contiene solo, come ora vedremo meglio, alcuni elementi del sistema uninominale e del bipolarismo, ma è fondamentalmente un sistema proporzionale.
Infatti l’elettore dispone di un secondo voto: oltre allo Erststimme può infatti esprimere uno Zweitstimme, con il quale vota non più per dei candidati, ma per liste bloccate presentate dai partiti nei diversi Laender, che possono poi apparentarsi fra di loro. Il caso più noto è quello dei democristiani tedeschi, che in Baviera (e solo in Baviera) si presentano come Unione cristiano-sociale, la CSU, cattolica, mentre negli altri Laender si presentano come Unione cristiano-democratica, o CDU, che si compone sia di cattolici sia di protestanti. Nel Bundestag CSU e CDU formano un unico gruppo parlamentare. Con questo secondo voto vengono ripartiti tutti i 598 seggi del Bundestag in maniera proporzionale (salvo due particolarità che vedremo in seguito)
Come si concilia il principio maggioritario che governa l’elezione sul campo dei 299 deputati scelti con lo Erststimme, con il sistema proporzionale che regola l’assegnazione di tutti e 598 i seggi del Bundestag? Per chiarire questo punto, invero alquanto complicato, forse la cosa migliore è proporre un esempio numerico.
Il sistema che regola il primo voto, relativo ai 299 parlamentari eletti direttamente dal popolo, induce gli elettori tedeschi, come è facile comprendere, ad orientarsi verso i rappresentanti di due grandi partiti contrapposti. Infatti nella realtà tedesca, come avviene del resto negli altri Paesi europei, il corpo elettorale è diviso tra un orientamento che possiamo chiamare di destra o di centrodestra, e un orientamento opposto di sinistra o centrosinistra. E’ ovvio in tal caso che l’elettore di centrodestra cerca di individuare il candidato più forte del suo schieramento e lo vota, perché altrimenti, con ogni probabilità, verrebbe eletto un candidato dello schieramento opposto; e viceversa. L’emergere di due grandi partiti contrapposti è quindi un frutto quasi inevitabile del meccanismo che regola lo Erststimme. E’ vero che i due schieramenti contrapposti potrebbero essere in linea di principio composti da più partiti, ma dovrebbero essere partiti molto vicini, omogenei, capaci di intese elettorali forti, come del resto avviene per l’appunto in Germania, dove lo schieramento democristiano è composto sì da due partiti, la CSU e la CDU, che però ai fini elettorali si muovono come un partito solo.
Posto dunque questo primo punto fondamentale, che il sistema tedesco genera due grossi partiti contrapposti, però poi la correzione proporzionale modifica radicalmente il quadro e gli conferisce una caratteristica sua propria, che non è quella del bipolarismo all’inglese. Se con il primo voto avviene, per fare un esempio qualsiasi, che dei 299 seggi in palio ne vengano assegnati 159 al Partito Rosa e 140 al Partito Azzurro, l’elettore che ha dato il primo voto ad uno dei due grossi partiti ora col secondo voto si sente più libero e può votare anche un partito più piccolo, ma a lui più affine. Supponiamo allora che i secondi voti si ripartiscano così: il 35% va al Partito Rosa, il 30% al Partito Azzurro, il 12% al Partito Bianco, il 9% al Partito Nero, l’8% al Partito Rosso e il 6% al Partito Verde. In tale evenienza i 598 seggi del Bundestag vengono assegnati come segue: 35% al Partito Rosa, cioè 209 seggi; 30% al Partito Azzurro, cioè 179 seggi; ai restanti partiti in modo analogo vengono assegnati 72 seggi al Partito Bianco, 54 al Partito Nero, 48 al Partito Rosso e 36 al Partito Verde. Totale 598: la ripartizione dei seggi è perfettamente proporzionale ai voti espressi dal popolo per i partiti, e ciò realizza uno dei pregi tipici dei sistemi proporzionali, cioè il pieno rispetto della volontà popolare.
Come si concilia ora il primo col secondo voto? Abbiamo visto che col primo voto il Partito Rosa ha avuto 159 eletti, scelti direttamente sul campo dai votanti; ne deve però avere 209, perché il secondo voto ci dice che il popolo vuole attribuire il 35% del Parlamento al Partito Rosa; e allora si traggono i primi 40 nomi che compaiono nelle liste bloccate di tale partito e si aggiungono agli eletti “diretti”. Allo stesso modo il Partito Azzurro aggiunge ai 140 eletti “diretti” i primi 39 nomi tratti dalle liste bloccate di partito; mentre gli altri quattro partiti, che non hanno avuto eletti “diretti” trarranno dalle rispettive liste decise dagli organi direttivi dei rispettivi partiti i seggi che loro spettano, cioè 72 il Partito Bianco, 54 il Partito Nero, 48 il Partito Rosso e 36 il Partito Verde. I tedeschi chiamano questo meccanismo di compensazione Restausgleich.
Si vede bene quindi che il sistema elettorale tedesco determina una fisionomia tendenzialmente bipolare del sistema politico, ma riserva pur sempre un ruolo decisivo anche ai partiti più piccoli. Infatti, a meno che la forza dei due partiti maggiori sia schiacciante, e in particolare che uno dei due conquisti il 51% dei voti (ma questo in Italia non è successo nemmeno il 18 aprile del 1948, e nemmeno nelle elezioni che diedero il potere a Mussolini più di venti anni prima), ciò significa che i partiti maggiori debbono accordarsi con quelli minori. Quindi nell’esempio proposto il governo potrebbe essere formato dal Partito Azzurro, meno forte di quello Rosa, a patto che trovi l’accordo con il Partito Bianco e con quello Nero; in tal caso la coalizione avrebbe 305 parlamentari su 598, mentre la coalizione Rosa-Rosso-Verde potrebbe contare solo su 293 parlamentari.
Il sistema tedesco appare politicamente e forse anche moralmente preferibile a quello inglese, dove il meccanismo del maggioritario secco può eliminare la rappresentanza di un partito anche forte, se questo partito non riesce ad avere eletti nei collegi uninominali; e può affidare il governo ad un partito che abbia contro di sé la maggioranza del Paese, purchè riesca, anche senza il 51% dei voti, ad avere la maggioranza degli eletti.
La caratteristica del sistema tedesco di dare a Cesare ciò ch’è di Cesare, cioè di attribuire a partiti anche minori il peso che ad essi spetta nel quadro politico del Paese, è poi rafforzata da alcune caratteristiche del sistema costituzionale tedesco, al di là dei meccanismi elettorali. Infatti nelle elezioni non è previsto alcun premio di maggioranza (che contrasterebbe in modo pesante col carattere proporzionale del sistema elettorale), né è prevista l’indicazione sulle schede di alcun candidato premier.
Il premier, il Bundeskanzler, è infatti votato dal Parlamento, e dal Parlamento può essere mandato a casa (sia pure con la clausola restrittiva di un voto che contestualmente indichi un nuovo premier, la cosiddetta sfiducia costruttiva). Ciò ha consentito che nella Repubblica Federale di Germania avessero luogo degli importanti “ribaltoni”, come quello che portò i liberali ad abbandonare i democristiani per allearsi con i socialdemocratici. In Italia i “ribaltoni” hanno cattiva stampa, ma questo forse dipende, in chiave psicoanalitica, dal fatto che una delle specialità italiane, non apprezzate dagli altri Paesi, è quella di prediligere i cambiamenti improvvisi di campo o la pratica di tenere il piede in due staffe (si veda il caso dell’abbandono della Triplice Intesa per allearsi con Francia e Gran Bretagna al momento della prima guerra mondiale; il caso opposto dell’abbandono della Germania, peraltro assai ragionevole e largamente motivato, nel corso della seconda guerra mondiale; le strizzatine d’occhio ai paesi più o meno “canaglia”, pur essendo noi “fedelissimi” alleati dell’America). Ma i cosiddetti ribaltoni, ancorché da noi spesso esecrati, sono normali espressioni di dialettica politica.
Altra importante caratteristica del sistema tedesco è la chiara caratterizzazione “notarile” del Presidente della Repubblica, che non si sognerebbe nemmeno di voler influenzare il gioco politico, quale esce dai risultati elettorali; mentre in Italia il Presidente della Repubblica è un soggetto politico formalmente irresponsabile, ma poi di fatto dotato di poteri molto forti, che gli consentono di condizionare notevolmente il quadro politico del Paese.
Per completare il quadro, vanno illustrate altre due peculiari caratteristiche del sistema elettorale tedesco: la cosiddetta notissima Sperrklausel, cioè la clausola di sbarramento per i partiti che non superino il 5% del voto popolare. Utilizzando ancora l’esempio precedente per chiarire il funzionamento di questa clausola, supponiamo che il Partito Verde, invece del 6% dei voti che avevamo supposto gli fossero attribuiti, raggiungesse solo il 4% dei voti. In tal caso non vi sarebbe in Parlamento alcuna rappresentanza dei Verdi, e ovviamente occorrerebbe ricalcolare i seggi di tutti gli altri partiti. Le percentuali sarebbero in tal caso le seguenti: al Partito Rosa anziché il 35% verrebbe assegnato il 37% dei voti, e anziché 209 deputati se ne vedrebbe attribuire 221; al Partito Azzurro verrebbero assegnati il 32% dei voti, anziché il 30%, e 191 deputati anziché 179; il Partito Bianco analogamente manderebbe in Parlamento 78 invece di 72 rappresentanti; il Partito Nero ne manderebbe 60 invece di 54; il Partito Rosso invece avrebbe sempre 48 deputati e i Partito Verde non ne avrebbe nessuno. Ovviamente i deputati resterebbero sempre 598; la novità sarebbe che la coalizione tra Azzurri Bianchi e Neri diverrebbe più forte (329 voti invece di 305); mentre la coalizione Rosa-Rosso-Verde scenderebbe, a causa della scomparsa dei Verdi, da 293 a 269, pur essendo più forti i due partiti superstiti.
Non v’è dubbio che la Sperrklausel rappresenta un correttivo in senso maggioritario del sistema elettorale tedesco. A mio personale avviso, i caratteri di fondo del sistema non verrebbero modificati radicalmente se tale clausola di sbarramento fosse abolita o attenuata; infatti in sua assenza potrebbe avvenire, come avviene in Italia, che un partito con l’1% dei voti acquisti una forza di ricatto, e quindi un peso politico sproporzionato; ma lo stesso inconveniente può verificarsi, e si è verificato in Germania, dove le sorti di un Governo possono dipendere da un voto; e che differenza fa se il voto appartiene ad un partito con l’1%, o con il 6% dei voti?
Un secondo (blando) correttivo maggioritario deriva dai cosiddetti Uberhangsmandate. Si tratta di questo. Può succedere che un partito prenda col primo voto, e cioè con gli eletti direttamente nei collegi, più seggi di quelli che gli spetterebbero in base al riparto proporzionale dei secondi voti. Sempre utilizzando il nostro esempio, supponiamo che il Partito Rosa, col 35% dei voti, anziché ottenere col primo voto nei collegi, come da noi supposto, 159 eletti “diretti”, ne prenda 215. La cosa avviene di rado, ma non è impossibile. In tal caso il Partito Rosa avrebbe ottenuto 6 mandati parlamentari oltre il numero corrispondente alla sua percentuale sul secondo voto, che è, come abbiamo visto, di 209 seggi (cioè il 35% del Bundestag). In questo caso, poiché non è evidentemente possibile cancellare 6 elezioni avvenute direttamente nei collegi, il sistema tedesco prevede che vi siano dei mandati in eccesso (appunto uberhangsmandate) cioè prevede che il partito che ha ottenuto più seggi di quelli che dovrebbe avere in base al criterio proporzionale, li conservi. La conseguenza di questo fatto (verificatosi qualche volta in Germania, sia pure su modesta scala) è che il Bundestag può avere un numero di deputati variabile e superiore a 598.
Il timore che un numero elevato di uberhangsmandate possano compromettere la proporzionalità del sistema (come avverrebbe inevitabilmente se gli elettori di uno schieramento votassero, razionalmente, per il loro partito più grosso, mentre quelli dell’altro schieramento disperdessero i loro voti tra diversi partiti) rafforza la tendenza degli elettori tedeschi a concentrare il loro primo voto sui due partiti più grandi. Anche in questo dettaglio si può scorgere la profonda razionalità del sistema germanico, e insieme la sua complessità.
In conclusione il sistema tedesco è un esempio assai significativo di una combinazione molto intelligente del principio proporzionale, che garantisce la giusta rappresentanza al voto degli elettori, e nello stesso tempo di alcuni correttivi propri dei sistemi maggioritari, correttivi che evitano il pericolo di un eccessivo frazionamento della rappresentanza parlamentare, e che contestualmente garantiscono un notevole spazio al rapporto diretto tra eletti ed elettori. Se infatti metà dei deputati tedeschi sono espressione esclusiva degli organi dirigenti dei partiti, l’altra metà è certamente designata dai partiti, ma si tratta di candidati che affrontano l’elettorato sul campo, e questo limita l’arbitrio dei partiti stessi, che si guardano bene dal proporre, per le elezioni dirette nei collegi, persone che non abbiano le caratteristiche necessarie per guadagnare consensi sul territorio, fra la gente.
Infine, un luogo comune da contestare è quello in base al quale un sistema elettorale altrettanto efficace e razionale sia il sistema francese a doppio turno. Non è così. Si tratta di un sistema diversissimo, che è fortemente sbilanciato in senso bipolare e maggioritario, anche se per ciò stesso garantisce di regola maggioranze governative molto stabili. A mio avviso si tratta di un sistema che nella situazione italiana genererebbe effetti nefasti. La prova è che con il doppio turno lo schieramento di sinistra si è impadronito in Italia di quasi tutti i governi regionali, e di gran parte delle amministrazioni comunali e provinciali. Estendere il doppio turno anche al Parlamento nazionale significherebbe voler morire comunisti (o diessini, o democratici, che fa lo stesso). Era molto meglio allora morire democristiani.
(fonte: www.moderatamente.com - le evidenziazioni in grassetto sono nostre.
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